XXXIV Domenica Tempo Ordinario (anno B) [24 Novembre 2024]
Prima lettura Dn 7,13-14
*Una scena di incoronazione
Il profeta Daniele descrive una scena di incoronazione “nelle nubi del cielo”, ovvero nel mondo di Dio con un “figlio d’uomo” (in ebraico significa semplicemente un essere umano) che si avvicina al Vegliardo, che pochi versetti prima (v.9) descrive seduto su un trono: si comprende che è Dio. Il Figlio d’uomo avanza per essere consacrato re: “gli furono dati potere, gloria e regno…il suo è un potere eterno che non finirà mai”, regalità universale ed eterna che però non conquista con la forza e, come precisa Daniele, non si avvicina verso il trono di Dio di sua iniziativa. Questa domenica si ferma qui la lettura, ma per meglio capire occorre andare un po’ oltre e si comprende che questo “figlio d’uomo” non è un individuo bensì un popolo: “Io, Daniele, mi sentii agitato nell'animo..mi accostai a uno dei vicini e gli domandai il vero significato di tutte queste cose ed egli me ne diede questa spiegazione: "Le quattro grandi bestie rappresentano quattro re, che sorgeranno dalla terra; ma i santi dell'Altissimo riceveranno il regno e lo possederanno per sempre, in eterno"(vv15-18). In alcuni versetti più avanti ripete: “Allora il regno, il potere e la grandezza dei regni che sono sotto il cielo saranno dati al popolo dei santi dell'Altissimo, il cui regno sarà eterno e tutti gli imperi lo serviranno e gli obbediranno" (v27). Questo figlio d’uomo è dunque “il popolo dei santi dell’Altissimo” che, nel linguaggio biblico, significa Israele e nell’epoca delle persecuzioni, è il piccolo resto fedele. Siamo nel momento più doloroso della persecuzione di Antioco Epifane intorno al 165 a.C. quando restò veramente solo un piccolo gruppo. Quando Daniele afferma che il popolo dei santi dell’Altissimo riceverà il regno, intende incoraggiarlo a resistere perché presto avverrà la liberazione definitiva e, dato che poco dopo Antioco Epifane fu cacciato, la sua profezia venne interpretata da alcuni Giudei riferita al Messia- Re atteso, che non sarebbe stato un individuo particolare, bensì un popolo. Quando secoli dopo nacque Gesù, pur se tutti in Israele attendevano il Messia, non tutti lo immaginavano allo stesso modo: alcuni attendevano un uomo, altri un Messia collettivo chiamato appunto “il piccolo Resto d’Israele” (espressione del profeta Amos 9.11-15), o “il figlio d’uomo” in riferimento al profeta Daniele. Gesù è il solo (nessun altro lo fa) a utilizzare più di 80 volte nei vangeli l’espressione “Figlio dell’uomo” che viene sulle nubi del cielo riferendola a sé stesso, ma i suoi contemporanei non potevano riconoscere nel Gesù di Nazareth, il carpentiere, il Messia cioè “il popolo dei santi dell’Altissimo”. Inoltre, Gesù modifica in maniera sostanziale la definizione perché rifacendosi a Daniele afferma: “Allora…si vedrà il Figlio dell’uomo venire, circondato da nubi, nella pienezza della potenza e della gloria” (Mc 13, 26), e sempre nel vangelo di Marco aggiunge:“Il Figlio dell'uomo sta per esser consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno” (Mc 9, 31). Solo dopo la risurrezione i discepoli capiranno che il titolo di Figlio dell’uomo sulle nubi del cielo si attribuisce a Gesù, perché lui è insieme uomo e Dio, il primogenito della nuova umanità, il Capo che fa di noi un unico Corpo e, alla fine della storia, saremo come “un solo uomo, innestati in lui e quindi “il popolo dei santi dell’Altissimo”. Mentre Daniele diceva un “Figlio d’uomo” Gesù lo modifica in “Figlio dell’uomo””: figlio d’uomo significava “un uomo”, mentre figlio dell’uomo indica “l’Umanità” e dunque “Figlio dell’Uomo” significa l’Umanità. Attribuendo a sé stesso questo titolo, Cristo si rivela il portatore del destino di tutta l’umanità realizzando il progetto della creazione divina, fare cioè dell’umanità un solo popolo: “Dio creò l'uomo a sua immagine…maschio e femmina li creò… disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra” (Gn 1, 27-28). Per san Paolo Gesù è il nuovo Adamo: ”Come per la disobbedienza di un solo uomo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno uno solo tutti saranno costituiti giusti” (Rm5,12-21; 1Cor. 15,21-22, 45-49), mentre nel IV vangelo colpisce sempre la frase di Piato “Ecce homo, Ecco l’uomo” (19,5).
