Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
Solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria [8 Dicembre]
Testi biblici: Gn3, 9…20 – Ep 1, 3…12 – Lc 1, 26-38 Dio ci benedica e la Vergine ci protegga! Invece di commentare le letture propongo una meditazione teologica e spirituale sulla Immacolata Concezione a partire da San Paolo e facendo riferimento alla tradizione della Chiesa e alla liturgia.
1. San Paolo e Maria: un legame nascosto ma reale Anche se Paolo parla quasi per nulla direttamente della Vergine Maria, il suo insegnamento sull’elezione, santità e predestinazione dei cristiani (Ef 1,4-11) illumina profondamente il mistero di Maria. San Paolo afferma che tutti i battezzati sono eletti, santi e immacolati. Applicando questo a Maria, comprendiamo che ciò che vale per l’intera Chiesa si realizza in lei in modo perfetto e anticipato.
2. Il mistero della Chiesa illumina il mistero di Maria Nella cammino della teologia soprattutto nei primi secoli, si è compreso Maria a partire dalla Chiesa: Maria è ciò che la Chiesa è chiamata a diventare. Ciò che in noi è parziale, in lei è perfetto. È “la prima in cammino”: prima per tempo, prima per perfezione. Maria è la “prima” in due sensi: cronologicamente prima ad accogliere Cristo, prima a condividere la sua Passione, prima ad entrare nella gloria con corpo e anima. Qualitativamente: nessuno ha accolto Cristo con maggiore purezza, amore e libertà. La sua grazia unica non la separa da noi, ma manifesta ciò che Dio vuole realizzare in tutta la Chiesa. L’Immacolata Concezione non è un privilegio isolato, ma la piena realizzazione della vocazione di ogni cristiano: Maria è preservata dal peccato in vista dei meriti di Cristo. Noi siamo salvati dal peccato attraverso i meriti di Cristo (battesimo, sacramenti, conversione). Le traiettorie sono le stesse; in Maria sono solo anticipate e portate a perfezione grazie alla sua totale obbedienza e totale abbandono nella volontà di Dio: Maria non ha fatto la volontà divina ma ha vissuto interamente nella volontà di Dio. E’ qui la chiave della sua vita: tentata come tutti compreso Gesù, ha sconfitto Satana scegliendo di vivere sempre e completamente nella volontà del Padre e per questo è ora segno di sicura speranza per noi tutti
3. Perché Maria è Immacolata? La ragione è profondamente semplice: per essere veramente Madre di Dio. Per amare Gesù per ciò che è realmente — vero Dio e vero uomo — Maria doveva essere totalmente libera dal peccato, totalmente aperta all’amore, capace di accogliere Dio senza ostacoli. L’Immacolata Concezione è un dono d’amore: Dio la forma così per amore del Figlio e per amore nostro, perché Maria diventi Madre del Salvatore e Madre della Chiesa. Scrive san Giovanni Damasceno: “Come Eva ha collaborato alla caduta, Maria ha cooperato alla redenzione: immacolata, ha portato la vita a colui che doveva dare la vita al mondo.” E san Bartolo Longo recentemente canonizzato osserva: “L’Immacolata non è solo un titolo, ma un mistero vivo: Dio l’ha creata tutta pura per farne la Madre del Redentore.”
4. Maria ci precede per indicarci il nostro destino. Maria non schiaccia, non umilia, non allontana: mostra ciò che noi saremo nella gloria; è anticipo di ciò che la Chiesa diventerà; la sua santità è promessa della nostra. In lei vediamo la meta della vita cristiana. Maria riceve l’annuncio dell’angelo liberamente e Il suo “fiat” apre la porta alla salvezza. Oggi anche la Chiesa, come Maria, è chiamata ad annunciare Cristo, a portare il suo amore nel mondo, a dire il proprio “sì” nella storia. Dio ha bisogno delle nostre mani, dei nostri occhi, delle nostre abbra, del nostro cuore: come Maria, siamo chiamati a essere portatori di luce e lo possiamo essere nella misura in cui in noi vive la volontà di Dio come protagonista di tutta la nostra esistenza.
5. Che significa essere “immacolati” oggi? Per noi non significa essere senza peccato, ma accogliere l’azione di Dio nella nostra vita. Significa vivere aperti alla grazia, dire il nostro “sì” quotidiano, lasciarci purificare e trasformare dallo Spirito, diventare trasparenti per mostrare Cristo nel mondo. L’Immacolata Concezione diventa così una vocazione e un cammino. “La verità sull’Immacolata Concezione mi sembrava la più difficile da accettare … quando finalmente l’ho accolta, tutto si è chiarito: la mia fede ha trovato senso.” (testimonianza riportata sul sito CatholicConvert.com nel racconto di Delores, una donna che narra la sua conversione al cattolicesimo).
Elementi importanti da ricordare: +Maria è compresa a partire dalla Chiesa: ciò che è vero per tutti i battezzati è perfetto in lei. +Immacolata perché Madre di Dio: per amare pienamente il Figlio, doveva essere totalmente libera dal peccato +“Prima in cammino”: prima nel tempo e nella qualità dell’amore e della santità.+La sua grazia è promessa per noi: ciò che lei vive già, la Chiesa e i cristiani lo vivranno appieno nella gloria. +Predestinazione condivisa: Maria è preservata dal peccato; noi siamo salvati dal peccato. +Il “fiat” di Maria come modello: Dio chiama, ma attende la nostra libertà; il sì apre la via alla missione. +Essere immacolati oggi: significa accogliere Dio, lasciarsi purificare, diventare trasparenza della sua luce. +Maria non toglie nulla a Dio: è “eco di Dio”; venerarla significa onorare l’opera di Dio in lei. +Maria indica il nostro destino: in lei vediamo ciò che Dio vuole realizzare in ognuno di noi. +L’Immacolata è un dono d’amore: di Dio a Maria e di Maria al mondo.
*Ecco una brevissima sintesi storica dei principali difensori medievali dell’Immacolata Concezione: Sant’Alberto Magno (1200‑1280) – Teologo domenicano; aperto all’idea della preservazione di Maria dal peccato originale, ma senza definirla definitivamente. San Tommaso d’Aquino (1225‑1274) – Teologo domenicano; sosteneva che Maria fosse redenta «dopo il peccato originale», quindi non immacolata fin dal concepimento. Duns Scoto (1266‑1308) – Teologo francescano; difensore principale dell’Immacolata Concezione. Maria fu preservata dal peccato originale fin dal primo istante, grazie ai meriti di Cristo anticipati da Dio. Guglielmo di Ockham (1287‑1347) – Francescano; sostenitore della posizione di Scoto, pur con alcune sfumature filosofiche. L’idea centrale di Scoto: Maria immacolata fin dal concepimento, preservata dalla grazia di Dio grazie ai meriti futuri di Cristo, anticipando il dogma ufficiale definito nel 1854.
+ Giovanni D’Ercole
2a Domenica di Avvento (anno A) [7 Dicembre 2025]
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga! Da questa domenica oltre al finale riassunto sintetico degli elementi più importanti di ogni lettura unisco un breve commento di un Padre della Chiesa al Vangelo.
*Prima Lettura dal libro del profeta Isaia (11,1-10)
Isaia parla della radice di Iesse e si riferisce alla discendenza del re Davide. Iesse aveva otto figli, Dio fece scegliere a Samuele non il più forte o il maggiore, ma il più giovane: Davide, il pastore, che divenne il più grande re d’Israele. Da quel momento Iesse divenne il capostipite di una dinastia rappresentata spesso come un albero destinato a un grande futuro, che non sarebbe mai dovuto morire. Il profeta Natan aveva promesso a Davide che i suoi discendenti avrebbero regnato per sempre e avrebbero portato al popolo unità e pace. Ma nella storia, i re della sua discendenza non hanno mantenuto pienamente queste promesse. Tuttavia, proprio dalle delusioni nasce una speranza più forte: se Dio ha promesso, allora si compirà. Come nasce l’idea di Messia? Il termine “messia” (in ebraico mashiach = “unto”) in origine indicava ogni re, perché veniva “unto” con l’olio nel giorno dell’incoronazione. Col tempo, però, la parola “messia” ha assunto il senso di “re ideale”, colui che porta giustizia, pace e felicità. Quando Isaia dice: “Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse”, significa: anche se la dinastia di Davide sembra un albero morto, Dio può far nascere un germoglio nuovo, un re ideale: il Messia, che sarà guidato dallo Spirito del Signore. Su di lui riposeranno i sette doni dello Spirito, simbolo della pienezza: sapienza, intelligenza, spirito di consiglio, e di fortezza, conoscenza, di timore del Signore che non è paura, ma fiducia e rispetto da figlio. Il Messia governerà come Dio vuole: con giustizia e fedeltà e il suo compito sarà fare guerra all’ingiustizia: Giudicherà con giustizia i miseri … non secondo l’apparenza… farà morire la malvagità con il soffio delle sue labbra. “L’empio” non indica una persona, ma la malvagità stessa come dire “fare la guerra alla guerra”. Isaia descrive un mondo dove il lupo vive con l’agnello, il bambino gioca senza paura, non c’è più violenza né conflitto. Non è un ritorno al paradiso terrestre, ma il compimento finale del progetto di Dio, quando la conoscenza del Signore riempirà la terra. La radice di Iesse sarà un segno per tutti i popoli e il Messia non riguarda solo Israele, ma tutte le nazioni. Gesù stesso riprenderà questa idea: “Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me.” (Gv 12,32) Isaia predica nel VIII secolo a.C., in un tempo di pressione politica e minacce da parte di imperi vicini. L’albero di Davide sembra proprio morto, ma Isaia invita a non perdere la speranza. La “favola degli animali” usa simboli per parlare degli uomini, come farà molti secoli dopo La Fontaine e costituisce una promessa di pace, di fraternità e di riconciliazione universale. Martin Luther King, nel suo discorso “I have a dream”, si ispirerà direttamente a queste immagini usate da Isaia (Cf.11, 2): un mondo dove giustizia e fraternità vincono la violenza.
