don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe (anno A)  [28 dicembre 2025]

 

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga! Ecco il commento dei testi di questa domenica con un augurio per ogni famiglia perché si rispecchi nella sua reale quotidianità in quella di Nazaret che la Bibbia ci mostra veramente provata da tante difficoltà e problemi come ogni famiglia.

 

*Prima Lettura dal libro del Siracide (3,2-6.12-14)  

Ben Sira insiste sul rispetto dovuto ai genitori perché, nel II secolo a.C. (verso il 180), l’autorità familiare stava indebolendosi. A Gerusalemme, sotto il dominio greco, pur nella libertà religiosa, nuove mentalità si diffondevano lentamente: il contatto con il mondo pagano rischiava di modificare il modo di pensare e di vivere degli ebrei. Per questo Ben Sira, maestro di Sapienza, difende i fondamenti della fede a partire dalla famiglia, primo luogo di trasmissione della fede, dei valori e delle pratiche religiose. Il testo è dunque un forte appello a favore della famiglia ed è anche una profonda meditazione sul quarto comandamento: «Onora tuo padre e tua madre», formulato nell’Esodo come promessa di lunga vita e nel Deuteronomio anche di felicità. Circa cinquant’anni dopo, il nipote di Ben Sira, traducendo l’opera in greco, aggiunge una motivazione decisiva: i genitori sono strumenti di Dio perché donano la vita; per questo meritano onore, memoria e riconoscenza. Questo comandamento risponde anche al buon senso umano: una società equilibrata nasce da famiglie solide, mentre la loro rottura genera gravi conseguenze psicologiche e sociali. Tuttavia, al livello più profondo, l’armonia familiare appartiene al progetto stesso di Dio. Alcune espressioni di Ben Sira sembrano suggerire un “calcolo” («chi onora il padre ottiene il perdono dei peccati…»), ma in realtà non si tratta di una ricompensa meccanica: la Legge di Dio è sempre via di grazia e di felicità. Come insegna il Deuteronomio, i comandamenti sono dati per il bene e la libertà dell’uomo. Quando Ben Sira afferma che onorare i genitori ottiene il perdono, si coglie un progresso nella rivelazione: la vera riconciliazione con Dio passa attraverso la riconciliazione con il prossimo, in sintonia con i profeti («misericordia voglio e non sacrifici»). Essere figli rispettosi dei genitori significa essere figli fedeli anche verso Dio. Non a caso, tra i Dieci Comandamenti, solo due sono formulati in positivo: il sabato e l’onore dovuto ai genitori. Essi trovano il loro compimento nel grande comandamento dell’amore del prossimo, che inizia proprio dai genitori, i nostri primi “prossimi”. Per questo il testo di Ben Sira risulta particolarmente appropriato nei tempi di festa, quando i legami familiari si rinsaldano o si riscoprono.

 

*Elementi più importanti: +Contesto storico: II secolo a.C., influenza ellenistica. +Famiglia come luogo primario di trasmissione della fede. +Difesa del quarto comandamento. +Genitori come strumenti di Dio nel dono della vita. +Legge di Dio come via di felicità, non di calcol. +Riconciliazione con Dio attraverso il prossimo. +Onorare i genitori come primo atto di amore del prossimo.

 

*Salmo Responsoriale (127/128)

 Questo salmo è chiamato “Cantico delle salite” perché era destinato ad essere cantato durante il pellegrinaggio verso Gerusalemme, probabilmente negli ultimi momenti, salendo i gradini del Tempio. Il testo sembra strutturato come una celebrazione liturgica: all’ingresso del Tempio i sacerdoti accolgono i pellegrini e offrono un’ultima catechesi, proclamando la beatitudine dell’uomo che teme il Signore e cammina nelle sue vie. La benedizione riguarda il lavoro, la famiglia, la fecondità e la pace domestica: il frutto delle proprie mani, la moglie come vite feconda, i figli come germogli d’ulivo attorno alla mensa. L’assemblea dei pellegrini risponde confermando che così è benedetto chi teme il Signore. Segue la formula solenne di benedizione sacerdotale: dal monte Sion il Signore accorda la sua benedizione, permettendo di contemplare per tutta la vita il bene di Gerusalemme e la continuità delle generazioni. L’insistenza su lavoro, prosperità e felicità può sembrare troppo “terrena”, ma la Bibbia afferma con forza che Dio ha creato l’uomo per la felicità. Il desiderio umano di riuscita e di armonia familiare coincide con il progetto di Dio; per questo la Scrittura parla spesso di “felicità” e “benedizione”, senza ironia, anche di fronte alle sofferenze della storia. Il termine biblico “felice” non indica una garanzia automatica di successo, ma il vero bene, che è la vicinanza a Dio. È insieme riconoscimento e incoraggiamento. André Chouraqui traduce “felice, beato” con “in cammino”, per dire: sei sulla strada giusta, continua. Israele ha compreso presto che Dio accompagna il suo popolo nel desiderio di felicità e apre davanti a lui una via di speranza (cf. Ger 29,11). Tutta la Bibbia afferma il disegno misericordioso di Dio sull’umanità, come ricorda san Paolo nella lettera agli Efesini. La felicità biblica ha dunque due dimensioni: è anzitutto il progetto di Dio, ma è anche una scelta dell’uomo. Il cammino è chiaro e diritto: la fedeltà alla Legge che si riassume nell’amore di Dio e dell’umanità. Gesù ha percorso questo cammino fino in fondo e invita i discepoli a seguirlo, promettendo la vera beatitudine a chi mette in pratica la sua parola. Resta l’espressione apparentemente paradossale: “Beato chi teme il Signore”. Non si tratta di paura, ma di stupore reverente. Chouraqui rende: “in cammino, tu che fremeresti di Dio”. È l’emozione di chi si sente piccolo davanti a un grande amore. Dopo aver scoperto che Dio è amore, Israele non teme più come lo schiavo, ma come il figlio davanti alla forza e alla tenerezza del padre. Non a caso la Scrittura usa lo stesso verbo per il rispetto dovuto a Dio e ai genitori (Lv 19,3). La fede è quindi la certezza che Dio vuole il bene dell’uomo; per questo “temere il Signore” equivale a “camminare nelle sue vie”. Quando Gerusalemme vivrà questa fedeltà, realizzerà la sua vocazione di città della pace; il salmo lo anticipa proclamando: “Possa tu vedere il bene di Gerusalemme tutti i giorni della tua vita”.

*Elementi più importanti: +Il salmo come Cantico delle salite e canto di pellegrinaggio ha la struttura liturgica: sacerdoti, assemblea, benedizione. +Benedizione su lavoro, famiglia e fecondità. +Dio crea l’uomo per la felicità e “beato” chi è vicino a Dio e Chouraqui traduce “beato” = in cammino. +Disegno benevolo di Dio sull’umanità che vede la felicità come dono di Dio e scelta dell’uomo. +Gesù come compimento del cammino dell’amore. +Timore di Dio” come atteggiamento filiale, non paura. +Gerusalemme chiamata a essere città della pace

 

*Seconda Lettura dalla lettera di san Paolo ai Colossesi (3,12-21)          

 La liturgia di oggi invita a contemplare la Santa Famiglia: Giuseppe, Maria e Gesù. È una famiglia semplice, ed è detta “santa” perché al suo centro c’è Dio stesso. Tuttavia, non si tratta di una famiglia idealizzata o irreale: i Vangeli mostrano chiaramente che essa ha attraversato prove e difficoltà concrete. Giuseppe è turbato davanti alla gravidanza misteriosa di Maria, la nascita di Gesù avviene in condizioni povere, la famiglia conosce l’esilio in Egitto e più tardi l’angoscia per Gesù smarrito e ritrovato nel Tempio, senza comprenderne pienamente il senso. Proprio per questo, la Santa Famiglia appare come una vera famiglia, segnata da fatiche e interrogativi simili a quelli di ogni altra famiglia. Questa realtà ci rassicura e dà senso alle raccomandazioni di san Paolo nella lettera ai Colossesi, dove invita alla pazienza e al perdono, virtù necessarie nella vita quotidiana. Colossi, città dell’attuale Turchia, non fu visitata direttamente da Paolo: la comunità cristiana nacque grazie a Epafra, suo discepolo. Paolo scrive dalla prigione, preoccupato per alcune derive che minacciano la purezza della fede cristiana. Il tono della lettera alterna l’entusiasmo contemplativo per il progetto di Dio a richiami molto decisi contro dottrine fuorvianti. Al centro del suo messaggio rimane sempre Gesù Cristo, cuore della storia e del mondo. Paolo invita i cristiani a modellare la loro vita su di Lui: rivestirsi di tenerezza, bontà, pace e gratitudine, facendo ogni cosa nel nome del Signore Gesù. I battezzati, infatti, formano il Corpo di Cristo. Riprendendo e approfondendo un’immagine già usata con i Corinzi, Paolo afferma che Cristo è il capo e i credenti sono le membra, chiamate a sostenersi a vicenda per costruire l’edificio della Chiesa.Il testo affronta anche i rapporti familiari, con espressioni che possono risultare difficili, come l’invito alle mogli alla sottomissione. Nel contesto biblico, però, questa sottomissione non equivale a servitù, ma si inserisce in una visione fondata sull’amore e sulla responsabilità. Paolo, dopo aver richiamato un linguaggio comune all’epoca, rivolge ai mariti un’esigenza ancora più forte: amare la propria moglie con rispetto e senza durezza. L’obbedienza cristiana nasce dalla fiducia nell’amore di Dio e si esprime in relazioni segnate da tenerezza, rispetto e dono reciproco.

*Elementi importanti: +La Santa Famiglia come famiglia reale, non idealizzata con le prove concrete vissute da Giuseppe, Maria e Gesù e invito alla pazienza e al perdono nella vita familiare. +Contesto della lettera ai Colossesi e ruolo di Epafra con la preoccupazione di Paolo per la fedeltà della fede cristiana. +Centralità di Gesù Cristo nella vita dei credenti come Corpo di Cristo, chiamati a sostenersi reciprocamente. +Relazioni familiari fondate sull’amore e sul rispetto dove sottomissione biblica è intesa come fiducia e dono, non come schiavitù. +Obbedienza cristiana radicata nella certezza che Dio è Amore.

