don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

2a Domenica di Avvento (anno A) [7 Dicembre 2025]

 

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga! Da questa domenica oltre al finale riassunto sintetico degli elementi più importanti di ogni lettura unisco un breve commento di un Padre della Chiesa al Vangelo.

 

*Prima Lettura dal libro del profeta Isaia (11,1-10)

Isaia parla della radice di Iesse e si riferisce alla discendenza del re Davide. Iesse aveva otto figli, Dio fece scegliere a Samuele non il più forte o il maggiore, ma il più giovane: Davide, il pastore, che divenne il più grande re d’Israele. Da quel momento Iesse divenne il capostipite di una dinastia rappresentata spesso come un albero destinato a un grande futuro, che non sarebbe mai dovuto morire. Il profeta Natan aveva promesso a Davide che i suoi discendenti avrebbero regnato per sempre e avrebbero portato al popolo unità e pace. Ma nella storia, i re della sua discendenza non hanno mantenuto pienamente queste promesse. Tuttavia, proprio dalle delusioni nasce una speranza più forte: se Dio ha promesso, allora si compirà. Come nasce l’idea di Messia? Il termine “messia” (in ebraico mashiach = “unto”)  in origine indicava ogni re, perché veniva “unto” con l’olio nel giorno dell’incoronazione. Col tempo, però, la parola “messia” ha assunto il senso di “re ideale”, colui che porta giustizia, pace e felicità. Quando Isaia dice: “Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse”, significa: anche se la dinastia di Davide sembra un albero morto, Dio può far nascere un germoglio nuovo, un re ideale: il Messia, che sarà guidato dallo Spirito del Signore. Su di lui riposeranno i sette doni dello Spirito, simbolo della pienezza: sapienza, intelligenza, spirito di consiglio, e di fortezza, conoscenza, di timore del Signore che non è paura, ma fiducia e rispetto da figlio. Il Messia governerà come Dio vuole: con giustizia e fedeltà e il suo compito sarà fare guerra all’ingiustizia: Giudicherà con giustizia i miseri … non secondo l’apparenza… farà morire la malvagità con il soffio delle sue labbra. “L’empio” non indica una persona, ma la malvagità stessa come dire “fare la guerra alla guerra”. Isaia descrive un mondo dove il lupo vive con l’agnello, il bambino gioca senza paura, non c’è più violenza né conflitto. Non è un ritorno al paradiso terrestre, ma il compimento finale del progetto di Dio, quando la conoscenza del Signore riempirà la terra. La radice di Iesse sarà un segno per tutti i popoli e il  Messia non riguarda solo Israele, ma tutte le nazioni. Gesù stesso riprenderà questa idea: “Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me.” (Gv 12,32) Isaia predica nel VIII secolo a.C., in un tempo di pressione politica e minacce da parte di imperi vicini. L’albero di Davide sembra proprio morto, ma Isaia invita a non perdere la speranza. La “favola degli animali” usa simboli per parlare degli uomini, come farà molti secoli dopo La Fontaine e costituisce una promessa di pace, di fraternità e di riconciliazione universale. Martin Luther King, nel suo discorso “I have a dream”, si ispirerà direttamente a queste immagini usate da Isaia (Cf.11, 2): un mondo dove giustizia e fraternità vincono la violenza.

 

Il tema centrale si riassume in una frase: Dal tronco apparentemente morto della dinastia di Davide, Dio è così fedele che, quando tutto sembra finito, fa rinascere la sua promessa da un frammento, da un ceppo: la speranza nasce proprio là dove l’uomo non vede più nulla. Dio farà sorgere un Messia guidato dallo Spirito, che combatterà l’ingiustizia e porterà la pace universale a tutti i popoli. Dio è fedele, e anche da un tronco morto può far nascere vita nuova. È la pace messianica, la riconciliazione finale della creazione.Ci sono momenti in cui anche noi ci sentiamo come un albero tagliato: fallimenti, delusioni, peccati ripetuti, relazioni spezzate, progetti che non si realizzano, comunità che sembrano perdere forza. Isaia annuncia:  Dio non ha finito anche con te e proprio dove tu non vedi futuro, Lui vede un germoglio. Continua anche tu a sperare perché Dio vede germogli dove noi vediamo solo legno secco.

 

*Salmo responsoriale (71/72, 1-2.7-8.12-13.17)

Il Salmo 71/72 è una preghiera nata dopo l’esilio babilonese, in un tempo in cui non esisteva più un re in Israele. Ciò significa che il salmo non parla più di un sovrano terreno, ma del re promesso da Dio: il Messia. Poiché è Dio a prometterlo, la realizzazione è certa. L’intera Bibbia è attraversata da una speranza indistruttibile: la storia ha un significato e una direzione e Dio ha un progetto di felicità per l’umanità. Questo progetto assume nomi diversi (Giorno del Signore, Regno dei cieli, Disegno benevolo), ma è sempre lo stesso: come un innamorato che ripete parole d’amore, Dio ripropone senza stancarsi il suo piano di salvezza.

Questo progetto è annunciato fin dall’inizio, nella vocazione di Abramo (Gen 12,3): “In te saranno benedette tutte le famiglie della terra”. La rivelazione è dunque universale fin dall’origine. Israele è eletto non per gestire un privilegio, ma per essere servizio e segno per tutti i popoli. Il salmo riprende questa promessa: nel Messia tutte le nazioni saranno benedette e lo chiameranno beato. Riprende anche l’altra promessa ad Abramo (Gen 15,18), cioè il dono della terra “dal torrente d’Egitto al grande fiume”. In eco, il salmo dice: “Dominerà da mare a mare e dal Fiume ai confini della terra”. Il libro del Siracide (Sir 44,21) conferma questa lettura, collegando insieme benedizione universale, moltiplicazione della discendenza ed eredità estesa. Anche se oggi un’idea di sovrano universale può sembrare lontana dalla sensibilità democratica e anzi si teme l’imposizione di un’autorità mondiale occulta che dominerebbe l’intera umanità, la Bibbia ricorda che ogni sovrano è solo uno strumento nelle mani di Dio, e ciò che conta è il popolo considerando un solo vasto opolo l’intera umanitàe il salmo annuncia un’umanità pacificata: In quei giorni fiorirà la giustizia, grande pace fino alla fine dei tempi, sconfitte la povertà e l’oppressione. Il sogno di giustizia e pace attraversa tutta la Scrittura: Gerusalemme significa “città della pace”; Deuteronomio 15 afferma che non ci sarà più alcun povero. Il salmo si inserisce in questa linea: il Messia soccorrerà il povero che invoca, il debole senza aiuto, il misero che non ha difesa. La preghiera del salmo non serve a ricordare a Dio le sue promesse, perché Dio non dimentica. Serve invece all’uomo per imparare a guardare il mondo con gli occhi di Dio, ricordare il suo progetto e trovare la forza per lavorare alla sua realizzazione. Giustizia, pace e liberazione dei poveri non arriveranno magicamente: Dio invita i credenti a cooperare, lasciandosi guidare dallo Spirito Santo con luce, forza e grazia.

