Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
3a Domenica di Avvento (anno A) [14 dicembre 2025]
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga! “Rallegratevi sempre nel Signore… il Signore è vicino”. L’annuncio di questa terza domenica di Avvento è l’annuncio della gioia del Natale vicino. L’Avvento ci educa a saper attendere con paziente speranza Gesù che certamente verrà.
*Prima Lettura dal libro del profeta Isaia (35, 1...10)
Questo passo proviene dalla Piccola Apocalisse di Isaia detta “Apocalisse minore”(cc34-35), probabilmente scritta da un autore anonimo, e racconta il gioioso ritorno di Israele dall’esilio a Babilonia. Siamo nel periodo in cui il popolo ha subito il sacco di Gerusalemme e trascorso oltre cinquanta anni lontano dalla propria terra, vivendo umiliazioni e sofferenze che scoraggiano anche i più forti. Isaia, vissuto nel VI secolo a.C. durante l’esilio a Babilonia, rassicura il popolo spaventato: “Ecco il vostro Dio: giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi”. Il risultato sarà la liberazione dei sofferenti: ciechi vedranno, sordi udranno, zoppi salteranno di gioia, muti grideranno di gioia. Il popolo ha patito anni di dominazione, deportazione con umiliazioni e tante prove anche religiose: un tempo che scoraggia e fa temere per il futuro. L’autore usa l’espressione “vendetta di Dio”, che oggi può sorprendere. Ma qui la vendetta non è punizione sugli uomini: è la sconfitta del male che li opprime e la liberazione che Dio dona. Dio interviene personalmente per salvare, riscattare e ridare dignità: i ciechi vedranno, i sordi udranno, i zoppi salteranno e i muti grideranno di gioia. Il ritorno dall’esilio è descritto come una marcia trionfale attraverso il deserto: l’arido paesaggio si trasforma in terra fertile e lussureggiante, bella quanto le montagne del Libano, le colline del Carmelo e la pianura del Sarone, simboli di abbondanza e bellezza nella terra di Israele. Questo percorso indica che anche le prove più dure possono diventare un cammino di gioia e speranza quando Dio interviene. Il deserto, simbolo di difficoltà e prova, si trasforma così in un percorso di gioia e speranza grazie all’intervento di Dio. Il popolo liberato è chiamato “riscattato” e la liberazione è paragonata al “riscatto” della legge ebraica: così come un parente vicino liberava un debito o riscattava uno schiavo, Dio stesso è il nostro “Go’el”, il Parente che libera chi è oppresso o prigioniero del male. In questo senso, la redenzione significa liberazione: fisica, morale e spirituale. Cantare “Alleluia” significa riconoscere che Dio ci conduce dalla servitù alla libertà, trasformando la disperazione in gioia e il deserto in fioritura. Questo testo ci ricorda che Dio non ci abbandona mai: anche nei momenti più difficili, la sua misericordia e il suo amore ci liberano e ci ridanno speranza e mostra come il linguaggio della Bibbia sappia trasformare parole che sembrano minacciose in promesse di salvezza e speranza, ricordandoci che Dio interviene sempre per liberarci e restaurare la nostra dignità.
.Elementi principali +Contesto: esilio babilonese, Israele lontano dalla terra, autore anonimo. +Piccola Apocalisse di Isaia: profezia di speranza e ritorno alla terra promessa. +Vendetta di Dio: sconfitta del male, non punizione sugli uomini. +Liberazione concreta: ciechi, sordi, zoppi, muti e prigionieri riscattati. +Deserto fiorirà: difficoltà trasformate in gioia e bellezza. +Riscatto/Redenzione: Dio come Go’el, liberatore di chi è oppresso. +Alleluia: canto di lode per la liberazione ricevuta. +Messaggio spirituale: Dio interviene per liberarci e ridarci speranza anche nei momenti più duri.
*Salmo responsoriale (145/146, 7-8. 9-10
Questo salmo, un “salmo dell’Alleluia” è un canto pieno di gioia e di riconoscenza, scritto dopo il ritorno del popolo d’Israele dall’esilio di Babilonia, probabilmente per la dedicazione del Tempio ricostruito. Il Tempio era stato distrutto nel 587 a.C. da Nabucodonosor, re di Babilonia. Nel 538 a.C., dopo la conquista di Babilonia da parte del re persiano Ciro, gli Ebrei furono autorizzati a tornare nella loro terra e a ricostruire il Tempio. La ricostruzione non fu facile a causa delle tensioni tra chi rientrava da Babilonia e chi era rimasto in Israele, ma grazie alla forza dei profeti Aggeo e Zaccaria i lavori terminarono nel 515 a.C., sotto il re Dario. La dedicazione del nuovo Tempio fu celebrata con grande gioia (Esdra 6,16). Il salmo riflette questa gioia: Israele riconosce che Dio è rimasto fedele all’Alleanza, come già durante l’Esodo. Dio è colui che libera gli oppressi, scioglie le catene, dà pane agli affamati, dona la vista ai ciechi e rialza i deboli. Questa immagine di Dio, un Dio che prende le parti dei poveri e prova compassione (“misericordia”indica come se le viscere fremessero), non era scontata nell’antichità. È il grande contributo di Israele alla fede dell’umanità: rivelare un Dio di amore e di misericordia. Il salmo lo esprime dicendo che il Signore sostiene la vedova e l’orfano. Il popolo è invitato a imitare Dio nella stessa misericordia, e la Legge d’Israele contiene molte norme a protezione dei deboli (vedove, orfani, stranieri). I profeti giudicavano la fedeltà d’Israele all’Alleanza anche sulla base di questo comportamento. A un livello più profondo, il salmo mostra che Dio non libera solo dalle oppressioni esteriori, ma anche da quelle interiori: la fame spirituale trova il suo cibo nella Parola; le cecità interiori vengono illuminate; le catene dell’odio, dell’orgoglio e della gelosia vengono sciolte. Anche se qui non lo vediamo, in realtà questo salmo è incorniciato dalla parola “Alleluia”, che secondo la tradizione ebraica significa cantare la lode di Dio perché Egli conduce dalla schiavitù alla libertà, dalle tenebre alla luce, dalla tristezza alla gioia. Noi cristiani leggiamo questo salmo alla luce di Gesù Cristo: Egli ha dato il pane ai suoi contemporanei e continua a dare il “pane della vita” nell’Eucaristia; Egli è la luce del mondo (Gv 8,12); nella sua risurrezione ha liberato definitivamente gli uomini dalle catene della morte. Infine, siccome l’uomo è creato a immagine di Dio, ogni volta che soccorre un povero, un malato, un prigioniero, uno straniero, manifesta l’immagine stessa di Dio. E ogni gesto fatto “al più piccolo” contribuisce a far crescere il Regno di Dio. Una catecumena, leggendo il miracolo della moltiplicazione dei pani, chiese: “Perché Gesù non lo fa ancora oggi per tutti gli affamati?” E dopo un attimo rispose: “Forse conta su di noi per farlo.”
