Lc 9,51-56 (51-62)
Gesù intende operare un bel graffio controcorrente - e per farlo deve battersi: non gli bastava fare carriera “pettinando” le pecore.
Comprende che sono i tornanti e le crisi senza stabilità che producono il Risultato di Dio - quando scende in campo la tenacia della Fede.
Il giovane Rabbi lascia la sua regione per confrontarsi severamente e senza compromessi con la realtà consolidata della città santa - eterno intreccio d’interessi.
Sarà una lotta all’ultimo sangue, perché la posta in gioco è la felicità della gente.
Indurisce il volto senza buonismi [v.51 cf. testo greco] e va, ben sapendo quale crudele impegno si accollava.
Nessuno con la “testa sulle spalle” avrebbe avuto il fegato di esporsi a quel mortale pericolo.
L’opposizione del potere religioso e culturale che vuole perpetuare il mondo antico è feroce, ma il Figlio di Dio non si lascia schiacciare dal modo di concepire dominante e corrivo, né dalle prudenze.
Il clima con cui inizia il suo Esodo è già pesante, ma non desiste.
Ciò significa che anche noi dobbiamo amare i nostri lati spigolosi e irremovibili. Essi scenderanno in campo a momento opportuno, quando sarà necessario de-cidere.
Nella franchezza, non ci mancherà occasione di fare tagli seri - ad es. col malcostume “bancario” (o qualunquista) coperto di ostentazioni; con le buone maniere della devozione ufficiale [organiche a perpetuarne il sistema ambiguo], così via.
Il Signore ancora manda messaggeri [Angeli] «davanti al suo volto» (v.52). Non rinuncia a diffondere l’onda vitale della sua proposta.
Divino Volto, eccolo in parte ostile; più che risoluto, per uno scontro con quell’istituzione che degradava l'umanità.
Infatti Egli valutava le relazioni spirituali “stabili” del suo tempo assai ambigue: esse accendevano i conflitti interiori - sebbene (come oggi) spegnessero quelli esterni, smussandoli (solo per un po’).
Nella Persona del Cristo, Apostolo è chi tira la situazione in direzione opposta a quella consuetudinaria o fascinosa, disincarnata, sofisticata; comunque esterna.
Creando lo scompiglio che risolve i veri problemi, il Maestro in primis si distacca dal qualunquismo.
Non perché il conflitto si potrà poi “ricondurre”, “gestire”, “aggiustare” - con un diverso vincitore (vv.54-55).
Dio non ha bisogno di riaffermarsi, neppure attraverso un leader che faccia sfumare lo stile del vecchio Tempio, sostituendo un metodo di governo con un altro - più o meno purificato e convincente.
Gesù non si presenta al mondo e al cuore di ciascuno come semplice Profeta.
Non vuole rabberciare il ritorno al culto, né la pratica dell’antica religione. Neppure intende tenersi a distanza di sicurezza, lanciando narrazioni a effetto, ammodernate, futuribili, “à la page”.
Sa che solo a viso aperto, proprio i bisticci che esplodono serviranno a diradare le nebbie: accendere le anime, generare differenti sentieri (v.56).
Quindi - anche d’improvviso - si creerà la possibilità di mettere insieme forze nuove, risorse inedite, e - perché no - perfino consapevolezze antiche.
Insomma, le mistiche soporifere, da ignavia non militante (distaccate dal perdere e perdersi che ci rigenera) sono false.
Non corrispondono ai Vangeli e non preparano la Venuta del Signore, ossia altri territori da esplorare.
Chi continua a venerare sicurezze, punti di riferimento o nuovi manierismi [in sé pur plausibili (vv.57-62)] non fa che gestire un mondo di morti.
Chi accoglie Cristo deve aprirsi a una Novità che non sa, interna ed esterna; in grado di far emergere aspetti cui ancora non si è dato spazio.
Passando, Gesù viene rifiutato (v.53) proprio perché falsamente annunciato dai suoi. Ancora intimi senza respiro.
Il nuovo Maestro ha una Visione pratica che non riflette uno qualsiasi dei culti arcaici, ma li soppianta.
In tal guisa, Egli sconvolge tutta una impostazione falsamente identitaria: commemorativa e nostalgica, o senza spina dorsale.
È l’unico episodio di Lc in cui i samaritani (sinonimo di «eretici») dribblano il Figlio di Dio. Un fallimento completo.
Ciò proprio perché i “messaggeri” che aveva inviato a disporre i cuori lo avevano predicato come Messia nazionalista e trionfatore, non servitore.
