Lo scandalo dell’attesa e il sequestro dei prelati
(Lc 18,1-8)
Negli anni 80 le comunità dell’Asia Minore subiscono persecuzione per il fatto che l’imperatore di Roma [il divo Domiziano] pretendeva farsi venerare.
L’istituzione religiosa ufficiale - servile e adulatrice - si adegua ai diktat del Cesare di turno.
I cristiani no - consapevoli della propria dignità e progetto di mondo alternativo, legato a un nuovo volto di Dio: non più legislatore e giudice ma Creatore e Redentore della nostra intelligenza, sviluppo e libertà.
Le assemblee dei primi credenti si trovano così di fronte a fatiche, discriminazioni e stanchezze forse ben superiori alle forze, ma non alla coscienza.
Lc incoraggia fedeli e comunità vittime di soprusi, con una catechesi narrativa che mette in evidenza come giungere alla disposizione più efficace, in grado d’intaccare i ricatti dell’allontanamento sociale.
Di fatto, una sorta di emarginazione (subdola più che violenta) imposta dalle autorità religiose e politiche, da tutte le cricche al potere.
Se il nostro sguardo è oscurato da convenzioni, il “silenzio di Dio” di fronte agli abusi e al dominio dei prepotenti pone quesiti e fa avanzare riserve di fede.
[Oggi anche per il tipo di Chiesa nostalgica di Costantino, o viceversa à la page; del cinismo successivo o di sovrapposizioni disincarnate, e di tante nebbie - non delle catacombe].
Certo la preghiera non forza il Padre a obbedirci, ma la nostra insistenza è segno d’un rapporto vivo, non formale.
Ciò anche quando può capitare di coglierci sfiniti e (pur restando in superficie) di non considerare il Creatore del tutto innocente di fronte al male e al degrado.
Ma tale impostazione ci farebbe perdere la rotta del Re che si rivela dentro… celandosi nei solchi degli eventi, e affiorando nei cuori.
Nella parabola, il giudice irresponsabile non è il Padre!
L’ingiusto “giurista” - uomo di potere - è un’icona che drammatizza la condizione in cui si vengono a trovare i discepoli, privati del Maestro.
I testimoni autentici si ritrovano in un mondo di astuti, impregnato d’ideologia e pratica dell’avere, potere, apparire. Configurazioni che soffocano ogni anelito di vita genuina.
Ecco la «vedova»: la comunità dei nuovi ‘Anawim, poveri di Yahweh [nei Vangeli «ptōchôis»] ossia indifesi, esposti a soprusi, privi di appoggi mondani - che hanno quale unica speranza il Signore.
Malgrado la condizione malferma, le masse pur private di energia non desiderano il conformismo. Non permangono nell’adattarsi alle astuzie - smarrendo se stesse - senza un Fuoco, un’onda vitale; senza dentro un compagno di viaggio da percepire, accogliere, ascoltare.
Esse ragionano e agiscono a partire dal nocciolo nascosto dell’essere e dell’evolvere. Non restano alla scorza delle situazioni. Desiderano rinascere.
Colgono i segni del nuovo Regno che spunta - di un’umanità alternativa - e li bramano, così la loro partita non è tutta a portata di mano.
Allorché dovessero smarrire il nucleo, il senso, dovrebbero tornare a imparare a vedere in ogni cosa una chiamata, un infinito, un fuori del tempo.
E un modo di guardare se stessi differente da quello del senso comune. Anche noi: come se tutti fossimo sdraiati sull’energia fondante del nostro Sogno - unico, personale, integrale - che ci appartiene davvero.
Dice Lc: unico mezzo per ritrovarsi e non perdere la partita della propria identità caratteriale di figli e testimoni critici è la Preghiera.
Non si tratta della cantilena devota, prevedibile, che ci metterebbe a dormire (vv.3.7). Neppure intesa come dovere di religione: prestazione, formula, obbligo snervante; riconoscimento dell’onore dovuto al Padrone, o ripiegamento.
Si evince dal tono della narrazione: il tu-per-tu dei figli non è una valanga di emozioni pie, piuttosto un’azione in avanti.
Una sorta di balzo che diventa magnetico e infine s’impadronisce con forza del suo desiderio profondo.
Un’appropriazione indebita, ma corroborata; non già allestita, o per nostri meriti, bensì attraverso quelli di Cristo - per l’intuizione tenace che infonde.
Come diceva s. Bernardo: «Quanto mi manca lo usurpo dal costato di Cristo»!
