Iniziati, cerchie, pregiudizi, e strade diverse - dal “vuoto”
(Lc 9,46-50)
Secondo il Tao Tê Ching (LXXXI) «Il santo non accumula; più ha fatto per gli altri, più possiede; più ha dato agli altri, più abbonda».
La Redenzione presenta due aspetti essenziali: Dono della Chiamata e capacità di accogliere la Proposta.
Di onda in onda ciò realizza una nuova Creazione della persona, della fraternità, della Chiesa, e del mondo.
Così la Fede: relazione di accoglienza e incisività che si riverbera, sempre giovane. Tale l’infanzia spirituale.
È per questo motivo che il testo greco parla di garzone di bottega, il servetto di casa [«paidìon»: vv.47-48] come modello del discepolo vicino al Signore - pronto a scattare di fronte a ogni richiesta di vita.
Grandezza nella piccolezza.
Ma in questo passo Lc congiunge a quella del servitore anche un’idea di “primo periodo” tipica di coloro che si presentano alla soglia delle comunità: «mikròi» [v.48: incipienti e malfermi]. Spesso coloro che hanno meno energia.
Però, invece d’un incondizionato benvenuto, questi ultimi sentono la diffidenza dei veterani, i quali disdegnano il dialogo e confronto; sempre guardinghi sulle novità - e il pericolo di poter essere messi “in ombra”.
La vita inedita che potrebbe sorge viene subito soffocata o incasellata da sedicenti esperti (v.49), trascurando e smorzando il rinnovato Dono di Dio all’assemblea.
Insomma, la Comunità deve tornare al suo Principio immediato e spontaneo: l’amore fraterno e universale - riattualizzato dal bussare alla porta delle chiese dei poco importanti in società.
Ma spesso si va come in guerra, perché i primi della classe pretendono di essere solo serviti e riveriti - dai nuovi e da chi è destinato a sforzi, obblighi... e formulazione di propositi impersonali.
Altro che accoglienza totale: il piccolo è considerato usurpatore di proprietà privata - lui che invero farebbe diventare “grandi” gli attori della santità finalmente somiglianti al Padre.
I responsabili sul territorio continuano invece a inaridire le cose e le situazioni, e irrigidire tutti entro forme immobili.
Anche l'attività missionaria degli estranei al gruppo ufficiale viene denigrata, subisce derisioni e conosce ostacoli artificiosi che tentano di cronicizzare gli assetti.
Così l’evangelizzazione viene soppesata: non servizio al Signore e ai fratelli, ma territorio di conquista per sentirsi protagonisti - e i molti concorrenti sembrano pericolosi... all’autoaffermazione.
A tali dovizie del «seguire insieme con noi» (v.49) invece che seguire personalmente Lui, si contrappone la ricchezza semplice dell’infanzia spirituale e del servizio nella coesistenza e condivisione più ampie.
Conosciamo anche in noi stessi le manie di dominio che travalicano l’umiltà, le ansie d’imprese memorabili e gesta importanti che riteniamo di fatto più significative della comprensione e della fluidità.
Ma chi si fa «minimo» lascia vasto spazio alla forza e all’opera tollerante e trasmutativa della vita.
Percepisce l’interno di sé e prende atto delle cose nuove, per esistere davvero e non sentirsi orfano - anzi, sbaragliare le situazioni e portare l’attenzione su altre dimensioni.
L’audacia del pudore che ascolta e ha rispetto della propria anima e del fratello come dono e proposta, può far ritrovare dentro ciascuno il «servetto» e il «senza voce» che attende di essere richiamato in vita.
Pura freschezza che evoca la gioia della Grazia; che mantiene uno sguardo chiaro su tutto, anche sulle astuzie decisioniste altrui, perché anch’esse possono farci prendere direzioni differenti.
Il posto d’onore è tanto ambito, ma chi resta senza pretese può assai meglio essere se stesso e farsi disponibile a una condizione d’altro Regno - alla fraternità che rispetta la vocazione impareggiabile di ciascuno.
Non dobbiamo punteggiare il presente in Cristo di modelli, perché nel seguire il Signore non tutti camminano nello stesso modo. E il nuovo irraggia l’imprevedibile.
Semplicità e sconvolgimenti: Rinascita senza mortificazione
Non si tratta di trovare scuse per giustificare la pigrizia nella ricerca e nell’esodo spirituale: piccoli, spontanei e naturali - ma ricchi dentro - si diventa, abbassandosi dal proprio personaggio.
È l’arte di rendere densa e complessa la vita, poliedrica e vasta, semplificando poi, senza disperdere.
Spesso basta solo osservare in maniera singolare e personale, o posare lo sguardo in diverso luogo, per trovare mille sbocchi inattesi e auto-rigeneranti.
Infatti, la soluzione delle complicazioni che soffocano l’anima e l’esperienza della pienezza di essere che cerchiamo, è insita nella nostra stessa domanda.
Non di rado appartiene alle precomprensioni più che alla realtà o alla marea che viene, la quale vuole trascinarci sul territorio della crescita - semplicemente, col suo ritmo.