Elementi importanti da ricordare +Contesto storico: salmo nato dopo il ritorno dall’esilio e la ricostruzione del Tempio (587–515 a.C.). +Tema centrale: la gioia del popolo per la fedeltà di Dio e la sua liberazione. +Rivelazione di Dio: Dio è misericordioso e difende gli oppressi, i poveri, i deboli. +Impegno del popolo: imitare Dio nelle opere di misericordia verso tutti gli oppressi. +Lettura spirituale: Dio libera dalle catene interiori (odio, orgoglio, cecità spirituale). +Alleluia: simbolo del passaggio dalla schiavitù alla libertà e dalla tristezza alla gioia. +Lettura cristiana: compimento in Cristo, che dà il pane vero, illumina, libera, salva. +Immagine di Dio nell’uomo: ogni gesto di amore verso i più fragili rende visibile l’immagine di Dio. + Responsabilità cristiana: Dio conta anche sul nostro impegno per nutrire, liberare e sostenere i sofferenti.
*Seconda Lettura dalla lettera d san Giacomo apostolo (5,7-10)
La tradizione cristiana conosce tre figure di Giacomo vicine a Gesù: Giacomo il Maggiore, figlio di Zebedeo e fratello di Giovanni, dal carattere impetuoso, presente alla Trasfigurazione e a Getsemani; Giacomo figlio di Alfeo, uno dei Dodici; Giacomo “fratello/cugino” del Signore, guida della Chiesa di Gerusalemme e probabile autore della Lettera di Giacomo. Nel testo emerge un tema fondamentale per i primi cristiani: l’attesa della venuta del Signore. Come Paolo, anche Giacomo guarda sempre all’orizzonte del compimento finale del progetto di Dio. È significativo che proprio all’inizio della predicazione cristiana si desiderasse più ardentemente la fine del mondo, forse perché la Risurrezione aveva dato un assaggio della gloria futura. In questa attesa, Giacomo ripete un invito cruciale: la pazienza, parola che nel greco originale (makrothyméo) significa “avere il fiato lungo, avere un animo lungo”. L’attesa della venuta del Signore è una corsa di resistenza, non uno scatto: la fede deve imparare a durare nel tempo. Quando i primi cristiani si resero conto che la parusía non arrivava subito, l’attesa divenne una vera prova di fedeltà.
Per vivere questa resistenza, Giacomo offre due modelli: il contadino, che conosce il ritmo delle stagioni fiducioso in Dio che manda la pioggia “a suo tempo” (Dt 11,14) e l’altro modello: i profeti, che hanno sopportato ostilità e persecuzioni per rimanere fedeli alla loro missione. Giacomo chiede ai cristiani di avere fiato (costanza/pazienza) e cuore saldo (“Rinfrancate i vostri cuori”). Proprio nel versetto 11 che segue questo testo Giacomo cita anche Giobbe, unico caso nel Nuovo Testamento, come esempio supremo di perseveranza: chi rimane saldo come lui sperimenterà la misericordia del Signore. La pazienza non è solo personale: si vive nelle relazioni comunitarie. Giacomo riprende l’insegnamento di Gesù: non lamentatevi gli uni degli altri, non giudicatevi, non mormorate. “Il Giudice è alle porte”: solo Dio giudica davvero, perché vede il cuore. L’uomo rischia di confondere facilmente grano e zizzania. La lezione è anche per noi: spesso ci manca il respiro della speranza, e allo stesso tempo cediamo alla tentazione di giudicare. Eppure la parola di Gesù sulla pagliuzza e la trave rimane sempre attuale.
Elementi importanti da ricordare: + dei tre Giacomo, è il Maggiore, il figlio di Alfeo, il “fratello” del Signore il probabile autore di questa Lettera che riflette il tema centrale dell’attesa della venuta del Signore. +La pazienza è ripetuta più volte ed è intesa come “fiato lungo”, una corsa di resistenza. +L’attesa cristiana iniziale era molto intensa: si pensava che il ritorno di Cristo fosse imminente. +Due modelli di perseveranza: il contadino (fiducia nel tempo di Dio) e i profeti (coraggio nella missione). + v.11 non in questo testo ma subito dopo giovanni
cita Giobbe come esempio di tenuta: unica citazione nel NT, simbolo di perseveranza nella prova. +Missione comunitaria: non giudicare, non mormorare, non lamentarsi perché Il Giudice è alle porte” E invita a vivere sapendo che solo Dio giudica rettamente. +Pericolo anche oggi è la mancanza di respiro spirituale e rischio di giudicare gli altri.