Ricordo il racconto di un grande parroco romano ordinato sacerdote da Paolo VI che mi confidava di aver partecipato a un blitz proprio negli spazi del Seminario che ben conosco. Al termine della celebrazione di una Eucaristia (!) con ospiti di rilievo, gli allievi in rivolta contro i prelati e professori tradizionalisti del Laterano - per niente intimiditi dal rango dei sequestrati - li chiusero a chiave in sagrestia, per costringere i diversi bei nomi presenti a cedere alle loro richieste di libertà [di letture e altro]. Vinsero la partita con sfrontatezza, senza tanti complimenti - e alcuni dei professoroni presenti cambiarono linea seduta stante (cf. v.8). Oggi quegli ex seminaristi sono punti di riferimento della capitale, tutti in posizione di avanguardia pastorale, gente decisa a seguire la propria Chiamata. Vere facce toste, che non si rassegnano. Impertinenti, che però impongono gli sviluppi appropriati, per tutti. Essi sanno: perdere di vista la propria missione significherebbe smarrire il senso della vita, non saper più stare con se stessi, con gli altri e la realtà; infine, ammalarsi, perché si sceglierebbe altrimenti di vivere in palude, obbligatoriamente assopiti.
La Preghiera cristiana ha il medesimo passo della Fede, non solo pacificamente dialogante - e in tali tratti nodali può essere descritta mediante le sue stesse poliedriche sfaccettature.
Quindi non ci pianta sul posto: diventa una Fonte che induce azioni temerarie, sfacciate e inopportune; totalmente fuori luogo.
Perché? In certi momenti le cose cambiano. Nel “mondo”, solo per calcolo - ma detto questo, anche i più banali interessi muovono qualcosa (vv.4-5).
Vi sono aspetti del nostro rapporto con Dio caratterizzati da tratti di assenso.
Ma la parte colorata dell’orazione giunge quando si entra in clima sponsale - di ascolto, intuizione; anche di lotta e litigio personale.
Tali momenti veri, sfociano in una sorta di lettura del peso della propria vicenda, del genio del tempo, degli appigli per un’attualizzazione.
Visione e “polso” che ci porta fuori dalla mediocrità. Dinamica di Esodo avvalorata da sensibilità e inclinazioni irripetibili.
Insomma, non siamo qualunquisti, né buonisti, bensì noi stessi: prendere o lasciare.
Quand’anche nella preghiera non scattasse una pia disposizione ma una rabbia, quell’accanirsi ci s’incarnerà fra le mani.
Quella stessa “ira” diverrà energia per costruire il presente profetico - e anticipare criticamente il futuro - senza però «incattivire» [v.1 testo greco].
Insomma, l’orazione è un gesto concreto: pone appunto in contatto con una Visione che dona indicazioni.
La Preghiera viva ci accosta al mondo, attraverso lo sguardo interiore: nella percezione di un’Immagine innata che è il nostro specchio terso e Vocazione a tutti i costi.
Qui sorge una sorta di energia primordiale, che si riaffaccia; per curare e dirigere situazioni.
Non solo essa è il grande strumento per non perdere la testa, e un mezzo per non scoraggiare.
Piuttosto del ripiego, ecco un’azione pungente e seccante, che recupera tutto l’essere disperso in mille vicende di ricerca, con effetto attrattivo, positivamente edificante - calamita.
Il nido dinamico, poco rassicurante, dell’orazione, ci riporta al Nucleo dell’essenza, al Sé eminente; nel regno della Chiamata per Nome.
Si fa Lettura e Intuizione che incontra gli stati profondi.
È in tale spostamento di sguardo e Visione che attualizziamo il futuro.
In tal guisa, la preghiera stessa ci guida alla realizzazione del nostro essere individuale e ministeriale-ecclesiale [o para-ecclesiale].
Essa infatti crea: pone d’improvviso [v.8 testo greco] le condizioni calzanti, i momenti acuti della svolta - perché vive Altrove, e nella base dell’anima.
Scorge Dio nella storia, perciò attiva le energie del divenire: trascina la realtà, l’attira.
Sancisce e attualizza ciò che viene; interroga e smuove l’istituzione che tende a inaridire.
Col suo Timone, anche fra troppe nebbie solca i marosi delle tossine invecchianti, sorvola le angherie, dischioda il mondo e tutta la nostra vita.