Inoltre, in Lui c’è qualcosa di radicalmente insolito - che non si può discutere o combattere in modo ordinario, dottrinale, consueto.
Il Maestro non va in qualche cittadella “santa” a sterilizzare o perpetuare l’antica ideologia settaria e intollerante. Ma a rifiutarla.
Egli incenerisce (vv.54-55) e annienta le configurazioni acclamate, non i popoli allontanati dai recinti (venerandi, fondamentalisti, o ipocriti e scapicollo solo fantasiosi).
Il Signore non procede verso il grande Tempio per scansare le ostilità con una sua proposta perbene, che poi avrebbe fatto ingoiare tutto a tutti.
Il giovane Rabbi non ha mai amato quel tipo di elucubrazioni o attendismo e rimpianto di pii desideri e buone intenzioni che fa deperire l’anima (generazione dopo generazione).
Chi arando un terreno si volge indietro non traccia un solco diritto (v.62).
In modo assai deciso il Maestro si mette nei guai per denunciare quel mondo di schiavitù, deviante e ideologico; incapace di sviluppo.
Le nostre alternative al suo atteggiamento spericolato hanno portato ulteriore scollamento tra segni e vita.
Non facciamoci illusione di tappe o domicili intermedi, nidi accalorati e tranquilli (v.58) di pallida consolazione.
La Fede interpella il coraggio, sino alla violenza verso il proprio spontaneo lasciar correre i fastidi e le cose grandi, che tormenterebbero l’irenismo sociale [del posto fisso] con disagi e appelli contromano.
Seccature che però sorprendono e guidano la vita Altrove.
Sollecitazioni per l’Esodo; un nuovo inizio colmo di Desiderio; un differente sapere interno che accende l’esterno; una tolleranza nella diversità vitale dei caratteri.
Invece del solletico di besciamelle, maritozzi con panna, morbide caramelle e manufatti di pasticceria zucchero-e-miele, tutti piacevoli, Dio agisce attraverso convulsioni.
Il Padre si serve di vie traverse, che s’intersecano e sovrappongono. Per una Genesi di Felicità a tutti i costi, anche a muso duro.
Lasciando uscir fuori il nostro carattere grintoso - non solo nei casi estremi - il Timoniere dell’anima, l’Amico irriducibile, potrà guidare la rotta personale e il viaggio di tutti.
Favorendo il raggiungimento di obbiettivi caparbi e liberanti.
Per quanto si possa venire condizionati da aspettative circostanti, prima o poi ci si rende conto che il proprio cuore batte altrove, rispetto alle convenzioni.
Non vuole più sottostare; inizia a deviare dall’idea trasmessa d’integrità o cinismo sociale (ed ecclesiale) - che fa rima col perbenismo locale.
Questo capita ad es. anche ai preti, quando si accorgono di essere entrati in un ingranaggio che sacralizza le abitudini e non le fa crescere. O quando avvertono di essere divenuti il perno di pratiche effimere, e ansiogene, invece che liberanti.
Impiegato stagnante e non pastore, situazionalista opportuno e silente invece che missionario; corifeo d’una situazione ereditata col compito di tenere buono il campanile…
In provincia, collocato anche in trincea, ma solo per fare da filtro - a tutela di seccature e affari “centrali”, rispetto a esigenze o pressioni di periferia.
Coglie allora che sta smarrendo se stesso, la propria identità di carattere - il motivo per cui è al mondo.
Malgrado le sicurezze materiali, in coscienza sente giungere angosce e frustrazioni (crisi del “personaggio” a modo: segno inequivocabile che non è quella la strada).
Il tedio o l’avversione si affacciano nel suo cuore affinché riazzeri gli stessi malesseri, e si affidi a una solidità ben differente dall’eredità; dallo stallo e retorica delle forze in campo.
C’è un modo diverso di sentirsi vicino alle persone, come Gesù: essere se stessi, affinché anche gli altri siano; avviando tutti su sentieri di libertà interiore.
Libertà che sostiene l’essenza particolare, facendo argine alle modalità costituite, e alla realtà pressante - solo da confermare, anzi benedire (al massimo, riconfezionare).
La Comunione sarà qui una convivialità delle differenze, resa autentica da forze innate.
È lo spazio concesso al Mistero che ci rende indipendenti e fraterni - perché ora deriviamo la nostra attrazione dalla Fonte comune, nascosta ma abbondante.
E quanto avviene ci muove, ma non opprime più, né distrugge la Visione vivente dinanzi agli occhi di ciascuno.