*Dal Vangelo secondo Matteo (11, 2-11)
Domenica scorsa abbiamo visto Giovanni Battista battezzare lungo il Giordano e annunciare: “Dopo di me viene uno”. Quando Gesù chiese il battesimo, Giovanni riconobbe in lui il Messia atteso, ma i mesi passarono e Giovanni fu messo in prigione da Erode intorno all’anno 28, momento in cui Gesù iniziò la sua predicazione pubblica in Galilea. Gesù iniziò la vita pubblica con discorsi famosi, come il Discorso della Montagna e le Beatitudini, e con molte guarigioni. Tuttavia, il suo comportamento era strano agli occhi della gente: si circondava di discepoli poco “raccomandabili” (pubblicani, persone diverse per origine e carattere); non era un asceta come Giovanni, mangiava e beveva come tutti, e si mostrava tra la gente comune; non rivendicava mai il titolo di Messia, né cercava potere. Dalla prigione, Giovanni riceveva notizie da chi lo teneva informato e iniziò a dubitare: “Sarò stato ingannato? Sei tu il Messia?” Questa domanda è cruciale, perché riguarda sia Giovanni sia Gesù, costretto a confrontarsi con le aspettative di chi lo attendeva. Gesù non risponde con un sì o un no, ma cita le profezie sulle opere del Messia:i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi ascoltano, i morti risuscitano, i poveri ricevono la buona notizia (Isaia 35,5-6; 61,1). Con queste parole, Gesù invita Giovanni a verificare da sé se sta compiendo le opere del Messia, confermando che sì, è il Messia, anche se le sue maniere appaiono strane. Il vero volto di Dio si mostra al servizio dell’uomo, non secondo le aspettative di potere o gloria. Infine, Gesù elogia Giovanni che è beato perché “non trova in me motivo di scandalo”. Giovanni dà un esempio di fede: anche nel dubbio, non perde fiducia e cerca direttamente la verità da Gesù stesso. Gesù conclude spiegando che Giovanni è il più grande dei profeti perché apre la strada al Messia, ma con la venuta di Gesù, anche il più piccolo nel Regno dei cieli è più grande di Giovanni, sottolineando che il contenuto del messaggio di Cristo supera qualsiasi aspettativa umana: “Il Verbo si è fatto carne e ha abitato tra noi”.
Elementi importanti da ricordare +Giovanni Battista annuncia il Messia e battezza lungo il Giordano.+Gesù inizia la vita pubblica dopo l’arresto di Giovanni, in Galilea, con discorsi e miracoli.+Comportamento “strano” di Gesù che frequenta tutti, anche i più emarginati, non rivendica titoli o potere, si nutre e si mostra come la gente comune.+Dubbi di Giovanni: manda i discepoli a chiedere se Gesù è davvero il Messia.+ Risposta di Gesù: cita le opere profetiche del Messia (guarigioni, liberazioni, annuncio ai poveri).+Fede attiva di Giovanni: non resta nel dubbio, chiede chiarimenti direttamente a Gesù. +Gioia e sorpresa: il volto di Dio si rivela al servizio dell’uomo, non secondo le aspettative tradizionali. +Giovanni come precursore: il più grande dei profeti, ma con Gesù il più piccolo nel Regno è più grande. +Messaggio finale: Cristo è il Verbo incarnato, la realizzazione delle promesse di Dio.
*Ecco una citazione di San Gregorio Magno nell’Omelia 6 sui Vangeli, che commenta così l’episodio: “Giovanni non ignora chi sia Gesù: egli lo indica come l’Agnello di Dio. Ma, mandato in prigione, invia i discepoli non per sapere lui, bensì perché essi imparino dal Cristo ciò che egli già sapeva. Giovanni non cerca di istruirsi, ma di istruire. E Cristo non risponde con parole, ma con le opere: fa capire che è Lui il Messia non dicendo di esserlo, ma mostrando le opere annunciate dai profeti.” E aggiunge: “Il Signore proclama beato chi non si scandalizza di Lui, perché in Lui vi è grandezza nascosta sotto umile apparenza: chi non si scandalizza della sua umiltà, riconosce la sua divinità.” Questo commento illumina perfettamente il cuore del Vangelo: Giovanni non dubita per sé, ma per aiutare i suoi discepoli a riconoscere che Gesù è il Messia atteso, anche se si presenta in modo sorprendente e umile.
+Giovanni D’Ercole
Solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria [8 Dicembre]
Testi biblici: Gn3, 9…20 – Ep 1, 3…12 – Lc 1, 26-38 Dio ci benedica e la Vergine ci protegga! Invece di commentare le letture propongo una meditazione teologica e spirituale sulla Immacolata Concezione a partire da San Paolo e facendo riferimento alla tradizione della Chiesa e alla liturgia.
1. San Paolo e Maria: un legame nascosto ma reale Anche se Paolo parla quasi per nulla direttamente della Vergine Maria, il suo insegnamento sull’elezione, santità e predestinazione dei cristiani (Ef 1,4-11) illumina profondamente il mistero di Maria. San Paolo afferma che tutti i battezzati sono eletti, santi e immacolati. Applicando questo a Maria, comprendiamo che ciò che vale per l’intera Chiesa si realizza in lei in modo perfetto e anticipato.
2. Il mistero della Chiesa illumina il mistero di Maria Nella cammino della teologia soprattutto nei primi secoli, si è compreso Maria a partire dalla Chiesa: Maria è ciò che la Chiesa è chiamata a diventare. Ciò che in noi è parziale, in lei è perfetto. È “la prima in cammino”: prima per tempo, prima per perfezione. Maria è la “prima” in due sensi: cronologicamente prima ad accogliere Cristo, prima a condividere la sua Passione, prima ad entrare nella gloria con corpo e anima. Qualitativamente: nessuno ha accolto Cristo con maggiore purezza, amore e libertà. La sua grazia unica non la separa da noi, ma manifesta ciò che Dio vuole realizzare in tutta la Chiesa. L’Immacolata Concezione non è un privilegio isolato, ma la piena realizzazione della vocazione di ogni cristiano: Maria è preservata dal peccato in vista dei meriti di Cristo. Noi siamo salvati dal peccato attraverso i meriti di Cristo (battesimo, sacramenti, conversione). Le traiettorie sono le stesse; in Maria sono solo anticipate e portate a perfezione grazie alla sua totale obbedienza e totale abbandono nella volontà di Dio: Maria non ha fatto la volontà divina ma ha vissuto interamente nella volontà di Dio. E’ qui la chiave della sua vita: tentata come tutti compreso Gesù, ha sconfitto Satana scegliendo di vivere sempre e completamente nella volontà del Padre e per questo è ora segno di sicura speranza per noi tutti
3. Perché Maria è Immacolata? La ragione è profondamente semplice: per essere veramente Madre di Dio. Per amare Gesù per ciò che è realmente — vero Dio e vero uomo — Maria doveva essere totalmente libera dal peccato, totalmente aperta all’amore, capace di accogliere Dio senza ostacoli. L’Immacolata Concezione è un dono d’amore: Dio la forma così per amore del Figlio e per amore nostro, perché Maria diventi Madre del Salvatore e Madre della Chiesa. Scrive san Giovanni Damasceno: “Come Eva ha collaborato alla caduta, Maria ha cooperato alla redenzione: immacolata, ha portato la vita a colui che doveva dare la vita al mondo.” E san Bartolo Longo recentemente canonizzato osserva: “L’Immacolata non è solo un titolo, ma un mistero vivo: Dio l’ha creata tutta pura per farne la Madre del Redentore.”