«Questo dono, infatti, è assai grande, mentre noi siamo tanto piccoli e limitati per accoglierlo… Il dono è davvero grande, tanto che né occhio mai vide, perché non è colore; né orecchio mai udì, perché non è suono; né mai è entrato in cuore d'uomo (Cfr 1Cor 2,9), perché è là che il cuore dell'uomo deve entrare. Lo riceveremo con tanta maggiore capacità, quanto più salda sarà la nostra fede, più ferma la nostra speranza, più ardente il nostro desiderio. Noi dunque preghiamo sempre in questa stessa fede, speranza e carità, con desiderio ininterrotto. Ma in certe ore ed in determinate circostanze, ci rivolgiamo a Dio anche con le parole, perché, mediante questi segni, possiamo stimolare noi stessi ed insieme renderci conto di quanto abbiamo progredito nelle sante aspirazioni, spronandoci con maggiore ardore ad intensificarle. Quanto più vivo, infatti, sarà il desiderio, tanto più ricco sarà l'effetto. E perciò, che altro vogliono dire le parole dell'Apostolo: “Pregate incessantemente” (1Ts 5,17) se non questo: Desiderate, senza stancarvi, da colui che solo può concederla, quella vita beata, che niente varrebbe se non fosse eterna?».
S. Agostino, «Lettera a Proba»
Preghiera Continua: condizione di grazia e di forza, che non svia.
Venir meno senza venir meno: lotta incessante con noi stessi e con Dio
(Mt 7,7-12)
A volte mettiamo il Padre sul banco degli imputati, perché sembra lasciar andare le cose come le orienta la nostra libertà.
Ma il suo Disegno non è far funzionare il mondo alla perfezione dei transistor (di una volta) o dei circuiti integrati (nei rispettivi “package”) o “chip” [vari “pezzetti”]…
Dio vuol farci acquisire una mentalità da Nuova Creazione. La sua Azione ci modella sul Figlio, trasformando progetti, idee, desideri, parole, comportamenti standard.
All’inizio forse la preghiera può sembrare venata di sole richieste. Più si procede nell’esperienza dell’orazione nello Spirito del Cristo, meno si chiede.
Le domande si attenuano, sino a cessare quasi del tutto.
I desideri di accumulo, o rivalsa e trionfo, lasciano il posto all’ascolto e alla percezione.
L’occhio che penetra si accorge di quanto è a portata di mano e dell’inusitato - nell’accoglienza sempre più cosciente, che si fa contemplazione e unione reali.
Non sappiamo quanto tempo, ma il “risultato” subentra improvviso: non solo certo, bensì sproporzionato.
Ma come estratto da un processo d’incandescenza continua, dove non esistono reti logiche, né facili scorciatoie.
Riceviamo il Dono massimo e completo. E possiamo ospitarlo con dignità. Una nuova Creazione nello Spirito, un diverso aspetto.
Un Volto insperato - non semplicemente quello fantasticato o ben sistemato (come trasmesso dalla famiglia o atteso a contorno).
Dio lascia che gli eventi seguano un loro corso, apparentemente distante da noi; quindi la preghiera può assumere toni drammatici e suscitare l’irritazione - come fosse una disputa aperta fra noi e Lui.
Ma Egli sceglie di non farsi garante dei nostri sogni esterni. Non si lascia introdurre nei limiti piccini.
Vuole coinvolgerci in ben altro che le nostre mète, di frequente troppo conformi a quello che abbiamo sotto il naso.
Inventa orizzonti dilatati, ma in questo travaglio dev’essere chiaro che non bisogna venir meno a noi stessi. Ossia al carattere della nostra essenza e vocazione.
Tutto ciò, proprio venendo meno a noi stessi - ossia cedendo il punto di vista rigido e dialogando coi nostri strati profondi.
Tale processo sposta l’accento condizionato.
Non è che Dio si compiace di farsi senza posa pregare e ripiegare dai poveretti.
Siamo noi ad aver bisogno di tempo per incontrare la nostra stessa anima e lasciarci introdurre in un altro genere di programmi che non siano conformisti e scontati.
Leggere gli accadimenti secondo visioni totalmente “inadeguate”, eccentriche o eccessive, meno contratte dentro le solite armature (e così via) può aprire la mente.
L’espansione dello sguardo accresce l’intuizione, modifica i sentimenti, trasforma, attiva. Coglie altri disegni, spalanca differenti orizzonti - con risultati intermedi già prodigiosi, sicuramente imprevedibili.
Quando qualcuno crede di aver capito il mondo, già si condiziona auspici ulteriori, più intensi, che vorrebbero invadere il nostro spazio.
Questa “natura” artificiale di assetti spuri, esterni o altrui, blocca l’itinerario che va verso la natura del carattere, la vera chiamata e missione personale.
