Lc 6,17.20-26 (6,12-26)
Premessa (Lc 6,12-19): Chiamò a Sé, emergenza per Nome
Il doppio indirizzo del culto, ma l’Asse è stare con Lui
(Lc 6,12-19)
«Uscì verso il Monte per pregare e passò la notte nella preghiera a Dio» (v.12).
«E tutta la folla cercava di toccarlo poiché una Forza usciva da Lui e guariva tutti» (v.19).
Lc riflette il doppio indirizzo del culto nelle comunità primitive.
Anzitutto, la Preghiera come significativa apertura al Padre e celebrazione interna fra discepoli (vv.13-17). Quindi il pubblico Annuncio (con opere) al popolo.
La comunità è vicina: Dio è nella nostra storia.
L’idea di un Regno distante produce separazioni, gerarchie piramidali (pastoralmente) inconsistenti. Talora, dispersiva coltivazione d’interessi interni spacciati per grande sensibilità e altruismo.
Insomma, per camminare sul serio accanto a se stessi e agli altri è fondamentale prima maturare, ovunque viviamo.
Ciò vale per assumere differenti iniziative; anche eventualmente per ribellarsi al panorama stagnante che ama tornare alle sicurezze antiche.
In tal guisa, ci possono essere motivi poco nobili per voler giungere subito ovunque, correre dappertutto a fare proseliti, e farlo per contrapposizione, senza un «sogno di amicizia» [cf. enciclica Fratelli Tutti, passim].
Infatti chi coltiva molte brame, le proietta; procura i suoi stessi influssi torbidi.
Per questo è necessaria l’orazione, e la riflessone - indispensabili anche a Gesù (v.12) - che ci porgono il senso del nostro stare al mondo, la Visione del Padre, e una retta disposizione.
Meditazioni profonde e preghiere spontanee annientano le infedeltà che non propongono vita genuina, né motivazioni autentiche, o valori dello spirito.
Le orazioni intaccano e demoliscono le disumanizzazioni, le emozioni che ci alienano e allontanano dai fratelli, i tranelli che tendono a edificare altri templi e santuari.
La stessa carica di universalità e il “senso di urgenza” sono contenuti nel radicamento ai valori trasmesso dal dialogo con Dio. E il suo Mistero (per noi), nelle relazioni, nella conoscenza intima di sé.
Infatti... stimoli, princìpi virtuosi, lacune e lati nascosti sono aspetti energetici complementari.
Sembra un paradosso, ma l’interesse verso i bisogni delle moltitudini è un problema squisitamente radicato nell’intimo, per nulla esteriore.
È da se stessi e a partire dalla comunità che si guarda con empatia il mondo, sapendone recuperare gli opposti.
È la Via dell’Interno che compenetra e attiva la via dell’esterno.
Così volentieri preghiamo: per immergerci nella Fonte vibrante dell’essere, e spostare lo sguardo precipitoso.
Per contrasto e impedimento, la parzialità abitudinaria che “si mette in mezzo” non coglie il valore del poliedro sociale e culturale.
D’altro canto, purtroppo, solo amando la forza si preferisce partire dal troppo distante.
Bisogna anzitutto guarire ciò ch’è intimo e prossimo. Chi non è libero non può emancipare nessuno.
Così, unico modo di scrutare lontano è attenersi alla ragione delle cose - principio che si conosce attivamente, se non fuorviati da superficialità e riduzioni [individualiste o monovalenti, unilaterali e di club].
Intesa la natura delle creature e conformandovisi in modo crescente, tutti vengono ispirati a trasmutare e completarsi.
Processo non alienante, che arricchisce anche la possibile sclerosi culturale, senza forzature isteriche o esterne.
Tutto ciò, esercitando una pratica di bontà anche con se stessi.
Dice il Tao (XLVII): «Senza uscir dalla porta, conosci il mondo; senza guardar dalla finestra, scorgi la Via del Cielo. Più lungi te ne vai, meno conosci. Per questo il santo non va dattorno eppur conosce, non vede eppur discerne, non agisce eppur completa».
Solo dalla Fonte dell’essere - casa comune - scaturisce una vita non dissociata, da salvati a tutto tondo, che efficacemente permane e può dilatarsi.
Siamo segno di dedizione e persone protese? Non lo faremo per “merito” o al fine di cattivarsi le simpatie.