4. Maria ci precede per indicarci il nostro destino. Maria non schiaccia, non umilia, non allontana: mostra ciò che noi saremo nella gloria; è anticipo di ciò che la Chiesa diventerà; la sua santità è promessa della nostra. In lei vediamo la meta della vita cristiana. Maria riceve l’annuncio dell’angelo liberamente e Il suo “fiat” apre la porta alla salvezza. Oggi anche la Chiesa, come Maria, è chiamata ad annunciare Cristo, a portare il suo amore nel mondo, a dire il proprio “sì” nella storia. Dio ha bisogno delle nostre mani, dei nostri occhi, delle nostre abbra, del nostro cuore: come Maria, siamo chiamati a essere portatori di luce e lo possiamo essere nella misura in cui in noi vive la volontà di Dio come protagonista di tutta la nostra esistenza.
5. Che significa essere “immacolati” oggi? Per noi non significa essere senza peccato, ma accogliere l’azione di Dio nella nostra vita. Significa vivere aperti alla grazia, dire il nostro “sì” quotidiano, lasciarci purificare e trasformare dallo Spirito, diventare trasparenti per mostrare Cristo nel mondo. L’Immacolata Concezione diventa così una vocazione e un cammino. “La verità sull’Immacolata Concezione mi sembrava la più difficile da accettare … quando finalmente l’ho accolta, tutto si è chiarito: la mia fede ha trovato senso.” (testimonianza riportata sul sito CatholicConvert.com nel racconto di Delores, una donna che narra la sua conversione al cattolicesimo).
Elementi importanti da ricordare: +Maria è compresa a partire dalla Chiesa: ciò che è vero per tutti i battezzati è perfetto in lei. +Immacolata perché Madre di Dio: per amare pienamente il Figlio, doveva essere totalmente libera dal peccato +“Prima in cammino”: prima nel tempo e nella qualità dell’amore e della santità.+La sua grazia è promessa per noi: ciò che lei vive già, la Chiesa e i cristiani lo vivranno appieno nella gloria. +Predestinazione condivisa: Maria è preservata dal peccato; noi siamo salvati dal peccato. +Il “fiat” di Maria come modello: Dio chiama, ma attende la nostra libertà; il sì apre la via alla missione. +Essere immacolati oggi: significa accogliere Dio, lasciarsi purificare, diventare trasparenza della sua luce. +Maria non toglie nulla a Dio: è “eco di Dio”; venerarla significa onorare l’opera di Dio in lei. +Maria indica il nostro destino: in lei vediamo ciò che Dio vuole realizzare in ognuno di noi. +L’Immacolata è un dono d’amore: di Dio a Maria e di Maria al mondo.
*Ecco una brevissima sintesi storica dei principali difensori medievali dell’Immacolata Concezione: Sant’Alberto Magno (1200‑1280) – Teologo domenicano; aperto all’idea della preservazione di Maria dal peccato originale, ma senza definirla definitivamente. San Tommaso d’Aquino (1225‑1274) – Teologo domenicano; sosteneva che Maria fosse redenta «dopo il peccato originale», quindi non immacolata fin dal concepimento. Duns Scoto (1266‑1308) – Teologo francescano; difensore principale dell’Immacolata Concezione. Maria fu preservata dal peccato originale fin dal primo istante, grazie ai meriti di Cristo anticipati da Dio. Guglielmo di Ockham (1287‑1347) – Francescano; sostenitore della posizione di Scoto, pur con alcune sfumature filosofiche. L’idea centrale di Scoto: Maria immacolata fin dal concepimento, preservata dalla grazia di Dio grazie ai meriti futuri di Cristo, anticipando il dogma ufficiale definito nel 1854.
+ Giovanni D’Ercole
L’autorevolezza di Gesù e nostra
(Mt 21,23-27)
«Con quale autorità fai queste cose? E chi ti ha dato questa autorità?» (Mt 21,23).
Nell’ambiente tradizionale giudaizzante delle prime comunità rimbalzavano domande circa l’autorevolezza di Cristo nel porre sotto assedio il sistema religioso ordinario, e il suo distinguersi perfino da profeti riconosciuti come il Battista.
Unica risposta: la potenza di Dio che si esprimeva nel segno dei tempi - fermentando le coscienze.
La missione di Gesù non è stata regolare: sconcertava l’atmosfera, quindi la sua Parola viva e tagliente andava circoscritta a ogni costo.
Un comportamento così audace sarebbe sembrato irriverente, perfino se adottato dal Messia atteso in persona.
E un senza-terra non poteva che essere un suo falso pretendente...
I leaders religiosi che il Signore fronteggiava - radicati in schemi di pensiero e strategie consolidate - si accontentavano sempre di adattare il Cielo entro canovacci chiusi.
Mt tenta di aiutare le sue comunità di Galilea e Siria: dovevano continuare impavide, e non lasciarsi sedurre da pratiche religiose ufficiali, né inquinare dall’ideologia imperiale.
L’evangelista sembra anche suggerire ai fedeli in Cristo di evitare diatribe puntigliose, con i rappresentanti di un mondo solo in apparenza stabile - viceversa destinato a implodere sulle proprie contraddizioni.
Dopo la cacciata dei venditori e usurai-profanatori dal Tempio (Mt 21,12ss), la sorte di Gesù è segnata.
Ma attraverso i suoi intimi, il nuovo Regno - slegato - si deve proporre nello spirito di disinteresse, e come Sorpresa.
Solo il Padre può aver gestione di seme, radici e sviluppo.
Nessun uomo può dare “autorizzazione” a una qualsiasi persona di poter essere riflessiva e disciolta.
C’è un percorso imprevedibile anche per chi è abituato a sentirsi dirigere in ogni vicenda. Mentre le garanzie ingombrano le menti e intasano le vie che poi sfociano in esperienze di frontiera.
In tal guisa, palesiamo indipendenza e libertà perché Gesù stesso l’ha dimostrate, sorvolando qualsiasi aspettativa e proposito.
Prima o poi i capi sarebbero rimasti costernati da chi non sopporta le ratifiche, riconoscendo infine la loro ignoranza.