La preghiera dev’essere insistente, perché è come una visuale posata su di sé; non come avevamo pensato: autenticamente.
L’occhio interiore serve a fare una sorta di spazio sgombro e individuale dentro, che apre alla nostra e altrui Presenza, tutta da guardare (nel modo che conta).
Sarà il più sapiente, forte e affidabile compagno di viaggio… che porta la nostra identità-carattere e non tira altrove l’io essenziale della persona.
Lo svuotamento consapevole dalle cianfrusaglie accatastate (da noi stessi o altri) dev’essere colmato nel tempo mediante una intensità di Relazione.
Ecco il dialogo-Ascolto interpersonale con la Fonte dell’essere.
In essa è annidato il nostro Seme particolare: lì è come seduta e in fieri la differenza di volto che ci appartiene.
Sarà la profondità radicale del rapporto con la nostra Radice - forse smarrita in troppe aspettative regolarissime, anche elevate o funzionanti - che conferisce un’altra Via, più convincente.
E farà scoprire la tendenza e destinazione unica che ci appartiene, per la Felicità che non pensavamo.
Obbiettivi, propositi, discipline, memorie del passato, sogni di futuro, ricerche dei punti di riferimento, valutazioni abitudinarie di possibilità, cumuli di merito... talora sono zavorre.
Essi distraggono dalla terra dell’anima, dove il nostro grano vorrebbe attecchire per divenire ciò che è in cuore.
E dal Nocciolo far comprendere la proposta di Missione ricevuta - non conquistata, né posseduta - affinché conceda un’altra caratura prodigiosa (non: visibilità).
Spesso il sistema mentale e affettivo si riconosce in un album di pensieri, definizioni, gesti, forme, problemi, titoli, mansioni, personaggi, ruoli e cose già morte.
Tale morfologia d’interdizione smarrisce il presente autentico, dove viceversa attecchisce il Sogno divino che completa - realizzandoci nella specificità.
Allora, ecco la terapia dell’assoluto presentimento nell’Ascolto - della non pianificazione; a partire da ciascuno.
Ciò nella lacuna consapevole di quella parte di noi che cerca sicurezze, approvazioni, e asseconda banalità.
Attraverso il dialogo incessante col Padre nell’orazione, facciamo spazio alle radici dell’Essere, che (nel frattempo) ci sta già colmando di visuali e occasioni per una sorte differente.
Riattivando la carica esplorativa soffocata negli ingranaggi, creiamo la giusta intercapedine e ripartiamo nell’Esodo.
Accontentarsi, fermarsi, installarsi in un punto, tramuterebbe le conquiste anche qualitative in una terra di nuove schiavitù.
Obbligherebbe a recitare e ripercorrere tappe ormai acquisite - che viceversa siamo per vocazione richiamati a valicare.
Esodo… all’interno di una Relazione sorgiva, cosmica e identificativa, singolarmente fondante.
Grazie all’Ascolto protratto nella preghiera, noi figli acquisiamo il sapere dell’anima e del Mistero.
Dimoriamo a lungo nella Casa della nostra essenza molto speciale.
Così la piantiamo - o radichiamo ancor più a fondo - per capirla e recuperarla completamente, nitida e colma.
Ormai affrancata dal destino tracciato in ambiente di ristrettezze, già segnato ma privo di sogni.
Quando saremo pronti, l’Unicità scenderà in campo con una nuova soluzione, anche stravagante.
Essa partorirà ciò che siamo davvero, al meglio - dentro quel caos che risolve i veri problemi. E di onda in onda balzerà a Traguardo.
Via le definizioni e aspirazioni da nomenclatura, in una sorta di venir meno di noi stessi - in uno stato “scarico” ma colmo di energie potenziali - daremo spazio al nuovo Germe che la sa più lunga di tutti.
Già qui e ora la nostra Pianta caratteristica e inconfondibile vuole sfiorare la condizione divina.
La preghiera continua (ascolto e percezione incessanti) scava e smaltisce in questo spazio il volume dei banali pensieri ridondanti.
In tale interstizio e “vuoto” si spalancano opportunità. Si crea la pulizia interiore affinché giunga il Dono - non di seconda mano.
Vogliamo una decisiva conversione? Desideriamo il richiamo alla totalità dell’esistenza umanizzante, senza limitazioni e nella nostra unicità?
[Allora l’azione divina può raggiungere chiunque? Attecchisce in qualsiasi volto? E come si fa a non spezzarla?].
Perché non ora il nuovo inizio? La preghiera e il “nuovo pieno” dello Spirito diventano per noi - figli in fase di crescita - il latte dell’anima.