Il tema centrale si riassume in una frase: Dal tronco apparentemente morto della dinastia di Davide, Dio è così fedele che, quando tutto sembra finito, fa rinascere la sua promessa da un frammento, da un ceppo: la speranza nasce proprio là dove l’uomo non vede più nulla. Dio farà sorgere un Messia guidato dallo Spirito, che combatterà l’ingiustizia e porterà la pace universale a tutti i popoli. Dio è fedele, e anche da un tronco morto può far nascere vita nuova. È la pace messianica, la riconciliazione finale della creazione.Ci sono momenti in cui anche noi ci sentiamo come un albero tagliato: fallimenti, delusioni, peccati ripetuti, relazioni spezzate, progetti che non si realizzano, comunità che sembrano perdere forza. Isaia annuncia: Dio non ha finito anche con te e proprio dove tu non vedi futuro, Lui vede un germoglio. Continua anche tu a sperare perché Dio vede germogli dove noi vediamo solo legno secco.
*Salmo responsoriale (71/72, 1-2.7-8.12-13.17)
Il Salmo 71/72 è una preghiera nata dopo l’esilio babilonese, in un tempo in cui non esisteva più un re in Israele. Ciò significa che il salmo non parla più di un sovrano terreno, ma del re promesso da Dio: il Messia. Poiché è Dio a prometterlo, la realizzazione è certa. L’intera Bibbia è attraversata da una speranza indistruttibile: la storia ha un significato e una direzione e Dio ha un progetto di felicità per l’umanità. Questo progetto assume nomi diversi (Giorno del Signore, Regno dei cieli, Disegno benevolo), ma è sempre lo stesso: come un innamorato che ripete parole d’amore, Dio ripropone senza stancarsi il suo piano di salvezza.
Questo progetto è annunciato fin dall’inizio, nella vocazione di Abramo (Gen 12,3): “In te saranno benedette tutte le famiglie della terra”. La rivelazione è dunque universale fin dall’origine. Israele è eletto non per gestire un privilegio, ma per essere servizio e segno per tutti i popoli. Il salmo riprende questa promessa: nel Messia tutte le nazioni saranno benedette e lo chiameranno beato. Riprende anche l’altra promessa ad Abramo (Gen 15,18), cioè il dono della terra “dal torrente d’Egitto al grande fiume”. In eco, il salmo dice: “Dominerà da mare a mare e dal Fiume ai confini della terra”. Il libro del Siracide (Sir 44,21) conferma questa lettura, collegando insieme benedizione universale, moltiplicazione della discendenza ed eredità estesa. Anche se oggi un’idea di sovrano universale può sembrare lontana dalla sensibilità democratica e anzi si teme l’imposizione di un’autorità mondiale occulta che dominerebbe l’intera umanità, la Bibbia ricorda che ogni sovrano è solo uno strumento nelle mani di Dio, e ciò che conta è il popolo considerando un solo vasto opolo l’intera umanitàe il salmo annuncia un’umanità pacificata: In quei giorni fiorirà la giustizia, grande pace fino alla fine dei tempi, sconfitte la povertà e l’oppressione. Il sogno di giustizia e pace attraversa tutta la Scrittura: Gerusalemme significa “città della pace”; Deuteronomio 15 afferma che non ci sarà più alcun povero. Il salmo si inserisce in questa linea: il Messia soccorrerà il povero che invoca, il debole senza aiuto, il misero che non ha difesa. La preghiera del salmo non serve a ricordare a Dio le sue promesse, perché Dio non dimentica. Serve invece all’uomo per imparare a guardare il mondo con gli occhi di Dio, ricordare il suo progetto e trovare la forza per lavorare alla sua realizzazione. Giustizia, pace e liberazione dei poveri non arriveranno magicamente: Dio invita i credenti a cooperare, lasciandosi guidare dallo Spirito Santo con luce, forza e grazia.
Elementi importanti da ricordare: +Il Salmo 72 è messianico: scritto quando non c’erano più re, annuncia il Messia promesso da Dio.+La storia ha un senso: Dio ha un progetto di felicità per tutta l’umanità.+Le promesse ad Abramo sono il fondamento: benedizione universale e eredità senza confini.+Il Messia sarà strumento di Dio, al servizio del popolo e non del potere.+Il mondo che viene sarà segnato da giustizia, pace e fine della povertà. +La preghiera non serve a convincere Dio, ma educa noi: apre gli occhi al progetto divino. +La pace e la giustizia arriveranno anche attraverso l’impegno umano guidato dallo Spirito.
*Seconda Lettura dalla lettera di san Paolo ai Romani (15, 4-9)
San Paolo scrive ai Romani: “Tutto ciò che è stato scritto prima di noi , è stato scritto per la nostra istruzione …perché teniamo viva la speranza”. Questa frase è la chiave per leggere tutta la Bibbia: la Scrittura esiste per illuminare, liberare, dare speranza. Se un testo sembra oscuro o duro, ciò significa semplicemente che non l’abbiamo ancora compreso fino in fondo: la Buona Notizia è sempre presente e bisogna scavare per trovarla, come in un tesoro nascosto. La Scrittura alimenta la speranza perché annuncia in ogni pagina un unico progetto di Dio: quel “disegno misericordioso” che è la grande storia d’amore di Dio con l’umanità. Tutta la Bibbia, dall’Antico al Nuovo Testamento, ha un solo soggetto: il progetto di salvezza e di comunione che Dio vuole realizzare nel Messia. Paolo passa poi a un tema concreto: i cristiani di Roma erano divisi. C’erano due gruppi: cristiani provenienti dal giudaismo, ancora legati alle pratiche religiose e alimentari ebraiche; cristiani provenienti dal paganesimo, che consideravano tali osservanze superate. Da questa diversità nascevano discordie, giudizi reciproci e sospetto. Le divergenze liturgiche e culturali diventavano scontri veri e propri. Una situazione molto simile alle tensioni che esistono anche oggi nella Chiesa tra sensibilità diverse. Paolo non propone di dividere la comunità in due gruppi separati. Propone invece la via della coabitazione, la costruzione della pace, la pazienza e la tolleranza reciproca, invitando tutti a ricercare ciò che favorisce la pace e ciò che edifica la comunità. Ognuno cerchi il bene dell’altro e “il Dio della perseveranza e della consolazione” vi conceda di vivere concordi secondo Cristo. Il principio fondamentale è: “Accoglietevi gli uni gli altri come Cristo ha accolto voi”. Paolo ricorda che Cristo ha preso su di sé la missione del Servo di Dio annunciato da Isaia: scelto ed eletto da Dio, formato ogni mattina dalla Parola, donatore della propria vita, portatore di salvezza a tutte le nazioni. Cristo, morendo e risorgendo, ha unito i Giudei, salvati in continuità con la loro Alleanza e i pagani, salvati dalla gratuita misericordia divina. Per questo nessuno può vantare una superiorità, anzi tutto è grazia, tutto è dono del Cristo e il vero culto è questo: superare il passato, riconoscere il dono ricevuto, accogliersi senza distinzioni, cantare insieme la fedeltà e la misericordia di Dio.
Elementi importanti da ricordare: +La Scrittura esiste per dare speranza. Ogni pagina della Bibbia è Buona Notizia. Se non troviamo liberazione, non abbiamo ancora capito il testo. + La Bibbia annuncia un unico progetto. Il “disegno provvidenziale” di Dio: portare l’umanità alla comunione e alla salvezza tramite il Messia. +Paolo corregge una comunità divisa: A Roma c’erano tensioni tra cristiani di origine ebraica e pagana. Le differenze pratiche e culturali creavano giudizi e conflitti. La soluzione cristiana non è separarsi. Paolo propone coabitazione, pazienza, edificazione reciproca. La comunità è un “edificio” che va costruito con pace e tolleranza. +Il modello è Cristo Servo che ha unito tutti: ebrei e pagani. Nessuno può vantarsi: tutto è grazia. +Parola d’ordine: accoglienza: Accoglietevi come Cristo vi ha accolti. La Chiesa è viva quando supera le divisioni e vive la misericordia.