 

*Dal Vangelo secondo Matteo (2,13-15.19-239    

L’episodio della fuga della Santa Famiglia in Egitto richiama volutamente un’altra grande vicenda biblica: quella di Mosè e del popolo d’Israele, dodici secoli prima, schiavo in Egitto. Come allora il faraone ordinò l’uccisione dei neonati maschi e Mosè fu salvato per diventare il liberatore del suo popolo, così Gesù sfugge alla strage di Erode e diventerà il salvatore dell’umanità. Matteo invita a riconoscere in Gesù il nuovo Mosè, compimento della promessa di Dt 18,18: un profeta suscitato da Dio come Mosè stesso. Un secondo segno di compimento delle Scritture è la citazione di Os 11,1: “Dall’Egitto ho chiamato mio figlio”. In origine riferita al popolo d’Israele, Matteo la applica a Gesù, presentandolo come il Nuovo Israele, colui che realizza pienamente l’Alleanza. Il titolo di Figlio di Dio, già attribuito ai re e al Messia, in Gesù acquista un significato pieno: alla luce della risurrezione e del dono dello Spirito, i credenti riconoscono che Gesù è veramente Figlio di Dio, Dio da Dio, come confessa la fede cristiana. Un terzo segno è l’affermazione: “Sarà chiamato Nazareno”. Sebbene l’Antico Testamento non parli di Nazaret, Matteo gioca su risonanze linguistiche e simboliche: netser (“germoglio” messianico della stirpe di Davide), nazir (consacrato a Dio), e natsar (“custodire”). Nazaret diventa così il segno della scelta divina dell’umile e dell’insignificante. Inoltre, quando i cristiani vengono disprezzati come “Nazorei”, Matteo li incoraggia ricordando che anche Gesù portò quel titolo: ciò che appare spregevole agli uomini è prezioso agli occhi di Dio. Nel racconto, Matteo costruisce due scene parallele: fuga in Egitto e ritorno dall’Egitto. In entrambe c’è un contesto storico, l’apparizione dell’angelo a Giuseppe in sogno, l’obbedienza immediata e la conclusione: così si compì ciò “che era stato detto per mezzo dei profeti”. Il parallelismo mette in relazione i titoli Figlio di Dio e Nazareno, mostrando un Messia inatteso: glorioso e insieme umile. Per questo il testo è proclamato nella festa della Santa Famiglia: Gesù è Figlio di Dio, ma cresce in una famiglia semplice e in un villaggio insignificante. È il grande paradosso cristiano: la storia divina si compie nella quotidianità più ordinaria delle famiglie umane. I commentatori antichi come Pseudo-Dionisio e Pseudo-Crisostomo riflettono sulla fuga in Egitto, non solo un fatto storico ma una manifestazione del disegno salvifico: Cristo, pur essendo Dio, si sottomette alla legge della carne e alla guida divina, dimostrando la vera umanità e obbedienza del Messia. San Girolamo sottolinea invece che non solo Erode, ma anche i sommi sacerdoti e gli scribi cercarono la morte del Signore fin dai primi istanti della sua venuta nel mondo, mostrando l’ostilità spirituale che Gesù incontrerà per tutta la sua missione. Un’altra interpretazione di alcuni Padri antichi vede nella permanenza in Egitto una dimensione salvifica non solo per Gesù stesso, ma simbolicamente per il mondo: Egli va in quella terra storicamente associata all’oppressione e al paganesimo non per restare, ma per portare luce e salvezza, confermando che la venuta di Cristo è per tutti, anche per i popoli lontani da Dio.  Così, per gli antichi commentatori il racconto non è mera narrazione: è rivelazione teologica del mistero di Cristo, che entra nella storia umana come libera obbedienza per la nostra salvezza e compimento delle promesse profetiche.

 

*Sant’Ireneo di Lione Contro le eresie) scrive: “Gesù è ricapitolazione di tutta la storia: ciò che era stato perduto in Adamo, viene ritrovato in Cristo.”. Spesso questo è applicato dai Padri anche alla fuga in Egitto: Cristo ripercorre la storia d’Israele per portarla a compimento.

 

*Elementi importanti: +Parallelismo tra Gesù e Mosè, Gesù come nuovo Mosè e nuovo Israele. +Compimento delle Scritture secondo Matteo “Dall’Egitto ho chiamato mio figlio» (Os 11,1). +Titolo di Figlio di Dio in senso pieno cristologico. +Significato simbolico di Nazaret / Nazareno. +Scelta divina dell’umile e del disprezzato, eMessia inatteso: gloria divina e umiltà concreta. +Struttura narrativa parallela: fuga e ritorno dall’Egitto. +Santa Famiglia: il divino vissuto nella vita quotidiana

 

+Giovanni D’Ercole

(Mt 2,13-15,19-23)

Matteo 2:13 Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo».

Matteo 2:14 Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto,

Matteo 2:15 dove rimase fino alla morte di Erode, perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:

Dall'Egitto ho chiamato il mio figlio.

 

Per prima cosa capiamo come funziona il potere: non vuole rendere omaggio al Re appena nato, ma vuole farlo fuori. È il Rivale, colui che può togliergli il potere e il trono. Il potere, pur di far fuori il Rivale, pur di mantenere il proprio dominio, è pronto a sacrificare la vita dei suoi sudditi. È qualcosa di aberrante; il potere avrebbe il compito di difendere la vita dei sudditi, invece Erode applica la sua strategia senza scrupolo, e fa fuori tutti i bambini pur di conservare il potere.

Un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe. Ci sono molti sogni che accompagnano l’infanzia di Gesù: stanno a indicare l’iniziativa e la provvidenza divina che fa fallire i progetti di Erode. L'annuncio dell'angelo ci dice dell'intervento di Dio nella storia. Notiamo come questi sogni vengono dati a Giuseppe e non a Maria. Giuseppe è il responsabile dinanzi a Dio e agli uomini della Madre e del Bambino.

A lui il Signore si rivolge nel sogno e gli trasmette un ordine perentorio, da mettere subito in atto: "Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò". Giuseppe viene guidato nei minimi particolari. Lui deve andare in Egitto e rimanere là finché il Signore di nuovo non lo avvertirà che può fare ritorno. Perché la salvezza si possa compiere è necessario che l'ordine venga eseguito alla lettera. Il Signore nelle sue cose è perfetto. Se l'uomo, alla perfezione del Signore vi risponde con l’obbedienza, si compie la salvezza. Tutti i mali del mondo nascono quando nella perfezione di Dio si introduce l'insipienza della creatura, la quale osa pensare di essere più saggia di quanto invece non sia.

In questa circostanza l’Egitto è un luogo di protezione. A quei tempi la Sacra Famiglia poteva facilmente trovare da vivere in mezzo alle tante colonie giudaiche, la più grande delle quali era in Alessandria. Ma l’Egitto è anche il luogo doveva aveva avuto inizio la storia d’Israele come popolo di Dio. Il bambino Gesù dovrà ripartire dall’Egitto per entrare nella sua terra. Matteo quindi ripresenta teologicamente l’esodo che compiuto da Gesù, il Messia liberatore, porterà il popolo a una nuova terra di libertà, alla vera liberazione. Partirono di “notte” (v. 14). È un ricordo della liberazione che il popolo d'Israele sperimentò nella notte di Pasqua, descritta nel libro dell’Esodo. Come il popolo fuggì alla minaccia del faraone, così ora Giuseppe porta in salvo Gesù dalla minaccia di Erode.

La salvezza ha però sempre un costo in sofferenza, in sacrificio, in dolore. Senza voler fare un’apologia del dolore, il dolore serve a dare alla persona una santità sempre più grande. Il dolore, la sofferenza è il crogiolo che purifica il nostro spirito da tutte le incrostazioni e ci avvicina alla santità di Dio.

Senza il sacrificio non c'è vera obbedienza, perché la vera obbedienza genera sempre un sacrificio purificatore della vita. È il sacrificio vivente, santo, gradito a Dio, di cui parla l'apostolo Paolo. Il male del mondo di oggi è proprio nella volontà satanica di abolire dalla nostra vita ogni abnegazione, ogni rinuncia. Si vuole tutto, subito, immediatamente. Si vuole concedere al corpo ogni vizio, all'anima ogni peccato, allo spirito ogni pensiero cattivo. Si vuole vivere in un mondo senza sacrificio, senza sofferenza (per questo prenderà sempre più piede l’eutanasia e l’uccisione di quanti sono ritenuti un peso morto per la società). 

Si vuole vivere in un mondo senza alcuna privazione. Una volta si nasceva e si moriva in casa e c’era partecipazione nella famiglia della più grande gioia e della più grande tristezza, ma almeno il malato moriva con il conforto dei suoi. Si vuole vivere in un mondo che nasconde il mistero della morte e del dolore togliendolo dalle case, ignorando che proprio la vista del dolore è un momento forte di apertura alla fede.

Giuseppe e la famiglia sono rimasti in Egitto fino a dopo la morte di Erode. Matteo dice che questo è avvenuto in adempimento della profezia di Os 11,1 - "Fuor d’Egitto chiamai mio figlio" - il quale parla di tutt’altra cosa, e cioè dell’esperienza storica della nazione d’Israele: l’esodo dall’Egitto. Cosa centra il Messia? L'evangelista crea una sorta di aggancio parallelo tra gli eventi dell'antico Israele e quelli di Gesù, quasi a dire che in Gesù confluisce, in qualche modo, tutta la storia del popolo di Israele, da lui rivissuta nell'obbedienza e nella piena sottomissione al Padre. In altre parole, nell’esperienza analoga di Israele figlio di Dio, e del Messia figlio di Dio, entrambi in Egitto per necessità, ed entrambi liberati dalla provvidenza divina, Matteo vede Gesù che ricapitola la storia d’Israele di cui rivive l’esperienza nella sua propria persona.

Anzi, Gesù ricapitola in sé e attua tutta la storia della salvezza. Come l’uscita dall’Egitto era l’alba della redenzione, così l’infanzia di Gesù è l’alba dell’epoca messianica, e Matteo dimostra l’avverarsi delle Scritture in Gesù. Sarà  da lui  che uscirà un nuovo Israele, rigenerato dallo Spirito.