Senza fare la setta, dopo una buona formazione - la quale ci trasmette anche una sapiente tolleranza, a partire dal mondo di dentro.
Nessuno scopo estrinseco, che perderebbe l’anima e non recherebbe svolta alcuna.
Non per distinguere il momento della Vocazione da quello dell’Invio ministeriale.
La via del Cielo è intrecciata alla strada della Persona e a quella della Natura [«come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia»: Laudato Si’, n.1] o saremo operatori da strapazzo.
Nessuno degli Apostoli - personaggi ordinari - era degno della Chiamata (vv.13-15).
Per capire questo, e avvicinarsi al senso della loro unicità missionale, Gesù deve trascorrere una intera notte in preghiera (v.12).
Gran parte dei primi seguaci ha nomi tipici del giudaismo, addirittura del tempo dei Patriarchi - il che indica un’estrazione mentale e spirituale radicata più nella religione antica che nella nuova Fede; bagaglio non facile da gestire.
Ma anche per gli indecisi il Signore sprigiona la sua forza di Vita piena, proprio perché in sé persone assolutamente comuni e piene di limiti; non di rado perplessi, perfino aperti oppositori.
Pietro smaniava per farsi avanti, pur retrocedendo spesso - marcia indietro - sino a diventare per Gesù un «satàn» [(Mt 16,23; Mc 8,33): nella cultura dell’oriente antico, un funzionario del gran sovrano, inviato a fare il controllore e delatore - praticamente un accusatore].
Giacomo di Zebedeo e Giovanni erano fratelli, accesi fondamentalisti, e in modo iroso volevano il Maestro solo per loro, nonché i primi posti.
Filippo [condizionato forse da un’estrazione ellenista, come indica il suo nome] a prima vista non sembrava un tipo molto pratico, né svelto a cogliere le cose di Dio.
Andrea pare invece se la cavasse bene: persona inclusiva.
Stando a note identificazioni tradizionali, Bartolomeo era forse aperto ma perplesso, perché il Messia non gli corrispondeva granché.
Tommaso sempre un poco dentro e un po’ fuori.
Matteo… un collaborazionista, avido complice del sistema oppressivo, e che volentieri estorceva denaro alla sua gente [il popolo lo condannava in modo spietato].
Simone - lo zelota, il cananeo - una testa calda.
Giuda Iscariota un tormentato, che si autodistrugge per essersi fidato di vecchie guide spirituali - impregnate d’ideologia nazionalista, interesse privato, opportunismo e potere.
Altri due (Giacomo il minore figlio di Alfeo, e Giuda Taddeo) semplici discepoli forse di non grande rilievo o capacità d’iniziativa.
Ma il Regno è «locale e universale» [Fratelli Tutti, nn.142-153], Vicino e per Nome - come si evince dal passo del Vangelo di Lc.
Questa la forza molteplice, graffiante, impareggiabile, prossima e appunto personale, la quale vince ogni possibilità di sabotaggio ideale (a motivo di circostanze avverse).
Potenza attinta sia dalla preghiera diretta al Padre in Cristo - nel suo Ascolto notturno (v.12) - nonché dalle opere d’amore (vv.17-19).
Potenze in simbiosi personale, sensibile, condivisa.
Non per soli eccellenti… o anche nel tempo dell’emergenza globale non vi sarà opera sanante (v.19) bensì solo esterna, accusatoria e finalizzata alla propaganda, al proselitismo.
Annuncio e Missione di nuova Luce accolta in Dono: dove appunto non appare una sola forma o un solo colore.
E l’Asse è «stare» con Lui.
Per un contagio non allarmistico né unilaterale, monocromatico, bensì florido, poliedrico, talora “nascosto”, e inquieto.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Nella tua esperienza, quale catena ha unito il Cielo e la terra?
Beatitudini e inversione, antidoto all’unilateralità
Fede e religione. Turnover nella Chiesa
(Lc 6,17.20-26)
In Mt le Beatitudini tracciano un programma per le fraternità di origine giudaica.
In Lc il sermone sembra di carattere più radicale ed è indirizzato alle comunità ellenistiche, con forte accento sociale.
Gesù giudica la configurazione del mondo in cui la sua Chiesa nello Spirito si trova a vivere: ricchi e indigenti [malfermi in molti sensi], personaggi di spicco e invisibili.
Situazione che non ricalca condizioni di pienezza di vita; piuttosto - anche oggi - rende il sangue amaro a molti.