*Dal Vangelo secondo Matteo (3,1-12)
Quando Giovanni Battista inizia la sua predicazione, la Giudea è sotto dominazione romana da 90 anni, Erode è al potere ma profondamente detestato; le correnti religiose sono divise e confuse; ci sono collaborazionisti, resistenti, falsi profeti, agitatori messianici. Il popolo è stanco e disorientato e in questo clima nasce la predicazione di Giovanni che vive nel deserto di Giudea (tra Gerusalemme e il Giordano). Matteo insiste sul senso spirituale del deserto: ricorda l’Esodo, l’Alleanza, la purificazione, il rapporto d’amore tra Dio e Israele (Osea) e vede il deserto come il luogo del ritorno alla verità e della decisione. In Giovanni tutto richiama i grandi profeti: Veste di peli di cammello, si ciba di locuste e miele, vive con uno stile ascetico. Molti lo considerano il possibile ritorno di Elia, atteso per preparare la venuta di Dio (Ml 3,23). La sua predicazione ha il doppio tono profetico: Dolce e consolante per gli umili; duro e provocatorio per gli orgogliosi. L’espressione “razza di vipere” non è un insulto personale, ma un modo per dire: “state seguendo la logica del serpente tentatore”, ed è quindi un invito a cambiare atteggiamento. Giovanni invita tutti a compiere un retto discernimento nella propria vita: ciò che è sano rimanga, ciò che è corrotto venga eliminato. E per essere incisivo usa immagini forti: Fuoco che brucia la paglia (richiamo al profeta Malachia), setaccio che separa grano e pula, aia dove si compie la scelta - e questo è il significato: Tutto ciò che in noi è morte sarà purificato; tutto ciò che è autentico sarà salvato e custodito. È un giudizio liberante, non distruttivo. Giovanni annuncia Gesù: “Io vi battezzo nell’acqua, ma colui che viene dopo di me…vi battezzerà nello Spirito Santo e fuoco”. Solo Dio può dare lo Spirito e dunque Giovanni afferma implicitamente la divinità di Gesù. Le immagini usate:“Più forte di me” è un attributo tipico di Dio. “Non sono degno di portargli o sciogliergli i sandali”: con questo riconosce in Gesù una dignità divina. Pur essendo maestro seguito da discepoli, Giovanni si mette in seconda fila; riconosce la superiorità di Gesù e apre la strada al Messia. La sua grandezza consiste proprio nel far spazio. Matteo lo mostra come “voce nel deserto” con riferimento a Isaia 40,3, legato anche a Elia (2 Re 1,8; Ml 3,23), nella linea dei profeti per introdurre Gesù come Dio presente e giudice. I capitoli 3-4 di Matteo sono una cerniera: Qui comincia la predicazione del Regno.
Elementi importanti da ricordare: +Giovanni appare in un contesto di oppressione e confusione morale: la sua parola porta luce e discernimento. +Il deserto è luogo di nuova alleanza, verità e conversione. +Giovanni si presenta con segni profetici (vestito, cibo, stile) che ricordano Elia. +La sua predicazione è doppia: consolazione ai piccoli, provocazione per chi è sicuro di sé. +Il giudizio è interiore, non contro categorie di persone: purifica il male in ciascuno. Il fuoco non distrugge l’uomo, ma ciò che in lui è morto: è un fuoco d’amore e verità. +Gesù compie la purificazione battezzando nello Spirito Santo, cosa che solo Dio può fare e Giovanni riconosce la divinità di Gesù con gesti di grande umiltà. +La grandezza del Precursore sta nel farsi da parte per lasciare spazio al Messia e Matteo lo colloca come ponte tra l’Antica e la Nuova Alleanza, inaugurando la predicazione del Regno.
San Giovanni Crisostomo – Commento a Matteo 3,1-12
“Giovanni appare nel deserto non per caso, ma per richiamare l’antico cammino di Israele.
Nel deserto Israele fu educato, e nel deserto ora ricomincia la conversione. Il suo abito rude e il cibo semplice mostrano che egli è libero da ogni vanità, come Elia. Per questo il popolo, stanco dei capi del tempo, accorre a lui: vede in Giovanni un uomo veritiero, che non cerca la gloria ma conduce alla verità.” Poi Crisostomo spiega il contenuto profetico e morale della predicazione di Giovanni: Chiamando “razza di vipere” non li insulta, ma li scuote perché si rendano conto del veleno che li corrompe. Non attacca le persone, ma il male che le possiede.
Il giudizio che annuncia non è contro gli uomini, ma contro le loro opere cattive: il fuoco brucia la colpa, non la natura dell’uomo.” E riguardo all’annuncio del Messia: “Dicendo: “Viene dopo di me Uno più forte di me”, Giovanni non si paragona a un altro uomo, ma a Dio. Poiché solo di Dio si dice che è il Forte. E quando aggiunge: “Vi battezzerà nello Spirito Santo”, confessa apertamente che Colui che viene ha potere divino. Per questo dichiara di non essere degno neppure di sciogliergli i sandali: non perché disprezzi se stesso, ma perché riconosce la grandezza di Cristo.” Infine, Crisostomo interpreta la missione del Precursore:
“La sua grandezza consiste nel diminuire perché Cristo cresca. È la voce che prepara la Parola; è il ponte che congiunge l’Antica Alleanza alla Nuova. Egli mostra che tutto ciò che i profeti attendevano si compie ora: il Re è vicino, e il Regno comincia.»
+Giovanni D’Ercole
Valore dell'unicità imperfetta
(Mt 18,12-14)
Gesù si guarda bene dal proporre un universalismo dettato o pianificato, come se il suo fosse un modello ideale, «allo scopo di omogeneizzare» [FT n.100].
Il tipo di Comunione che il Signore ci propone non mira a «un’uniformità unidimensionale che cerca di eliminare tutte le differenze e le tradizioni in una superficiale ricerca di unità».
Perché «il futuro non è “monocromatico” ma se ne abbiamo il coraggio è possibile guardarlo nella varietà e nella diversità degli apporti che ciascuno può dare. Quanto ha bisogno la nostra famiglia umana di imparare a vivere insieme in armonia e pace senza che dobbiamo essere tutti uguali!».
Nel Figlio, Dio viene rivelato non più come proprietà esclusiva, bensì Potenza d’un Amore che perdona gli emarginati e smarriti: salva e crea, liberando.
Sembra un’utopia impossibile da realizzare nel concreto (oggi della crisi globale) ma è il senso del passaggio di consegne alla Chiesa, chiamata a farsi incessante pungolo d’Infinito e fermento d’un mondo alternativo, per lo sviluppo umano integrale.
Come sottolinea ancora l’enciclica Fratelli Tutti: Gesù - nostro Motore e Motivo - «aveva un cuore aperto, che faceva propri i drammi degli altri» [n.84].
In tal guisa, attraverso una domanda assurda (formulata in modo retorico), Gesù vuole destare la coscienza dei “giusti”: c’è un lato di noi che suppone di sé, molto pericoloso perché porta all’esclusione e all’abbandono.
Invece l’Amore inesauribile cerca. E trova l’imperfetto e irrequieto.
La palude di energia stagnante che si genera accentuando i confini non fa crescere nessuno: blocca nelle solite posizioni e lascia che ciascuno si arrangi o si perda. Per disinteresse interessato - che impoverisce tutti.
Tutto ciò faceva cadere le virtù creative nella disperazione.
Invece Dio è alla ricerca di colui che vaga malfermo, facilmente si disorienta, smarrisce la strada.
Peccatore eppure vero, quindi più disposto all’Amore genuino. Per questo motivo il Padre è alla ricerca dell’insufficiente.
La persona così limpida e spontanea - anche se debole - cela la sua parte migliore e ricchezza vocazionale proprio dietro i lati apparentemente detestabili. Forse ch’egli stesso non apprezza.
Questo il principio di Redenzione che sbalordisce e rende interessanti i nostri percorsi spesso distratti, condotti a fiuto, come “a tentativo ed errore” - nella Fede generando però autostima, credito, pienezza e gioia.
Insomma, Gesù non viene per puntare il dito sui ‘momenti no’, ma per recuperare, facendo leva sul coinvolgimento intimo.
Questo lo stile di una Chiesa dal Cuore Sacro, amabile, elevato e benedetto.
[Martedì 2.a sett. Avvento, 9 dicembre 2025]
Valore dell'unicità imperfetta
(Mt 18,12-14)
Il cambiamento di rotta e di sorte del Regno. Un Dio in ricerca dei perduti e disuguali, per dilatarci la vita. Cristologia del Pallio, potenza delle carezze, energia gioiosa (nella dissociazione).