Tutto ciò che è prima di Cristo è solo immagine di ciò che il Signore avrebbe compiuto per mezzo di Gesù Cristo. Le vicende del popolo d’Israele erano una preparazione alla venuta del Messia, che rappresenta il punto di convergenza di tutta la Scrittura. Il vero Figlio di Dio è Gesù Cristo. Israele è solamente segno di quanto il Signore stava per operare per la salvezza dell'umanità. È questo il motivo per cui Matteo applica a Gesù Cristo tutto ciò che nell'Antico Testamento si riferiva a Israele.

 

 

 Argentino Quintavalle, autore dei libri 

- Apocalisse commento esegetico 

- L'Apostolo Paolo e i giudaizzanti – Legge o Vangelo?

  • Gesù Cristo vero Dio e vero Uomo nel mistero trinitario
  • Il discorso profetico di Gesù (Matteo 24-25)
  • Tutte le generazioni mi chiameranno beata
  •  Cattolici e Protestanti a confronto – In difesa della fede
  •  La Chiesa e Israele secondo San Paolo – Romani 9-11

 

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Dic 21, 2025

Natale del Signore

Pubblicato in Angolo della Pia donna

Natale del Signore 2025 [Messa della Notte]

Dio i benedica e la Vergine ci protegga. Ogni più caro augurio per questo santo Natale di Cristo. Offro alla vostra attenzione il commento dei testi biblici della messa della notte e del giorno.

 

*Prima Lettura dal libro del profeta Isaia (9,1-6)

Per capire il messaggio di Isaia in questo testo, bisogna leggere questo versetto, l’ultimo del capitolo 8 che lo precede direttamente: “Dio in passato  umiliò la terra di Zabulon e di Neftali, ma in futuro renderà gloriosa la via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti”(v.23). Il testo non permette di stabilire con precisione la data della sua redazione, ma conosciamo due cose con certezza: A quale situazione politica si riferisce, anche se il testo può essere stato scritto più tardi. E conosciamo anche il senso della parola profetica, che vuole ravvivare la speranza del popolo. All’epoca evocata, il popolo era diviso in due regni: nel Nord Israele con capitale Samarìa, politicamente instabile. Al Sud il regno di Giuda, con capitale Gerusalemme, erede legittimo della dinastia davidica. Isaia predica nel Sud, ma i luoghi citati (Zabulon, Neftali, Galilea, via del mare, oltre il Giordano) appartengono al Nord. Queste zone – Galilea, via del mare, Transgiordania – hanno subito un destino particolare tra il 732 e il 721 a.C. Nel 732, il re assiro Tiglat-Pilèser III annette queste regioni. Nel 721, cade tutto il regno del Nord. Da qui l’immagine del “popolo che cammina nelle tenebre”, forse riferita alle colonne dei deportati. A questo popolo disfatto, Isaia annuncia un radicale rovesciamento: Dio farà sorgere una luce proprio nelle regioni umiliate. Perché queste promesse riguardano anche il Sud? Gerusalemme non è indifferente a ciò che accade al Nord: perché la minaccia assira incombe anche su di essa; perché lo scisma è vissuto come una ferita e si spera nella riunificazione del popolo sotto la casa di Davide. L’avvento di un nuovo re, le parole di Isaia («Una grande luce si è levata…») appartenevano al rituale del sacro regale: ogni nuovo re era paragonato a un’alba che porta speranza di pace e di unità. Isaia annuncia dunque: la nascita di un re (“Un bambino è nato per noi…”), chiamato “Principe della pace”, destinato a ridare forza alla dinastia davidica, e a riunificare il popolo. Questa certezza nasce dalla fede nel Dio fedele, che non può tradire le sue promesse. La profezia invita a non dimenticare le opere di Dio: Mosè ricordava: «Guardati dal dimenticare» Isaia diceva ad Acaz: «Se non crederete, non resterete saldi» (Is 7,9). La vittoria promessa sarà «come al giorno di Madian» (Gdc 7): la vittoria di Dio ottenuta attraverso un piccolo resto fedele con Gedeone. Il messaggio centrale é “Non temere: Dio non abbandonerà la casa di Davide”. Oggi potremmo dire: Non temere, piccolo gregge, Dio non abbandona il suo progetto di amore sull’umanità e la luce si crede nella notte.. Complemento storico: Quando Isaia annuncia queste promesse, il re Acaz ha appena sacrificato suo figlio agli idoli per paura della guerra, minando la stessa discendenza davidica. Ma Dio, fedele alle sue promesse, annuncia un nuovo erede che ristabilirà la linea di Davide: la speranza non è annullata dal peccato umano.

 

Elementi più importanti. +Il contesto: annessioni assire (732–721 a.C.) che devastano le regioni del Nord. +Le parole di Isaia sono una profezia di speranza per un popolo in tenebre.

 +L’annuncio è legato al sacro regale: la nascita di un nuovo re davidico. +La promessa riguarda unità, pace e fedeltà di Dio al patto con Davide. +La vittoria sarà opera divina, come la vittoria di Gedeone. +Anche il peccato di Acaz non annulla il progetto di Dio: Dio resta fedele.

 

*Salmo responsoriale (95/96)

Del Salmo 95/96 la liturgia propone solo pochi versetti, ma l’intero salmo è attraversato da un fremito di gioia e di esultanza. Eppure fu composto in un tempo storico che non aveva nulla di esaltante: ciò che vibra non è l’entusiasmo umano, ma la fede che spera, quella speranza che anticipa ciò che ancora non si possiede. Il salmo ci proietta alla fine dei tempi, al giorno benedetto in cui tutti i popoli riconosceranno il Signore come unico Dio e vi porranno la loro fiducia. L’immagine è grandiosa: siamo nel Tempio di Gerusalemme. La spianata è colma di un’umanità sterminata, radunata “dal capo del mondo”. Tutti cantano all’unisono: «Il Signore regna!» Non è più l’acclamazione di Israele per un re terreno, ma il grido dell’umanità intera che riconosce il Re del mondo. E non solo l’umanità acclama: anche la terra trema, i mari mugghiano, le campagne e perfino gli alberi delle foreste danzano. La creazione intera riconosce il suo Creatore, mentre l’uomo spesso ci ha messo secoli per farlo. Il salmo contiene anche una critica all’idolatria: «i dèi delle nazioni sono un nulla». Nei secoli, i profeti hanno combattuto la tentazione di affidarsi a false divinità e false sicurezze. Il salmo ricorda che solo il Signore è il vero Dio, Colui che “ha fatto i cieli”. Il motivo per cui tutti i popoli ora accorrono a Gerusalemme è che la buona notizia ha finalmente raggiunto il mondo intero. E ciò è stato possibile perché Israele l’ha proclamata ogni giorno, raccontando le opere di Dio: la liberazione dall’Egitto, le liberazioni quotidiane dalle molte forme di schiavitù, il pericolo più grave: credere in falsi valori che non salvano. Israele ha ricevuto l’immenso privilegio di conoscere il Dio unico, come proclama lo Shema‘: «Il Signore è uno solo».

Ma l’ha ricevuto per annunciarlo: «A te è stato dato di vedere, perché tu sappia… e lo faccia sapere». Grazie a questo annuncio, la buona notizia è giunta “fino ai confini della terra” e tutti i popoli si radunano nella “casa del Padre”. Il salmo vive per anticipazione questa scena finale e, in attesa che si realizzi, Israele lo canta per rinnovare la sua fede, ravvivare la sua speranza e trovare la forza di continuare la missione affidatagli.

 

Elementi più importanti: +Il Salmo 95/96 è un canto di speranza escatologica: anticipa il giorno in cui tutta l’umanità riconoscerà Dio. +Il racconto descrive una liturgia cosmica: umanità e creazione insieme acclamano il Signore. +Forte denuncia dell’idolatria: i “dèi delle nazioni” sono un nulla. +Israele ha il compito di annunciare ogni giorno le opere di Dio e la sua liberazione. +La sua vocazione: conoscere l’unico Dio e farlo conoscere. +Il salmo è cantato come anticipazione del futuro, per mantenere viva la fede e la missione del popolo.

 

*Seconda Lettura dalle lettera di san Paolo a Tito (2,11-14) e per la messa dell’Aurora  (3, 4-7)

Con il Battesimo siamo immersi nella grazia di Dio. I Cretesi avevano una pessima reputazione già prima del tempo di san Paolo. Un poeta del VI sec. a.C., Epimenide di Cnosso, li definiva “bugiardi per natura, bestie malvagie, ventri pigri”. Paolo cita questa frase e aggiunge: “Questo è vero!”. Ed è proprio, ben consapevole  di questa umanità difficile,  che Paolo ha fondato una comunità cristiana, poi affidata a Tito perché la organizzasse e la guidasse. La Lettera a Tito raccoglie le istruzioni del fondatore ai responsabili della giovane Chiesa di Creta. Molti studiosi ritengono che la lettera sia stata scritta verso la fine del I secolo, dopo la morte di Paolo, ma rispetta lo stile ed è fedele  alla sua teologia. In ogni caso, le difficoltà dei Cretesi dovevano essere ancora molto attuali. La lettera — brevissima, appena tre pagine — contiene raccomandazioni concrete per tutte le categorie della comunità: anziani, giovani, uomini, donne, padroni, schiavi e anche i responsabili che sono ammoniti ad  essere irreprensibili, ospitali, giusti, padroni di sé, lontani da violenza, avidità e ubriachezze. Una lunga lista di consigli che lascia intuire quanta strada ci fosse ancora da fare. Il passaggio teologico centrale della lettera— quello proclamato nella liturgia — spiega il fondamento di tutta la morale cristiana e cioè la vita nuova nasce dal Battesimo. Paolo lega i consigli morali a un affermazione decisiva: “La grazia di Dio si è manifestata per la salvezza di tutti”. Il messaggio è questo: Comportatevi bene, perché la grazia di Dio si è manifestata e ciò comporta che il cambiamento morale non è uno sforzo umano, ma una conseguenza dell’Incarnazione. Quando Paolo dice “la grazia si è manifestata” significa: Dio si è fatto uomo e con il Battesimo, immersi in Cristo, noi siamo rinati:salvati mediante il lavacro di rigenerazione e rinnovamento nello Spirito Santo (Tt 3,5). Non siamo salvati per meriti nostri, ma per misericordia e Dio ci chiede di essere di questo tutti testimoni. Il progetto di Dio è la trasformazione dell’umanità intera, radunata attorno a Cristo come un solo uomo nuovo. Questa meta sembra lontana e gli increduli la considerano un’utopia; ma i credenti sanno e confessano che è promessa da Dio, quindi è certezza. Per questo viviamo “nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo.”. Le parole che il sacerdote pronuncia dopo il Padre Nostro nella Messa riprendono proprio questa attesa: “nell’attesa che si compia la beata speranza…”. Non è fuga dalla realtà, ma atto di fede: Cristo avrà l’ultima parola sulla storia. Questa certezza alimenta tutta la liturgia e la Chiesa vive già come un’umanità già riunita in Cristo e protesa verso il futuro per cui quando verrà la fine, si potrà dire: “Si levarono come un solo uomo, e quest’uomo era Gesù Cristo”.