Una realtà falsata e non definitiva, esasperante, che assolutamente denuncia di non gradire fra i suoi: quella di dominatori lodati (malgrado l’abuso egoistico dei beni e delle posizioni) e insignificanti sottoposti.
Privo di titoli altisonanti, il giovane Rabbi si rivolge dal basso in alto (v.20) a coloro che hanno liberamente scelto la sua proposta di esistenza fraterna e condivisione delle proprietà [in Mt «poveri “per” lo Spirito (d’amore)»].
Il Maestro si compiace in modo esplicito [«Beati»] della scelta dei suoi, estranea all’egoismo.
Egli loda quell’esperienza di sintonia: nella medesima qualità di vita intima di Dio, uniti e promossi a una diversa Visione e reciprocità.
Già qui sulla terra gl’intimi testimoniano infatti una possibilità di percezione differente delle cose: con lo sguardo dal basso.
In aggiunta, il Sogno d’una società alternativa, fondata sulla convivenza armonica, senza discriminazioni. Una cosa da capogiro - nello scambio dei benefici.
Un germoglio di mondo ospitale - che Lc vuole incoraggiare - dove non c’è il sopra e il sotto o il davanti e dietro: solo rivolgimenti umanizzanti (come appunto l’inversione dei ruoli) che rinsaldano il tessuto concorde.
Anche nella sua Casa dovrà esserci rotazione e capovolgimento di figure e mansioni di spicco - segni del Regno che Viene.
Il ricambio è cifra del Regno che Viene; in grado di acuire le sensibilità alla Comunione.
Non installazione (addirittura, a vita) e fissità.
Nei documenti dell’antica letteratura si parla poco di miseri, senza voce e affamati. L’attenzione si concentrava sui ricchi, sugli eroi, i sovrani e i generali.
Il rovesciamento di sorte era inimmaginabile, sebbene qua e là [in specie nel mondo delle donne, del tutto soffocato] lo si percepisse quale desiderio profondo e ben più autentico.
I potenti del nuovo mondo umanizzante sono appunto il viceversa di quanto previsto: coloro che sentono il Figlio presente, che pulsa in cuore, Risorto in loro.
Essi non trattengono per sé, ma trasformano beni, traguardi, titoli e ministeri in Vita e Relazione.
Dinamismo che a nessuno farà più mancare la terra sotto i piedi.
Né per difendersi ci sarà bisogno di toni alti.
Se ancora non si riesce a distinguersi e riconoscersi, nella reciprocità si potrà diventare meno rumorosi.
Poi, quanto ora si sperimenta - e soffre per amore - è transitorio, non definitivo.
Ciò che viceversa risulta decisivo e conclusivo è la costruzione di questo tipo di Chiesa [Regno] inusuale.
Germe che si discosta dall’unilateralità dei rapporti.
Seme e Nido - con arricchimento e avvicendamento - dove tutti si sentano adeguati, non più additati.
In ogni caso, indipendenti dall’opinione conformista o piramidale, interessate a perpetuarsi.
In tal guisa le persecuzioni che poi recano patimento devono essere messe in conto - non come rantolo di morte, bensì lieta notizia: dolore di parto, emblema e fonte di Speranza larga.
Il mondo competitivo antico tira le cuoia e si difende con ogni mezzo, ma il futuro annunciato sta giungendo.
Le fraternità che operano scelte risolutive vanno per il cammino giusto, sensato, vitale, che non solo attutisce ma insegna a vivere le disavventure come occasione di Novità e diversa Armonia.
Coloro cui tutto fila liscio e sono incensati - e si permettono di ritagliarsi posizioni di rilievo fisse, nelle assemblee di Fede ridotte a regno dell’uomo - non fanno che ribadire le divergenze che già marcavano la struttura dell’Impero.
Nulla hanno in comune col disegno del Padre.
Pertanto Gesù non si compiace della loro presenza, piuttosto se ne lamenta.
Non ritiene che la sperequazione sociale sia frutto di fatalità, bensì d’ingiustizia - insopportabile per coloro che si dicono discepoli e fratelli.
In un clima di reale condivisione di risorse e convivialità delle differenze ci si aiuta anche a comprendere il rapporto di Amicizia in senso forte - fra noi membri di Chiesa, e con Dio.
In clima di vita beata il nucleo interiore viene finalmente ascoltato, e smuove situazioni cristallizzate. Fa vedere la vita da altri punti di vista. Quindi non si esagera nei controlli; non si attuano forzature.
