Fra cadaveri e avvoltoi: diversi nella profondità
(Lc 17,26-37)
C’è un discernimento essenziale assai semplice: dove la vita si spegne, non è favorita, non rallegrata né promossa, la terra diventa un camposanto anticipato, e il “cielo” si popola di stormi interi d’avvoltoi.
Fotografia dell’invecchiamento, dello stagno, del problema d’Occidente a monopolio spirituale (abituato) che non fa fiorire più nulla.
È l’amaro risultato di una struttura religiosa forse devotissima, di sicuro abile a soddisfare i sensi, però indolente; certo capillare, esperta, e che si pronuncia su tutto, ma disarticolata in campanilismi d’ogni tipo.
Un’istituzione spettacolare, tuttavia ripiegata, in sé estranea e a volte ostile [che spegne la spinta creativa e non si mescola con le speranze della donna e dell’uomo di oggi]; dalla quale purtroppo non trapela la netta presenza di Colui che ha rivestito il mondo di Bellezza.
La piramide gerarchica sul territorio rimane esagerata, forse allo scopo stesso di autolegittimarsi, serrando le fila per fare meglio corpo.
La mentalità che ne deriva appare totalmente inerte: non in grado di farci riconoscere - noi senza voce - quali Motivo reale e Termine dell’iniziativa di Dio. Addirittura gli unici autentici Santuari.
Dovremmo essere Relazioni viventi e parlanti, che riempiono il cuore di sogni. E centri d’irradiazione, icone d’appagamento pieno; luoghi di passioni non statiche, bensì rispettose dell’intima natura delle cose.
Viceversa, cogliamo attorno sprazzi di vita sì giovane ed esuberante che tenta di fiorire, ma oscuramente soffocata da troppi lacci, idee passate o disincarnate, interessi di gruppo consolidati, e padroncini.
Ecco la crisi di senso, il tempo davvero umano che viene meno; come in un anticipo di perdizione - fuori prospettiva del Padre, amante della vita.
Convinzioni e proposta pastorale paiono incapaci di costituire: non reggono, impallidiscono, non incidono, non ricercano l’unicità.
Tutto ciò, malgrado l’esercito (distratto) di realtà istituzionali e capillari, che succhia vocazioni persino da terre in piena Missione.
Motivo in più per iniziare a edificare una ecclesialità profondamente differente, che non si attende di essere solo imboccata da programmi di professionisti del sacro.
Regno di Dio a partire dalla vita reale nuda e cruda; eppure, con la magia dentro: che fa amicizia con ciò che c’è nel viaggio di ciascuno.
Qui vige un discernimento più sottile - cifra del brano di Vangelo di oggi: il Giudizio si presenta in forma di sorpresa.
I minimi problemi dell’esistenza quotidiana (le nostalgie dei tradizionalisti, come le stesse idee disincarnate dei sofisticati) possono diventare così assorbenti da farci smarrire il senso stesso delle imperfezioni - e in genere, la dimensione di profondità.
Le frontiere del Regno sono nel mondo, nelle persone, nei loro lamenti e gioie, negli accadimenti - se letti come appuntamenti di svolta.
Non nelle convocazioni dove le cerchie d’iniziati si autorappresentano con una pletora di segni non confortati dalla vita.
Il luogo del “Giudizio” è ovunque.
In specie fuori dalle sagrestie: «vogliamo essere una Chiesa che serve, che esce di casa, che esce dai suoi templi, dalle sue sacrestie, per accompagnare la vita, sostenere la speranza, essere segno di unità [...] per gettare ponti, abbattere muri, seminare riconciliazione» [da un’omelia del settembre 2015 a Santiago di Cuba, cit. in: Fratelli Tutti n.276].
L’invito di Gesù è a non lasciarsi distrarre, neanche dalle minuzie della religiosità.
La manifestazione dei tempi ultimi - ossia la possibilità di avviare un mondo nuovo - continuamente Viene: dev’essere ricevuta e farsi consapevole.
Mantenuta viva personalmente.
L’Incontro decisivo non accade in spazi e tempi preposti: si ripropone in mille fogge, momenti e luoghi, ma - ecco l’altro dato saliente - c’è qualcuno che si accorge, altri no.