Nota storica: Quando nacque la comunità cristiana di Creta? Due ipotesi: Durante il trasferimento di Paolo a Roma (At 27): la nave fece scalo a “Buoni Porti”, nel sud dell’isola. Ma gli Atti non parlano della fondazione di una comunità, e Tito non era presente. Durante un quarto viaggio missionario dopo la liberazione di Paolo: la prima prigionia a Roma fu probabilmente una “residenza sorvegliata”; liberato, Paolo avrebbe evangelizzato Creta proprio in questo ultimo viaggio.

Elementi importanti da ricordare: +I Cretesi erano considerati difficili, ma Paolo fonda comunque lì una comunità. +La Lettera a Tito contiene istruzioni concrete per strutturare la Chiesa nascente. +La morale cristiana nasce dall’Incarnazione e dal Battesimo, non da semplice sforzo umano. +Dio salva per misericordia e chiede testimonianza, non meriti. +Progetto di Dio: riunire l’umanità in Cristo come un solo uomo nuovo. +L’attesa della “beata speranza” è certezza e sostiene la vita liturgica.

 

*Dal Vangelo secondo Luca (2,1-14)

 Isaia, annunciando tempi nuovi al re Acaz, parla dell’“amore geloso del Signore” come forza capace di realizzare la promessa (Is 9,6). Questa convinzione attraversa tutto il racconto della nascita di Gesù nel Vangelo di Luca. La notte di Betlemme risuona dell’annuncio degli angeli: “Pace agli uomini amati dal Signore”  che sarebbe meglio dire “Pace agli uomini perché Dio li ama”. Non esistono infatti  “uomini amati e altri non amati” perché Dio ama tutti, e a tutti fa dono della sua pace. Tutto il progetto di Dio è racchiuso in questa frase che Giovanni sintetizza così: “Dio ha tanto amato il mondo da donare il Figlio unigenito” (Gv 3,16). Di fronte a un Dio che si presenta come un neonato, non c’è nulla da temere: forse Dio ha scelto di nascere così perché cadessero per sempre le nostre paure nei suoi confronti. Come Isaia al suo tempo, anche l’angelo annuncia la nascita del Re atteso: “Oggi vi è nato un Salvatore, Cristo Signore, nella città di Davide.” È il figlio promesso nella profezia di Natan a Davide (2Sam 7): una discendenza stabile, un regno che dura per sempre. Per questo Luca insiste sulle origini di Giuseppe: egli appartiene alla casa di Davide e per il censimento sale a Betlemme, luogo indicato anche dal profeta Michea come patria del Messia, che sarà pastore del popolo e portatore di pace (Mi 5). Gli angeli annunciano dunque una “grande gioia”. Ma ciò che sorprende è il contrasto tra la grandezza della missione del Messia e la piccolezza , la minorità delle sue condizioni: l’“erede di tutte le cose” (Eb 1,2) nasce tra i poveri, nella penombra di una stalla; la Luce del mondo appare quasi nascondendosi volontariamente; la Parola che ha creato il mondo vuole imparare a parlare come ogni neonato. E in quest’ottica non stupisce che molti “non l’abbiano riconosciuto”. Il segno di Dio non sta nell’eccezionalità ma nella quotidianità semplice e povera: è lì che si manifesta il mistero dell’Incarnazione e i  primi a riconoscerlo sono i piccoli e i poveri, perché Dio, il “Misericordioso”, si lascia attirare  solo dalla nostra povertà. Chinarsi allora sulla mangiatoia di Betlemme significa imparare a somigliare a Lui, perché è da questa umile “cattedra” che  il Dio onnipotente ci  comunica il potere di diventare figli di Dio (Gv 1,12). 

 

*Nota conclusiva. Il primogenito, termine giuridico, doveva essere consacrato a Dio e nel linguaggio biblico non significa che dopo Gesù siano venuti altri figli, ma che prima non c’era nessuno. Betlemme» significa letteralmente “casa del pane”; il Pane della vita viene donato al mondo. I titoli attribuiti a Gesù richiamano quelli attribuiti all’imperatore romano venerato come “dio” e “salvatore”, ma  l’unico che può portare davvero questi titoli è il neonato di Betlemme.

 

Elementi principali da ricordare: +Isaia e l’“amore geloso del Signore”: la promessa di un re futuro (Is 9,6). +Annuncio degli angeli: “Pace agli uomini perché Dio li ama”. +Il cuore del Vangelo: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito” (Gv 3,16). +Il neonato elimina ogni paura di Dio: Dio sceglie la via della fragilità. +Compimento delle promesse +Profezia di Natan a Davide (2Sam 7). +Profezia di Michea su Betlemme (Mi 5). +Giuseppe: discendenza davidica. +Contrasto sorprendente: grandezza del Messia vs. estrema povertà della nascita. +Titoli cristologici: “Erede di tutte le cose” (Eb 1,2). “Luce del mondo”. “Parola” che si fa bambino. +Il segno di Dio è la normalità povera: il mistero dell’Incarnazione nella vita quotidiana +I poveri e i piccoli lo riconoscono per primi. +La nostra vocazione: diventare figli di Dio (Gv 1,12) imitando la sua misericordia.

 

Sant’Ambrogio di Milano – Commento breve su Lc 2,1-14 “Cristo nasce in Betlemme, la “casa del pane”, perché si comprende fin dall’inizio che Egli è il Pane disceso dal cielo. La sua mangiatoia è il segno che sarà nostro nutrimento. Gli angeli annunciano la pace, perché dove c’è Cristo, lì c’è la pace vera. E sono i pastori i primi a ricevere la notizia: ciò significa che la grazia non si dona ai superbi, ma ai semplici. Dio non si manifesta nei palazzi dei potenti, ma nella povertà; insegna così che chi vuole vedere la gloria di Dio deve partire dall’umiltà” 

 

 

Natale del Signore 2025 [Messa del Giorno]

 

*Prima Lettura dal libro del profeta Isaia (52,7-10)

 Il Signore consola il suo popolo. Il grido: “Prorompete insieme in canti di gioia, rovine di Gerusalemme” colloca con precisione il testo di Isaia nel tempo dell’Esilio babilonese (587 a.C.), quando Gerusalemme fu distrutta dall’esercito di Nabucodonosor. La città devastata, la deportazione del popolo e la lunga attesa del ritorno avevano generato scoraggiamento e perdita di speranza. In questo contesto il profeta annuncia una svolta decisiva: Dio ha già agito. Le parole «Consolate, consolate il mio popolo» diventano certezza che il ritorno è imminente. Isaia immagina due figure simboliche:il messaggero, che corre per annunciare la buona notizia, la sentinella, che dalle mura di Gerusalemme vede avanzare il popolo liberato. Nel mondo antico il messaggero a piedi era l’unico mezzo di comunicazione rapida, mentre la sentinella vigilava dall’alto delle mura o delle colline. Così Isaia canta la bellezza dei passi di chi annuncia pace, salvezza e buona notizia. Non solo il popolo è salvato, ma anche la città sarà ricostruita: per questo perfino le rovine sono invitate alla gioia. La liberazione di Israele manifesta la potenza di Dio, che mostra “il suo braccio santo”. Come nell’Esodo dall’Egitto, Dio interviene con forza per riscattare il suo popolo. Isaia usa il termine “Ha riscattato Gerusalemme” (Go’el): Dio è il parente più prossimo che libera, non per interesse, ma per amore. Durante l’esilio il popolo matura una scoperta fondamentale: l’elezione di Israele non è privilegio esclusivo, ma missione universale. La salvezza di Dio è destinata a tutte le nazioni, affinché ogni popolo riconosca il Signore come Salvatore. Riletto alla luce del Natale, questo annuncio trova il suo compimento: Dio ha mostrato definitivamente il suo braccio santo in Gesù Cristo. Oggi la missione dei credenti è quella del messaggero: annunciare la pace, la buona notizia e proclamare al mondo che Dio regna.

 

Elementi più importanti nel testo: +Dio (il Signore) è il vero protagonista: Go’el, liberatore, re che ritorna a Sion. + Israele Popolo eletto, liberato dall’Esilio é chiamato a una missione universale. +Il messaggero è figura dell’annunciatore della buona notizia, della pace e della salvezza. +la sentinella, colui che vigila, riconosce i segni della salvezza e annuncia l’arrivo del Signore. +Gerusalemme (la città santa) distrutta ma destinata alla ricostruzione; simbolo del popolo restaurato.