Tra credenti, qualsivoglia esigenza trova spazio - senza più copione - e tutto si discosta dalla parzialità dei rapporti esterni.
In una relazione Padre-figlio religiosa e verticista (già concatenata, volontarista) priva di Fede, è sempre l’Onnipotente che sovrasta, e la creatura obbedisce.
Dio è in primo piano e sentenzia; l’uomo lo segue, vive in funzione del “padrone” e dei suoi “rappresentanti” - addirittura in posizioni vitalizie - come se tutti gli altri avessero un’identità insipida e decentrata.
Invece nella comunità che riflette il divino non c’è mai qualcuno che sta sempre in secondo piano e i soliti che prevalgono e decidono - mentre altri seguono e fanno da spettatori.
Altrimenti qualcuno finirà per covare l’abbandono o rivalse, e reagire [unica strada] per non annientarsi.
Nessuno può vivere senza esprimere la propria personalità e irripetibile Vocazione: nelle micro e macro relazioni comunitarie, nella Chiesa attiva nell’apostolato laicale - se infaticabile.
Ciò vale anche con Dio.
Lo stesso ideale di armonizzazione s’impone con le Tradizioni o i cosiddetti Carismi - i quali non dovrebbero sovraccaricare le anime.
Basta con visioni del mondo cesellate secondo un’altra taglia: altrui, o già datata, che non ci appartiene più. Sebbene possa in vari casi proporre un mondo di saperi in cui ci si può e deve riconoscere…
Se viceversa il rapporto si riempie di strapotere - come nelle devozioni o nelle ideologie, nelle cordate d’affari ovvero nelle sette - l’inclinazione non potrà generare unità [se non di facciata] bensì ogni sorta di tradimento e abbandono.
Ma qui la defezione si rende paradossalmente necessaria, per ritrovarsi.
Resta un momento di tensione e forse su due piedi una fuga, ma da una situazione opprimente - come quella del figlio prodigo (al cap.15) che scappa di casa perché vessato dall’atteggiamento del “figlio maggiore”.
Nell’avventura di Fede-Amore vige sempre un riconoscimento reciproco. Dunque si alternano incessantemente gli uffici.
Si rovesciano incessantemente i ruoli fra soggetto e “oggetto” (reso a sua volta protagonista) dello scambio di risorse e del sovvenire in omaggio.
I rapporti di soggezione eccessivamente centrati annientano i Doni viventi di Dio; producono ferite profonde, paralizzanti.
Riducono al silenzio Creatore e creatura: una paradossale autocondanna.
Nel Regno delle “santità” poliedriche persiste al contrario l’inversione tra colui che propone, chi accoglie e coloro che dilatano.
In ogni situazione valutando se il fratello è nella letizia. [In tal senso si fa davvero opportuno il cammino sinodale].
Poi nel tempo si cresce e si cambia anche parere - ad es. circa persone o vicende che consideravamo lontane, inconcludenti.
E invece ci parlavano di missione, o del nostro ritmo segreto verso un altro traguardo e destino.
Il Cristo presente in ogni fedele e nel suo corpo mistico che vive le Beatitudini, supera ogni opinione normalizzata.
Dio non è monocromatico: sorvola disparità di comportamenti, divisione di ceto, malumori - e questo non è un discorso lontano da noi.
Ad es. sino a poco fa nel Battesimo sbrigavamo una formalità.
Non ci si rendeva conto di quanto accadeva fra Dio e la creatura introdotta nella Chiesa - né della differenza tra pia cerimonia e orientamento della vita.
Ma sostare con noi stessi e il nostro Senso, insieme, avrebbe qualificato il modo di comprenderci; capire gli altri, stare in campo.
Spontaneamente avremmo abbandonato il nostro “personaggio”, ruolo e primato (che accentrano, ma fanno da palla al piede alle migliori energie).
Insomma, con l’aiuto di una Casa comune qualitativamente ricca, viva e impegnata nello spirito di gratuità, saremmo già qui nella condizione divina.
Avremmo riattivato noi stessi e le nostre capacità a tutto tondo - senza prima aggiustare posizioni su modelli omologati e senza vigore, che ci sottomettono a relazioni rancorose, soffocanti, parziali, equivoche.
Nelle contrapposizioni ai vv.24-26 il Signore distingue bene ciò che rende Beati - completi, non unilaterali - e quanto non appartiene né assomiglia all’opera del Padre.