La “divisione” tra chi viene associato alla vita divina e chi non può esserlo, non concerne gli eticismi sui vizi capitali, bensì il discernimento vivente
Si tratta della realtà anche minuta (vv.31.34-35) e il suo messaggio - ciò che la persona di Fede sente consistenza indistruttibile, ed è rivelazione totale di sé.
Senza la Fede delle svolte, il senso cultuale alienante riempie l'umanità di apparenze, di vesti divenute maschere e scorie - incapaci ormai d’interrogarci. Atteggiamento devastante.
La devozione poi che cura solo i dettagli o le grandi visioni del mondo e tira diritto, combatte i rovesci dell’esistere e non ne coglie gli appelli, la ricchezza per noi.
Anche nel tempo dell’emergenza, le fughe in avanti, il malessere dell’assuefazione o dell’errore piccino, stanno arrestando anche i festival spirituali più esuberanti nel punto in cui erano.
Ossia nelle tombe in cui ci siamo volentieri lasciati seppellire, e lo si nota in modo drammatico.
L’unione a Cristo che pulsa nell’anima, e sogna - intimo Fratello di ognuno e sfolgorante misura di ben altre cose - vuol spalancarci la Visione.
Una Visione di cieli e terra alternativi. Un’ottica oggi spesso rapita da vane attese di ripristino al “come eravamo”.
Lo leggiamo anche nel nostro cuore in rivolta, che vuole ridestarci dai loculi e dalla dittatura dei pensieri già confezionati.
Il Sé nascosto ha sete di comprendere l’appello del sommario, dei “difetti”, il richiamo della bifrontalità delle situazioni.
Duplicità purtroppo poco coltivate nelle realtà ingessate o unilaterali, quelle senza prodigio, e che ormai non vogliamo.
Le “simmetrie” che tanto sembravano rassicuranti non fanno crescere virtù, dentro le debolezze.
Ecco allora raggiungerci il pungolo dei fastidi, persino epocali: l’idea di perfezione non ci farebbe altrettanto spostare lo sguardo, per fare esodo, crescere, fiorire.
Il “Giudizio” attivo in Cristo trasmette invece la capacità di cogliere uno scenario che non sapevamo, e di capovolgere tutta una impostazione d’esistenza vintage avvezza.
Anche reagendo d’improvviso (v.31).
Insomma, Gesù sta richiamando i suoi a non camminare per aria:
Molte conquiste devote saranno in conto perdita. Tanti rischi d’amore, sia negli eventi ordinari che straordinari, saranno calcolati a “guadagno”.
In tal guisa saremo pronti a ricevere il Dio-Insieme.
Ciò sia nei rapporti con gli uomini, che nei segni del tempo e negli eventi personali.
Non ci faremo prendere alla sprovvista dal pensiero solo retrospettivo - o frutto di attaccamenti opposti - che si accontenta di praticucce esterne, ma non vigila.
L’avvento del «Figlio dell'uomo» (vv.26.30) mette in discussione. E il suo Giudizio sovrasta i distratti, i contratti dall’abitudine; senza più capacità di lettura profonda e intuizione.
Il Signore viceversa coglie il nucleo dell’esistenza.
La sua teologia d’Incarnazione vuole creare alleanza tra le nostre variegate potenze primordiali [tutte in sé genuine].
Saremo dunque riconosciuti diversi [viventi o meno]… non nei manierismi o luoghi spiccioli della “morale” (vv.31.34).
Neppure nella faticosa elaborazione (epidermica) delle virtù ammesse: «Chi cercherà di conservare la sua vita, la perderà; ma chi perderà, la manterrà vivente» (Lc 17,33).
Tutto ciò, bensì, nella profondità della percezione.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Ti fai imbeccare da altri o stai edificando te stesso e il tuo modo di comprendere?
Ti senti sicuro per aver assunto sogni, virtù, speranze, successi comuni e altrui? Ovvero per averli vissuti e riconosciuti - come una vera storia d’amore - in prima persona?
Quale differenza profonda rechi con te nel tempo degli attaccamenti e degli sconvolgimenti?