 

Elementi importanti da ricordare: +Il Salmo 72 è messianico: scritto quando non c’erano più re, annuncia il Messia promesso da Dio.+La storia ha un senso: Dio ha un progetto di felicità per tutta l’umanità.+Le promesse ad Abramo sono il fondamento: benedizione universale e eredità senza confini.+Il Messia sarà strumento di Dio, al servizio del popolo e non del potere.+Il mondo che viene sarà segnato da giustizia, pace e fine della povertà. +La preghiera non serve a convincere Dio, ma educa noi: apre gli occhi al progetto divino. +La pace e la giustizia arriveranno anche attraverso l’impegno umano guidato dallo Spirito.

 

*Seconda Lettura dalla lettera di san Paolo ai Romani (15, 4-9)

San Paolo scrive ai Romani: “Tutto ciò che è stato scritto prima di noi , è stato scritto  per la nostra istruzione …perché teniamo viva la speranza”. Questa frase è la chiave per leggere tutta la Bibbia: la Scrittura esiste per illuminare, liberare, dare speranza. Se un testo sembra oscuro o duro, ciò significa semplicemente che non l’abbiamo ancora compreso fino in fondo: la Buona Notizia è sempre presente e bisogna scavare per trovarla, come in un tesoro nascosto. La Scrittura alimenta la speranza perché annuncia in ogni pagina un unico progetto di Dio: quel “disegno misericordioso” che è la grande storia d’amore di Dio con l’umanità. Tutta la Bibbia, dall’Antico al Nuovo Testamento, ha un solo soggetto: il progetto di salvezza e di comunione che Dio vuole realizzare nel Messia. Paolo passa poi a un tema concreto: i cristiani di Roma erano divisi. C’erano due gruppi: cristiani provenienti dal giudaismo, ancora legati alle pratiche religiose e alimentari ebraiche; cristiani provenienti dal paganesimo, che consideravano tali osservanze superate. Da questa diversità nascevano discordie, giudizi reciproci e sospetto. Le divergenze liturgiche e culturali diventavano scontri veri e propri. Una situazione molto simile alle tensioni che esistono anche oggi nella Chiesa tra sensibilità diverse. Paolo non propone di dividere la comunità in due gruppi separati. Propone invece la via della coabitazione, la costruzione della pace, la pazienza e la tolleranza reciproca, invitando tutti a ricercare ciò che favorisce la pace e ciò che edifica la comunità. Ognuno cerchi il bene dell’altro e “il Dio della perseveranza e della consolazione” vi conceda di vivere concordi secondo Cristo. Il principio fondamentale è: “Accoglietevi gli uni gli altri come Cristo ha accolto voi”. Paolo ricorda che Cristo ha preso su di sé la missione del Servo di Dio annunciato da Isaia: scelto ed eletto da Dio, formato ogni mattina dalla Parola, donatore della propria vita, portatore di salvezza a tutte le nazioni. Cristo, morendo e risorgendo, ha unito i Giudei, salvati in continuità con la loro Alleanza e  i pagani, salvati dalla gratuita misericordia divina. Per questo nessuno può vantare una superiorità, anzi tutto è grazia, tutto è dono del Cristo e il vero culto è questo: superare il passato, riconoscere il dono ricevuto, accogliersi senza distinzioni, cantare insieme la fedeltà e la misericordia di Dio.

 

Elementi importanti da ricordare: +La Scrittura esiste per dare speranza. Ogni pagina della Bibbia è Buona Notizia. Se non troviamo liberazione, non abbiamo ancora capito il testo. + La Bibbia annuncia un unico progetto. Il “disegno provvidenziale” di Dio: portare l’umanità alla comunione e alla salvezza tramite il Messia. +Paolo corregge una comunità divisa: A Roma c’erano tensioni tra cristiani di origine ebraica e pagana. Le differenze pratiche e culturali creavano giudizi e conflitti. La soluzione cristiana non è separarsi. Paolo propone coabitazione, pazienza, edificazione reciproca. La comunità è un “edificio” che va costruito con pace e tolleranza. +Il modello è Cristo Servo che ha unito tutti: ebrei e pagani. Nessuno può vantarsi: tutto è grazia. +Parola d’ordine: accoglienza: Accoglietevi come Cristo vi ha accolti. La Chiesa è viva quando supera le divisioni e vive la misericordia.

 

*Dal Vangelo secondo Matteo (3,1-12)

Quando Giovanni Battista inizia la sua predicazione, la Giudea è sotto dominazione romana da 90 anni, Erode è al potere ma profondamente detestato; le correnti religiose sono divise e confuse; ci sono collaborazionisti, resistenti, falsi profeti, agitatori messianici. Il popolo è stanco e disorientato e in questo clima nasce la predicazione di Giovanni che vive nel deserto di Giudea (tra Gerusalemme e il Giordano). Matteo insiste sul senso spirituale del deserto: ricorda l’Esodo, l’Alleanza, la purificazione, il rapporto d’amore tra Dio e Israele (Osea) e vede il deserto come il luogo del ritorno alla verità e della decisione. In Giovanni tutto richiama i grandi profeti: Veste di peli di cammello, si ciba di locuste e miele, vive con uno stile ascetico. Molti lo considerano il possibile ritorno di Elia, atteso per preparare la venuta di Dio (Ml 3,23). La sua predicazione ha il doppio tono profetico: Dolce e consolante per gli umili; duro e provocatorio per gli orgogliosi. L’espressione “razza di vipere” non è un insulto personale, ma un modo per dire: “state seguendo la logica del serpente tentatore”, ed è quindi un invito a cambiare atteggiamento. Giovanni invita tutti a compiere un retto discernimento nella propria vita: ciò che è sano rimanga, ciò che è corrotto venga eliminato. E per essere incisivo usa immagini forti: Fuoco che brucia la paglia (richiamo al profeta Malachia), setaccio che separa grano e pula, aia dove si compie la scelta - e questo è il significato: Tutto ciò che in noi è morte sarà purificato; tutto ciò che è autentico sarà salvato e custodito. È un giudizio liberante, non distruttivo. Giovanni annuncia Gesù: “Io vi battezzo nell’acqua, ma colui che viene  dopo di me…vi battezzerà nello Spirito Santo e fuoco”. Solo Dio può dare lo Spirito e dunque Giovanni afferma implicitamente la divinità di Gesù. Le immagini usate:“Più forte di me” è un attributo tipico di Dio. “Non sono degno di portargli o sciogliergli i sandali”: con questo riconosce in Gesù una dignità divina. Pur essendo maestro seguito da discepoli, Giovanni si mette in seconda fila; riconosce la superiorità di Gesù e apre la strada al Messia. La sua grandezza consiste proprio nel far spazio. Matteo lo mostra come “voce nel deserto” con riferimento a Isaia 40,3, legato anche a Elia (2 Re 1,8; Ml 3,23), nella linea dei profeti per introdurre  Gesù come Dio presente e giudice. I capitoli 3-4 di Matteo sono una cerniera: Qui comincia la predicazione del Regno.

 

Elementi importanti da ricordare: +Giovanni appare in un contesto di oppressione e confusione morale: la sua parola porta luce e discernimento. +Il deserto è luogo di nuova alleanza, verità e conversione. +Giovanni si presenta con segni profetici (vestito, cibo, stile) che ricordano Elia. +La sua predicazione è doppia: consolazione ai piccoli, provocazione per chi è sicuro di sé. +Il giudizio è interiore, non contro categorie di persone: purifica il male in ciascuno. Il fuoco non distrugge l’uomo, ma ciò che in lui è morto: è un fuoco d’amore e verità. +Gesù compie la purificazione battezzando nello Spirito Santo, cosa che solo Dio può fare e Giovanni riconosce la divinità di Gesù con gesti di grande umiltà. +La grandezza del Precursore sta nel farsi da parte per lasciare spazio al Messia e Matteo lo colloca come ponte tra l’Antica e la Nuova Alleanza, inaugurando la predicazione del Regno.