 

*Salmo responsoriale (97/98)

 Come sempre si proclama solo qualche versetto ma il commento abbraccia tutto il salmo che ha come tema: il popolo dell’Alleanza… al servizio dell’Alleanza dei popoli. Tutti i confini della terra hanno veduto  la vittoria del nostro Dio”: è il popolo d’Israele che parla e che dice “nostro Dio”, affermando così il legame unico e privilegiato che lo unisce al Dio dell’universo. Tuttavia Israele ha compreso progressivamente che questa relazione non è un possesso esclusivo, ma una missione: annunciare l’amore di Dio a tutti gli uomini e introdurre l’umanità intera nell’Alleanza. Il salmo esprime chiaramente quelli che si possono definire “i due amori di Dio”: l’amore fedele per il suo popolo scelto, Israele; l’amore universale per tutte le nazioni, cioè per l’intera umanità. Da un lato si proclama che il Signore ha fatto conoscere la sua vittoria e la sua giustizia alle nazioni; dall’altro si ricorda la sua fedeltà e il suo amore verso la casa d’Israele, formule che richiamano tutta la storia dell’Alleanza nel deserto, quando Dio al Sinai si è rivelato come Dio di amore e di fedeltà (Es.19-24). L’elezione di Israele, quindi, non è un privilegio egoistico, ma una responsabilità fraterna: essere strumento perché tutti i popoli entrino nell’Alleanza. Come affermava André Chouraqui, il popolo dell’Alleanza è chiamato a diventare strumento dell’Alleanza dei popoli. Questa apertura universale è sottolineata anche dalla struttura letteraria del salmo, costruita secondo il procedimento dell’“inclusione”. La frase centrale, che parla della fedeltà di Dio verso Israele, è incorniciata da due affermazioni che riguardano tutta l’umanità: all’inizio le nazioni, alla fine tutta la terra. In questo modo il testo mostra che l’elezione di Israele è centrale, ma orientata a irradiare la salvezza su tutti. Durante la festa delle Capanne a Gerusalemme, Israele acclama il Signore come re, consapevole di farlo già a nome di tutta l’umanità, anticipando il giorno in cui Dio sarà riconosciuto come re di tutta la terra. Il salmo insiste così su una seconda dimensione fondamentale: la regalità di Dio. L’acclamazione non è un semplice canto, ma un vero grido di vittoria (teru‘ah), simile a quello che si lanciava sul campo di battaglia o nel giorno dell’incoronazione di un re. Il tema della vittoria ritorna più volte: il Signore ha vinto con il suo braccio santo e la sua mano potente, ha manifestato la sua giustizia alle nazioni e tutta la terra ha visto la sua vittoria. Questa vittoria ha un duplice significato. Da una parte richiama la liberazione dall’Egitto, primo grande atto salvifico di Dio, ricordato dalle immagini del braccio potente e delle meraviglie compiute nella traversata del mare. Dall’altra parte annuncia la vittoria finale ed escatologica, quando Dio trionferà definitivamente su ogni forza del male. Per questo l’acclamazione è piena di fiducia: a differenza dei re della terra, che deludono, Dio non delude. I cristiani, alla luce dell’Incarnazione, possono proclamare con ancora maggiore forza che il Re del mondo è già venuto e che il Regno di Dio, il Regno dell’amore, è già iniziato, anche se deve ancora compiersi pienamente.

Elementi importanti del testo: +Il rapporto privilegiato tra Israele e Dio,+ La missione universale di Israele al servizio dell’umanità. +I “due amori di Dio”: per Israele e per tutte le nazioni. +L’Alleanza come fedeltà e amore di Dio nella storia. +La struttura letteraria a “inclusione”. +La proclamazione della regalità di Dio e Il grido di vittoria (teru‘ah) e il linguaggio liturgico. +La memoria della liberazione dall’Egitto e L’attesa della vittoria definitiva di Dio alla fine dei tempi. +La rilettura cristiana alla luce dell’Incarnazione. +Il riferimento agli strumenti musicali del culto. + L’immagine della forza di Dio che, nel Natale, si manifesta nella fragilità di un bambino

 

*Seconda Lettura dalla lettera agli Ebrei (1,1-6)

L’affermazione “Dio aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti” mostra che la Lettera agli Ebrei si rivolge a Giudei divenuti cristiani. Israele ha sempre creduto che Dio si sia rivelato progressivamente al suo popolo: poiché Dio non è accessibile all’uomo, è Lui che prende l’iniziativa di farsi conoscere. Questa rivelazione avviene con una pedagogia graduale, simile all’educazione di un figlio, come ricorda il Deuteronomio: Dio educa il suo popolo passo dopo passo. Per questo, in ogni epoca, Dio ha suscitato profeti, considerati la “bocca di Dio”, che hanno parlato in modo comprensibile al loro tempo. Egli ha parlato «a molte riprese e in molti modi», formando il suo popolo nella speranza della salvezza. Con Gesù Cristo, però, si entra nel tempo del compimento. L’autore della Lettera agli Ebrei distingue due grandi periodi: il tempo precedente a Cristo e il tempo inaugurato da Cristo. In Gesù, il progetto misericordioso di salvezza di Dio trova il suo pieno compimento: il mondo nuovo è già iniziato. Dopo la risurrezione, i primi cristiani comprendono progressivamente che Gesù di Nazaret è il Messia atteso, ma in una forma inattesa. Le attese erano diverse: un Messia-re, un Messia-profeta, un Messia-sacerdote. L’autore afferma che Gesù è tutto questo insieme.

Gesù è il profeta per eccellenza: mentre i profeti erano la voce di Dio, Gesù è la Parola stessa di Dio, per mezzo della quale tutto è stato creato. Egli è il riflesso della gloria del Padre e la sua perfetta espressione: chi vede Lui, vede il Padre. Come sacerdote, Gesù ristabilisce l’Alleanza tra Dio e l’umanità. Vivendo una relazione filiale perfetta con il Padre, realizza la purificazione dei peccati. Il suo sacerdozio non consiste in riti esterni, ma in una vita totalmente donata nell’amore e nell’obbedienza al Padre. Gesù è anche il Messia-re. A Lui sono applicate le profezie regali: siede alla destra della Maestà divina ed è chiamato Figlio di Dio, titolo regale per eccellenza. Il suo regno supera quello dei re della terra: Egli è signore di tutta la creazione, superiore persino agli angeli, che lo adorano. Questo afferma implicitamente la sua divinità. Essere Cristo significa dunque essere profeta, sacerdote e re. Questo testo rivela anche la vocazione dei cristiani: uniti a Cristo, essi partecipano della sua dignità. Nel battesimo, il credente è reso partecipe della missione di Cristo come profeta, sacerdote e re. Il fatto che questo brano sia proclamato a Natale invita a riconoscere, nel bambino della mangiatoia, tutta questa profondità: Egli porta in sé il mistero del Figlio, del Re, del Sacerdote e del Profeta, e noi viviamo in Lui, con Lui e per Lui.

 

Elementi più importanti del testo: +La rivelazione progressiva di Dio. +Il ruolo dei profeti nella storia di Israele. +Gesù come compimento definitivo della rivelazione. +Cristo Parola di Dio e riflesso della sua gloria. +Cristo sacerdote che ristabilisce l’Alleanza. +Cristo re, Figlio di Dio e Signore della creazione. +L’unità delle tre funzioni: profeta, sacerdote e re. +La partecipazione dei cristiani a questa missione nel battesimo

 

*Dal Vangelo secondo Giovanni (1,1-18)

La creazione è il frutto dell’amore. “In principio”: Giovanni riprende volutamente il primo termine della Genesi («Bereshit»). Non indica una mera successione cronologica, ma l’origine e il fondamento di tutte le cose. “In principio era il Verbo” : tutto nasce dalla Parola, Parola d’amore, dal dialogo tra il Padre e il Figlio. Il Verbo è «rivolto verso Dio» (pros ton Theon), simboleggiando l’atteggiamento del dialogo: guardare l’altro negli occhi, aprirsi all’incontro. La creazione stessa è il frutto di questo dialogo d’amore tra Padre e Figlio, e l’uomo è creato per viverlo. Siamo frutto dell’amore di Dio, chiamati a un dialogo filiale con Lui. La storia umana mostra però la rottura di questo dialogo: il peccato originale di Adamo ed Eva rappresenta la sfiducia in Dio, che interrompe la comunione. La conversione, cioè il «fare mezzo giro», permette di riconciliare il dialogo con Dio. Il futuro dell’umanità è entrare nel dialogo. Cristo vive perfettamente questo dialogo con il Padre: Egli è il «Sì» dell’umanità al Padre. Attraverso di Lui, siamo reintrodotti nel dialogo originario, diventando figli di Dio per coloro che credono in Lui. La fiducia in Dio («credere») è il contrario del peccato: significa non dubitare mai dell’amore di Dio e guardare il mondo con i Suoi occhi. Il Verbo incarnato (Il Verbo si fece carne) mostra che Dio è presente nella realtà concreta, non bisogna fuggire dal mondo per incontrarlo. Come Giovanni Battista, anche noi siamo chiamati a testimoniare questa presenza nella vita quotidiana.

 

Elementi principali del testo: +La creazione come frutto del dialogo d’amore tra Padre e Figlio: + In principio indica origine e fondamento, non solo cronologia. +Il Verbo come Parola creatrice e principio del dialogo. +L’uomo creato per vivere il dialogo filiale con Dio

e La rottura del dialogo nel peccato originale. +La conversione come «mezzo giro» per riconciliare il rapporto con Dio. +Cristo come perfetto dialogo e «Sì» dell’umanità al Padre. +Diventare figli di Dio attraverso la fede. +La presenza di Dio nella realtà concreta e nella carne del Verbo. +La chiamata dei credenti a essere testimoni della presenza di Dio

 

Sant’Agostino, commentando il Prologo di Giovanni, scrive: “Il Verbo non è stato creato; il Verbo era presso Dio e tutto è stato fatto per mezzo di Lui. Non è solo un messaggio, ma la stessa Sapienza e Amore di Dio che comunica se stesso agli uomini”. Agostino sottolinea così che la creazione e l’umanità non sono un accidente, ma il frutto dell’amore eterno di Dio e che l’uomo è chiamato a rispondere a questo amore nel dialogo con Lui.

 

+ Giovanni D’Ercole

(Famiglia di Nazaret)

 

Come mai Gesù ha avuto parole così sublimi sull'Amore? E dove ha imparato il linguaggio dell'amore?

Dio ha voluto avere come icona di sé una Famiglia, affinché nell'esercizio delle virtù domestiche il cuore divenisse oasi di pace, e volgesse al dono.

Tra i tanti modi che aveva per venire ha scelto la fucina del focolare, perché esso resta la vera scuola dell'amorevolezza, il luogo in cui si manifesta completamente il progetto del Creatore.

 

La Famiglia è l’innesco e il sillabario dell'amore perché immagine della Trinità. Infatti lo scambio d'amore degli sposi col sostegno della fede e della preghiera diventa poesia che sorregge, e fa fiorire.

A meno che non faccia leva sulla fragilità dei sentimenti e su uno spirito di sopraffazione, la famiglia unita nella sottomissione reciproca acquista l'occhio di Dio e supera ogni prova.