Ma lo fa non semplicemente ammonendo, bensì per riunire, e dilatare il nostro Nucleo; per lubrificare le intime, migliori essenze di tutti.
Proclamando lo spirito di Beatitudini - dentro ciascuno di noi - anche nel tempo della pandemia e della crisi globale non intende farci rodere il fegato e sentire dei traditori, incoerenti e fuori strada.
Tale Parola vuole comunicare [in specie alle stesse assemblee, che al Risorto sembra ne abbiano tanto bisogno] un’energia meno accentrata e parziale, più permeabile e confluente; un ritmo inclusivo.
E a tutti il permesso pieno di vivere.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Qual è il tuo ideale di felicità?
Conosci nella Chiesa uomini Beati, o soprattutto uomini di terra e che accentrano le relazioni, le mansioni, la gestione dei programmi pastorali e altro (...) pur propagandando “unità”?
Qual è il tuo grido di rabbia che non lasci uscire, per paura di essere escluso? Non credi che ti stia parlando profondamente delle scelte umane discriminanti, della Vocazione personale ed ecclesiale?
Credi che le Beatitudini siano un freno alla realizzazione personale e sociale, o viceversa una possibilità di affermarsi, e con determinazione?
Paradossi per una condivisione
Fra’ Egidio, compagno di San Francesco, riassume l’insegnamento del suo Fondatore così:
«Vuoi sentire bene? Diventa sordo. Vuoi parlare bene? Sta’ zitto. Vuoi camminare bene? Tagliati le gambe. Vuoi lavorare bene? Tagliati le mani. Vuoi amare davvero? Odiati. Vuoi vivere bene? Mortificati. Vuoi guadagnare? Impara a perdere. Vuoi arricchirti? Sii povero. Vuoi esser consolato? Piangi. Vuoi vivere nella sicurezza? Abbi sempre timore. Vuoi salire in alto? Umiliati. Vuoi essere stimato? Disprezza te stesso e stima quelli che ti disprezzano. Vuoi avere il bene? Sopporta il male. Vuoi essere in pace? Fatica. Vuoi che ti benedicano? Spera che ti maledicano».
Nella Lettera a Diogneto (metà II sec.) leggiamo:
«I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri uomini. Infatti non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono un genere di vita speciale. La loro dottrina non è nella scoperta del pensiero di uomini multiformi, né essi aderiscono a una corrente filosofica umana, come fanno gli altri. Vivendo in città greche e barbare, come a ciascuno è capitato, e adeguandosi ai costumi del luogo nel vestito, nel cibo e nel resto, testimoniano un metodo di vita sociale mirabile e indubbiamente paradossale. Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera. Si sposano come tutti e generano figli, ma non gettano i neonati. Mettono in comune la mensa, ma non il letto. Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. Dimorano nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati. Non sono conosciuti, e vengono condannati. Sono uccisi, e riprendono a vivere. Sono poveri, e fanno ricchi molti; mancano di tutto, e di tutto abbondano. Sono disprezzati, e nei disprezzi hanno gloria. Sono oltraggiati e proclamati giusti. Sono ingiuriati e benedicono; sono maltrattati e onorano. Facendo del bene vengono puniti come malfattori; condannati gioiscono come se ricevessero la vita. Dai giudei sono combattuti come stranieri, e dai greci perseguitati, e coloro che li odiano non saprebbero dire il motivo dell’odio».
«A dirla in breve, come è l’anima nel corpo, così nel mondo sono i cristiani. L’anima è diffusa in tutte le parti del corpo e i cristiani nelle città della terra. L’anima abita nel corpo, ma non è del corpo; i cristiani abitano nel mondo, ma non sono del mondo (...). Dio li ha messi in un posto tale che ad essi non è lecito abbandonare».