 

San Giovanni Crisostomo – Commento a Matteo 3,1-12

“Giovanni appare nel deserto non per caso, ma per richiamare l’antico cammino di Israele.

Nel deserto Israele fu educato, e nel deserto ora ricomincia la conversione. Il suo abito rude e il cibo semplice mostrano che egli è libero da ogni vanità, come Elia. Per questo il popolo, stanco dei capi del tempo, accorre a lui: vede in Giovanni un uomo veritiero, che non cerca la gloria ma conduce alla verità.” Poi Crisostomo spiega il contenuto profetico e morale della predicazione di Giovanni: Chiamando “razza di vipere” non li insulta, ma li scuote perché si rendano conto del veleno che li corrompe. Non attacca le persone, ma il male che le possiede.

Il giudizio che annuncia non è contro gli uomini, ma contro le loro opere cattive: il fuoco brucia la colpa, non la natura dell’uomo.” E riguardo all’annuncio del Messia: “Dicendo: “Viene dopo di me Uno più forte di me”, Giovanni non si paragona a un altro uomo, ma a Dio. Poiché solo di Dio si dice che è il Forte. E quando aggiunge: “Vi battezzerà nello Spirito Santo”, confessa apertamente che Colui che viene ha potere divino. Per questo dichiara di non essere degno neppure di sciogliergli i sandali: non perché disprezzi se stesso, ma perché riconosce la grandezza di Cristo.” Infine, Crisostomo interpreta la missione del Precursore:

“La sua grandezza consiste nel diminuire perché Cristo cresca. È la voce che prepara la Parola; è il ponte che congiunge l’Antica Alleanza alla Nuova. Egli mostra che tutto ciò che i profeti attendevano si compie ora: il Re è vicino, e il Regno comincia.»

 

+Giovanni D’Ercole

 

Ossessione e Compulsione

Un signore mi confida che da tempo ha bisogno di controllare se ha chiuso il portone della sua casa. Una signora  invece deve essere certa che ha chiuso il gas in cucina.

Dopo aver controllato, sia il gas che il portone stavano bene e in ordine.

Un altro signore di mezza età sente il bisogno di dover vedere se la sua auto è a posto, poi deve andare a controllarla, deve fare un giro intorno alla stessa, toccarla in diversi punti, e solo dopo aver compiuto queste sequenze comportamentali, può rientrare tranquillamente. A volte sente il bisogno di farlo più volte in una giornata.

Nel vocabolario Treccani al termine «ossessione» si legge: «rappresentazione mentale che la volontà non riesce ad eliminare accompagnata da ansia». 

Alla voce «compulsione»: «costrizione, l’essere spinto da necessità a fare qualcosa».

Molte persone hanno dei pensieri verso i quali non hanno alcun interesse; spesso sono delle idee     senza alcun senso, ma che richiedono loro un notevole sforzo mentale.

Senza volerlo queste idee ci invadono, e fanno “lambiccare” il cervello come se fossero questioni fondamentali.

Possono trattarsi di pensieri, immagini che generano preoccupazione - e di solito vengono seguiti da costrizioni che la persona deve compiere per calmare l’inquietudine. 

Tra l’idea ”fissa” e il bisogno di compiere qualche atto, gesto per far sì che non succeda nulla di male, insorge spesso un dubbio, che intacca le nostre convinzioni più certe .

Il tutto sfocia in una indecisione sempre più grande che limita la propria libertà di azione: per fare una scelta anche semplice si impiega tanto tempo.  

A volte ci fa giungere a non saper prendere una decisione. Il dubbio può riguardare un pensiero, un ricordo, un’azione, ecc. e può sconfinare da un contenuto all’altro.

Una persona con questi problemi, uscendo di casa a volte si sente costretta a tornarci per  essere certa di non aver lasciato la luce accesa, e per essere sicura a volte lo deve fare parecchie volte.

In letteratura vengono citati esempi di persone che nello spedire una lettera sentivano poi il bisogno di riaprirla per controllare ciò che avevano scritto.

In quadri psicologici come questo si parla anche di «ruminazione», che è sempre associato al dubbio.

In campo biologico essa si configura quale processo digestivo di alcuni animali, tipo i bovini. Il cibo ingerito viene riportato in bocca per essere masticato nuovamente, in maniera migliore; quindi inghiottito di nuovo per ultimare la digestione.

In campo psicologico la «ruminazione» descrive un pensiero ripetitivo e durevole focalizzato su eventi passati, diverso dal «rimuginio» che invece riguarda più gli eventi futuri.

Vengono descritti anche dei cerimoniali. In essi l’individuo deve fare una sequenza di atti come lavarsi sovente le mani, pulire tante volte oggetti della vita quotidiana.

Interviene qui un aspetto del quadro psicologico descritto: la «rupofobia» e contaminazione. La rupofobia è la paura morbosa dello sporco e di poter essere infettati. Può riguardare qualsiasi aspetto della nostra vita: sia oggetti che persone, o luoghi pubblici. È un aspetto che può nuocere anche all’intimità.

Il periodo del Covid ha aumentato la paura del contagio, ma questo era un evento reale. Anche tanti anni fa intorno agli anni 1986 ci fu il fenomeno di Chernobyl e lì veramente dovevamo essere attenti a ciò che si mangiava poiché il cibo e soprattutto le verdure potevano essere state contaminate.

Chiunque ha  queste idee, passeggiando potrà contare le auto nel parcheggio, o toccare i pali dei lampioni, oppure cercare di evitare le fenditure dei pavimenti, ecc.

Nei casi gravi queste persone possono sentire di far del male a qualcuno; così questi pensieri lo fanno “indietreggiare”. Costoro devono darsi uno “scossone” onde cercare di scacciare tali idee che terrorizzano.

Le persone con  queste caratteristiche generalmente sono delle persone rigorose, si preoccupano dei particolari, osservano minuziosamente regole e formalità. 

Tuttavia dando importanza ai dettagli, spesso trascurano l’essenziale.      

Quanta gente nel loro ambito lavorativo sente  il bisogno di mettere in fila e in eccessivo ordine i loro oggetti.      

Ordine e controllo  sono strettamente  interconnessi, perché l’ordine esterno può essere una modalità per raggiungere un ordine interno che può ridurre lo stress. 

Parliamo però di ordine eccessivo. Un minimo di ordine è necessario per non creare confusione e poter ritrovare le nostre cose

Anche la balbuzie è un’alterazione del linguaggio collegata a questo quadro psicologico.

La persona che balbetta si impegna all’inizio, alla prima lettera o sillaba, e la ripete finché non finisce la parola. 

Come si sa, il suo linguaggio è sciolto quando è solo o quando recita, quando canta.

Altrimenti mortificato dal suo difetto tenderà a isolarsi e a parlare il meno possibile. Oppure  insisterà ostinatamente a parlare con intensi sforzi fisici.