Da tale intensità di relazione - così dotata di cifra soprannaturale - nasce poi la tenerezza, il sorriso dell'anima e un anticipo di Paradiso già sulla terra.

Amore sponsale: immagine della Trinità, che però non si chiude, non s'incarta, non ripiega. Il nucleo famigliare diviene trampolino di lancio per la missione, per l'ingresso in una famiglia senza steccati e barricate; ampia, universale.

 

Gesù ha fatto esperienza piena dell'amore materno, di un cuore di madre che batteva per il figlio; perché è sul cuore di madre che i figli riposano.

Ecco la caratteristica del genio femminile, nell'esperienza della gestazione, e nel poi della vita: è la sensibilità di chi ha concepito, fatto spazio dentro, lasciato crescere in grembo, generato al mondo, nutrito, educato-preparato e sostenuto... accogliendo, facendo maturare, rispettando l'identità dell'altro.

 

Cristo ha sperimentato l'amore paterno, più virile ed esigente, capace di custodia e protezione; ha fatto esperienza di un modello di laboriosità, di attenzione e presenza, così come di valigie sempre pronte (se necessario).

 

 Come noi, anche il Maestro e Signore ha vissuto il diritto di ricevere amore, ma si è anche coinvolto nel saziare d'amore di figlio i suoi. Perché anche l'amore figliale fortifica la Famiglia e contribuisce a non sfaldarla.

Insomma, è in Famiglia che Gesù ha vissuto l'esperienza di tutte le sfumature dell'amore, in braccio a Maria e a fianco di Giuseppe. Questo il modello che oggi la liturgia propone perché anche noi attingiamo alle fonti perenni e non diventiamo pericolosi vasi di coccio, svuotati e vagabondi.

 

Ecco il segreto...

Nella Santa Famiglia di Nazaret non si trova opposizione o resistenza alla Parola di Dio. Non che i problemi fossero pochi o semplici, anzi; ma a differenza di ciò che accade in giro e forse anche nelle nostre case, i momenti di crisi, le difficoltà e persino le sventure non sono state motivo di allontanamento e disgregazione.

Gli ostacoli sono divenuti uno stimolo al dialogo, all'unione, al servizio verso il più debole e (al momento) più bisognoso di aiuto.

I due sposi si sono sempre mossi insieme, sono rimasti in sintonia, e con cuore e mente rivolti a Dio si sono trovati d'accordo nelle scelte. Non però per coltivare un egoismo da cerchia autosufficiente, ma per acquistare un calore che straripa.

 

Per il cristiano la Famiglia è nucleo della società e non può essere svalutata, ma essa non va considerata né vissuta come un idolo. Anche Gesù a un certo punto ha preso distanza da certe ristrettezze ambientali e si è aperto a orizzonti di più largo respiro.

È nato in una Famiglia, per diventare cittadino di ogni terra, perché ciascun figlio è dono di Dio a tutta l'umanità. Restringere le prospettive e compiacersi di un piccolo mondo di affetti e interessi che ignorano la fraternità universale significa svilire quella che resta una semplice tappa per balzare verso altre mète.

La Famiglia è sì una piccola Chiesa domestica voluta da Dio come abbecedario delle molte sfumature dell'amore [sponsale, materno, paterno, figliale] ma al pari di ‘fermento’.

Da piattaforma solida deve poi consentirci di spiccare arditamente il volo, con un balzo verso la vita.

 

Omelia ai giovani di Taizé, Roma 30.12.2012

 

 

[S. Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe (28 dicembre 2025)]

Mt 2,13-15.19-23 (13-23)

 

I sogni narrati da Mt sono costituiti unicamente da Parole del Signore, le quali chiedono solo di essere accolte in modo attivo (Mt 1,20; 2,12-13.19-22).

L’evangelista si rivolge alle comunità di Galilea e Siria che enumeravano fedeli di estrazione ebreo cristiana, perseguitati dalla Sinagoga - incoraggiati e invitati all’apertura di Fede.

Per questo, nei racconti dell’infanzia di Gesù, egli introduce la figura di una Famiglia che crede nei sogni di Dio - ben diversi dalle astuzie terrificanti degli uomini e delle religioni.

Nei Vangeli, segreto di Gesù, Maria e Giuseppe è appunto la rinuncia alle opinioni comuni - ai programmi normali dell’ambiente circostante - e la decisione di voler fare proprio il Disegno del Padre.

Anche i nostri focolari possono scoprire il Progetto del Signore, sia nelle vicende esterne che nell’ascolto intimo - muovendosi insieme.

Così, ancora una volta Mt c’invita a riflettere sul senso profondo della Venuta del Regno di Dio.

 

La crudeltà di Erode - un egocentrico esasperato - divenne proverbiale persino a Roma.

Nei suoi ultimi anni, assurdamente ripiegato in una inquieta adesione a se stesso, fece perire tre dei suoi figli ed emanò un decreto [non eseguito per sopravvenuta morte] col quale dispose che fossero eliminati i più influenti tra i giudei - sia per cancellare via via i (ritenuti) pretendenti al trono che i dissensi sul territorio.

Nel passo di Vangelo il re è icona della volontà di potenza che uccide coloro i quali richiamano lo spirito d’infanzia del Cristo: il Figlio di Dio poneva nella Missione del Padre il suo essere.

[Tale umiltà decentrata non ci salva solo nell’ordine della grazia, ma anche in quello dell’equilibrio umano].

 

Mt scrive il suo Vangelo per rispondere alla situazione che viveva la Chiesa in un momento assai critico.

Dopo l’anno 70, gli unici gruppi che sopravvissero alla distruzione del Giudaismo furono i cristiani messianici e i farisei - entrambi convinti che la lotta armata contro l’impero romano non avesse nulla a che fare con l'adempimento delle Promesse.

A distanza di non molti anni dal disastro di Gerusalemme, proprio la setta dei farisei ormai priva del luogo di culto - centro dell’identità nazionale - iniziò ad organizzarsi in modo da accentrare il governo delle sinagoghe.

Accusati di tradire la cultura particolare e le usanze, i giudaizzanti che riconoscevano Gesù Figlio di Dio furono infine cacciati dalle stesse sinagoghe.

L’opposizione crescente e poi l’esplicita separazione dal popolo del Patto resero acuto lo smarrimento dei fedeli e il problema della stessa identità delle prime assemblee di Fede; gruppi in evidente sofferenza.

Mt incoraggia a evitare defezioni, sostenendo coloro che avevano ricevuto la tagliente scomunica da parte dei leaders della religiosità popolare - sino allora ammirati per spiccata devozione, e tenuti in gran conto.

Per aiutare a superare il trauma, la Lieta Notizia rivolta ai convertiti di matrice giudaizzante si proponeva di rivelare Gesù come vero compimento delle Profezie e autentico Messia - nella figura del nuovo Mosè che attua le promesse di liberazione.

Come lui, perseguitato che ha dovuto incessantemente muoversi e fuggire (cf. Es 4,19).

Secondo una credenza generalizzata nel giudaismo, il tempo dell’Unto del Signore avrebbe riattualizzato il tempo di Mosè.

Ma l’antico condottiero de «il Monte» aveva imposto una relazione tra Dio e il popolo fondata sul banale obbedire a una Legge.

Il Figlio genuino e trasparente, invece, propone ora ai fratelli di Fede un rapporto creativo di beatitudine e comunione basato sulla Somiglianza.

Relazione chiamata a superare l’antica giustizia dei farisei (Mt 5,20).

 

Nessuna paura dunque - anche per noi - delle vessazioni, che vanno semplicemente messe in conto.

Anzi, colte quali occasioni di testimonianza d’amore e coinvolgimento forte, nella vicenda stessa del Maestro - reinterpretata in prima persona.

Ecco indicato anche un nuovo Cammino di ricerca della Luce o Stella che guida i nostri passi.

Tutto come i Magi - stranieri, eppure autentici adoratori del Signore.

Essi seppero evitare la vigilanza del sovrano - così ritrovarono la propria Dimora, deviando dalla strada già prevista.

 

Al pari dell’Inviato di Dio per eccellenza che ha sperimentato la medesima sorte del suo popolo, le chiese di ogni tempo possono vivere in Lui un’identica vicenda di Esodo.

Un cammino inedito, fucina di esplorazioni e cambio di mentalità; di consolazione e più vive speranze - con inesorabili contrapposizioni.

Cristo è il Messia nascosto e perseguitato, fondatore di un Popolo nuovo, dimesso e fraterno. Germe di una società alternativa a quella spietata sul campo.

Coronamento delle speranze di tutti gli uomini.

 

Il diniego della stessa Via del Signore proietta un’atmosfera oscura: diventa conservazione del belluino.

Rifiuto dell’umanizzazione… la cui terapia sta nella fiducia dei «piccoli», nell’audacia giovane e “infantile” che non conosce l’impossibile.

I bimbi innocenti di quello sterminio sono figura dei figli di Dio di ogni secolo, quali “coetanei” di Gesù, in grado di riattualizzarne il tempo spontaneo - contrario alla violenza e alla morte.

Essi sono i perseguitati e fatti fuori a causa della paradossale forza sovversiva della loro tenera Fede di minuscoli e schietti che si lasciano salvare, e non badano a ruoli.

Il contrario dei servili e adulatori, divorati dal calcolo; sempre pronti alla deferenza nei confronti dei feroci detentori del potere. Intimiditi dalla possibilità che una forma di vita morbida e gracile possa destabilizzarne le posizioni.

 

Ma in caso di gravi angherie, persino l’energia della tristezza che attraversa gli eventi dolorosi (vv.17-18) farà riscoprire quel che conta davvero.

Ciò consentirà di rinascere (nel pianto, nel buio) separando anche noi da quel genere di personaggi.

 

 

Nella teologia di Mt Gesù è il “figlio primogenito” che soppianta il popolo eletto [qui, il popolo che Dio è andato a prendersi in Egitto].

Il Figlio eminente ripropone l’Esodo della sua gente: in Lui la vicenda antica - anche dei figli di Giacobbe - rivive per una rinnovata e ormai non più procrastinabile Liberazione.

Implicatosi in tutto nelle traversie, il Signore vuole compiere insieme il cammino verso la nostra emancipazione.