Siamo obnubilati dai pensieri. Ma esiste un sapere innato che veglia sulla nostra unicità e non intossica l’anima.
Esiste ed è eloquente dentro, un tempo e uno spazio segreti, che ci abitano: essi risuonano in sintonia coi Vangeli.
Non c’è da “rimettersi al passo” di sempre, né solo trovare una via d’uscita.
Se ci arrendiamo a tale istinto giovane e creativo, più sapiente, confortato dalla Parola, il Nucleo dell’essere scenderà in campo con le sue energie primordiali.
Virtù che ricreano la terra come il mitico Bimbo del mondo: un piccolo Gesù - dentro e fuori di noi.
Così si annienta anche il disastro della crisi globale, e si risorge: ciascuno a modo proprio (che non è “suo” nel senso dell’arbitrio).
E quando nei casi particolari saremo capaci di accogliere gli accadimenti come una Chiamata a uscire dalle gabbie affinché percepiamo l’Altrove, troveremo un risultato intimo.
La spina nel fianco sbroglierà e rilancerà la via speciale; accentuerà le possibilità di scambio di doni inediti, non stereotipi - senza neppure provare stanchezza, e le sottili insoddisfazioni che conosciamo.
Proiettati totalmente nei problemi esterni, sovraccarichiamo la mente e lo spirito di aspettative indotte da paradigmi culturali in voga [antiquati o disincarnati che siano] o cui siamo abituati.
Così l’esistenza ridiventa subito conformista, stagnante nei soliti mezzi e mète, priva di nuovi picchi o relazioni autentiche e vitalità impensate.
Il diktat dell’obbiettivo indotto dai ruoli che immaginavamo acquisiti ci sfibra, e l’idea istituita di perfezione sterilizza l’humus - impoverisce dentro.
Il riduzionismo in atto mette fra parentesi le esigenze effettive.
L’unilateralità poi lascia prevalere i modi di essere, i ruoli già espressi; inaridisce i rapporti, rendendo di nuovo torbidi gli ambienti (tutti impermeabili e consolidati).
Le idee fisse condizionano la vita e non lasciano che l’organismo interiore - psichico e spirituale - possa nutrirsi di verità trasparenti, non pregiudicate; e sensazioni sincere, che vorrebbero donarci respiro.
Liberarci da soliti modi di scendere in campo, da giudizi e convinzioni apodittiche, consentirebbe viceversa di spezzare le catene che trattengono le facoltà luminose e arcobaleno.
Nonché la capacità di corrispondere all’inedita Chiamata personale, spalancando altre visuali.
Il “vuoto” propugnato dal Tao somiglia solo a orecchio al “vuoto” di altre sapienze orientali, decisamente più spersonalizzanti.
L’insegnamento orientale della Via non smarrisce il senso di rilievo ed eccezionalità del singolo seme.
Anzi, ne rispetta appieno la vocazione propulsiva. Rimanendo se stessi, non solo malgrado - ma a motivo - dell’abisso obbligatorio che abbiamo attraversato.
Minimizzando i propositi di riedizione dell’antico maquillage - e tutti i convincimenti non epocali, che non ci chiamano, e neppure vorremmo - sgombriamo l'anima dalle zavorre.
In ta guisa faremo affiorare il suo peso specifico eccezionale e il carattere irripetibile, per alleggerirla e colmarla solo di quanto serve, onde attivare i nuovi sentieri che ci attendono.
Il rallentamento e il lasciar scorrere che Lao Tse propugna non guida all’insignificante appiattimento delle differenze, ma a dilatare i tempi sacri e naturali dell’azione sapiente, e apprezzarne il valore.
Tappe e traguardi che non ci corrispondono, non daranno appagamento.
Gli artifizi costringono infatti ad amplificare i rapporti -ma solo per coprire il problema con se stessi, o addirittura di coppia, di gruppo, movimento, comunità, ambiente di lavoro.
Mentre desideriamo rivestire [e non deporre] di senso di permanenza il personaggio di prima - cliché che non ci corrisponde - giriamo a vuoto. Ci carichiamo di attese fuori scala, d’inutile stress che non fa spazio all’amore [amicizia con cui s’incontra se stessi, le cose, sorelle e fratelli, i tanti eventi].
La Sapienza naturale, gli accadimenti anche amareggianti, e la Bibbia, ci ricordano che il volto... ogni percorso, il nome, e il ritmo, sono solo nostri.
Anche la sintesi lo è: ciascuno è chiamato a scrivere la sua eccentrica lieta notizia a favore della donna e dell’uomo di ogni tempo (Gv 20,30-31).
Nota bene: la Fraternità non è livellamento:
«Ma ci sono molte altre cose che Gesù ha fatto, le quali se fossero scritte una per una, penso che neppure il mondo stesso potrebbe contenere i libri che si dovrebbero scrivere» (Gv 21,25).
Sarebbe il viaggio della Gioia: nella nuova realtà e Bellezza eminente, dal disagio.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Cosa alimenta il tuo desiderio di Dio e dei fratelli?