Si sarebbero incagliati definitivamente, da soli - persino a motivo della volontà di non esporsi (vv.25-27a). Perplessità tattica, che rivela incredulità - tiepidezza - mancanza totale di Fede.
Insomma, il ‘silenzio’ di quanti gradiscono una Chiesa più attenta e meno esteriore è spesso l’eco giusto di Dio, più eloquente di tante brillanti disquisizioni (v.27b).
Così Gesù evita l’ambiguità della restrizione mentale o della semantica evasiva: in Lui la non-risposta ai dirigenti si trasforma in domanda.
Il Signore resta silente, ma senza sviare il quesito.
[Lunedì 3.a sett. Avvento, 15 dicembre 2025]
L’autorevolezza di Gesù e nostra
(Mt 21,23-27)
«Con quale autorità fai queste cose? E chi ti ha dato questa autorità?» (Mt 21,23).
Nell’ambiente tradizionale giudaizzante delle prime comunità rimbalzavano domande circa l’autorevolezza di Cristo nel porre sotto assedio il sistema religioso ordinario, e il suo distinguersi perfino da profeti riconosciuti come il Battista.
Unica risposta: la potenza di Dio che si esprimeva nel segno dei tempi - fermentando le coscienze.
La missione di Gesù non è stata regolare: sconcertava l’atmosfera, quindi la sua Parola viva e tagliente andava circoscritta a ogni costo.
Un comportamento così audace sarebbe sembrato irriverente nei confronti delle autorità, perfino se adottato dal Messia atteso in persona. E un senza-terra non poteva che essere un suo falso pretendente...
I leaders religiosi che il Signore fronteggiava - radicati in schemi di pensiero e strategie consolidate, pure di moneta - si accontentavano sempre di adattare il Cielo entro canovacci chiusi.
Anche i fedeli delle comunità di Mt sembravano sotto la tutela d’interessi, strade, parole e gesti imposti dal clima dispotico.
Negli anni 70-80 i giudei convertiti al Signore erano perseguitati, perché resistevano ai costumi e alle pressioni delle guide religiose costituite e al sistema di potere.
Alcuni avevano già sconsideratamente tentato la strada diplomatica, provando a conciliare Fede e Impero.
Come diceva Paolo, ormai tristemente consapevole della sconfitta della sua teologia: «Quelli che vogliono fare bella figura nella carne, vi costringono a farvi circoncidere, solo per non essere perseguitati a causa della croce di Cristo».
Mt tenta di aiutare le sue comunità di Galilea e Siria: dovevano continuare impavide, e non lasciarsi sedurre da pratiche religiose ufficiali, né inquinare dall’ideologia corriva, dei vari Cesari.
L’evangelista sembra anche suggerire ai fedeli in Cristo di evitare diatribe puntigliose, con i rappresentanti di un mondo solo in apparenza stabile - viceversa destinato a implodere sulle proprie contraddizioni.
Scrive il Tao Tê Ching (v): «Parlar molto e scrutar razionalmente, val meno che mantenersi vuoto». E il maestro Wang Pi commenta: «Chi non parla e non fa ragionamenti sicuramente scruta la ragione delle cose».
Dopo la cacciata dei venditori e usurai-profanatori dal Tempio (Mt 21,12ss), la sorte di Gesù è segnata.
Non si tocca il vero dio delle antiche alture: il sacchetto dei “maestri” e il tesoro dei sacerdoti implicati.
I massimi responsabili degli affari in nero del recinto sacro apparivano credenti e leali, ma solo se scrutati dal di fuori.
Il loro occhio interiore e la loro attività ben celata sotto i mantelli e dietro le quinte si posava su tutt’altro che i beni spirituali.
Erano padroni di tutto, quindi nessuno doveva prendere iniziativa alcuna senza loro placet. Figuriamoci intaccare il commercio religioso.
Chi mai ha dato l’imprimatur a un figlio di falegname di contrapporsi a lauti guadagni, e intaccarne il prestigio?
Le convinzioni utili e i proventi ormai abitudinari erano “diritto acquisito”.
Purtroppo, la storia delle religioni è punteggiata di episodi di plagio e compromesso, anche nei tempi in cui la situazione economica e sociale diventava difficile o complessa (come oggi).
Laddove i ceti meno abbienti declinavano i rischi, più volentieri si appaltava la difficile gestione della libertà personale - lasciando campo aperto ai soci in affari con Dio, manipolatori di coscienza.
Ma qui - a furia di permessi da chiedere con deferenza, procedimenti analoghi (e “cordate” di contrabbando) - mancava infine quella freschezza piena di stupore, tipica dell'anima aperta all’avventura e alla passione d'amore.
Pertanto, secondo Gesù nessun uomo può dare “autorizzazione” a una qualsiasi persona di poter essere riflessiva e disciolta.
C’è un percorso imprevedibile anche per chi è abituato a sentirsi dirigere in ogni vicenda.
Il seme portato dal vento dello Spirito fa la sua pianta, che non necessariamente somiglia a quelle circostanti: non si vincola nella sua espressività particolare, e vola anche fuori confine.
Sebbene le autorità costituite non volessero assolutamente perdere il controllo delle cose e imponessero la solita vita pia standard - coi suoi tornaconti - secondo il Cristo, Dio solo poteva aver gestione di seme, radici e sviluppo.
Attraverso i suoi intimi, il nuovo Regno - slegato - si deve proporre al mondo intero, nello spirito di disinteresse… e come Sorpresa.
Attributi imprevisti e sgombri, che il Figlio svela nella sua vicenda di cura dei malfermi, e di contrapposizione agli astuti; nella sua Persona.
Palesiamo indipendenza e libertà, perché Gesù stesso l’ha dimostrate, sorvolando qualsiasi aspettativa e proposito.
Il Maestro non era un qualunquista con coloro che ordivano trame di mestiere e pretendevano pure il nullaosta.
Egli, senza ricercare concordismi lessicali, sottolineava che l’ortodossia non si doveva confondere con la ripetizione.
Le garanzie del passato ingombrano spesso le menti e intasano le vie che poi sfociano in esperienze di frontiera.
In tal guisa, prima o poi i capi sarebbero rimasti costernati da chi non sopporta le ratifiche, riconoscendo infine la loro ignoranza.
Si sarebbero incagliati definitivamente, da soli - soverchiati dai loro stessi imbrogli e dall’ansia di non perdere il potere sulla gente [sempre più insofferente ai “visti”].