La balbuzie «è un conflitto tra la tendenza erotico uretrale all’espulsione e la tendenza erotico-anale alla ritenzione, spostata alla bocca» (Manuale di Psichiatria, Arieti, vol. I pag.353).

 

Dott. Francesco Giovannozzi, Psicologo-Psicoterapeuta.

Gratuitamente: il Regno vicino e la Preghiera Incarnata

(Mt 9,35-10,1.6-8)

 

Gesù si distingue dai Rabbi del suo tempo, perché non attende che sia la gente spossata e prostrata (v.36) ad andare da lui: la cerca.

E il gruppo dei suoi dev’essere partecipe, sia nelle opere di guarigione che di liberazione - fraternità motivata da disinteresse luminoso.

Il Signore entra nelle assemblee di preghiera con ansia pastorale: per insegnare, non per disquisire. Non fa lezioni di analisi logica, ma lascia emergere Chi lo abita.

Proclama un Regno totalmente diverso da come veniva inculcato dai manipolatori delle coscienze - stracolmo di convinzioni dettagliate, che producevano intima coercizione, anonimato, solitudine, passività.

Ancora oggi cerchiamo un Dio da sperimentare, amabile, ‘non invisibile’.

Così l’Evangelo (v.35) annuncia Grazia: il volto del Padre - che non vuole nulla per sé, bensì dona tutto per trasmetterci la sua stessa Vita.

Un Amico che Viene, che non costringe a “salire” [in astratto] né imprigiona dentro sensi di colpa, sfiancando le creature già sottomesse - rendendole ancor più desolate di prima.

Qui si rivela un Cielo che fa sentire adeguati, non castiga né impressiona, bensì promuove e mette a proprio agio.

Il Padre prodigo accoglie le persone come fa il Figlio nei Vangeli - così come sono; non indagando. Piuttosto dilatando.

La sua Parola-evento non solo riattiva: reintegra gli squilibri e li valorizza in prospettiva di percorsi da persona reale - senza giudicare o disperdere, né spezzare nulla.

Per una tale opera di sapiente ricomposizione dell’essere, il Maestro invita alla Preghiera (v.38) - prima forma d’impegno dei discepoli.

L’accesso a diverse sintonie nello Spirito c’insegna a stimolare lo sguardo dell’anima, a valorizzare e capire tutto e tutti.

Quindi - dopo averli resi meno ignari - Gesù invita i suoi a coinvolgersi nell’opera missionaria; non a fare i dotti o lezioni di morale.

Sarebbero sceneggiate senza premure, che fanno sentire i malfermi ancor più sperduti.

La Missione cresce a partire da una dimensione piccola ma sconfinata - quella della percezione intima, che si accorge delle necessità e del mistero d’una Presenza favorevole.

Nuove configurazioni d’intesa, in spirito: scoperte appieno solo nell’orazione profonda (v.38). Preghiera Incarnata.

Essa non vuole distoglierci dalla realizzazione interiore; al contrario, fa da guida, e ricolloca l’anima dispersa nelle tante pratiche comuni da svolgere, al proprio centro.

Ci fa provare lo struggimento del desiderio e del capire la condizione perfetta: il Padre non intende assorbire le nostre attitudini, bensì potenziarle. Perché ciascuno ha un intimo progetto, una Chiamata per Nome, un proprio posto nel mondo.

Sembra paradossale, ma la Chiesa in uscita è anzitutto un problema di formazione e coscienza interna.

Insomma, ci si riconosce e si diventa non ignari delle cose attraverso la Preghiera-presentimento, unitiva.

In Cristo essa non è prestazione o espressione devota, bensì intesa e anzitutto Ascolto del Dio che in mille forme sottili si rivela e chiama.

Così la lotta contro le infermità (Mt 9,35-10,1): ci si ristabilisce e si vince acuendo lo sguardo e reinvestendo l’energia e il carattere anche dei nostri stessi lati ancora offuscati.

Tutto il Gratis (Mt 10,8) che potrà scaturirne per edificare la vita in favore dei fratelli, sprizzerà non come puerile contraccambio.

Il senso di prossimità (v.7) a se stessi, agli altri e alla realtà sarà un portato autentico - non programmatico, né alienato - del Regno che si rivela: Accanto.

 

 

[Sabato 1.a sett. Avvento, 6 dicembre 2025]

Gratuitamente: il Regno vicino e la Preghiera Incarnata

(Mt 9,35-10,1.6-8)

 

Gesù si distingue dai Rabbi del suo tempo, perché non attende che sia la gente spossata e prostrata (v.36) ad andare da lui: la cerca.

E il gruppo dei suoi dev’essere partecipe, sia nelle opere di guarigione che di liberazione - fraternità motivata da disinteresse luminoso.

Entra nelle assemblee di preghiera con ansia pastorale: per insegnare, non per disquisire. Non fa lezioni di analisi logica, ma lascia emergere Chi lo abita.

Proclama un Regno totalmente diverso da come veniva inculcato dai manipolatori delle coscienze (stracolmo di convinzioni dettagliate) - i quali non esercitavano certo in modo gratuito.

 

Le dottrine antiche e i suoi protagonisti smorzavano ogni dissonanza e producevano il peggio: intima coercizione, anonimato, solitudine, passività.

Inculcavano che fosse decisivo acquisire le loro piatte sicurezze, non certo aprirsi al Mistero personale, al carattere innato - fecondamente non conforme al contesto.

Di fatto, cercavano di disturbare i viaggi dell’anima, che talora vaga per ritrovarsi, e che al solito modo di vedere - paludoso, stagnante - preferisce nuovi scorci.

Non ammettevano che in ciascun fedele potesse dimorare una opzione fondamentale non omologata alla loro ideologia e maniera di scendere in campo.

Tutto della vita altrui doveva funzionare alla perfezione, secondo i loro obbiettivi. Quindi non predicavano turbamenti, ma staticità.

Nulla di nuovo doveva capitare, che potesse mettere in dubbio gli equilibri sociali, il loro influsso autoritario… e i loro proventi.

Nulla di diverso doveva esserci da esplorare e trovare.

Eppure, ieri come oggi, dentro ciascuna donna e uomo risiede un vulcano di energie potenziali - le quali secondo l’ideologia dominante dovevano solo essere soffocate e allineate.

 

Per tutto questo che ancora si trascina cerchiamo viceversa un Dio da sperimentare, amabile, non costruito “ad arte”… né invisibile o lontano dalla nostra condizione.

Vogliamo Colui che doni respiro, e ci comprenda.

Lo si coglie nitidamente: ciò che coviamo non è una misera illusione, da spegnere in favore di equilibri esterni.

Infatti l’Evangelo (v.35) annuncia Grazia: il volto del Padre - che non vuole nulla per sé, bensì dona tutto per trasmetterci la sua stessa Vita. E lo fa non per mortificare la nostra intima energia.

La Lieta Novella proclama un Amico che Viene, che non costringe a “salire” [in astratto] né imprigiona dentro sensi di colpa, sfiancando le creature già sottomesse - rendendole ancor più desolate di prima.

Qui si rivela un Cielo che fa sentire adeguati, non castiga e neppure impressiona, bensì promuove e mette tutti a proprio agio; un Misericordioso non solo buono: esclusivamente buono.

Il Padre prodigo accoglie le persone come fa il Figlio nei Vangeli - così come sono; non indagando. Piuttosto dilatando.