Dice il Tao Tê Ching (x): «Preserva l’Uno dimorando nelle due anime: sei capace di non farle separare?».
Anche nel cammino spirituale, Gesù si guarda bene dal proporre un universalismo dettato o pianificato, come se il suo fosse un modello ideale, «allo scopo di omogeneizzare» [Fratelli Tutti n.100].
Il tipo di Comunione che il Signore ci propone non mira a «un’uniformità unidimensionale che cerca di eliminare tutte le differenze e le tradizioni in una superficiale ricerca di unità».
Perché «il futuro non è “monocromatico” ma se ne abbiamo il coraggio è possibile guardarlo nella varietà e nella diversità degli apporti che ciascuno può dare. Quanto ha bisogno la nostra famiglia umana di imparare a vivere insieme in armonia e pace senza che dobbiamo essere tutti uguali!» [da un Discorso ai giovani in Tokyo, novembre 2019].
Sebbene la pietà e la speranza dei rappresentanti della religiosità ufficiale fosse fondata su una struttura di sicurezze umane, etniche, culturali e una visione del Mistero consolidati da una grande tradizione, Gesù sgretola tutte le prevedibilità.
Nel Figlio, Dio viene rivelato non più come proprietà esclusiva, bensì Potenza d’Amore che perdona gli emarginati e smarriti: salva e crea, liberando. E mediante i discepoli dispiega il suo Volto che recupera, abbatte le barriere consuete, chiama moltitudini misere.
Sembra un’utopia impossibile da realizzare nel concreto (oggi della crisi sanitaria e globale) ma è il senso del passaggio di consegne alla Chiesa, chiamata a farsi incessante pungolo d’Infinito e fermento d’un mondo alternativo, per lo sviluppo umano integrale:
«Sogniamo come un’unica umanità, come viandanti fatti della stessa carne umana, come figli di questa stessa terra che ospita tutti noi, ciascuno con la ricchezza della sua fede o delle sue convinzioni, ciascuno con la propria voce, tutti fratelli!» [FT n.8].
Attraverso una domanda assurda (formulata in modo retorico) Gesù vuole destare la coscienza dei “giusti”: c’è una controparte di noi che suppone di sé, molto pericolosa, perché porta all’esclusione, all’abbandono.
Invece l’Amore inesauribile cerca. E trova l’imperfetto e irrequieto.
La palude di energia stagnante che si genera accentuando i confini non fa crescere nessuno: blocca nelle solite posizioni e lascia che ciascuno si arrangi o si perda. Per disinteresse interessato - che impoverisce tutti.
Tutto ciò faceva cadere le virtù creative nella disperazione.
Fa cadere nella disperazione chi è fuori del giro degli eletti - anteposti che non avevano nulla di superiore. Infatti gli evangelisti li tratteggiano del tutto incapaci di trasalire di gioia umana per il progresso altrui.
Calcolatori, recitanti e conformi - i dirigenti fondamentalisti o troppo sofisticati e disincarnati usano la religione come un’arma.
Invece Dio è agli antipodi degli sterilizzati finti - o del pensiero disincarnato - e alla ricerca di colui che vaga malfermo, facilmente si disorienta, smarrisce la strada.
Peccatore eppure vero, quindi più disposto all’Amore genuino. Per questo motivo il Padre è alla ricerca dell’insufficiente.
La persona così limpida e spontanea - anche se debole - cela la sua parte migliore e ricchezza vocazionale proprio dietro i lati apparentemente detestabili. Forse ch’egli stesso non apprezza.
Questo il principio di Redenzione che sbalordisce e rende interessante i nostri percorsi spesso distratti, condotti a fiuto, come “a tentativo ed errore” - nella Fede generando però autostima, credito, pienezza e gioia.
L’impegno del purificatore e l’impeto del riformatore sono “mestieri” che in apparenza si contrappongono, ma facili facili… e tipici di chi pensa che le cose da contestare e cambiare siano sempre fuori di sé.
Ad esempio nei meccanismi, nelle regole generali, nell’assetto giuridico, nelle visioni del mondo, negli aspetti formali (o istrionici) invece che nell’artigianato del bene particolare concreto; così via.
Sembrano scuse per non guardarsi dentro e mettersi in gioco, per non incontrare i propri stati profondi in tutti i versanti e non solo nelle linee guida. E recuperare o rallegrare individui concretamente smarriti, tristi, in tutti i lati oscuri e difficili.
Ma Dio è agli antipodi degli sterilizzati di maniera o degli idealisti finti, e alla ricerca dell’insufficiente: colui che vaga e smarrisce la strada. Peccatore eppure vero, quindi più disposto all’Amore genuino.
La persona trasparente e spontanea - anche se debole - cela la sua parte migliore e ricchezza vocazionale proprio dietro gli aspetti apparentemente detestabili (forse ch’egli stesso non apprezza).
Chiediamo allora soluzione alle nuove energie interpersonali misteriose, imprevedibili, che entrano in gioco; da dentro le cose.
Senza interferire con idee di passato o di futuro che non vediamo, ovvero opponendosi ad esse. Piuttosto possedendone l’anima, il suo farmaco spontaneo.
Questo il principio della Salvezza che sbalordisce e rende interessanti i nostri percorsi [spesso distratti, condotti a fiuto, come “a tentativo ed errore”] - generando infine autostima, credito e gioia.
L’idea che l’Altissimo sia un notaio o principe di un foro, e che operi netta distinzione fra giusti e trasgressori, è caricatura.
Del resto, una vita da salvati non è produzione propria, né possesso esclusivo o proprietà privata - che si capovolge in doppiezza.
Non è l’atteggiamento schizzinoso, né quello cerebrale, che unisce a Lui. Il Padre non blandisce amicizie supponenti, né ha interessi esterni.
Egli si rallegra con tutti, ed è il bisogno che lo attira a noi. Quindi non temiamo di farci trovare e lasciarci riportare (cf. Lc 15,5) in Casa sua, che è casa nostra.
Se c’è uno smarrimento, vi sarà un ritrovamento, e questo non è una perdita per nessuno - salvo per gli invidiosi nemici della libertà (v.10).
L’Eterno infatti non si compiace di emarginazioni, né intende spegnere il lucignolo fumigante.
Gesù non viene per puntare il dito sui momenti no, ma per recuperare, facendo leva sul coinvolgimento intimo. Forza invincibile di fedeltà.
Questo lo stile d’una Chiesa dal Cuore Sacro, amabile, elevato e benedetto.
[Ciò che attira a partecipare ed esprimersi è sentirsi capiti, restituiti a dignità piena - non condannati].
Diceva Carlo Carretto: «È sentendosi amato, non criticato, che l’uomo inizia il suo cammino di trasformazione».
Come sottolinea ancora l’enciclica Fratelli Tutti:
Gesù - nostro Motore e Motivo - «aveva un cuore aperto, che faceva propri i drammi degli altri» (n.84).
E aggiunge ad esempio della nostra grande Tradizione:
«Le persone possono sviluppare alcuni atteggiamenti che presentano come valori morali: fortezza, sobrietà, laboriosità e altre virtù. Ma per orientare adeguatamente gli atti [...] bisogna considerare anche in quale misura essi realizzino un dinamismo di apertura e di unione [...] Altrimenti avremo solo apparenza».
«San Bonaventura spiegava che le altre virtù, senza la carità, a rigore non adempiono i comandamenti come Dio li intende» (n.91).
Nelle sètte o nei gruppi d’ispirazione unilaterale, per emarginazione saccente le ricchezze umane e spirituali vengono depositate in luogo appartato, così invecchiano e sviliscono.
Nelle assemblee dei figli sono invece condivise: si accrescono e comunicano; moltiplicandosi rinverdiscono, con beneficio universale.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Cosa ti attira della Chiesa? Nei confronti coi primi della classe, ti senti giudicato o adeguato?
Provi l’Amore che salva, anche se permani incerto?
Cristologia del Pallio: tutti siamo portati da Cristo
L’umanità – noi tutti - è la pecora smarrita che, nel deserto, non trova più la strada. Il Figlio di Dio non tollera questo; Egli non può abbandonare l’umanità in una simile miserevole condizione. Balza in piedi, abbandona la gloria del cielo, per ritrovare la pecorella e inseguirla, fin sulla croce. La carica sulle sue spalle, porta la nostra umanità, porta noi stessi – Egli è il buon pastore, che offre la sua vita per le pecore. Il Pallio dice innanzitutto che tutti noi siamo portati da Cristo. Ma allo stesso tempo ci invita a portarci l’un l’altro. Così il Pallio diventa il simbolo della missione del pastore, di cui parlano la seconda lettura ed il Vangelo. La santa inquietudine di Cristo deve animare il pastore: per lui non è indifferente che tante persone vivano nel deserto. E vi sono tante forme di deserto. Vi è il deserto della povertà, il deserto della fame e della sete, vi è il deserto dell’abbandono, della solitudine, dell’amore distrutto. Vi è il deserto dell’oscurità di Dio, dello svuotamento delle anime senza più coscienza della dignità e del cammino dell’uomo. I deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, perché i deserti interiori sono diventati così ampi. Perciò i tesori della terra non sono più al servizio dell’edificazione del giardino di Dio, nel quale tutti possano vivere, ma sono asserviti alle potenze dello sfruttamento e della distruzione. La Chiesa nel suo insieme, ed i Pastori in essa, come Cristo devono mettersi in cammino, per condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia con il Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita, la vita in pienezza.