Ciò, persino a motivo della volontà di non esporsi (vv.25-27a).
Perplessità tattica, che rivela incredulità - tiepidezza - mancanza totale di Fede.
Come ha sottolineato Papa Francesco:
Gesù, con intelligenza, risponde con un’altra domanda e mette i capi dei sacerdoti “all’angolo”, chiedendo loro se Giovanni il Battista battezzava con un’autorità che gli veniva dal cielo, cioè da Dio o dagli uomini. Matteo descrive il loro ragionamento, riletto dal Pontefice «Se noi diciamo: “Dal cielo”, ci dirà: “Perché non avete creduto?”; se diciamo: “Dagli uomini”, la gente verrà contro di noi». E se ne lavano le mani e dicono: “Non sappiamo”. Questo, ha commentato il Santo Padre, «è l’atteggiamento dei mediocri, dei bugiardi della fede».
«Non solo Pilato se ne lavò le mani», ha spiegato il Papa, anche questi se ne lavano le mani: «Non sappiamo». Questo significa, ha proseguito Francesco, «non entrare nella storia degli uomini, non coinvolgersi nei problemi, non lottare per fare il bene, non lottare per guarire tanta gente che ha bisogno... “Meglio di no. Non sporchiamoci”».
Per questo, ha chiarito il Pontefice, Gesù risponde «con la stessa musica: “Neppure io vi dico con quale autorità faccio questo”». Infatti «questi sono due atteggiamenti dei cristiani tiepidi», ha ricordato Francesco, «di noi — come diceva mia nonna — “cristiani all’acqua di rosa”; cristiani così: senza consistenza».
[Papa Francesco, s. Marta, in L’Osservatore Romano 16-17/12/2019]
Nel commento al Tao (LXV) il maestro Ho-Shang Kung scrive: «L’uomo che possiede la misteriosa virtù è così profondo da non poter essere sondato, così imperscrutabile da non aver limite».
Il silenzio di coloro che in Cristo stanno tuttora educando i protagonisti dei luoghi sacri è spesso l’eco giusto di Dio, più eloquente di tante brillanti disquisizioni (v.27b).
Così Gesù evita l’ambiguità della restrizione mentale o della semantica evasiva: in Lui la non risposta ai dirigenti si trasforma in domanda.
Il Signore resta silente, ma senza sviare il quesito.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Dimostri autonomia ed emancipazione da coloro che ambiscono controllare la tua personalità, per farti poi diventare solo un operaietto (con licenza) del (loro) tempio?
Secondo te: malgrado le fastose apparenze di rango, le pressappochiste guide spirituali del popolo e i funzionari del Tempio, avevano a che fare con Colui che celebravano?
Talora, forse - anche noi - poco o nulla?
Traduzione della potenza in umiltà
La parola che Gesù rivolge agli uomini apre immediatamente l’accesso al volere del Padre e alla verità di se stessi. Non così, invece, accadeva agli scribi, che dovevano sforzarsi di interpretare le Sacre Scritture con innumerevoli riflessioni (…)
L’autorità divina non è una forza della natura. È il potere dell’amore di Dio che crea l’universo e, incarnandosi nel Figlio Unigenito, scendendo nella nostra umanità, risana il mondo corrotto dal peccato. Scrive Romano Guardini: «L’intera esistenza di Gesù è traduzione della potenza in umiltà… è la sovranità che qui si abbassa alla forma di servo» (Il Potere, Brescia 1999, 141.142).
Spesso per l’uomo l’autorità significa possesso, potere, dominio, successo. Per Dio, invece, l’autorità significa servizio, umiltà, amore; significa entrare nella logica di Gesù che si china a lavare i piedi dei discepoli (cfr Gv 13,5), che cerca il vero bene dell’uomo, che guarisce le ferite, che è capace di un amore così grande da dare la vita, perché è Amore. In una delle sue Lettere, santa Caterina da Siena scrive: «E’ necessario che noi vediamo e conosciamo, in verità, con la luce della fede, che Dio è l’Amore supremo ed eterno, e non può volere altro se non il nostro bene» (Ep. 13 in: Le Lettere, vol. 3, Bologna 1999, 206).
[Papa Benedetto, Angelus 29 gennaio 2012]
La parola che Gesù rivolge agli uomini apre immediatamente l’accesso al volere del Padre e alla verità di se stessi. Non così, invece, accadeva agli scribi, che dovevano sforzarsi di interpretare le Sacre Scritture con innumerevoli riflessioni (…)
L’autorità divina non è una forza della natura. È il potere dell’amore di Dio che crea l’universo e, incarnandosi nel Figlio Unigenito, scendendo nella nostra umanità, risana il mondo corrotto dal peccato. Scrive Romano Guardini: «L’intera esistenza di Gesù è traduzione della potenza in umiltà… è la sovranità che qui si abbassa alla forma di servo» (Il Potere, Brescia 1999, 141.142).
Spesso per l’uomo l’autorità significa possesso, potere, dominio, successo. Per Dio, invece, l’autorità significa servizio, umiltà, amore; significa entrare nella logica di Gesù che si china a lavare i piedi dei discepoli (cfr Gv 13,5), che cerca il vero bene dell’uomo, che guarisce le ferite, che è capace di un amore così grande da dare la vita, perché è Amore. In una delle sue Lettere, santa Caterina da Siena scrive: «E’ necessario che noi vediamo e conosciamo, in verità, con la luce della fede, che Dio è l’Amore supremo ed eterno, e non può volere altro se non il nostro bene» (Ep. 13 in: Le Lettere, vol. 3, Bologna 1999, 206).
[Papa Benedetto, Angelus 29 gennaio 2012]
Non è qui il luogo di citare le conferme che percorrono l’intera storia dell’umanità. Certo è che fin dai tempi più antichi il dettame della coscienza indirizza ogni soggetto umano verso una norma morale oggettiva, che trova espressione concreta nel rispetto della persona dell’altro e nel principio di non fare a lui quello che non si vuole sia fatto a sé [41].