Egli è pienezza delle Scritture sacre: Apice completo della Legge e dei Profeti.

Infatti, nel passo di Vangelo sono come detto palesi i riferimenti al Cristo come nuovo Mosè: scampato all’eccidio e fuggito dalla propria terra.

Insomma: l'evangelista vuole sottolineare che con Gesù ha avuto inizio l’Esodo autentico verso la realizzazione - dove scorre latte e miele [cf. Es 3,5-8] ossia dove Dio in Persona si fa Presente.

Terra Promessa che non è un posto fisico - ambìto e rinomato come quello riservato al ceto sacerdotale, di recinti sacri o corti (vv.22-23).

La sua capacità attrattiva viene dilatata persino ai pagani!

Nel Vangelo di Mt lo si nota sin dall’esordio (genealogia) e dai primi che porgono omaggio al neonato; dalle persecuzioni, dalle fughe, dal ritorno “clandestino” (v.23).

Il Regno di Dio parte - non a caso - da Nazaret: luogo di malconsiderati ancora cavernicoli; da una famiglia senza terra, esposta e indifesa - ma non degenerata...

Per questo fa diventare liberi.

Gesù fin da bambino partecipa delle vicende perigliose della sua gente.

Secondo la mentalità antica, tutto ciò sta a significare che Egli è unito alle sorti del Popolo di Dio in tutto l’arco della sua vicenda.

Qui l’Egitto è icona sia di terra di scampo che di terra dalla quale uscire ancora - per costituire una diversa realtà di madri e padri innocenti.

Un piccolo gregge; un Resto d’Israele, nel quale Cristo si è immedesimato.

Come nella vicenda di Mosè, le forze avverse sono preponderanti, eppure non riescono ad annientare le energie della Vita genuina, che risulterà vincitrice sulle potenze di morte.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Nella realizzazione di te stesso in Cristo, come hai abbattuto la prigione del pensiero comune, del potere, e dei suoi timori?

L’esempio della famiglia ecclesiale, in che modo ti ha aiutato?

 

 

L’aspetto riflessivo della Casa di Nazaret

 

La casa di Nazareth è la scuola dove si è iniziati a comprendere la vita di Gesù, cioè la scuola del Vangelo. Qui si impara ad osservare, ad ascoltare, a meditare, a penetrare il significato così profondo e così misterioso di questa manifestazione del Figlio di Dio tanto semplice, umile e bella. Forse anche impariamo, quasi senza accorgercene, ad imitare.
Qui impariamo il metodo che ci permetterà di conoscere chi è il Cristo. Qui scopriamo il bisogno di osservare il quadro del suo soggiorno in mezzo a noi: cioè i luoghi, i tempi, i costumi, il linguaggio, i sacri riti, tutto insomma ciò di cui Gesù si servì per manifestarsi al mondo.
Qui tutto ha una voce, tutto ha un significato. Qui, a questa scuola, certo comprendiamo perché dobbiamo tenere una disciplina spirituale, se vogliamo seguire la dottrina del Vangelo e diventare discepoli del Cristo. Oh! come volentieri vorremmo ritornare fanciulli e metterci a questa umile e sublime scuola di Nazareth! Quanto ardentemente desidereremmo di ricominciare, vicino a Maria, ad apprendere la vera scienza della vita e la superiore sapienza delle verità divine! Ma noi non siamo che di passaggio e ci è necessario deporre il desiderio di continuare a conoscere, in questa casa, la mai compiuta formazione all’intelligenza del Vangelo. Tuttavia non lasceremo questo luogo senza aver raccolto, quasi furtivamente, alcuni brevi ammonimenti dalla casa di Nazareth.
In primo luogo essa ci insegna il silenzio. Oh! se rinascesse in noi la stima del silenzio, atmosfera ammirabile ed indispensabile dello spirito: mentre siamo storditi da tanti frastuoni, rumori e voci clamorose nella esagitata e tumultuosa vita del nostro tempo. Oh! silenzio di Nazareth, insegnaci ad essere fermi nei buoni pensieri, intenti alla vita interiore, pronti a ben sentire le segrete ispirazioni di Dio e le esortazioni dei veri maestri. Insegnaci quanto importanti e necessari siano il lavoro di preparazione, lo studio, la meditazione, l’interiorità della vita, la preghiera, che Dio solo vede nel segreto.
Qui comprendiamo il modo di vivere in famiglia. Nazareth ci ricordi cos’è la famiglia, cos’è la comunione di amore, la sua bellezza austera e semplice, il suo carattere sacro ed inviolabile; ci faccia vedere com’è dolce ed insostituibile l’educazione in famiglia, ci insegni la sua funzione naturale nell’ordine sociale. Infine impariamo la lezione del lavoro. Oh! dimora di Nazareth, casa del Figlio del falegname! Qui soprattutto desideriamo comprendere e celebrare la legge, severa certo ma redentrice della fatica umana; qui nobilitare la dignità del lavoro in modo che sia sentita da tutti; ricordare sotto questo tetto che il lavoro non può essere fine a se stesso, ma che riceve la sua libertà ed eccellenza, non solamente da quello che si chiama valore economico, ma anche da ciò che lo volge al suo nobile fine; qui infine vogliamo salutare gli operai di tutto il mondo e mostrar loro il grande modello, il loro divino fratello, il profeta di tutte le giuste cause che li riguardano, cioè Cristo nostro Signore.

[Papa Paolo VI, Chiesa dell’Annunciazione Nazareth 5 gennaio 1964]

Cari fratelli e sorelle […] celebriamo con gioia la Santa Famiglia di Nazaret. Il contesto è il più adatto, perché il Natale è per eccellenza la festa della famiglia. Lo dimostrano tante tradizioni e consuetudini sociali, specialmente l’usanza di riunirsi insieme, in famiglia appunto, per i pasti festivi e per gli auguri e lo scambio dei doni; e, come non rilevare che in queste circostanze, il disagio e il dolore causati da certe ferite familiari vengono amplificati? Gesù ha voluto nascere e crescere in una famiglia umana; ha avuto la Vergine Maria come mamma e Giuseppe che gli ha fatto da padre; essi l’hanno allevato ed educato con immenso amore. La famiglia di Gesù merita davvero il titolo di "santa", perché è tutta presa dal desiderio di adempiere la volontà di Dio, incarnata nell’adorabile presenza di Gesù. Da una parte, è una famiglia come tutte e, in quanto tale, è modello di amore coniugale, di collaborazione, di sacrificio, di affidamento alla divina Provvidenza, di laboriosità e di solidarietà, insomma, di tutti quei valori che la famiglia custodisce e promuove, contribuendo in modo primario a formare il tessuto di ogni società. Al tempo stesso, però, la Famiglia di Nazaret è unica, diversa da tutte, per la sua singolare vocazione legata alla missione del Figlio di Dio. Proprio con questa sua unicità essa addita ad ogni famiglia, e in primo luogo alle famiglie cristiane, l’orizzonte di Dio, il primato dolce ed esigente della sua volontà, la prospettiva del Cielo al quale siamo destinati. Per tutto questo oggi rendiamo grazie a Dio, ma anche alla Vergine Maria e a San Giuseppe, che con tanta fede e disponibilità hanno cooperato al disegno di salvezza del Signore.

(Papa Benedetto, Angelus 28 dicembre 2008)

Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. […] La Chiesa celebra la festa della Santa Famiglia. Come nel presepe, lo sguardo di fede ci fa abbracciare insieme il Bimbo divino e le persone che gli sono accanto: la sua Madre Santissima, e Giuseppe, il suo padre putativo. Quale luce si sprigiona da questa “icona di gruppo” del Santo Natale! Luce di misericordia e di salvezza per il mondo intero, luce di verità per ogni uomo, per la famiglia umana e per le singole famiglie. Com’è bello per i coniugi rispecchiarsi nella Vergine Maria e nel suo sposo Giuseppe! Com’è consolante per i genitori specialmente se hanno un bimbo piccolo! Com’è illuminante per i fidanzati alle prese con i loro progetti di vita!

Raccoglierci intorno alla grotta di Betlemme, a contemplarvi la Santa Famiglia, ci fa gustare in modo speciale il dono dell’intimità familiare, e ci sprona ad offrire calore umano e concreta solidarietà in quelle situazioni, purtroppo numerose, in cui, per vari motivi manca la pace, manca l’armonia, manca, in una parola, la “famiglia”.

2. Il messaggio che viene dalla Santa Famiglia è anzitutto un messaggio di fede: quella di Nazaret è una casa in cui Dio è veramente al centro. Per Maria e Giuseppe questa scelta di fede si concretizza nel servizio al Figlio di Dio loro affidato, ma si esprime anche nel loro amore reciproco, ricco di spirituale tenerezza e di fedeltà.

Essi insegnano con la loro vita che il matrimonio è un’alleanza tra l’uomo e la donna, alleanza che impegna alla reciproca fedeltà e poggia sul comune affidamento a Dio. Alleanza così nobile, profonda e definitiva, da costituire per i credenti il sacramento dell’amore di Cristo e della Chiesa. La fedeltà dei coniugi a sua volta si pone come solida roccia su cui poggia la fiducia dei figli.

Quando genitori e figli respirano insieme questo clima di fede, essi dispongono di una energia che permette loro di affrontare prove anche difficili, come mostra l’esperienza della Santa Famiglia.

3. […] Affido a Maria “Regina della famiglia”, tutte le famiglie del mondo, specialmente quelle che incontrano gravi difficoltà, e invoco su di esse la sua materna protezione.

(Papa Giovanni Paolo II, Angelus 29 dicembre 1996)

La liturgia ci invita a fissare lo sguardo sulla Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe. È bello riflettere sul fatto che il Figlio di Dio ha voluto aver bisogno, come tutti i bambini, del calore di una famiglia. Proprio per questo, perché è la famiglia di Gesù, quella di Nazaret è la famiglia-modello, in cui tutte le famiglie del mondo possono trovare il loro sicuro punto di riferimento e una sicura ispirazione. A Nazaret è germogliata la primavera della vita umana del Figlio di Dio, nel momento in cui Egli è stato concepito per opera dello Spirito Santo nel grembo verginale di Maria. Tra le mura ospitali della Casa di Nazaret si è svolta nella gioia l’infanzia di Gesù, circondato dalle premure materne di Maria e dalla cura di Giuseppe, nel quale Gesù ha potuto vedere la tenerezza di Dio (cfr Lett. apost. Patris corde, 2).