*Salmo responsoriale 92/93 (1,2,5)
*Noi proclamiamo Dio nostro Re
Proclamando Cristo Re affermiamo la nostra fede/speranza con il coraggio di realizzare il suo regno, certi che risorgendo ha sconfitto la morte e perdonando gli uccisori ha distrutto l’odio. Mentre però osiamo dire che Cristo è già re, tutto nel mondo sembra andare al contrario: la morte uccide, l’odio dilaga in tutte le sue forme di violenza e di ingiustizia. Il salmo 92/93 proclama la vittoria di Dio sul mondo malgrado le apparenze e anche gli Ebrei celebrano Dio Re avendo la stessa fede e speranza nell’attesa del “Giorno” di Dio. Nel proclamare però la sua vittoria sulle forze del Male si basano sull’esperienza dell’Esodo adorando Dio che liberando Israele ha offerto la sua Alleanza, mentre noi cristiani poggiandoci sulla risurrezione di Cristo. Per cantare la regalità di Dio questo salmo guarda al modello dell’incoronazione dei re: nella sala del trono il nuovo re, investito del mantello regale, sedeva sul trono e, firmata la carta d’intronizzazione, entrava in possesso del palazzo reale. A questo punto il popolo gridava “Viva il Re,” acclamazione che in ebraico si chiama «térouah» ed era all’origine un grido di vittoria contro il nemico. In questo salmo il re acclamato è Dio e più di altri merita la terouah perché ha sconfitto le forze del male: “Il Signore regna, si riveste di maestà, si cinge di forza”: questi sono gli abiti del Creatore. L’espressione ebraica: “Ha cinto la sua forza” evoca lil gesto di legarsi un vestito ai fianchi, come fa il vasaio con il grembiule per lavorare l’argilla”. Cantando che il suo trono “é stabile da sempre, dall’eternità tu sei “il salmo accenna per contrasto agli idoli che sono alla portata di tutti ed evoca la fragilità dei regni terreni, in particolare dei re di Israele, alcuni dei quali hanno regnato pochi anni, persino pochi giorni. Nell’intero salmo Dio è proclamato Re dal creato perché domina le forze delle acque spesso indomabili per l’uomo: “più del fragore di acque impetuose, più potente dei flutti del mare, potente nell’alto è il Signore” (v.4). I flutti del mare richiamano il Mar dei Giunchi (in ebraico Yam Suf, e suf significa canna o giunco)) identificato con il Mar Rosso, che Dio fece attraversare dal suo popolo. Da allora la fedeltà del Signore non si è mai spenta come ben esprime il versetto 5: “Degni di fede tutti i tuoi insegnamenti”. L’espressione: “degni di fede” in altre versioni viene resa con “immutabili”, parola che ha la stessa radice di Amen ed evoca fedeltà, stabilità, verità, immutabilità, fermezza. Questa é la fedeltà di Dio verso il suo popolo, di cui era simbolo il Tempio di Gerusalemme, icona della presenza di Dio e riflesso della sua santità: “La santità si addice alla tua casa”. Nabucodosonor II conquistò Gerusalemme e abbatté il Tempio di Salomone deportando gran parte della popolazione in Babilonia, e distrutto il regno di Giuda nel 586 a.C., non ci furono più re in Israele perché l’ultimo fu Sedecia catturato, accecato e portato in esilio. Da quel momento l’espressione: “La santità si addice alla tua casa” celebrava la sovranità di Dio nell’attesa del Re-Messia, immagine fedele di Dio. Ogni anno, durante la Festa delle Capanne (in autunno), questo salmo veniva ripreso per celebrare in anticipo il compimento di tutta la storia, l’Alleanza definitiva, le Nozze tra Dio e l’Umanità: infatti Israele con l’intera umanità condivideranno un giorno la regalità del Messia, come la Regina siede accanto al Re.