[41] «La legge morale – ha lasciato detto Confucio – non è lontana da noi... L’uomo saggio non sbaglia molto in quanto riguarda la legge morale. Egli ha per principio: non fate agli altri quello che non vorreste che gli altri facessero a voi» (Tchung-Yung – Il giusto Mezzo, 13). Un antico maestro giapponese (Dengyo Daishi, detto anche Saicho, vissuto tra il 767-822 d.C.) esorta a essere «dimentichi di se stessi, benefici verso gli altri, perché qui sta il vertice dell’amicizia e della compassione» (cfr. W. Th. De Bary, Sources of Japanese Tradition, New York 1958, vol. I, 127). E come non ricordare il Mahatma Gandhi, il quale ha inculcato la «forza della verità» (satyagraha) che vince senza violenza, col dinamismo proprio che è intrinseco all’azione giusta?
[Papa Giovanni Paolo II, Dilecti Amici n.7]
Due atteggiamenti dei cristiani tiepidi — «mettere Dio all’angolo e lavarsene le mani» — sono pericolosi: perché «è come sfidare Dio». Se il Signore mettesse noi all’angolo «non entreremmo mai in Paradiso» e guai se poi «se ne lavasse le mani, con noi». Papa Francesco, nell’omelia della messa del mattino a Casa Santa Marta, ha riletto così lunedì 16 dicembre il Vangelo di Matteo proposto dalla liturgia: quello sul dialogo tra Gesù e i capi dei sacerdoti, che gli chiedono con quale autorità insegni nel tempio.
Gesù, ricorda il Pontefice, esortava la gente, la guariva, insegnava e faceva miracoli, e così innervosiva i capi dei sacerdoti, perché con la sua dolcezza e la dedizione al popolo attirava tutti verso di sé. Mentre loro, i funzionari, erano rispettati dalla gente, che però non li avvicinava «perché non aveva fiducia in loro». Quindi si accordano «per mettere Gesù all’angolo». E gli domandano, ha proseguito Francesco: «Con quale autorità tu fai queste cose?». Infatti «tu non sei un sacerdote, un dottore della legge, non hai studiato nelle nostre università. Non sei niente».
Gesù, con intelligenza, risponde con un’altra domanda e mette i capi dei sacerdoti “all’angolo”, chiedendo loro se Giovanni il Battista battezzava con un’autorità che gli veniva dal cielo, cioè da Dio o dagli uomini. Matteo descrive il loro ragionamento, riletto dal Pontefice «Se noi diciamo: “Dal cielo”, ci dirà: “Perché non avete creduto?”; se diciamo: “Dagli uomini”, la gente verrà contro di noi». E se ne lavano le mani e dicono: “Non sappiamo”. Questo, ha commentato il Santo Padre, «è l’atteggiamento dei mediocri, dei bugiardi della fede».
«Non solo Pilato se ne lavò le mani», ha spiegato il Papa, anche questi se ne lavano le mani: «Non sappiamo». Questo significa, ha proseguito Francesco, «non entrare nella storia degli uomini, non coinvolgersi nei problemi, non lottare per fare il bene, non lottare per guarire tanta gente che ha bisogno... “Meglio di no. Non sporchiamoci”».
Per questo, ha chiarito il Pontefice, Gesù risponde «con la stessa musica: “Neppure io vi dico con quale autorità faccio questo”». Infatti «questi sono due atteggiamenti dei cristiani tiepidi», ha ricordato Francesco, «di noi — come diceva mia nonna — “cristiani all’acqua di rosa”; cristiani così: senza consistenza». Da cui deriva, ha spiegato il Pontefice, quell’atteggiamento di «mettere nell’angolo Dio: “O mi fai questo o non andrò più in una chiesa”».
L’altro atteggiamento di tiepidezza, ha continuato il Papa, è lavarsene le mani, come «i discepoli di Emmaus quella mattina della Risurrezione»: vedono le donne «tutte gioiose perché avevano visto il Signore», ma non si fidano, perché le donne «sono troppo fantasiose»; e perciò se ne lavano le mani e così entrano nella confraternita «di San Pilato».
«Tanti cristiani — ha denunciato allora Papa Francesco — se ne lavano le mani davanti alle sfide della cultura, alle sfide della storia, alle sfide delle persone del nostro tempo; anche davanti alle sfide più piccole». Quante volte, ha ricordato, «sentiamo il cristiano tirchio davanti a una persona che chiede elemosina e non la dà: “No, no io non do perché poi questi si ubriacano”. Se ne lava le mani». E a chi replica, ha proseguito il Pontefice «“Ma non ha da mangiare... – “Fatti suoi: io non voglio che si ubriachi”. Lo sentiamo tante volte, tante volte».
«Mettere Dio all’angolo e lavarsene le mani — è stato dunque l’ammonimento del Pontefice — sono due atteggiamenti pericolosi, perché è come sfidare Dio. Pensiamo cosa accadrebbe se il Signore ci mettesse all’angolo. Mai entreremmo nel Paradiso. E cosa accadrebbe se il Signore se ne lavasse le mani con noi? Poveracci». Sono, conclude Papa Francesco, «due atteggiamenti ipocriti di educati».
«No, questo no. Non mi immischio», così il Papa ha dato voce agli educati ipocriti, «metto all’angolo la gente, perché è gente sporca», mentre «io davanti a questo me ne lavo le mani perché sono fatti loro». Da qui l’invito finale di Francesco a vedere «se in noi c’è qualcosa del genere»; e se c’è a cacciare via «questi atteggiamenti per fare strada al Signore che viene».
[Papa Francesco, s. Marta, in L’Osservatore Romano 16-17/12/2019]
La crisi dello spirito titanico
(Mt 11,2-11)
«Che cosa siete usciti a contemplare nel deserto? Ma che cosa siete usciti a vedere?» (vv.7.8.9).
Il Signore vuole aiutarci a prendere coscienza profonda del tratto di strada percorso e di ciò che ancora ci sta davanti.
Non siamo già in possesso della Salvezza. C’è da riflettere sul vero Esodo ancora da fare.
Battista e Gesù non hanno mai frequentato i palazzi di corte. Questo è chiaro (v.8).
Lo spirito edonista o di domesticazione blandisce e ci attrae, ma attutisce e snerva la franchezza, la vitalità di ogni cammino.
Invece Cristo propone un altro movimento di Conversione: uno scavo ulteriore, che distingue la sua proposta anche da quella del Precursore.
«In verità vi dico, non è sorto tra i nati di donne uno più grande di Giovanni, il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui» (v.11).