[Papa Benedetto, omelia inizio ministero petrino 24 aprile 2005]
Potenza delle carezze. Una è unica
Il «lieto annuncio del Natale» è che «viene il Signore con la sua potenza», ma soprattutto che quella potenza «sono le sue carezze», la sua «tenerezza». Una tenerezza che, come il buon pastore con le pecore, è per ognuno di noi: Dio non dimentica mai nessuno di noi, neanche se ci fossimo tragicamente «smarriti» come accadde a Giuda il quale, perso nel suo «buio interiore», è in qualche modo il prototipo, l’«icona» della pecorella della parabola evangelica.
Nell’omelia della messa celebrata a Santa Marta martedì 6 dicembre, Papa Francesco è entrato nel cuore di questo «lieto annuncio» di fronte al quale, si legge nella liturgia del giorno, siamo chiamati a «sincera esultanza». E «davanti al Natale — ha detto il Pontefice — chiediamo questa grazia di ricevere questo lieto annuncio con sincera esultanza e di rallegrarci», ma anche «di lasciare che il Signore ci consoli». Perché, si è chiesto, nella liturgia si parla anche di consolazione? Perché, è stata la sua risposta, «viene il Signore e quando viene il Signore tocca l’anima con questi sentimenti». Infatti «lui viene come un giudice, sì, ma un giudice che carezza, un giudice che è pieno di tenerezza» e «fa di tutto per salvarci». Dio, ha continuato, «giudica con amore, tanto, tanto, tanto che ha inviato suo figlio, e Giovanni sottolinea: non a giudicare ma a salvare, non a condannare ma a salvare». Perciò «sempre il giudizio di Dio ci porta a questa speranza di essere salvati».
Andando più in profondità nella meditazione, il Papa ha preso come riferimento il vangelo del giorno, nel quale Matteo (18, 12-14) parla del buon pastore. Questo giudice «che carezza» e che viene «a salvare», ha detto Francesco, ha «l’atteggiamento del pastore: “Cosa vi pare? Se una delle sue pecore si smarrisce, non lascerà le 99 sui monti e andrà a cercare quella che si è smarrita?”». Anche il Signore, quando viene, «non dice: “Ma, faccio i conti e ne perdo una, 99... è ragionevole...”. No, no. Una è unica». Il pastore infatti, non possiede semplicemente 99 pecore, ma ne «ha una, una, una, una, una...»: cioè «ognuna è diversa». Ed egli «ama ognuna personalmente. Non ama la massa indistinta. No! Ci ama per nome, ci ama come siamo».
Seguendo il filo dell’analogia, il Pontefice ha spiegato che quella pecora smarrita il pastore «la conosceva bene», non si era persa, «conosceva bene il cammino»: si era persa «perché aveva il cuore smarrito, aveva il cuore malato. Era accecata da qualcosa interiore e, mossa da quella dissociazione interiore, fuggì al buio per sfogarsi». Ma «non era una ragazzata quella che ha fatto lei... È scappata: una fuga proprio per allontanarsi dal Signore, per saziare quel buio interiore che la portava alla doppia vita», a «essere nel gregge e scappare dal buio, nel buio». Ed ecco il messaggio consolatorio: «Il Signore conosce queste cose e lui va a cercarla».
È a questo punto che Papa Francesco ha introdotto un altro elemento nella sua meditazione: «Per me, la figura che più mi fa capire l’atteggiamento del Signore con la pecora smarrita è l’atteggiamento del Signore con Giuda. La pecora smarrita più perfetta nel Vangelo è Giuda». Egli infatti, ha ricordato il Pontefice, è «un uomo che sempre, sempre aveva qualcosa di amarezza nel cuore, qualcosa da criticare degli altri, sempre in distacco»: un uomo che non conosceva «la dolcezza della gratuità di vivere con tutti gli altri». E giacché questa “pecora” «non era soddisfatta», allora «scappava».
Giuda, ha detto il Papa, «scappava perché era ladro», altri «sono lussuriosi» e ugualmente «scappano perché c’è quel buio nel cuore che li distacca dal gregge». Siamo di fronte a «quella doppia vita» che è «di tanti cristiani» e anche — ha aggiunto «con dolore» — di «preti» e «vescovi». Del resto, anche «Giuda era vescovo, era uno dei primi vescovi...».
Quindi anche Giuda è una «pecora smarrita» ha concluso Francesco aggiungendo: «Poveretto! Poveretto questo fratello Giuda come lo chiamava don Mazzolari, in quel sermone tanto bello: “Fratello Giuda, cosa succede nel tuo cuore?”».
Si tratta di una realtà alla quale anche i cristiani di oggi non sono estranei. Perciò «anche noi dobbiamo capire le pecore smarrite». Infatti, ha sottolineato il Papa, «anche noi abbiamo sempre qualcosina, piccolina o non tanto piccolina, delle pecore smarrite». Dobbiamo quindi capire che «non è uno sbaglio quello che ha fatto la pecora smarrita: è una malattia, è una malattia che aveva nel cuore» e di cui il diavolo approfitta. Riprendendo il paragone usato in precedenza, il Pontefice ha ripercorso gli ultimi momenti della vita di Giuda: «quando è andato al tempio a fare la doppia vita», quando ha dato «il bacio al Signore all’orto», e poi «le monete che ha ricevuto dai sacerdoti...». E ha commentato: «non è uno sbaglio. Lo ha fatto... Era nel buio! Aveva il cuore diviso, dissociato. “Giuda, Giuda...». Perciò si può dire che egli «è l’icona della pecora smarrita».
Gesù, «il pastore, va a cercarlo: “Fa’ quello che devi fare, amico”, e lo bacia». Ma Giuda «non capisce». E alla fine, quando si rende conto di «quello che la propria doppia vita ha fatto nella comunità, il male che ha seminato, col suo buio interiore, che lo portava a scappare sempre, cercando luci che non erano la luce del Signore» ma «luci artificiali», come quelle degli «addobbi di Natale», quando capisce tutto questo, alla fine «si è disperato». Ed è quello che accade «se le pecore smarrite non accettano le carezze del Signore».
Ma c’è ancora un ulteriore livello di profondità al quale è scesa la riflessione del Papa. Il quale, facendo notare che «il Signore è buono, anche per queste pecore» e non smette mai di andare a cercarle», ha evidenziato una parola che ritroviamo nella Bibbia, «una parola che dice che Giuda si è impiccato, impiccato e “pentito”». E ha commentato: «Io credo che il Signore prenderà quella parola e la porterà con sé, non so, può darsi, ma quella parola ci fa dubitare». Soprattutto ha sottolineato: «Ma quella parola cosa significa? Che fino alla fine l’amore di Dio lavorava in quell’anima, fino al momento della disperazione». Ed è proprio questo, ha detto chiudendo il cerchio della sua riflessione, «l’atteggiamento del buon pastore con le pecore smarrite».
Ecco allora «l’annuncio» di cui si parlava all’inizio dell’omelia, «il lieto annuncio che ci porta il Natale e che ci chiede questa sincera esultanza che cambia il cuore, che ci porta a lasciarci consolare dal Signore e non dalle consolazioni che noi andiamo a cercare per sfogarci, per fuggire dalla realtà, fuggire dalla tortura interiore, dalla divisione interiore». Il «lieto annuncio», la «sincera esultanza», la «consolazione», il «rallegrarsi nel Signore» scaturiscono dal fatto che «viene il Signore con la sua potenza. E quale è la potenza del Signore? Le carezze del Signore!». È come il buon pastore che «quando ha trovato la pecora smarrita non l’ha insultata, no», anzi, le avrà detto: «Ma hai fatto tanto male? Vieni, vieni...». E allo stesso modo, «nell’orto degli ulivi» cosa ha detto alla “pecora smarrita”, Giuda? Lo ha chiamato «amico. Sempre le carezze».
Di fronte a tutto ciò il Papa a questo punto ha affermato: «Chi non conosce le carezze del Signore non conosce la dottrina cristiana. Chi non si lascia carezzare dal Signore è perduto». Ed è proprio «questo il lieto annuncio, questa è la sincera esultanza che noi oggi vogliamo. Questa è la gioia, questa è la consolazione che cerchiamo: che venga il Signore con la sua potenza, che sono le carezze, a trovarci, a salvarci, come la pecora smarrita e a portarci nel gregge della sua Chiesa».