Seconda Lettura Ap. 1,5-8
*Colui che è, che era e che viene
“Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti, il sovrano dei re della terra”: le frasi di questo breve testo, che è l’inizio dell’Apocalisse, sono dense ed evocano tutto il mistero di Cristo e ogni parola ne rivela un aspetto. “Gesù” è il nome di un uomo di Nazaret e significa “Dio salva”; “Cristo” indica il Messia ricolmo dello Spirito di Dio; “il testimone fedele” si collega alle parole di Gesù a Pilato che oggi ascoltiamo nel vangelo: “Io sono nato e venuto nel mondo per dare testimonianza alla verità”. L’affermazione: “il primogenito dei morti” racchiude la fede dei primi cristiani che vedevano in Gesù, uomo mortale come tutti, il primogenito di una lunga serie, risuscitato da Dio per guidare tutti i suoi fratelli e la frase: “il lsovrano dei re della terra ”rafforza il concetto di Messia che ha posto tutti i suoi nemici sotto i suoi piedi, come canta il Salmo 109/110. Dato che nell’Apocalisse i numeri sono simbolici e le espressioni ternarie sono riservate a Dio, le tre qualifiche: “testimone fedele, primogenito dei morti, sovrano dei re della terra” attribuite a Gesù affermano che egli è Dio. La seconda frase riprende e amplifica la prima: “A colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen”. Ci sono qui i tradizionali principi della fede: l’amore di Cristo per tutti gli uomini; il dono della sua vita significato dall’espressione “sangue versato” per riscattarci dal male mentre l’affermazione: “Ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre” indica che in Cristo si è compiuta la promessa “Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa” contenuta nel libro dell’Esodo (19, 6). Nella terza frase: “Ecco, egli viene con le nubi” è il Figlio dell’uomo, di cui parla Daniele nella prima lettura, che avanza verso il trono di Dio per ricevere la regalità universale. La prima dimensione della sua regalità è il trionfo. La seconda dimensione è quella della sofferenza: ”Ogni occhio lo vedrà, anche quelli che lo trafissero e per lui tutte le tribù della terra si batteranno il petto ”, chiara allusione alla croce e al colpo di lancia del soldato (Gv.19,33-34). Qui san Giovanni fa riferimento alla profezia di Zaccaria: “io riverserò sulla casa di Davide e Gerusalemme uno spirito di benevolenza … volgeranno lo sguardo verso colui che hanno trafitto...faranno lutto per lui, come per un figlio unico…. lo piangeranno come un primogenito… una sorgente sgorgherà…come rimedio al peccato e all’impurità”. ( Zc 12, 10; 13, 1). Con lo spirito di benevolenza Dio trasformerà il cuore umano e volgendo lo sguardo verso colui che hanno trafitto, gli uomini vedranno un innocente ucciso ingiustamente in evidente contrasto con le autorità religiose dell’epoca. Osservando il Messia crocifisso d’improvviso gli occhi e i cuori si apriranno e, quando il cuore di tutti gli uomini sarà trasformato, Cristo sarà Re perché è l’apertura del cuore a introdurci nella grazia e nella pace dell’eternità in Dio: “Venite, benedetti dal Padre mio, ricevete in eredità il Regno preparato per voi sin dalla creazione del mondo” (Mt 25, 34). Infine, l’’espressione finale della seconda lettura: “Colui che è, che era e che viene” (v. 8) è una delle traduzioni del nome di Dio (YHVH, Es 3, 14) nei commenti giudaici (Targum di Gerusalemme).
Vangelo Gv. 18, 33b-37
*Dunque tu sei re?
Il vangelo di Giovanni è l’unico a riferire il lungo dialogo tra Pilato e Gesù, un testo di notevole interesse per la Festa di Cristo Re perché rare sono nei vangeli le affermazioni sulla regalità di Cristo e soltanto durante la sua passione Gesù dichiara apertamente di essere re. Durante la vita pubblica ogni volta che volevano farlo re si ritirava, quando pubblicizzavano i suoi miracoli imponeva il silenzio e questo persino dopo la Trasfigurazione. Solo ora che è incatenato e condannato a morte afferma di essere re, ossia nel momento meno indicato secondo i calcoli umani. Indubbiamente ha un modo alternativo di concepire la regalità e lo ha spiegato ai discepoli: i capi dominano sulle nazioni, ma così non deve avvenire per voi; se qualcuno vuole essere grande sia vostro servitore, se vuole essere il primo sia il servo di tutti, imitando il Figlio dell’uomo che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto (cioè liberazione) per la moltitudine (cf. Mc 10, 42-45). E’ durante l’interrogatorio di Pilato che egli si dichiara il re dell’umanità, proprio quindi nel momento in cui dà la sua vita per noi mostrando