Anche la sua Parola-evento non solo riattiva: reintegra gli squilibri e li valorizza in prospettiva di percorsi da persona reale - senza giudicare o disperdere, né spezzare nulla.

 

Per una tale opera di sapiente ricomposizione dell’essere, il Maestro invita alla Preghiera (v.38) - prima forma d’impegno dei discepoli.

L’accesso a diverse sintonie nello Spirito c’insegna a stimolare lo sguardo dell’anima, a valorizzare e capire tutto e tutti.

Quindi - dopo averli resi meno ignari - Gesù invita i suoi a coinvolgersi nell’opera missionaria; non a fare i dotti o lezioni di morale.

Sarebbero sceneggiate senza premure, che fanno sentire i malfermi ancor più sperduti.

La Missione cresce a partire da una dimensione piccola ma sconfinata - quella della percezione intima, che si accorge delle necessità e del mistero d’una Presenza favorevole.

Nuove configurazioni d’intesa, in spirito: scoperte appieno solo nell’orazione profonda (v.38). Preghiera Incarnata.

Essa non vuole distoglierci dalla realizzazione interiore; al contrario, fa da guida, e ricolloca l’anima dispersa nelle tante pratiche comuni da svolgere, al proprio centro.

Ci fa provare lo struggimento del desiderio e del capire la condizione perfetta: il Padre non intende assorbire le nostre attitudini, bensì potenziarle. Perché ciascuno ha un intimo progetto, una Chiamata per Nome, un proprio posto nel mondo.

Sembra paradossale, ma la Chiesa in uscita - quella che non specula, né impegnata in proselitismi di massa per impressionare il mainstream - è anzitutto un problema di formazione e coscienza interna.

 

Insomma, ci si riconosce e si diventa non ignari delle cose attraverso la Preghiera-presentimento, unitiva.

In Cristo essa non è prestazione o espressione devota, bensì intesa e anzitutto Ascolto del Dio che in mille forme sottili si rivela e chiama.

L’impegno per sanare il mondo non si vince senza consapevolezze di vocazione, né lasciandosi plagiare e andando a casaccio.

Piuttosto, acuendo lo sguardo, e reinvestendo la virtù e il carattere anche dei nostri stessi lati ancora in ombra.

Né poi rimane essenziale valicare sempre ogni confine (Mt 10,5-6) con una logica di fuga.

Perché non di rado - purtroppo - solo chi ama la forza comincia dal troppo scostato da sé [dal tanto remoto e fuori mano].

Le “pecore” perdute e stanche di provare e riprovare - gli esclusi, i considerati persi, gli emarginati - non mancano. Sono a portata di mano, e non c’è urgenza di estraniarsi immediatamente. Quasi per volersi esonerare dai più prossimi.

L’orizzonte si espande da solo, se si è convinti e non si amano maschere o sotterfugi.

Il senso di prossimità a se stessi, agli altri e alla realtà è un portato autentico del Regno che si rivela: quello Vicino.

Intesa la natura delle creature e conformandovisi in modo crescente, tutti vengono ispirati a mutare e completarsi, arricchendo anche la sclerosi culturale, senza forzature alienanti.

Esercitando una pratica di bontà anche con se stessi.

 

Alcuni fra i più citati aforismi tratti dalla cultura del Tao recitano: “La via del fare è l’essere”; “chi conosce gli altri è sapiente, chi conosce se stesso è illuminato”; “un lungo viaggio di mille miglia inizia da un solo passo”; “il maestro osserva il mondo, ma si fida della sua visione interiore”; “se correggi la mente, il resto della tua vita andrà a posto”; “quando si accetta se stessi, il mondo intero ti accetta”.

 

Così nella lotta contro le infermità (Mt 9,35-10,1): ci si ristabilisce e si vince acuendo lo sguardo e reinvestendo l’energia e il carattere anche dei nostri stessi lati ancora offuscati.

Tutto il Gratis (Mt 10,8) che potrà scaturirne per edificare la vita in favore dei fratelli, sprizzerà non come puerile contraccambio [isterico] o ingaggio.

Sarà Dialogo d’Amore spontaneo, solido e allietante, perché privo di quegli squilibri che covano sotto la cenere dei condizionamenti di facciata.

 

Il senso di prossimità (v.7) a se stessi, agli altri e alla realtà sarà un portato autentico - non programmatico, né alienato - del Regno che si rivela: Accanto.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

La Preghiera in Cristo scuote la tua coscienza?

Quale consolazione attendi dal Dio che Viene?

Forse un compenso?

O una gratuità che innesca - qui e ora - il vero Amore-intesa, attento ai richiami di ogni Voce sottile?

Tema: « Le vocazioni al servizio della Chiesa-missione»

Cari fratelli e sorelle!

1. Per la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, che sarà celebrata il 13 aprile 2008, ho scelto il tema: Le vocazioni al servizio della Chiesa-missione. Agli Apostoli Gesù risorto affidò il mandato: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt 28,19), assicurando: “Ecco io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). La Chiesa è missionaria nel suo insieme e in ogni suo membro. Se in forza dei sacramenti del Battesimo e della Confermazione ogni cristiano è chiamato a testimoniare e ad annunciare il Vangelo, la dimensione missionaria è specialmente e intimamente legata alla vocazione sacerdotale. Nell’alleanza con Israele, Dio affidò a uomini prescelti, chiamati da Lui ed inviati al popolo in suo nome, la missione di essere profeti e sacerdoti. Così fece, ad esempio, con Mosè: “Ora va’! - gli disse Jahvé - Io ti mando dal faraone. Fa’ uscire dall’Egitto il mio popolo ... quando tu avrai fatto uscire il popolo dall’Egitto, servirete Dio su questo monte” (Es 3,10.12). Ugualmente avvenne con i profeti.

2. Le promesse fatte ai padri si realizzarono appieno in Gesù Cristo. Afferma in proposito il Concilio Vaticano II: “È venuto quindi il Figlio, mandato dal Padre, il quale in Lui prima della fondazione del mondo ci ha eletti e ci ha predestinati ad essere adottati come figli ... Perciò Cristo, per adempiere la volontà del Padre, ha inaugurato in terra il regno dei cieli e ce ne ha rivelato il mistero, e con la sua obbedienza ha operato la redenzione” (Cost. dogm. Lumen gentium, 3). E Gesù si scelse, come stretti collaboratori nel ministero messianico, dei discepoli già nella vita pubblica, durante la predicazione in Galilea. Ad esempio, in occasione della moltiplicazione dei pani, quando disse agli Apostoli: “Date loro voi stessi da mangiare” (Mt 14,16), stimolandoli così a farsi carico del bisogno delle folle, a cui voleva offrire il cibo per sfamarsi, ma anche rivelare il cibo “che dura per la vita eterna” (Gv 6,27). Era mosso a compassione verso la gente, perché mentre percorreva le città ed i villaggi, incontrava folle stanche e sfinite, “come pecore senza pastore” (cfr Mt 9,36). Da questo sguardo di amore sgorgava il suo invito ai discepoli: “Pregate dunque il padrone della messe, perché mandi operai nella sua messe” (Mt 9,38), e inviò i Dodici prima “alle pecore perdute della casa d’Israele”, con precise istruzioni. Se ci soffermiamo a meditare questa pagina del Vangelo di Matteo, che viene solitamente chiamata “discorso missionario”, notiamo tutti quegli aspetti che caratterizzano l’attività missionaria di una comunità cristiana, che voglia restare fedele all’esempio e all’insegnamento di Gesù. Corrispondere alla chiamata del Signore comporta affrontare con prudenza e semplicità ogni pericolo e persino le persecuzioni, giacché  “un discepolo non è da più del maestro, né un servo da più del suo padrone” (Mt 10,24). Diventati una cosa sola con il Maestro, i discepoli non sono più soli ad annunciare il Regno dei cieli, ma è lo stesso Gesù ad agire in essi: “Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato” (Mt 10,40). Ed inoltre, come veri testimoni, “rivestiti di potenza dall’alto” (Lc 24,49), essi predicano “la conversione e il perdono dei peccati” (Lc 24,47) a tutte le genti.