La conclusione è stata, come di consueto, una preghiera: «Che il Signore ci dia questa grazia, di aspettare il Natale con le nostre ferite, con i nostri peccati, sinceramente riconosciuti, di aspettare la potenza di questo Dio che viene a consolarci, che viene con potere, ma il suo potere è la tenerezza, le carezze che sono nate dal suo cuore, il suo cuore tanto buono che ha dato la vita per noi».
[Papa Francesco, s. Marta, in L’Osservatore Romano 07/12/2016]
L’umanità – noi tutti - è la pecora smarrita che, nel deserto, non trova più la strada. Il Figlio di Dio non tollera questo; Egli non può abbandonare l’umanità in una simile miserevole condizione. Balza in piedi, abbandona la gloria del cielo, per ritrovare la pecorella e inseguirla, fin sulla croce. La carica sulle sue spalle, porta la nostra umanità, porta noi stessi – Egli è il buon pastore, che offre la sua vita per le pecore. Il Pallio dice innanzitutto che tutti noi siamo portati da Cristo. Ma allo stesso tempo ci invita a portarci l’un l’altro. Così il Pallio diventa il simbolo della missione del pastore, di cui parlano la seconda lettura ed il Vangelo. La santa inquietudine di Cristo deve animare il pastore: per lui non è indifferente che tante persone vivano nel deserto. E vi sono tante forme di deserto. Vi è il deserto della povertà, il deserto della fame e della sete, vi è il deserto dell’abbandono, della solitudine, dell’amore distrutto. Vi è il deserto dell’oscurità di Dio, dello svuotamento delle anime senza più coscienza della dignità e del cammino dell’uomo. I deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, perché i deserti interiori sono diventati così ampi. Perciò i tesori della terra non sono più al servizio dell’edificazione del giardino di Dio, nel quale tutti possano vivere, ma sono asserviti alle potenze dello sfruttamento e della distruzione. La Chiesa nel suo insieme, ed i Pastori in essa, come Cristo devono mettersi in cammino, per condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia con il Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita, la vita in pienezza.
[Papa Benedetto, omelia inizio ministero petrino 24 aprile 2005]
Già l’Antico Testamento parla comunemente di Dio come Pastore di Israele, del popolo dell’alleanza, da lui scelto per realizzare il progetto della salvezza. Il Salmo 22 è un inno meraviglioso al Signore, Pastore delle nostre anime: “Il Signore è il mio Pastore; non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce; mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino... Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me...” (Sal 23,1-3).
I profeti Isaia, Geremia ed Ezechiele ritornano sovente sul tema del popolo “gregge del Signore”: “Ecco il vostro Dio!... Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna...” (Is 40,11) e soprattutto annunciano il Messia come Pastore che pascerà veramente le sue pecore e non le lascerà più sbandare: “Susciterò per loro un pastore che le pascerà, Davide mio servo. Egli le condurrà al pascolo, sarà il loro pastore...” (Ez 34,23).
Nel Vangelo è familiare questa dolce e commovente figura del pastore, la quale anche se i tempi sono cambiati a causa dell’industrializzazione e dell’urbanesimo, mantiene sempre il suo fascino e la sua efficacia; e tutti ricordiamo la parabola tanto toccante e suggestiva del Buon Pastore che va in cerca della pecorella smarrita (Lc 15,3-7).
Nei primi tempi della Chiesa poi l’iconografia cristiana si servì grandemente e sviluppò questo tema del Buon Pastore la cui immagine appare spesso, dipinta o scolpita, nelle Catacombe, nei sarcofagi, nei battisteri. Tale iconografia, così interessante e devota, ci attesta che, fin dai primi tempi della Chiesa, Gesù “Buon Pastore” colpì e commosse gli animi dei credenti e dei non credenti e fu motivo di conversione, di impegno spirituale e di conforto. Ebbene, Gesù “Buon Pastore” è vivo e vero ancora oggi in mezzo a noi, in mezzo all’umanità intera, e a ciascuno vuol far sentire la sua voce e il suo amore.
1. Che cosa significa essere il Buon Pastore?
Gesù ce lo spiega con chiarezza convincente:
– il pastore conosce le sue pecore e le pecore conoscono lui: come è bello e consolante sapere che Gesù ci conosce uno per uno, che non siamo degli anonimi per lui, che il nostro nome (quel nome che è concordato dall’amore dei genitori e degli amici) lui lo conosce! Non siamo “massa”, “moltitudine”, per Gesù! Siamo “persone” singole con un valore eterno, sia come creature sia come persone redente! lui ci conosce! lui mi conosce, e mi ama e ha dato se stesso per me! (Gal 2,20).
[…]
(Papa Giovanni Paolo II, omelia 6 maggio 1979)
Conosciamo tutti l’immagine del Buon Pastore che si carica sulle spalle la pecorella smarrita. Da sempre questa icona rappresenta la sollecitudine di Gesù verso i peccatori e la misericordia di Dio che non si rassegna a perdere alcuno. La parabola viene raccontata da Gesù per far comprendere che la sua vicinanza ai peccatori non deve scandalizzare, ma al contrario provocare in tutti una seria riflessione su come viviamo la nostra fede. Il racconto vede da una parte i peccatori che si avvicinano a Gesù per ascoltarlo e dall’altra parte i dottori della legge, gli scribi sospettosi che si discostano da Lui per questo suo comportamento. Si discostano perchè Gesù si avvicinava ai peccatori. Questi erano orgogliosi, erano superbi, si credevano giusti.
La nostra parabola si snoda intorno a tre personaggi: il pastore, la pecora smarrita e il resto del gregge. Chi agisce però è solo il pastore, non le pecore. Il pastore quindi è l’unico vero protagonista e tutto dipende da lui. Una domanda introduce la parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova?» (v. 4). Si tratta di un paradosso che induce a dubitare dell’agire del pastore: è saggio abbandonare le novantanove per una pecora sola? E per di più non al sicuro di un ovile ma nel deserto? Secondo la tradizione biblica il deserto è luogo di morte dove è difficile trovare cibo e acqua, senza riparo e in balia delle fiere e dei ladri. Cosa possono fare novantanove pecore indifese? Il paradosso comunque continua dicendo che il pastore, ritrovata la pecora, «se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: Rallegratevi con me» (v. 6). Sembra quindi che il pastore non torni nel deserto a recuperare tutto il gregge! Proteso verso quell’unica pecora sembra dimenticare le altre novantanove. Ma in realtà non è così. L’insegnamento che Gesù vuole darci è piuttosto che nessuna pecora può andare perduta. Il Signore non può rassegnarsi al fatto che anche una sola persona possa perdersi. L’agire di Dio è quello di chi va in cerca dei figli perduti per poi fare festa e gioire con tutti per il loro ritrovamento. Si tratta di un desiderio irrefrenabile: neppure novantanove pecore possono fermare il pastore e tenerlo chiuso nell’ovile. Lui potrebbe ragionare così: “Faccio il bilancio: ne ho novantanove, ne ho persa una, ma non è una grande perdita”. Lui invece va a cercare quella, perchè ognuna è molto importante per lui e quella è la più bisognosa, la più abbandonata, la più scartata; e lui va a cercarla. Siamo tutti avvisati: la misericordia verso i peccatori è lo stile con cui agisce Dio e a tale misericordia Egli è assolutamente fedele: nulla e nessuno potrà distoglierlo dalla sua volontà di salvezza. Dio non conosce la nostra attuale cultura dello scarto, in Dio questo non c’entra. Dio non scarta nessuna persona; Dio ama tutti, cerca tutti: uno per uno! Lui non conosce questa parola “scartare la gente”, perchè è tutto amore e tutta misericordia.
Il gregge del Signore è sempre in cammino: non possiede il Signore, non può illudersi di imprigionarlo nei nostri schemi e nelle nostre strategie. Il pastore sarà trovato là dove è la pecora perduta. Il Signore quindi va cercato là dove Lui vuole incontrarci, non dove noi pretendiamo di trovarlo! In nessun altro modo si potrà ricomporre il gregge se non seguendo la via tracciata dalla misericordia del pastore. Mentre ricerca la pecora perduta, egli provoca le novantanove perché partecipino alla riunificazione del gregge. Allora non solo la pecora portata sulle spalle, ma tutto il gregge seguirà il pastore fino alla sua casa per far festa con “amici e vicini”.