Per un percorso di crescita autentica e finalmente matura - figli nel Figlio - è opportuno liberarsi da ogni modello di perfezione.
Adottare una via unilaterale non conduce ad alcuna fioritura, piuttosto a rattrappire le cose.
Nell’itinerario positivo (e intimo) non c’è una strada sola. La vita è varietà, mutamento, esperienza di risuscitazione.
In tale orizzonte, gli intoppi maggiori nel corrispondere alla personale Chiamata per Nome nascono proprio dalle identificazioni.
I riconoscimenti risoluti sono sempre artificiosi. Essi non ci svegliano da situazioni paludose, né lasciano che ritroviamo l’oro delle misteriose, intime, sapienti inclinazioni.
L’esistenza e le stesse persone infatti non sono bianco o nero. E il percorso della Vita nello Spirito accetta le sfumature di carattere.
Esse talora possono apparire come fossero note confusionarie, tipiche di personalità da correggere. Così s’immaginava fino a non molto tempo fa; situazione che però tendeva a impoverire e livellarci.
L’idea devota antica - che tanto ci ha condizionati - era infatti legata al primato della “coerenza” morale esterna [corrispondenza tra idee e azioni].
A questo pensiero banale Cristo sostituisce tutt’altro focus: la corrispondenza tra stati interiori e loro manifestazione.
Insomma, un «piccolo nel regno dei cieli» può anche essere un disadattato e perturbante, un eccentrico e riprovevole inquieto - che però vorrebbe crescere.
Quindi non copre le proprie lotte interne.
Non di rado i sorrisi di circostanza, i moralismi, o le stesse buone maniere, velano idee, pulsioni, abitudini opposte che in qualche modo, prima o poi, troveranno una loro strada per diventare protagoniste.
Per non parlare - anche in religione - degli atteggiamenti dirigisti, i quali appunto non si sa bene quale “doppio” nascondano.
Non sono essi la vera linearità, ordine autentico; tantomeno “disciplina”.
Il Maestro sogna che i suoi apostoli si allontanino da giudizi temerari e ideali astratti. Troppo facili. Non fanno percepire in modo nitido.
Insomma, dobbiamo sospendere i luoghi comuni sull’amore verso Dio e gli altri, così l’opinione corriva su noi stessi - nonché i pareri assorbiti.
I contrasti sono naturali.
I disagi sono il linguaggio primordiale dell’anima che ci chiama a girare lo sguardo, per attivare lo spirito verso nuovi sentieri da esplorare.
Solo in tale Esodo approderemo alla Terra Promessa, terra vergine tutta da scoprire. Da rifare ogni giorno.
Non tagliando in orizzontale le Radici, bensì partendo da esse.
[3.a Domenica Avvento (anno A) Gaudete, 14 dicembre 2025]
And thus we must see Christ again and ask Christ: “Is it you?” The Lord, in his own silent way, answers: “You see what I did, I did not start a bloody revolution, I did not change the world with force; but lit many I, which in the meantime form a pathway of light through the millenniums” (Pope Benedict)
E così dobbiamo di nuovo vedere Cristo e chiedere a Cristo: “Sei tu?”. Il Signore, nel modo silenzioso che gli è proprio, risponde: “Vedete cosa ho fatto io. Non ho fatto una rivoluzione cruenta, non ho cambiato con forza il mondo, ma ho acceso tante luci che formano, nel frattempo, una grande strada di luce nei millenni” (Papa Benedetto)
Experts in the Holy Scriptures believed that Elijah's return should anticipate and prepare for the advent of the Kingdom of God. Since the Lord was present, the first disciples wondered what the value of that teaching was. Among the people coming from Judaism the question arose about the value of ancient doctrines…
Gli esperti delle sacre Scritture ritenevano che il ritorno di Elia dovesse anticipare e preparare l’avvento del Regno di Dio. Poiché il Signore era presente, i primi discepoli si chiedevano quale fosse il valore di quell’insegnamento. Tra i provenienti dal giudaismo sorgeva il quesito circa il peso delle dottrine antiche...
Gospels make their way, advance and free, making us understand the enormous difference between any creed and the proposal of Jesus. Even within us, the life of Faith embraces all our sides and admits many things. Thus we become more complete and emancipate ourselves, reversing positions.
I Vangeli si fanno largo, avanzano e liberano, facendo comprendere l’enorme differenza tra credo qualsiasi e proposta di Gesù. Anche dentro di noi, la vita di Fede abbraccia tutti i nostri lati e ammette tante cose. Così diventiamo più completi e ci emancipiamo, ribaltando posizioni
We cannot draw energy from a severe setting, contrary to the flowering of our precious uniqueness. New eyes are transmitted only by the one who is Friend. And Christ does it not when we are well placed or when we equip ourselves strongly - remaining in a managerial attitude - but in total listening
Non possiamo trarre energia da un’impostazione severa, contraria alla fioritura della nostra preziosa unicità. Gli occhi nuovi sono trasmessi solo da colui che è Amico. E Cristo lo fa non quando ci collochiamo bene o attrezziamo forte - permanendo in atteggiamento dirigista - bensì nell’ascolto totale
The Evangelists Matthew and Luke (cf. Mt 11:25-30 and Lk 10:21-22) have handed down to us a “jewel” of Jesus’ prayer that is often called the Cry of Exultation or the Cry of Messianic Exultation. It is a prayer of thanksgiving and praise [Pope Benedict]
Gli evangelisti Matteo e Luca (cfr Mt 11,25-30 e Lc 10,21-22) ci hanno tramandato un «gioiello» della preghiera di Gesù, che spesso viene chiamato Inno di giubilo o Inno di giubilo messianico. Si tratta di una preghiera di riconoscenza e di lode [Papa Benedetto]
The human race – every one of us – is the sheep lost in the desert which no longer knows the way. The Son of God will not let this happen; he cannot abandon humanity in so wretched a condition [Papa Benedetto]
The seed brought by the wind of the Spirit makes its own plant, which does not necessarily resemble the surrounding ones: it is not bound in its particular expressiveness, and silently flies even ‘out of fences’
Il seme portato dal vento dello Spirito fa la sua pianta, che non necessariamente somiglia a quelle circostanti: non si vincola nella sua espressività particolare, e silenziosamente vola anche ‘fuori confine’
don Giuseppe Nespeca
Tel. 333-1329741
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