3. Proprio perché inviati dal Signore, i Dodici prendono il nome di “apostoli”, destinati a percorrere le vie del mondo annunciando il Vangelo come testimoni della morte e risurrezione di Cristo. Scrive san Paolo ai cristiani di Corinto: “Noi – cioè gli Apostoli – predichiamo Cristo crocifisso” (1 Cor 1,23). Il Libro degli Atti degli Apostoli attribuisce un ruolo molto importante, in questo processo di evangelizzazione, anche ad altri discepoli, la cui vocazione missionaria scaturisce da circostanze provvidenziali, talvolta dolorose, come l’espulsione dalla propria terra in quanto seguaci di Gesù (cfr 8,1-4). Lo Spirito Santo permette di trasformare questa prova in occasione di grazia, e di trarne spunto perché il nome del Signore sia annunciato ad altre genti e si allarghi in tal modo il cerchio della Comunità cristiana. Si tratta di uomini e donne che, come scrive Luca nel Libro degli Atti, “hanno votato la loro vita al nome del Signore nostro Gesù Cristo” (15,26). Primo tra tutti, chiamato dal Signore stesso sì da essere un vero Apostolo, è senza dubbio Paolo di Tarso. La storia di Paolo, il più grande missionario di tutti i tempi, fa emergere, sotto molti punti di vista, quale sia il nesso tra vocazione e missione. Accusato dai suoi avversari di non essere autorizzato all’apostolato, egli fa appello ripetutamente proprio alla vocazione ricevuta direttamente dal Signore (cfr Rm 1,1; Gal 1,11-12.15-17).

4. All’inizio, come in seguito, a “spingere” gli Apostoli (cfr 2 Cor 5,14) è sempre “l’amore di Cristo”. Quali fedeli servitori della Chiesa, docili all’azione dello Spirito Santo, innumerevoli missionari, nel corso dei secoli, hanno seguito le orme dei primi discepoli. Osserva il Concilio Vaticano II: “Benché l'impegno di diffondere la fede cada su qualsiasi discepolo di Cristo in proporzione delle sue possibilità, Cristo Signore chiama sempre dalla moltitudine dei suoi discepoli quelli che egli vuole, perché siano con lui e per inviarli a predicare alle genti (cfr Mc 3,13-15)” (Decr. Ad gentes, 23). L’amore di Cristo, infatti, va comunicato ai fratelli con gli esempi e le parole; con tutta la vita. “La vocazione speciale dei missionari ad vitam – ebbe a scrivere il mio venerato Predecessore Giovanni Paolo II - conserva tutta la sua validità: essa rappresenta il paradigma dell'impegno missionario della Chiesa, che ha sempre bisogno di donazioni radicali e totali, di impulsi nuovi e arditi” (Enc. Redemptoris missio, 66).

5. Tra le persone che si dedicano totalmente al servizio del Vangelo vi sono in particolar modo sacerdoti chiamati a dispensare la Parola di Dio, amministrare i sacramenti, specialmente l’Eucaristia e la Riconciliazione, votati al servizio dei più piccoli, dei malati, dei sofferenti, dei poveri e di quanti attraversano momenti difficili in regioni della terra dove vi sono, talora, moltitudini che ancora oggi non hanno avuto un vero incontro con Gesù Cristo. Ad esse i missionari recano il primo annuncio del suo amore redentivo. Le statistiche testimoniano che il numero dei battezzati aumenta ogni anno grazie all’azione pastorale di questi sacerdoti, interamente consacrati alla salvezza dei fratelli. In questo contesto, speciale riconoscenza va data “ai presbiteri fidei donum, che con competenza e generosa dedizione edificano la comunità annunciandole la Parola di Dio e spezzando il Pane della vita, senza risparmiare energie nel servizio alla missione della Chiesa. Occorre ringraziare Dio per i tanti sacerdoti che hanno sofferto fino al sacrificio della vita per servire Cristo … Si tratta di testimonianze commoventi che possono ispirare tanti giovani a seguire a loro volta Cristo e a spendere la loro vita per gli altri, trovando proprio così la vita vera” (Esort. ap. Sacramentum caritatis, 26). Attraverso i suoi sacerdoti, Gesù dunque si rende presente fra gli uomini di oggi, sino agli angoli più remoti della terra.

6. Da sempre nella Chiesa ci sono poi non pochi uomini e donne che, mossi dall'azione dello Spirito Santo, scelgono di vivere il Vangelo in modo radicale, professando i voti di castità, povertà ed obbedienza. Questa schiera di religiosi e di religiose, appartenenti a innumerevoli Istituti di vita contemplativa ed attiva, ha “tuttora una parte importantissima nell’evangelizzazione del mondo” (Decr. Ad gentes, 40). Con la loro preghiera continua e comunitaria, i religiosi di vita contemplativa intercedono incessantemente per tutta l’umanità; quelli di vita attiva, con la loro multiforme azione caritativa, recano a tutti la testimonianza viva dell’amore e della misericordia di Dio. Quanto a questi apostoli del nostro tempo, il Servo di Dio Paolo VI ebbe a dire: “Grazie alla loro consacrazione religiosa, essi sono per eccellenza volontari e liberi per lasciare tutto e per andare ad annunziare il Vangelo fino ai confini del mondo. Essi sono intraprendenti, e il loro apostolato è spesso contrassegnato da una originalità, una genialità che costringono all’ammirazione. Sono generosi: li si trova spesso agli avamposti della missione, ed assumono i più grandi rischi per la loro salute e per la loro stessa vita. Sì, veramente, la Chiesa deve molto a loro” (Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 69).

7. Inoltre, perché la Chiesa possa continuare a svolgere la missione affidatale da Cristo e non manchino gli evangelizzatori di cui il mondo ha bisogno, è necessario che nelle comunità cristiane non venga mai meno una costante educazione alla fede dei fanciulli e degli adulti; è necessario mantenere vivo nei fedeli un attivo senso di responsabilità missionaria e di partecipazione solidale con i popoli della terra. Il dono della fede chiama tutti i cristiani a cooperare all’evangelizzazione. Questa consapevolezza va alimentata attraverso la predicazione e la catechesi, la liturgia e una costante formazione alla preghiera; va incrementata con l’esercizio dell’accoglienza, della carità, dell’accompagnamento spirituale, della riflessione e del discernimento, come pure con una progettazione pastorale, di cui parte integrante sia l’attenzione alle vocazioni.