Dovremmo riflettere spesso su questa parabola, perché nella comunità cristiana c’è sempre qualcuno che manca e se ne è andato lasciando il posto vuoto. A volte questo è scoraggiante e ci porta a credere che sia una perdita inevitabile, una malattia senza rimedio. E’ allora che corriamo il pericolo di rinchiuderci dentro un ovile, dove non ci sarà l’odore delle pecore, ma puzza di chiuso! E i cristiani? Non dobbiamo essere chiusi, perchè avremo la puzza delle cose chiuse. Mai! Bisogna uscire e non chiudersi in sè stessi, nelle piccole comunità, nella parrocchia, ritenendosi “i giusti”. Questo succede quando manca lo slancio missionario che ci porta ad incontrare gli altri. Nella visione di Gesù non ci sono pecore definitivamente perdute, ma solo pecore che vanno ritrovate. Questo dobbiamo capirlo bene: per Dio nessuno è definitivamente perduto. Mai! Fino all’ultimo momento, Dio ci cerca. Pensate al buon ladrone; ma solo nella visione di Gesù nessuno è definitivamente perduto. La prospettiva pertanto è tutta dinamica, aperta, stimolante e creativa. Ci spinge ad uscire in ricerca per intraprendere un cammino di fraternità. Nessuna distanza può tenere lontano il pastore; e nessun gregge può rinunciare a un fratello. Trovare chi si è perduto è la gioia del pastore e di Dio, ma è anche la gioia di tutto il gregge! Siamo tutti noi pecore ritrovate e raccolte dalla misericordia del Signore, chiamati a raccogliere insieme a Lui tutto il gregge!
[Papa Francesco, Udienza Generale 4 maggio 2016]
Nell’Annunciazione
(Gen 3,9-15.20; Lc 1,26-38)
Un grande teologo del Corpo Mistico ha scritto: «All’aurora c’è un momento stupendo: quello che precede immediatamente il sorgere del sole [...] il chiarore è andato crescendo, lentamente all’inizio, poi più in fretta» (É. Mersch).
La Fede ecclesiale annuncia e trasmette in Maria ‘tutta Santa’ uno stile, una Fede e una Speranza specifiche, ben denotate nella Scrittura.
Prorompente e affrancata, non alienata; indipendente dalla “notte”, non imbarazzata.
Capace di passare dal Dio dei padri al Padre. Dio del Figlio.
Alba dopo alba, vicenda dopo vicenda, genesi dopo genesi, trasloco dopo trasloco, viveva in modo deciso una sorta di ‘spiritualità dell’aurora nascente’. E la fiducia nel tempo.
Quando giungeva un punto interrogativo, capiva che era il momento di chiedersi e dare risposte.
Intuiva l’Opportunità di risorgere: tutta Feconda e senza perdere motivazioni, grazie a un’Alleanza paradossale, coi limiti e i pesi emotivi.
Quando un travaglio faceva irruzione, comprendeva che quei flutti invadevano la vita non per distruggere, bensì per smuovere un mare di riflussi forse ancora troppo calmo.
Non sognava di arginare o bloccare quella marea. Interiorizzava l’inquietudine dei dubbi come un grande momento di vita.
Una Felicità la sua che veniva dall’innovazione. Come una Presenza.
Invece di sentirsi costretta, sostava sopra ogni caso, per interrogarsi: «Cosa devo ancora imparare, da questo?».
Forse comprendeva che dentro la sua figura abituale c’era una donna capace di trasgressione - nel senso di sentirsi chiamata a capovolgere tutto l’antico e artificioso che non le corrispondevano.
Così ha iniziato, accogliendo l’Invito: ospitare in sé e dare spazio a un Eterno innominabile, creduto assolutamente trascendente e che mai si sarebbe mischiato con la carne!
Non solo un sacrilegio, bensì eresia. Ma nella Madre di Dio la paradossale eterodossia viene come spazzata oltre.
La sua spiritualità era sgombra dalla vera grande “macchia”: l’incapacità di corrispondere all’Annuncio personale.
«Peccato» - si dice appunto di una occasione persa: è la flessione dell’Unicità che siamo dentro.
Perla che tutti i giorni può cedere la sua eccezionalità al contorno normalizzante e affettato dell’opinione comune, restringendo lo spazio, l’onda vitale.
L’appello divino d’ogni istante orientava altrove i sogni di Maria e il suo sapere innato - anticamera della fiducia.
Nell’Alleanza di Radice e Seme, le decisioni non erano né restavano scadenti: senza fardelli cerebrali la Madre di Dio andava direttamente a nuove possibilità, e al fine.
In tale Forma viveva e tesseva una sorta di «spiritualità del sole che risorge». Richiamo d’ogni momento, nella gioia di cambiare se stessa e le cose; ovvero nella felicità di viverle così - persino di lasciare tutto.
Pur crescendo non invecchiava d’incertezze, perché sintonizzava il suo destino in avanti - dicendo Sì a quanto si affacciava - e d’istinto anche oggi la riteniamo Giovane.
Sapeva stare con le contraddizioni dell’ambiente soggetto all’antica devozione, e coi marosi inaspettati, come con l’eccentricità del Figlio.
Lo curava stando ‘presente’, nei semplici gesti quotidiani. Si affidava solo all’energia felice che affiorava tutti i momenti, e l’abitava.
S’immergeva nelle espressioni minime dei gesti con lo sguardo sull’adesso, per un agire nitido.
Inadeguata al miracolo ma se stessa, occupandosi non stremava - perché capace di rimettersi in gioco. Per questo conosceva il dialogo con il sentimento più temuto e sofferto: la solitudine.
Ma anche nel buio rigenerava, accogliendolo e uscendone col rinforzare i germi di cambiamento - alimentando nell'anima una sorta di giardino magico.
Sempre fuori dai binari, l’Immacolata ha superato tutti i pregiudizi.
[Immacolata Concezione, 8 Dicembre]
Nell’Annunciazione
(Gen 3,9-15.20; Lc 1,26-38)
Un grande teologo del Corpo Mistico ha scritto: «All’aurora c’è un momento stupendo: quello che precede immediatamente il sorgere del sole [...] il chiarore è andato crescendo, lentamente all’inizio, poi più in fretta» (É. Mersch, vol.I).
La Fede ecclesiale annuncia e trasmette in Maria tutta Santa uno stile, una Fede e una Speranza specifiche, ben denotate nella Scrittura.
Prorompente e affrancata, non alienata; indipendente dalla ‘notte’, non imbarazzata.
Capace di passare dal Dio dei padri al Padre. Dio del Figlio.
La tradizione rassicurante della Madre flebile e quasi trasognata ha un suo rilevante punto di forza - bisogna ammetterlo: l’intento di rappresentare la nobiltà d’una creatura in equilibrio.
Eppure nei Vangeli Ella è caratterizzata da una sorprendente emancipazione.
Anche in tal guisa, Maria permane icona del Popolo orante e autentico, dell’anima sposa, della Chiesa amichevole.
Persona e Comunità relazionale, generosa, qualificata da una dignità nello Spirito non esclusiva, bensì a portata di mano, personalizzante.
Alba dopo alba, vicenda dopo vicenda, genesi dopo genesi, trasloco dopo trasloco, viveva in modo deciso - istante per istante - una sorta di ‘spiritualità dell’aurora nascente’. E la fiducia nel tempo.
Questo il suo appiglio verecondo e riflessivo (più che ritirato e pensoso).
Malgrado gli allarmi, le fatiche e i pericoli, stranamente per noi non sviluppava senso di vuoto, né si lasciava condizionare o atterrire dalla percezione di essere osservata e giudicata.
Quando giungeva un punto interrogativo, capiva che era il momento di chiedersi e dare risposte.
Intuiva l’Opportunità di risorgere: tutta Feconda e senza perdere motivazioni, grazie a un’Alleanza paradossale, coi limiti e i pesi emotivi.
Quando un travaglio faceva irruzione, comprendeva che quei flutti invadevano la vita non per distruggere, bensì per smuovere un mare di riflussi forse ancora troppo calmo.
In questo modo sorvolava sia le questioni che la stasi: l’avrebbero ancorata alla forma consueta di essere e pensare - al mondo corrivo e identificato, senza immaginazione (per questo più insicuro).
Non sognava di arginare o bloccare la marea, la Novità, l’energia vitale della Provvidenza, sebbene la Chiamata per Nome prorompesse in modo anche violento. Per rialzarla a nuova Pasqua.
Interiorizzava l’inquietudine dei dubbi come un grande momento di vita, un Appello incarnato che le ricordava che c’è Altro.
Leggeva le sue ansie, accogliendole e interpretandole, per sorpassarle.
In tale stile d’approccio agli eventi, la Vergine rigenerava - e dentro le sorgeva una sottile gioia; quella dell’alba tutta bella che c’innalza.
Primo bagliore d’un sole nascente.
Una Felicità la sua che veniva dall’innovazione. Come una Presenza.
Lato segreto che fa decollare la vita delle creature, e sorvolare le questioni che imbrigliano l’anima.
Invece di sentirsi costretta, sostava sopra ogni caso, per interrogarsi: «Cosa devo ancora imparare, da questo?».