L’obbedienza dell’anima sposa non manca, però diventa relazione immediata col Signore che chiama e guida alla vita piena. Aiutando a riconoscere ciò che istintivamente corrisponde, e distinguendo ciò che non è importante e va lasciato cadere.
Lo sguardo interiore e il Cristo dentro sosterrà, affinché diventiamo autonomi ed elaboriamo un cielo nuovo - i cui lineamenti abbiamo percepito sin dall’inizio. Essi che ci hanno portato a non agire per conservare il mondo antico.
La nostra Eco innata costituirà un tale Richiamo da assumere un potere decisivo su calcoli, timori, angherie, amarezze, persecuzioni.
Il risultato sarà felicemente educativo, anche in favore degli avversari, i quali inizieranno almeno a presumere il senso del nostro andare nel mondo.
A mani aperte - non piene.
«Guai a voi, pettinatori di pecore» - direbbe il Pontefice, che volentieri ha aggiunto nei confronti di alcuni responsabili: «Siate padri, non padroni, né prìncipi». E neppure «amministratori di cordate»!
Calcolo e buonsenso porterebbero verso la direzione più sicura e sperimentata, ma il Fuoco vocazionale dentro incessantemente potrà recuperare le istanze del Nucleo ideale.
Troppo disordine? Come ha ribadito Papa Francesco: «per lo Spirito, il disordine è un bel segno».
L’anima lacerata, che non si riconosce più, se troppo mortificata da banalità accomodanti e mezze scelte, poi ci attacca. Ed essa stessa estremizza le sofferenze.
Lo squilibrio che ne consegue è indizio del riemergere inconscio della voglia di recuperare l’autentica Chiamata; opposta al quietismo programmato.
In tale palude di sommarietà ci siamo forse lasciati trascinare per convenienza - e quest’ultima ci ha spostati da noi stessi, nonché dallo stupore della nostra Opera personale.
La somiglianza a moduli e costumi - anche di banale miglioramento concordato - diventa la prigione del disegno Creatore. Egli voleva condurci verso Lui, in noi stessi.
Viceversa, il ruolo ci ha addomesticati secondo matrici da assorbire acriticamente, sino a far ammalare la nostra essenza.
Lo sgomento allora è un allarme: siamo entrati nel “ruolo”. Il batticuore ci provoca; l’affanno viene per riaverci; il panico attacca affinché destiamo.
L’anima vuole così realizzare il nostro Sogno sopito e soffocato. Desiderio che ci cambierebbe la vita.
Esso in noi pretende che scardiniamo le porte serrate della “mansione” - la quale preclude l’unica Felicità: sentirsi stabiliti nel proprio Centro.
Ogni schema (acquisito o alla moda) infastidisce i mondi da scoprire, deforma l’immagine della nostra destinazione; violenta il viaggio verso la dimora ch’è nostra, per farla diventare “uguale”, quindi fittizia.
Allora un carattere squilibrato, introverso, irascibile e pauroso incontra forse meglio di altri i sogni che non sapeva, le immagini-guida che nascondono un compito altrove configurato, e il meglio di sé, del Mistero stesso.
Risanare, “mettere le cose a posto” e “ottimizzare” sono i tipici luoghi comuni di un mondo stagnante. Così il non confrontarsi; riparare ed equilibrare.
Bisogna invece Rinascere, non tornare come prima, nella comune resilienza.
L’attenzione deve andare sull’energia che ci partorisce di nuovo, sulla strada sconosciuta che si spalanca e non avevamo pensato.
Nessuno ci rovina, sebbene ne avesse l’intenzione.
Piuttosto, siamo sollecitati a tirar fuori le risorse celate, scoperchiando il mondo ancora nascosto.
Aprendo una storia tutta singolare, che cambierà l’esistenza abitudinaria.
Una mente tranquilla non proietta oltre, perché ama la ripetizione e le finte sicurezze d’un tempo.
L’idea non duale non ci lascia scoprire le forze interiori. L’anima invece vuol dare origine, esprimere la sua potenza creativa.
Le situazioni inaudite e le relazioni impreviste la pongono sotto assedio, ma in uno stato di gestazione - non prima “segnata”.
Chi non abbandona la strada già battuta, chi non se la mette alle spalle (anche cogliendo l’occasione di condizioni avverse come la crisi globale) si costringe in una catena causa-effetto la quale non fa balzi esponenziali.
Se la storia è già stata scritta e la via permane esteriore, le esperienze sono sempre quelle.
La vita non partorisce altre forme; solo riduzioni.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Qual è lo stile della tua testimonianza?
Sei indignato, irascibile e furente, o semplicemente deciso?