8. Solo in un terreno spiritualmente ben coltivato fioriscono le vocazioni al sacerdozio ministeriale ed alla vita consacrata. Infatti, le comunità cristiane, che vivono intensamente la dimensione missionaria del mistero della Chiesa, mai saranno portate a ripiegarsi su se stesse. La missione, come testimonianza dell’amore divino, diviene particolarmente efficace quando è condivisa in modo comunitario, “perché il mondo creda” (cfr Gv 17,21). Quello delle vocazioni è il dono che la Chiesa invoca ogni giorno dallo Spirito Santo. Come ai suoi inizi, raccolta attorno alla Vergine Maria, Regina degli Apostoli, la Comunità ecclesiale apprende da lei ad implorare dal Signore la fioritura di nuovi apostoli che sappiano vivere in sé quella fede e quell’amore che sono necessari per la missione.

9. Mentre affido questa riflessione a tutte le Comunità ecclesiali, affinché le facciano proprie e soprattutto ne traggano spunto per la preghiera, incoraggio l’impegno di quanti operano con fede e generosità al servizio delle vocazioni e di cuore invio ai formatori, ai catechisti e a tutti, specialmente ai giovani in cammino vocazionale, una speciale Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 3 dicembre 2007

[Papa Benedetto, Messaggio per la XLV Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni]

La Quaresima, occasione provvidenziale di conversione, ci aiuta a contemplare questo stupendo mistero d'amore. Essa costituisce un ritorno alle radici della fede, perché, meditando sul dono di grazia incommensurabile che è la Redenzione, non possiamo non renderci conto che tutto ci è stato dato per amorevole iniziativa divina. Proprio per meditare su questo aspetto del mistero salvifico, ho scelto quale tema del Messaggio quaresimale di quest'anno le parole del Signore: « Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date » (Mt 10, 8).

Sì! Gratuitamente abbiamo ricevuto. La nostra esistenza non è forse tutta segnata dalla benevolenza di Dio? È dono lo sbocciare della vita e il suo prodigioso svilupparsi. E proprio perché è dono, l'esistenza non può essere considerata un possesso o una privata proprietà, anche se le potenzialità, di cui oggi disponiamo per migliorarne la qualità, potrebbero far pensare che l'uomo sia di essa « padrone ». In effetti, le conquiste della medicina e della biotecnologia a volte potrebbero indurre l'uomo a pensarsi creatore di se stesso, e a cedere alla tentazione di manipolare « l'albero della vita » (Gn 3, 24).

È bene anche qui ribadire che non tutto ciò che è tecnicamente possibile è anche moralmente lecito. Se ammirevole è lo sforzo della scienza per assicurare una qualità di vita più conforme alla dignità dell'uomo, non deve però essere mai dimenticato che la vita umana è un dono, e che essa rimane un valore anche quando è segnata dalla sofferenza e dal limite. Un dono da accogliere e amare sempre: gratuitamente ricevuto e gratuitamente da porre al servizio degli altri.

[Papa Giovanni Paolo II, Messaggio per la Quaresima 2002]

«Servizio» e «gratuità»: sono le due parole chiave attorno alle quali Papa Francesco ha costruito la meditazione della messa celebrata a Santa Marta la mattina di martedì 11 giugno. Sono le caratteristiche fondamentali che devono accompagnare il cristiano «strada facendo», ha detto il Pontefice, lungo quel cammino, quell’«andare» che sempre contraddistingue la vita, «perché un cristiano non può rimanere fermo».

L’insegnamento viene direttamente dal Vangelo: è lì che si ritrovano — come evidenziato dal brano di Matteo proposto dalla liturgia del giorno (10, 7-13) — le indicazioni di Gesù per gli apostoli che vengono inviati. Una missione che, ha detto il Papa, è anche quella «dei successori degli apostoli» e di «ognuno dei cristiani, se inviato». Quindi, innanzi tutto, «la vita cristiana è fare strada, sempre. Non rimanere fermo». E in questo andare, cosa raccomanda il Signore ai suoi? «Guarite gli infermi, predicate dicendo che il regno dei cieli è vicino, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demoni». Cioè: «una vita di servizio».

Ecco il primo dato fondamentale evidenziato dal Pontefice: «La vita cristiana è per servire». Ed è molto triste, ha aggiunto, vedere «cristiani che all’inizio della loro conversione o della loro consapevolezza di essere cristiani, servono, sono aperti per servire, servono il popolo di Dio», e poi, invece, «finiscono per servirsi del popolo di Dio. Questo fa tanto male, tanto male al popolo di Dio». La vocazione del cristiano quindi è «servire» e mai «servirsi di».

Proseguendo nella riflessione, Francesco è quindi passato a un concetto che, ha sottolineato, «va proprio al nocciolo della salvezza: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”. La vita cristiana è una vita di gratuità». Dalla raccomandazione di Gesù agli apostoli inviati si comprende chiaramente che «la salvezza non si compra; la salvezza ci è data gratuitamente. Dio ci ha salvato, ci salva gratis. Non ci fa pagare». Si tratta, ha spiegato il Papa, di un principio «che Dio ha usato con noi» e che noi dobbiamo usare «con gli altri». Ed è «una delle cose più belle» sapere «che il Signore è pieno di doni da darci» e che all’uomo è chiesta solo una cosa: «che il nostro cuore si apra». Come nella preghiera del Padre nostro, dove «preghiamo, apriamo il cuore, perché questa gratuità venga. Non c’è rapporto con Dio fuori dalla gratuità».

Considerando questo caposaldo della vita cristiana, il Pontefice ha quindi evidenziato dei possibili e pericolosi fraintendimenti. Così, ha detto, «delle volte, quando abbiamo bisogno di qualcosa di spirituale o di una grazia, diciamo: “Mah, io adesso farò digiuno, farò una penitenza, farò una novena...”». Tutto ciò va bene, ma «stiamo attenti: questo non è per “pagare “la grazia, per “acquistare” la grazia; questo è per allargare il tuo cuore perché la grazia venga». Sia ben chiaro, infatti: «La grazia è gratuita. Tutti i beni di Dio sono gratuiti. Il problema è che il cuore si rimpiccolisce, si chiude e non è capace di ricevere tanto amore, tanto amore gratuito». Perciò «ogni cosa che noi facciamo per ottenere qualcosa, anche una promessa — “Se io avrò questo, farò quell’altro” — questo è allargare il cuore, non è entrare mercanteggiare con Dio... No. Con Dio non si tratta». Con Dio vale «soltanto il linguaggio dell’amore e del Padre e della gratuità».

E se questo vale nel rapporto con Dio, vale anche per i cristiani — «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» — e, ha sottolineato Francesco, specialmente per i «pastori della Chiesa». La grazia «non si vende» ha ribadito, aggiungendo: «Fa tanto male quando si trovano dei pastori che fanno affari con la grazia di Dio: “Io farò questo, ma questo costa tanto, questo tanto...“. E la grazia di Dio rimane là e la salvezza è un affare». Tutto questo, ha ribadito con forza, «non è il Signore. La grazia del Signore è gratuita e tu devi darla gratuitamente». Purtroppo, ha spiegato, nella vita spirituale c’è «sempre il pericolo di scivolare sul pagamento, sempre, anche parlando con il Signore, come se noi volessimo dare una tangente al Signore». Ma il rapporto con il Signore non può percorrere «quella strada».