In tal modo riusciva a mettere al centro delle giornate non i progetti, bensì le qualità e le predisposizioni, anche dei famigliari - spendendole bene.
Forse comprendeva che dentro la sua figura abituale c’era una donna capace di trasgressione religiosa - nel senso di sentirsi chiamata a capovolgere tutto l’antico e artificioso che non le corrispondevano.
Così ha iniziato, accogliendo l’Invito: ospitare in sé e dare spazio a un Eterno allora immaginato innominabile, creduto assolutamente trascendente e che mai si sarebbe mischiato con la carne!
Non solo un sacrilegio, bensì totale eresia. Ma nella Madre di Dio la paradossale eterodossia [tutta nostra e orizzontale] viene come spazzata oltre.
La sua spiritualità era sgombra dalla vera grande “macchia”: l’incapacità di corrispondere all’Annuncio personale.
«Peccato» - si dice appunto di una occasione persa: è la flessione dell’Unicità che siamo dentro.
Perla che tutti i giorni può cedere la sua eccezionalità al contorno normalizzante e affettato dell’opinione comune, restringendo lo spazio, l’onda vitale.
L’appello divino d’ogni istante orientava altrove i sogni di Maria e il suo sapere innato - anticamera della fiducia.
Nell’Alleanza di Radice e Seme, le decisioni non erano né restavano scadenti: senza fardelli cerebrali la Madre di Dio andava direttamente a nuove possibilità, e al fine.
In tale Forma viveva e tesseva una sorta di «spiritualità del sole che risorge». Richiamo d’ogni momento, nella gioia di cambiare se stessa e le cose; ovvero nella felicità di viverle così - persino di lasciare tutto.
Pur crescendo non invecchiava d’incertezze, perché sintonizzava il suo destino in avanti - dicendo Sì a quanto si affacciava - e d’istinto anche oggi la riteniamo Giovane.
Sapeva stare con le contraddizioni dell’ambiente soggetto all’antica devozione, e coi marosi inaspettati, come con l’eccentricità del Figlio.
Lo curava stando ‘presente’, nei semplici gesti quotidiani. Si affidava solo all’energia felice che affiorava tutti i momenti, e l’abitava.
S’immergeva nelle espressioni minime dei gesti con lo sguardo sull’adesso, per un agire nitido.
Inadeguata al miracolo ma se stessa, occupandosi non stremava - perché capace di rimettersi in gioco. Per questo conosceva il dialogo con il sentimento più temuto e sofferto: la solitudine.
Ma anche nel buio rigenerava, accogliendolo e uscendone col rinforzare i germi di cambiamento - alimentando nell'anima una sorta di giardino magico.
Sempre fuori dai binari, l’Immacolata ha superato tutti i pregiudizi.
Annunciazione: come entrare nel regno dell’anima
Dalla religione alla Fede, da sterile ad Amata
La solennità del momento che restituisce l’anima al Mistero, invita a un passaggio onda su onda: dalla religione del Tempio alla Fede domestica e personale.
Dall’esterno a dentro noi stessi. Dai modelli, alla profezia d’innato. Promessa Unica, condizione più sottile.
Fede-resa - quella di Madre - che mostra la libertà e bellezza dei nuovi orientamenti, nel progredire delle immagini-guida interiori.
Alleanza non più per ciò che è già conosciuto.
Il suo Patto sta tutto nell’Apertura all’Inesplicabile che ci abita. Intimo Eterno, che può ora concretizzare la speranza e il cammino dei popoli. Una svolta di autenticità, crescente.
Se i vergini di cuore non frappongono pretese, la Chiamata per Nome (dalle nostre stesse fibre) dischiude l’animo incapace e sterile.
Ad coeli Reginam: Eco silente… tale nucleo-Vocazione invisibile fa trasalire. E con virtù spontanea introduce lo spirito nella sinergia feconda di Dio stesso.
Fiducia sponsale che riannoda i fili della storia di Salvezza: e si contrappone alla strada larga delle alleanze con gente “che conta”.
Nell’intreccio fra Iniziativa che feconda e nostro accogliere in seno, l’Ancella è icona dell’attesa e del cammino di ciascuno - dove ciò che resta determinante non è il desiderio consueto, prevedibile.
Appello vibrante che si prolunga nella storia, in una sorta d’Incarnazione dispiegata e continua, grazie alla collaborazione di lontani, malfermi e insignificanti servitori, come Maria.
Anche nostra, malgrado ancora colmi di aspettative normali.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Quali Parole ci aprono alla vita nello Spirito e mettono in discussione la strada prevista?
Qual è la nostra zona ancora intermedia, senza Incontro?
Come realizzare il Seme invisibile
Dice il Tao Tê Ching (LXI): «Il gran regno che si tiene in basso, è la confluenza del mondo; è la femmina del mondo. La femmina sempre vince il maschio con la quiete, poiché chetamente se ne sta sottomessa. Per questo, il gran regno che si pone al disotto del piccol regno, attrae il piccol regno; il piccol regno che sta al disotto del gran regno, attrae il gran regno: l’un s’abbassa per attrarre, l’altro attrae perché sta in basso. Il gran regno non ecceda, per la brama di pascere e unire gli altri; il piccol regno non ecceda, per la brama d’esser accetto e servire gli altri. Affinché ciascuno ottenga ciò che brama, al grande conviene tenersi in basso».
The human race – every one of us – is the sheep lost in the desert which no longer knows the way. The Son of God will not let this happen; he cannot abandon humanity in so wretched a condition. He leaps to his feet and abandons the glory of heaven, in order to go in search of the sheep and pursue it, all the way to the Cross. He takes it upon his shoulders and carries our humanity (Pope Benedict)
L’umanità – noi tutti - è la pecora smarrita che, nel deserto, non trova più la strada. Il Figlio di Dio non tollera questo; Egli non può abbandonare l’umanità in una simile miserevole condizione. Balza in piedi, abbandona la gloria del cielo, per ritrovare la pecorella e inseguirla, fin sulla croce. La carica sulle sue spalle, porta la nostra umanità (Papa Benedetto)
"Too bad! What a pity!" “Sin! What a shame!” - it is said of a missed opportunity: it is the bending of the unicum that we are inside, which every day surrenders its exceptionality to the normalizing and prim outline of common opinion. Divine Appeal of every moment directed Mary's dreams and her innate knowledge - antechamber of her trust, elsewhere
“Peccato!” - si dice di una occasione persa: è la flessione dell’unicum che siamo dentro, che tutti i giorni cede la sua eccezionalità al contorno normalizzante e affettato dell’opinione comune. L’appello divino d’ogni istante orientava altrove i sogni di Maria e il suo sapere innato - anticamera della fiducia
It is a question of leaving behind the comfortable but misleading ways of the idols of this world: success at all costs; power to the detriment of the weak; the desire for wealth; pleasure at any price. And instead, preparing the way of the Lord: this does not take away our freedom (Pope Francis)
Si tratta di lasciare le strade, comode ma fuorvianti, degli idoli di questo mondo: il successo a tutti i costi, il potere a scapito dei più deboli, la sete di ricchezze, il piacere a qualsiasi prezzo. E di aprire invece la strada al Signore che viene: Egli non toglie la nostra libertà (Papa Francesco)
Inside each woman and man resides a volcano of potential energies which are not to be smothered and aligned. The Lord doesn’t level the character; he doesn’t wear out the creatures. He doesn't make them desolate. The Kingdom is Near: it reinstates the imbalances. It does not mortify them, it convert them and enhances them
Dentro ciascuna donna e uomo risiede un vulcano di energie potenziali che non devono essere soffocate e allineate. Il Signore non livella il carattere; non sfianca le creature. Non le rende desolate. Il Regno è Vicino: reintegra gli squilibri. Non li mortifica, li tramuta e valorizza
The Person of Christ opens up another panorama to the perception of the two short-sighted (because ambitious) disciples. But sometimes it is necessary to take a leap in the dark, to contact one's vocational Seed; heal the gaze of the soul, recognize himself, flourish; make true Communion
La Persona di Cristo spalanca alla percezione dei due discepoli miopi (perché ambiziosi) un altro panorama. Ma talora bisogna fare un salto nel buio, per contattare il proprio Seme vocazionale; guarire lo sguardo dell’anima, riconoscersi, fiorire; fare vera Comunione
«Too pure water has no fish». Accepting ourselves will complete us: it will make us recover the co-present, opposite and shadowed sides. It’s the leap of profound Faith. And seems incredible, but the Rock on which we build the way of being believers is Freedom
«L’acqua troppo pura non ha pesci». Accettarsi ci completerà: farà recuperare i lati compresenti, opposti e in ombra. È il balzo della Fede profonda. Sembra incredibile, ma la Roccia sulla quale edifichiamo il modo di essere credenti è la Libertà
don Giuseppe Nespeca
Tel. 333-1329741
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