Lc 9,18-22 (18-25)
Domanda che giudica. Nel dilemma, la soluzione
(Lc 9,18-22)
Il popolo di Dio non si trova più nel chiuso di un grembo che protegge e garantisce il credente, e talora ci sentiamo come incapaci di mettere in campo il Risorto nel nostro limite.
Invero il sogno di una persona che risolva i problemi dal di fuori (come una scorciatoia) è ancora radicata.
Chimera alimentata dallo smarrimento e dall’angoscia che proviamo di fronte a un mondo segnato da contraddizioni - oggi persino dalle amare conseguenze della crisi globale.
L’auspicio di un Messia è tenuto vivo dal nostro trepidare... nell’attesa dell’intervento di Qualcuno in grado di stare (invece) dentro noi stessi e le cose.
Cerchiamo Chi possa donare un colpo d’ala alla vita, cambiandola immediatamente e radicalmente. Solo così dandole consistenza - non dall’esterno.
Continuiamo ad attendere un Salvatore anche oggi, sebbene l’ambiente convenzionalista non offra che scelte sempre meno significative [anche inutili caroselli] mentre l’impazienza provoca rassegnazione o insulsi fanatismi.
Per questo Dio si rivolge non a un valoroso capitano, non a un sovrano potente, non a un eroe, bensì a chi offre amore. E ciascuno di noi potrebbe esserlo, sebbene le nostre opere paiano sciatte in loro stesse, o molto inferiori ai desideri.
Ma è Cristo stesso che si riversa in esse.
Egli è il Figlio dimesso, eppure non gioca in difesa: Liberatore autentico.
La Gloria divina ha una figura inattesa. L’Eterno non è un controllore, né un promotore di modelli che difendano l’ordine, o le convinzioni [antiche o alla moda che siano], né le belle maniere.
Il luogo appartato (v.18) è parafrasi del nostro rischio di equivocare.
Anche a quel tempo tutti aspettavano la venuta dell’Unto del Signore, ma ciascuna setta o scuola di pensiero a modo suo.
Alcuni attendevano un sovrano, altri un sacerdote, o comandante guerriero; un giudice, un vate...
Tutti “maestri”, afferrati a qualche privilegio sociale. Nessun servitore, intimo a noi stessi: sfuggiva la comprensione piena.
Nessuno aveva inteso il disegno del Padre.
Non l’avevano capito neppure i re o i profeti.
Ciascuno aveva contrapposto al disegno di Dio i propri sogni di fama. Nel migliore dei casi, avendo giusti propositi di purificazione, ma pure di rabberciamento delle pratiche antiche; nonché grandezza. Per taluni, sommaria, provvisoria, sgradevolmente esibizionista.
Dall’Altissimo volevano solo un aiutino per giungere ai loro obbiettivi, non al Sogno di Dio.
In tal guisa Gesù impone esplicitamente il silenzio messianico (v.21) proprio perché non ricalca (davvero nulla da spartire) con le attese, le speranze, le mète, i propositi nella norma - tutti esteriori.
Infatti sostituisce la prospettiva de «”il” Messia» [“quel” Messia atteso] con «il Figlio dell’uomo» (vv.20-22): lo sviluppo vero e pieno del progetto divino sull’umanità.
«”Il” Cristo» secondo mentalità comune era una figura prevedibile, dura, troppo normale, fissa nel tempo - che non aveva rispetto dei processi personali - e stracolma di rivendicazioni.
«Il Figlio dell’uomo» è Persona senza esagerazioni: più intima, vera e profonda; senza troppo metodo, né tipologie. Persona che per questo non cessa di crescere.
In Lc tutti gli eventi importanti della vicenda di Gesù sono inseriti in un momento di preghiera.
Non era facile neppure per Lui essere in sintonia con l’idea che la Gloria divina si potesse manifestare in situazione del tutto sfavorevole - solo qua e là pulsante luce.