In una recensione del giugno 2016 al volume “Solo i malati guariscono” di L. M. Epicoco, il pubblicista dell’agenzia Zenit traccia un agile profilo dei «paradossi di Gesù e del Cristianesimo»:
«Il Cristianesimo è la religione del paradosso e ‘il Vangelo è la demolizione dell’immaginario banale su Dio’. Nel capitolo dedicato alla Fede (Lo spezzare del Pane) Epicoco spiega: ‘Dio nasce povero invece che ricco. Nasce in periferia invece che al centro. Nasce figlio di nessuno invece che figlio di qualcuno notabile. Nasce in una stalla invece che in un tempio. Rivela agli inaffidabili pastori la notizia della sua venuta, invece che ai comunicati stampa dei dottori e dei profeti. Deve scappare pur essendo onnipotente. Si sottomette alla cronaca degli esuli invece che imporre nuove giustizie sociali. Da grande avrà cura dei peccatori invece che dei giusti. Toccherà i malati invece che i sani. Dirà pace quando tutti vorranno la guerra. E dirà fuoco quando tutti vorranno acqua. Predicherà ad alta voce quando nessuno dei grandi lo vorrà sentire. E rimarrà in silenzio quando tutti loro, invece, si aspetteranno spiegazioni e parole per coglierlo in fallo. Morirà in croce per mano dei romani, invece che mettere in croce i romani oppressori. E alla fine risorgerà quando tutti, invece, pensavano di tenerlo morto in un sepolcro. Compresi i suoi (...)».
Il Cristianesimo non è una religione, bensì una Persona e la sua proposta: un Cammino eccezionale di Amicizia e paradosso.
Citando Emmanuel Carrère: «(Gesù) è sempre quello che i suoi seguaci hanno voluto vedere, sentire, toccare, ma non come si aspettavano di vederlo, sentirlo, toccarlo (...). È il primo che passa, è l’ultimo dei mendicanti».
E conclude citando: «Il cuore è nemico dell’omologazione e della quiete, sempre alla ricerca della pienezza, della felicità (...). L’inquietudine è la domanda di felicità incandescente che ci portiamo dentro. E tutto quello che è incandescente brucia. Ecco perché l’inquietudine fa male. Ma guai a spegnere l’inquietudine perché spegneremmo la fiaccola della vita stessa, ciò che la riscalda, ciò che la conduce (...). Un uomo senza domande è un uomo morto. Una fede senza domanda è una fede morta. Un amore senza domande è un amore morto. La domanda è l’infinito bisogno della risposta, e non il gusto macabro di smontare ogni cosa per lasciare tutto frantumato».
Le estrose scelte di Dio passano per gli indecisi, gli sconfitti, stupidi deboli ignobili derisi. Non per un vezzo alternativo, ma perché sono queste le persone che - mentre si adoperano per rallegrare la vita altrui - rischiando in proprio fanno esperienza di un Padre che provvede alla loro, nell’unicità.
Hanno fatto passare la Luce
Tutti i Santi, tra senso religioso e Fede
Incarnando lo spirito delle Beatitudini, ci chiediamo quale sia la differenza tra “sentire religioso” comune, e “vivere di Fede”.
Nelle devozioni antiche il Santo è l’uomo compos sui, perfetto e distaccato [ma prevedibile]; e il contrario di Santo è «peccatore».
Nella proposta di vita piena nel Signore, il «santo» è persona d’intesa comunicativa e che vive per la convivialità, creandola dove non c’è.
Nel cammino dei figli il Santo è sì l’uomo eccellente, ma nel suo senso compiuto - pieno e dinamico, poliedrico; perfino eccentrico. Non in una accezione unilaterale, moralistica o sentimentale.
Nella lingua latina perfìcere significa condurre a termine, andare sino in fondo.
In tale accezione completa e integrale, “perfetto” diventa un valore incarnato autentico: attributo possibile - d’ogni persona consapevole della propria condizione di vulnerabilità, e non la disprezza.
La donna e l’uomo di Fede valorizzano ogni occasione o emozione che mettono a nudo la condizione di nudità [non colpa] per aprire nuove strade e rinnovarsi.
In ottica di vita nello Spirito il santo [in ebraico Qadosh, attributo divino] è sì l’uomo «distacccato», ma non in senso parziale o fisico, bensì ideale.
Non è la persona che a un certo punto della vita prende le distanze dalla famiglia umana per intraprendere un sentiero di purificazione che la innalzerebbe. Illudendosi di migliorare.
Come sottolinea l'enciclica Fratelli Tutti: «Un essere umano [...] non si realizza, non sviluppa, non può trovare la propria pienezza [... e] non giunge a riconoscere a fondo la propria verità se non nell’incontro con gli altri» (n.87).
Il testimone autentico non è animato dal disprezzo del caos esistenziale - né desideroso di appaltare le difficoltà di gestione della propria libertà consegnandola a un’agenzia alienante, dalla mentalità appartata (che risolva il dramma delle scelte personali).