Quindi, ha ribadito il Pontefice, no alla dinamiche del tipo: «Signore se tu mi fai questo, io ti darò questo»; ma, eventualmente, sì a una promessa affinché con essa si allarghi il proprio cuore «per ricevere» ciò che «è gratuito per noi». E «questo rapporto di gratuità con Dio è quello che ci aiuterà poi ad averlo con gli altri sia nella testimonianza cristiana sia nel servizio cristiano sia nella vita pastorale di coloro che sono pastori del popolo di Dio».

«Strada facendo»: così il Papa, al termine dell’omelia ha riassunto il suo ragionamento». «La vita cristiana — ha detto — è andare. Predicate, servite, non “servirsi di”. Servite e date gratis quello che gratis avete ricevuto». E ha concluso: «La vita nostra di santità sia questo allargare il cuore, perché la gratuità di Dio, le grazie di Dio che sono lì, gratuite, che Lui vuole donare, possano arrivare al nostro cuore».

[Papa Francesco, s. Marta, in L’Osservatore Romano 11.06.19]

Illuminatore di ciechi: quale guarigione, Attesa, definitività?

(Mt 9,27-31)

 

L’enciclica Fratelli Tutti invita a un piglio prospettico che suscita decisione e azione: un occhio nuovo, colmo di Speranza [n.55].

Eppure gli esperti - sicuri di sé - non colgono la dignità (rovesciata) del Mistero di Dio e dell’umanità.

Conoscono le ambizioni, la legge, i dettati altrui, le mode, o le loro idee; non i rivolgimenti dell’anima e della vita.

Quindi ci fanno permanere come in una foresta gelida e dedicata ai forti, sterilizzata o fantasiosa ma paradossalmente selvaggia.

La competizione non manca, anzi ne sarà conseguenza ancor più subdola, come nel caso delle pretese (proprio!) di una ‘coppia di apostoli’ eminenti.

Si tratta dei due figli di Zebedeo, i quali - come gli altri - ambiscono al primato.

 

La guarigione di coloro che hanno difetti di vista era uno dei beni recati dal Messia atteso (Is 29,18; 35,5).

Tutto sarebbe stato trasformato in meglio.

Ma nei suoi incontri, Gesù opera una guarigione spirituale, non parziale o frivola ed esterna.

L’opera divina nell’uomo è prodigiosa, ma nel senso che si fa molto più profonda di una sanazione fisica.

L’azione di suscitare la Fede e un nuovo acume dell’anima consentono di cogliere lo stesso progetto del Signore.

Ciò rende docili per lasciarlo realizzare da Dio stesso in noi.

L’allusione è alla Casa [Chiesa] in cui tutti i personaggi entrano come fosse cosa normale e in un contesto non polemico (v.28).

Anche il richiamo al fatto che lì si radunano coloro che hanno bisogno di una ‘illuminazione’, induce a leggere in filigrana l’eco di antiche liturgie battesimali.

 

Intorno a Gesù, ecco illustrato il senso globale dell’incontro del Cristo coi credenti.

L’insegnamento cui anche noi sempre ‘difettosi di vista’ veniamo introdotti dal contatto col Maestro nella comunità riunita è espresso nel passaggio dal titolo figlio di David (v.27) a quello di Signore (v.28).

I ciechi cui viene corretta la miopia sono i capi e i catecumeni, ora credenti. 

Nella loro esperienza di Fede essi passano dall’idea di Messia glorioso - somigliante a un sovrano - a quella dell’Amico vicino e Fratello.

Per questo la sua Persona spalanca alla Percezione un panorama che prorompe quale rinascita e capovolgimento dei valori sulla base dei quali s’investe la vita pratica.

Il motivo della fitta oscurità esterna è appunto l’ideologia di potere. Essa deve sparire nella considerazione e nell’universo dei discepoli.

Questo il motivo del cosiddetto silenzio messianico (v.30). E tutto scaturisce «da» un altro sguardo, penetrante.

 

Tale l’intervento definitivo di Dio che eleva la visione, i sogni, e lo spirito, e in tal guisa attiva percorsi che non sappiamo.

Una nuova maturità sta arrivando.

 

 

[Venerdì 1.a sett. Avvento, 5 dicembre 2025]

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Inside each woman and man resides a volcano of potential energies which are not to be smothered and aligned. The Lord doesn’t level the character; he doesn’t wear out the creatures. He doesn't make them desolate. The Kingdom is Near: it reinstates the imbalances. It does not mortify them, it convert them and enhances them
Dentro ciascuna donna e uomo risiede un vulcano di energie potenziali che non devono essere soffocate e allineate. Il Signore non livella il carattere; non sfianca le creature. Non le rende desolate. Il Regno è Vicino: reintegra gli squilibri. Non li mortifica, li tramuta e valorizza
The Person of Christ opens up another panorama to the perception of the two short-sighted (because ambitious) disciples. But sometimes it is necessary to take a leap in the dark, to contact one's vocational Seed; heal the gaze of the soul, recognize himself, flourish; make true Communion
La Persona di Cristo spalanca alla percezione dei due discepoli miopi (perché ambiziosi) un altro panorama. Ma talora bisogna fare un salto nel buio, per contattare il proprio Seme vocazionale; guarire lo sguardo dell’anima, riconoscersi, fiorire; fare vera Comunione
«Too pure water has no fish». Accepting ourselves will complete us: it will make us recover the co-present, opposite and shadowed sides. It’s the leap of profound Faith. And seems incredible, but the Rock on which we build the way of being believers is Freedom
«L’acqua troppo pura non ha pesci». Accettarsi ci completerà: farà recuperare i lati compresenti, opposti e in ombra. È il balzo della Fede profonda. Sembra incredibile, ma la Roccia sulla quale edifichiamo il modo di essere credenti è la Libertà
Our shortages make us attentive, and unique. They should not be despised, but assumed and dynamized in communion - with recoveries that renew relationships. Falls are therefore also a precious signal: perhaps we are not using and investing our resources in the best possible way. So the collapses can quickly turn into (different) climbs even for those who have no self-esteem
Le nostre carenze ci rendono attenti, e unici. Non vanno disprezzate, ma assunte e dinamizzate in comunione - con recuperi che rinnovano i rapporti. Anche le cadute sono dunque un segnale prezioso: forse non stiamo utilizzando e investendo al meglio le nostre risorse. Così i crolli si possono trasformare rapidamente in risalite (differenti) anche per chi non ha stima di sé
God is Relationship simple: He demythologizes the idol of greatness. The Eternal is no longer the master of creation - He who manifested himself strong and peremptory; in his action, again in the Old Covenant illustrated through nature’s irrepressible powers
Dio è Relazione semplice: demitizza l’idolo della grandezza. L’Eterno non è più il padrone del creato - Colui che si manifestava forte e perentorio; nella sua azione, ancora nel Patto antico illustrato attraverso le potenze incontenibili della natura
What kind of Coming is it? A shortcut or an act of power to equalize our stormy waves? The missionaries are animated by this certainty: the best stability is instability: that «Deluge» Coming, where no wave resembles the others
Che tipo di Venuta è? Una scorciatoia o un atto di potenza che pareggi le nostre onde in tempesta? I missionari sono animati da questa certezza: la migliore stabilità è l’instabilità: quel «Diluvio» che Viene, dove nessuna onda somiglia alle altre

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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