Ad imitazione della Sacra Famiglia, siamo chiamati a riscoprire il valore educativo del nucleo familiare: esso richiede di essere fondato sull’amore che sempre rigenera i rapporti aprendo orizzonti di speranza. In famiglia si potrà sperimentare una comunione sincera quando essa è casa di preghiera, quando gli affetti sono seri, profondi e puri, quando il perdono prevale sulle discordie, quando l’asprezza quotidiana del vivere viene addolcita dalla tenerezza reciproca e dalla serena adesione alla volontà di Dio. In questo modo, la famiglia si apre alla gioia che Dio dona a tutti coloro che sanno dare con gioia. Al tempo stesso, trova l’energia spirituale di aprirsi all’esterno, agli altri, al servizio dei fratelli, alla collaborazione per la costruzione di un mondo sempre nuovo e migliore; capace, perciò, di farsi portatrice di stimoli positivi; la famiglia evangelizza con l’esempio di vita. È vero, in ogni famiglia ci sono dei problemi, e a volte anche si litiga. “Padre, ho litigato…” – siamo umani, siamo deboli, e tutti abbiamo a volte questo fatto che litighiamo in famiglia. Io vi dirò una cosa: se litighiamo in famiglia, che non finisca la giornata senza fare la pace. “Sì, ho litigato”, ma prima di finire la giornata, fai la pace. E sai perché? Perché la guerra fredda del giorno dopo è pericolosissima. Non aiuta. E poi, in famiglia ci sono tre parole, tre parole da custodire sempre: “permesso”, “grazie”, “scusa”. “Permesso”, per non essere invadenti nella vita degli altri. “Permesso: posso fare qualcosa? Ti sembra che possa fare questo?”. “Permesso”. Sempre, non essere invadente. “Permesso”, la prima parola. “Grazie”: tanti aiuti, tanti servizi che ci facciamo in famiglia. Ringraziare sempre. La gratitudine è il sangue dell’anima nobile. “Grazie”. E poi, la più difficile da dire: “Scusa”. Perché noi sempre facciamo delle cose brutte e tante volte qualcuno si sente offeso di questo. “Scusami”, “scusami”. Non dimenticatevi le tre parole: “permesso”, “grazie”, “scusa”. Se in una famiglia, nell’ambiente familiare ci sono queste tre parole, la famiglia va bene.

All’esempio di evangelizzare con la famiglia ci chiama la festa di oggi, riproponendoci l’ideale dell’amore coniugale e familiare, così come è stato sottolineato nell’Esortazione apostolica Amoris laetitia […]

Affidiamo alla Santa Famiglia di Nazareth, in particolare a San Giuseppe sposo e padre sollecito, questo cammino con le famiglie di tutto il mondo.

La Vergine Maria, alla quale ci rivolgiamo ora con la preghiera dell’Angelus, ottenga alle famiglie del mondo intero di essere sempre più affascinate dall’ideale evangelico della Santa Famiglia, così da diventare fermento di nuova umanità e di una solidarietà concreta e universale.

[Papa Francesco, Angelus 27 dicembre 2020]

Per non affievolire l’Incontro personale

(Gv 20,2-8)

 

In Gv il discepolo amato ai piedi della Croce insieme alla Madre è figura di ciascuno, e della nuova comunità che nasce attorno a Gesù.

Sorge la Chiesa; non sulla base d’una successione prevista, bensì per adesione piena e spontanea.

Nell’Asia Minore gli amici del Signore, ellenisti meno legati alle consuetudini, intendevano contrapporsi all’atteggiamento incerto e compromissorio dei giudaizzanti.

Buona parte dei fedeli delle chiese giovannee pensavano di abbandonare sinagoga e Primo Testamento, che li attardavano.

In alternativa, essi desideravano abbracciare esclusivamente il Nuovo, mediante la Fede personale nel Cristo vivo, senza incertezze.

Il quarto Vangelo tenta di riequilibrare le posizioni estremiste.

“Figlio” e Madre - ossia il popolo del Patto antico [in ebraico «Israèl» è di genere femminile] - devono rimanere uniti (Gv 19,26-27).

Insomma, Fede e ‘opere di legge vanno di pari passo.

 

La Fede è una relazione progressiva che si accende in una ‘ricerca’ colma di tensione e passione [«correre»].

Essa trasmette percezioni progressive, le quali fanno accedere a un mondo nuovo [«entrare»], dove ‘vediamo’ cose che non sappiamo.

Era già stata questa in parte la reazione costernata della Maddalena, che in Gv accorre sola alla tomba - non accompagnata da altre “donne” come narrano i sinottici.

Uno sgomento che però spinge all’Annuncio: il sepolcro (la condizione dello Sheôl, anfratto di tenebre) non era più nell’assetto in cui era stato lasciato dopo la sepoltura del Cristo.

E appunto, quel lenzuolo «ravvolto [con cura] a parte» dice che non avrà mai bisogno di alcun sudario. La morte non ha più potere su di Lui.

 

Così, sebbene il giovane sia più veloce del veterano e arrivi primo ad avvistare i segni della verità e del mondo nuovo, cede il passo.

Al pari d’un profeta che coglie tutto anzitempo, il discepolo schietto e la comunità genuina aspettano che anche gli attardati giungano alla medesima esperienza, all’identico acume delle cose; al credere nel misterioso processo che porta guadagno nella perdita e vita dalla morte.

L’occhio dell’innamorato «percepisce» immediatamente; ha lo sguardo intimo e acuto che afferra e fa propria la Novità del Risorto.

Prima dei semplici ammiratori, il fratello empatico e verace «coglie Vita fra segni di morte».

Come se per relazione di Fede che ci anima, nell’attenzione degli accadimenti, fossimo già introdotti in una realtà che comunica ‘sensi nuovi’. E il distinguere-udire del cuore.

Un Ascolto che fa acuto l’occhio - proiettando l’Annuncio.

Sorge in tal guisa un nuovo Popolo, che “vede dentro”, che avverte l’Infinito affacciarsi nella finitezza, e vita completa che si svela nella fragilità dell’evento (persino oscuro).

 

Forse non pochi restano ancora sorpresi dalla «tomba vuota»: ossia un Gesù Risorto solo ‘personale’, vissuto nell’amore, nel gratis normale, nel dono di sé che vince la morte. Ma senza ‘mausoleo’ alcuno.

Il Discepolo Amato - sgorgato dal Cuore del Trafitto e che porta in vetta anche la Tradizione - nella sua sensibilità ‘avverte’ il Signore vivente ben prima di quello commemorato.

Ne viene rapito, e nella sua esperienza ‘si accorge’ all’istante della potenza della Vita su qualsiasi legaccio.

Condizione divina, illuminante, dispiegata nella storia.

 

 

[San Giovanni Apostolo ed Evangelista, 27 dicembre]

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May the Holy Family be a model for our families, so that parents and children may support each other mutually in adherence to the Gospel, the basis of the holiness of the family (Pope Francis)
La Santa Famiglia possa essere modello delle nostre famiglie, affinché genitori e figli si sostengano a vicenda nell’adesione al Vangelo, fondamento della santità della famiglia (Papa Francesco)
John is the origin of our loftiest spirituality. Like him, ‘the silent ones' experience that mysterious exchange of hearts, pray for John's presence, and their hearts are set on fire (Athinagoras)
Giovanni è all'origine della nostra più alta spiritualità. Come lui, i ‘silenziosi’ conoscono quel misterioso scambio dei cuori, invocano la presenza di Giovanni e il loro cuore si infiamma (Atenagora)
Stephen's story tells us many things: for example, that charitable social commitment must never be separated from the courageous proclamation of the faith. He was one of the seven made responsible above all for charity. But it was impossible to separate charity and faith. Thus, with charity, he proclaimed the crucified Christ, to the point of accepting even martyrdom. This is the first lesson we can learn from the figure of St Stephen: charity and the proclamation of faith always go hand in hand (Pope Benedict)
La storia di Stefano dice a noi molte cose. Per esempio, ci insegna che non bisogna mai disgiungere l'impegno sociale della carità dall'annuncio coraggioso della fede. Era uno dei sette incaricato soprattutto della carità. Ma non era possibile disgiungere carità e annuncio. Così, con la carità, annuncia Cristo crocifisso, fino al punto di accettare anche il martirio. Questa è la prima lezione che possiamo imparare dalla figura di santo Stefano: carità e annuncio vanno sempre insieme (Papa Benedetto)
“They found”: this word indicates the Search. This is the truth about man. It cannot be falsified. It cannot even be destroyed. It must be left to man because it defines him (John Paul II)
“Trovarono”: questa parola indica la Ricerca. Questa è la verità sull’uomo. Non la si può falsificare. Non la si può nemmeno distruggere. La si deve lasciare all’uomo perché essa lo definisce (Giovanni Paolo II)
Thousands of Christians throughout the world begin the day by singing: “Blessed be the Lord” and end it by proclaiming “the greatness of the Lord, for he has looked with favour on his lowly servant” (Pope Francis)
Migliaia di cristiani in tutto il mondo cominciano la giornata cantando: “Benedetto il Signore” e la concludono “proclamando la sua grandezza perché ha guardato con bontà l’umiltà della sua serva” (Papa Francesco)
The new Creation announced in the suburbs invests the ancient territory, which still hesitates. We too, accepting different horizons than expected, allow the divine soul of the history of salvation to visit us
La nuova Creazione annunciata in periferia investe il territorio antico, che ancora tergiversa. Anche noi, accettando orizzonti differenti dal previsto, consentiamo all’anima divina della storia della salvezza di farci visita
Luke the Evangelist of the Poor celebrates the reversals of the situation: pharisee and tax collector, prodigal son and firstborn, samaritan and priest-levite, Lazarus and rich man, first and last place, Beatitudes and “woe to you”... so in the anthem of the Magnificat
Luca evangelista dei poveri celebra i ribaltamenti di situazione: fariseo e pubblicano, figlio prodigo e primogenito, samaritano e sacerdote-levita, Lazzaro e ricco epulone, primo e ultimo posto, Beatitudini e “guai”... così nell’inno del Magnificat

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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