In Cristo l’uomo è un «disgiunto» dalla mentalità comune, in quanto fedele a se stesso, al proprio Fuoco che non si estingue - alle passioni, alla propria irripetibile unicità e Vocazione.
E insieme, «separato» da criteri competitivi esterni: dell’avere, del potere, dell’apparire. Potenze autodistruttive.
A queste ultime, sostituisce concretamente la fraternità del donare, del servire e dello sminuirsi [dal “personaggio”]. Energie feconde.
Tutto per la Comunione globale, e in Verità anche con il proprio intimo seme caratteriale - evitando proselitismi e il farsi notare nelle passerelle.
Il vero credente conosce il suo limite redento, vede le possibilità dell’imperfezione... Così sostituisce i presupposti del trattenere per sé, del salire sugli altri e del dominarli, con un fondamentale trittico umanizzante: elargire, libertà di “scendere”, collaborare.
Questo l’autentico Distacco, che non fugge le proprie e altrui inclinazioni, né disprezza il tratto complesso della condizione umana.
In tal guisa, il «santo» vive la Beatitudine essenziale dei perseguitati (Mt 5,11-12; Lc 6,22-23) perché ha la libertà di “abbassarsi” per essere in sintonia con la propria essenza; coesistendo nella sua originalità.
In termini di Fede, il Santo non è più dunque un fisicamente «separato», bensì «Unito» a Cristo - e messo al bando come Lui, nei fratelli deboli.
Insomma, il Disegno divino è comporre Famiglia di piccoli e malfermi, non ritagliarsi un gruppo di amici “forti”, e “migliori” degli altri.
Solo quest’orizzonte di Focolare ci spinge a partire.
Di conseguenza, contrario di Santo non è «peccatore», bensì irrealizzato o incompiuto.
Vediamone ancora il motivo (vocazionale e per strade personali).
Gesù era amico di pubblicani e pubblici peccatori non perché migliori dei buoni, ma perché in religione i «giusti» risultano non di rado poco spontanei; rendendosi impermeabili, chiusi, refrattari all’azione dello Spirito.
Con sorpresa, il Signore stesso ha fatto ripetuta esperienza che proprio le persone devotamente carenti erano volte a interrogarsi, accorgersi, rielaborare, deviare dall’assuefazione - per l’edificazione di nuovi sentieri, anche procedendo a tastoni.
Non potendo godere del mantello perbenista di paraventi sociali, dopo una presa di coscienza della propria situazione (e nel tempo) - rispetto a coloro che si ritenevano “arrivati” e amici di Dio - da “lontani” diventavano persone più degli “impeccabili” disposte ad amare.
Il mettersi in discussione è fondamentale in ottica biblica.
Ad ogni pie’ sospinto la Scrittura ci propone una spiritualità dell’Esodo, ossia una strada di liberazione da pastoie e percorsa come a piedi, passo dopo passo. Quindi che valorizza sentieri di ricerca, esplorazione, scoperta di sé e della Novità di un Dio che non ripete, ma crea.
L’Appello che la Parola rivolge è a intraprendere un itinerario; questo il punto. E da sempre noi siamo «quelli della Via» e che non passano oltre, non girano lo sguardo dall’altra parte [cf. Lc 10,31-33; FT, 56ss].
Per la mentalità pagana classica, la donna e l’uomo sono essenzialmente “natura”, quindi il loro essere nel mondo è condizionato [ricordo che il mio professore di antropologia teologica Ignazio Sanna diceva addirittura «de-centrato»], persino determinato dalla nascita (fortunata o meno).
Secondo la Bibbia la donna e l’uomo sono creature, splendide e adeguate in sé alla propria missione, ma pellegrine e carenti.
Dio è Colui che li «chiama» a completarsi, recuperando gli aspetti difformi.
Per giungere a essere immagine e somiglianza del Signore, dobbiamo sviluppare capacità di risposta a una Vocazione che ci rende non dei fenomeni, né “perfetti” eccezionali, bensì Testimoni particolari.
Scelti per Nome, così come siamo; che abbracciano il loro essere profondo - anche inespresso - fino a riconoscerlo nel Tu, e dispiegarlo nel Noi.
La santità di una persona si coniuga dunque con moltissimi dei suoi stati d’insoddisfazione, di confine, e persino di fallimento parziale - ma sempre pensando e sentendo la realtà.
