Purezza, impudicizie e santità travisate
(Mc 7,14-23)
La Chiesa ha conservato la fede nella bontà del creato; non vede di malocchio la natura, la società, e l’opera concreta del Padre, come purtroppo si propugna in certe mentalità schizzinose (in chiave devota).
Neppure ritiene che per sentirsi salvi esistano strumenti o zone di rifugio che basterebbe usare, fruire o raggiungere, e rifrequentare. Il Signore è per una umanizzazione a tutto campo.
Nelle culture antiche la visione religiosa e mitica del mondo portava la gente ad apprezzare qualsiasi realtà partendo dalla categoria della santità come distacco e separatezza - persino inaccessibilità.
Le leggi sulla purezza indicavano le condizioni necessarie per mettersi davanti a Dio e sentirsi bene alla sua presenza - ma di fatto sempre sgomenti, perché (ovvio) non totalmente ottemperanti.
Non ci si poteva presentare nel punto in cui la persona era, o in qualsiasi occasione e modo - bensì secondo norme legate al cibo, al contatto, al vestito, ai tempi raccomandati di preghiera; così via.
Nel contesto della dominazione achemenide, per valorizzare l’identità, ricostruire il Tempio di Gerusalemme e mantenere la propria classe, i sacerdoti accentuarono le norme di purità e gli obblighi sacrificali, manipolando più volte il senso, i contesti, e le postille della Scrittura.
Ovviamente, parte consistente delle offerte così gonfiate rimanevano al ceto che si occupava dei riti.
Tutto ciò, a spese d’una concezione appiattita sullo stile cultuale propiziatorio e (supposto) taumaturgico, il quale investiva ogni aspetto della vita ordinaria della gente.
Moltitudine resa schiava dalla visione imposta - in sé infantile - algida forse, ma paludosa e irritante.
All’epoca di Mc alcuni giudei convertiti ritenevano di poter abbandonare gli antichi costumi e avvicinarsi ai pagani; altri erano di opinione opposta: sarebbe stato come rigettare parti consistenti della Torah [es: Lv 11-16 e 17ss].
Infatti Mc sottolinea che il problema è «in Casa» (v.17 testo greco: dentro casa) ossia nella Chiesa e fra i suoi intimi [la traduzione CEI recita in “una” casa].
Un posto dove paradossalmente ancora non si capisce il Maestro [!] venuto per liberarci dalle ossessioni inventate e artificiose.
Cristo deve insistere nel suo insegnamento, ora non rivolto a degli estranei, ma proprio agli habitué, incapaci - al contrario delle folle - di «comprendere» (v.14) perfino i rudimenti delle cose spirituali.
Per educare i testardi ancora «privi d’intelletto» (v.18) che si ritengono maestri, non si dirige in una dimora qualsiasi, ma esattamente nel posto dove purtroppo si coltivano aspettative talora ben lontane dal popolo (vv.14.17).
L’evangelista rigetta la distinzione tra la sfera religiosa della vita e un assetto quotidiano “contaminato”; fonte di corruzione. Ma normale, spicciolo, sommario - per questo valutato distante dal “divino”.
Quintessenza che viceversa non intende soggiogare nessuno.
Le prescrizioni restano insufficienti a darci accesso a Dio: esse non sono che simboli, traiettorie, e immagini.
La presenza attiva di un Ordine nuovo abolisce le prescrizioni legali, e sposta il centro della moralità dei nostri atti.
Qui si richiama l’insegnamento di Gesù: l’impurità non viene dall’esterno [ossia da fuori a dentro].
Non è quella la minaccia per la vita della donna, dell’uomo, e della comunità, secondo il disegno senza trucchi di Dio.
Le realtà del mondo non sono mai scellerate e inadatte - neanche al culto.
Diventano obbrobrio solo passando attraverso decisioni queste sì sacrileghe, perché bloccano la vita. E distacchi che imbarbariscono.
La canonicità del bigotto e talare non c’entra nulla con la divinizzazione, la quale viceversa fa rima con ciò che è concretamente umanizzante.
Il dibattito sul puro e impuro non va collocato sul piano delle cose [ad es. dei cibi che vanno fino allo stomaco] bensì del comportamento, che parte e va fino al cuore. Luogo non sempre sereno e ben “ordinato”.
Non vi sono apriorismi sacri: non basta che un luogo, una casa, degli oggetti, una persona... siano stati legittimati da cerimonie o addirittura scambi, perché diventino intoccabili, onesti ed eminenti.
In tal guisa, non vi è sacro e profano in sé.
Mistero e Beatitudine vengono al mondo esclusivamente attraverso il canale del dialogo e dell’incontro nel rispetto dell’intelligenza, dell’anima personale, e delle culture difformi. Non percorrendo entità di meriti, né strettoie travisate.
La santificazione è legata alla condotta. E nei casi di coerenza, persino all’insuccesso, all’angoscia, alle frustrazioni, che derivano da scelte di campo impegnative.
Sono decisioni le quali mettono a repentaglio, e talora ci ridicolizzano nel paragone con il costume delle autenticazioni obbligate - ove talora sembra che sia necessario eludere la vita. O non sei “nessuno”.
Qui il legalismo formale purtroppo uccide qualsivoglia dilatarsi delle risorse e degli ideali.
Insomma, impuro è ciò che avvelena l'esistenza e la realizzazione spontanea delle persone, le loro relazioni, e la creazione stessa.
Eppure sono le imperfezioni a renderci nuovi, eccezionali, unici!
Gesù apre una nuova Via per far avvicinare tutti noi malfermi a Dio, agli altri persino lontani, e a se stessi - senza esclusioni puritane.
Quando ad es. non ci accettiamo così come siamo - dentro, o in campo, non accogliendo il diverso e l’opposto - perché nell’opinione comune “non va bene”, rischiamo di trasformare l’insoddisfazione in un clima d’intimo assillo.
Perfino il religioso senso d’impurezza ci porterà dall’agitazione al disastro.
Ma fuori dall’impegno per l’amicizia con noi stessi, con le cose create, e lo spirito di fraternità, di convivialità dei contrari, la paura di contaminarsi è infondata.
Anzi, siamo chiamati a voler bene ai limiti: sono il terreno anche scomposto e impudico di energie preparatorie della reale fioritura.
Sono impulsi e segni primordiali del nostro compito nel mondo secondo la Novità di Dio.
Ogni Esodo valorizza le alternative.
E troviamo la realizzazione, il senso della vita, nonché via via maggiore completezza, incontrando appunto i nostri lati opposti.
Chiunque intimorisce il fratello “inadeguato” minaccia la vita del cosmo e rende sfiduciate proprio le persone più sensibili e attente.
Gesù libera la folla dei senza voce, degli smarriti, dall’ossessione di apprensioni e timori, dallo stare sempre sulla difensiva.
Non siamo chiamati a fissarci in una direzione. Ce ne sono altre.
Impariamo dunque a non provare sgomento per il fatto che non siamo religiosamente “riusciti” - bensì Primizia!
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Cosa ritieni ti renda presentabile in società? In che senso sei impeccabile - perché imbellettato e conforme all’opinione?
Essere “figlio” e “primizia” ti fa stare sulla difensiva o restituisce voglia di vivere in pienezza?