che sua unica ambizione regale è il servizio. A ben vedere nel dialogo tra Pilato, alto rappresentante dell’impero romano e un condannato a morte si capovolgono le parti: non è Pilato a giudicarlo ma è Cristo a giudicare il mondo e il potere romano finirà per riconoscere Cristo vero re. Gesù è stato catturato perché i capi religiosi, impauriti dal suo successo, agirono con menzogna paventando la loro distruzione con l’arrivo dei romani: “Se lo lasciamo fare verranno i romani e ci distruggeranno”. E’ un assassinio che nasce dalla volontà della regnante casta sacerdotale mentre per Pilato Gesù non rappresentava alcun pericolo. Oggi leggiamo nel vangelo di Giovanni il primo interrogatorio di Pilato: “Sei tu il re dei Giudei?” In questo processo non è il giudice a fare domande all’imputato ma l’inverso e la sentenza sarà emessa dall’imputato. Infatti Gesù non risponde, ma domanda. “Dici questo da te oppure altri ti hanno parlato di me?”. E Pilato: “Che cosa hai fatto? Gesù replica: “Il mio regno non è di questo mondo”. Pilato insiste: “Dunque tu sei re?” e Gesù: “Tu lo dici” nel senso che se tu lo stai affermando (su legeis) hai capito bene e quindi lo proclami. Si tratta però di un regno diverso da tutti quelli terreni difesi da soldati e basati sul potere, sul dominio e sulla menzogna. Il mio invece è il regno della verità che non conta su nessun’altra difesa che la verità: “Per questo io sono nato e sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce” e aggiunge: “Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità”. E conclude: “Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”. Non dice: “Chi ha la verità”, ma “chi è dalla verità” poiché la verità non è una dottrina da possedere bensì lo stile di vita del credente. Nella seconda lettura tratta dall’Apocalisse, Giovanni afferma che Gesù è il “testimone fedele”, il “Figlio unigenito pieno di grazia e verità, come già leggiamo nel Prologo del suo Vangelo (Gv1,14). Se Pilato, figlio del mondo greco-romano, pone la domanda “Che cos’è la verità?” (Gv18,38), gli ebrei, invece, sapevano fin dall’inizio dell’Alleanza con Dio che la verità è Dio stesso. La verità nella Bibbia significa “salda fedeltà” di Dio ed ha in ebraico la stessa radice di “Amen” che significa stabile, fedele, vero, come appare oggi nel Salmo responsoriale 92/93. La Verità è Dio stesso per cui nessuno può pretendere di possederla ma è indispensabile ascoltarla e lasciarsi istruire da essa (cf. Gv 8, 47). Solo Dio può dirci “Ascolta”, come nella Torah ripete continuamente: “Shema Israël”.
Qualche a Testimonianza su Cristo Re dell’universo:
*Sant’Agostino, nel sermone sul Salmo 2, scrive: “Cristo non ha regno temporale, ma regna nei cuori degli uomini. Il suo trono è la croce, il suo scettro è l’amore, e la sua corona è fatta di spine. È un re che non conquista con le armi, ma con la verità e la giustizia.”
*A san Nicola Cabasilas ortodosso (XIV secolo) si attribuisce questa frase: “Cristo regna perché ha conquistato il nostro cuore, non con la violenza, ma con il sacrificio. La sua croce è il suo trono, e dalla croce egli giudica il mondo con amore, offrendo la vita eterna a chi si sottomette alla sua volontà divina.”
*Santa Caterina da Siena, nella sua opera “Il Dialogo della Divina Provvidenza” scrive:
“Cristo è dolce re, perché il suo regno non è fondato sull’orgoglio né sulla forza, ma sull’amore e sull’umiltà. Egli ha fatto della sua carne un ponte tra cielo e terra, perché l’uomo potesse attraversarlo e giungere al regno eterno. La sua corona è di spine, segno dell’amore con cui ha preso su di sé le pene dei suoi sudditi; il suo trono è la croce, da cui ha governato con misericordia e giustizia.”
*Dietrich Bonhoeffer pastore protestante nel suo libro “Discepolato” scrive: “Cristo è il Re che porta la croce, e il suo regno è il regno della croce. Chi lo segue entra nella sua signoria non con potenza o gloria, ma con l’umiltà di colui che accetta il peso del proprio giogo. Cristo regna su di noi perché ha scelto di morire per noi, e in questo è la nostra vera libertà.”
*G.K. Chesterton nel suo libro “Ortodossia” scrive: “Cristo non solo è un re, ma il re dei paradossi. La sua corona è fatta di spine, eppure è la più gloriosa; il suo trono è la croce, eppure è il più elevato; il suo potere si manifesta nella resa, eppure nessuno ha mai regnato con maggiore autorità. Egli è il re che trasforma il dolore in gioia e la morte in vita.”
Buona solennità di Cristo Re dell’universo a voi tutti !
+ Giovanni D’Ercole