Per una Nuova Alleanza.
Nell’Antico Testamento il credente entrava in contatto con la purità divina frequentando luoghi sacri, adempiendo prescrizioni, recitando preghiere, rispettando tempi e spazi, scansando situazioni imbarazzanti; così via.
La nostra esperienza e coscienza attestano infallibilmente che l’osservanza rigorosa è troppo rara, o di maniera: dentro, spesso non ci corrisponde - né umanizza.
Essa diventa presto o tardi un castello di carte, malfermo tanto più punta “in alto”. Basta disporne una sola in modo maldestro, e la costruzione artificiosa crolla.
Ci rendiamo conto della nostra naturale impossibilità a soddisfare sterilizzazioni, mappe (altrui) e standard così elevati.
Con Gesù la Perfezione non riguarda il “pensiero”, né il rispetto di un Codice di osservanze astratto. La Compiutezza è in riferimento a una qualità di Esodo e Relazione.
In antichi contesti il cammino dei figli è stato ammantato d’una proposta misticheggiante o rinunciataria fatta di astinenze, digiuni, ritiri, vita appartata, adempimenti cultuali ossessivi... che in molte situazioni hanno costituito la trama portante della spiritualità pre-Conciliare.
Ma nella Scrittura i Santi non hanno l’aureola e neppure le ali.
Non sono tali per aver compiuto miracoli di guarigione incomparabili e stupefacenti: bensì donne e uomini inseriti nel mondo comune e negli aspetti più ordinari.
Essi conoscono i problemi, le debolezze, le gioie e i dolori della vita quotidiana; la ricerca della propria identità-carattere, o inclinazione profonda.
E l’apostolato; la famiglia, l’educazione dei figli, il lavoro. La forza di seduzione del male, perfino.
Nel Primo Testamento «Qadosh» designava esclusivamente un attributo dell’Eterno [unica Persona non intermittente] - e la sua separatezza dall’intreccio delle spesso confuse ambizioni terrene.
Malgrado i difetti, però, in Cristo diventiamo capaci di ascolto, di percezione; quindi abilitati a cogliere ogni opportunità per rendere testimonianza della Gratuità innata, vitale, dell’iniziativa divina e reale.
Incessantemente la vita provvidente si propone e viene incontro per aprire varchi impensabili, che fanno breccia.
I suoi inediti tragitti di crescita rinnovano l’esistere tutto concatenato e conforme.
Ciò anche facendoci stupire delle risorse intime, prima inconsapevoli o inconfessate e sottaciute, ovvero imprevedibilmente nascoste dietro lati oscuri.
Quel ch’è Insigne non viene più spostato dietro nuvolette e collocato in recinti muniti.
Pertanto, avversario di Dio non sarà la trasgressione: diventa viceversa la mancanza di spirito di Comunione, nelle differenze.
Nemico della storia di Salvezza non è l’incompletezza religiosa, ma il divario dalle Beatitudini - e dallo spirito in fieri del «viandante» per il quale “peregrinare” è sinonimo [non paradossale] anche di “errare”.
Contrapposto di Dio non sono dunque “i peccati”, bensì «il» Peccato [al singolare, termine teologico, non moralistico].
“Peccato” è l’incapacità di corrispondere a una Chiamata indicativa, che fa da molla per completarci, per rigenerarci non parziali. Ciò armonizzando i lati opposti - nell’essere noi stessi ed essere-Con.
Qui è la Fede che «salva», nel punto in cui ci troviamo - perché annienta «il peccato del mondo» (Gv 1,29) ossia la disistima e senso di colpa; l’umiliazione delle distanze incolmabili.
Infatti Gesù non raccomanda dottrine, né di parcellizzare la propria vicenda con etilismi puntuali. Neppure prospetta alcuna religiosa scalata [in termini di progressività] condita di sforzi.
A nessuno nei Vangeli il Cristo dice «fatti santo», bensì con Lui, come Lui e in Lui - Unito, per incontrare incessantemente i propri stati profondi.
Riconoscendoli meglio, anche grazie al Tu e al Noi.
Il Santo è il piccolo, non l’eroe tutto d’un pezzo, uniforme, pronosticabile, scontato.
Santo è colui che percorrendo la propria via nella scia del Risorto, ha imparato a «identificarsi con l'altro, senza badare a dove [né] da dove [...] in definitiva sperimentando che gli altri sono sua stessa carne» (cf. FT 84).