Ebbene, la risposta al nostro vissuto malfermo, affinché possa balzare dalle ceneri, è legata non all’essere riconosciuti e piacere a tutti, bensì a stati di persecuzione, o disturbo e disagio.
Difatti l’anima parla con saggezza: quindi, lega la crescita a un differente spirito mentale - non indotto da altrui o convenzionali modi di stare al mondo.
Essi impongono cesure agli scopi - se tutti formali, domati, socialmente accondiscendenti: vere e proprie fratture coi traguardi non rispettosi delle istanze vocazionali. Dove siamo noi stessi, nella Chiamata per Nome e nel carattere.
Per il Maestro e Signore le uniche mortificazioni opportune riguardano i dolorosi tagli e separazioni dal conformismo dei ruoli: distacchi che rendono liberi e pronti nell’attimo corrente.
Essi introducono all’interno d’una Visone imprevedibile e feconda, opposta all’aspettativa di ripresa conformisticamente sognata. Comunque arcaica (anche se à la page), perché perderebbe la natura di attivazione propria dello sviluppo della vita.
I problemi spesso sono come concrete figure, e contatti, che ci costringono ad altra soluzione, impedendoci di rientrare nel mondo del passato abitudinario o degli schemi anche alla moda - quelli che non realizzano gli obbiettivi più intimi.
Insomma: non è possibile “credere” senza pronunciarsi di persona, adesso.
E tu cosa dici (cf. v.20)? Al grande enigma, solo Dio-uomo Crocifisso [il differente, e senza reputazione] è Giudizio, e risposta che libera dalle insicurezze.
Col nostro Amico interiore che abbraccia, ci nutre e fa come da calamita, daremo tutto al Presente - lato migliore - vicinanza d’Infinito e nostro versante eterno.
Reputazione: crocevia della Verità di Fede
(Lc 9,22-25)
Ieri abbiamo sottolineato come il tarlo della vanità nella ricerca della stima altrui spinga all’ipocrisia e all’ostentazione.
Anche oggi la Parola - appello solenne e pressante a una scelta decisiva - invita alla totalità; a vivere la Quaresima con rettitudine, non esibendo troppi cerimoniali esteriori.
Ci chiediamo: Cosa rende intimi al Padre? Portare la Croce (nel senso di essere figlio devoto e obbediente)? Bisogna rinunciare a vivere, accettando i vari mali?
No, la comunione con Dio consegue a un impegno liberamente assunto. Quel patibolo non è esigenza del Padre che vorrebbe essere risarcito almeno da qualcuno.
E nessun fatalismo: non si tratta di sopportare le inevitabili contrarietà della vita. Non è questo che unisce, non è il fronteggiare che fa da collante al popolo di Dio che si riconosce nel Crocifisso.
Le vie tra cui scegliere non sono tante, ma solo due: vittoria e rivalsa, o percezione e dono - ogni istante è tempo di decisione. I modelli non servono più.
L'autenticità dell’uomo non è la sua grandezza, ma la fedeltà nell’amore che si accorge - e può collocarci su sentieri di persecuzione e derisione, invece di risultati accomodanti o plateali (sul sicuro e immediato).
L'umanità vera non ha più bisogno di salire di quota per trascendere i limiti della materia (mistica dualista).
Neppure dobbiamo identificarci - quasi sacramentalmente - con le forze dei processi cosmici sorgivi, profondi ma spersonalizzanti (religioni misteriche).
Non siamo chiamati a perfezionarci attraverso l’osservanza d’una legge o tradizioni sino alle minuzie (fariseismo).
La nostra vocazione non è neppure quella di sottrarci religiosamente all’abisso della miseria del mondo, nella speranza di una mèta che si avvicini per risolvere tutto (apocalittica).
L’Unto del Signore era atteso come sovrano, sacerdote, taumaturgo, guerriero, giudice, profeta... Gesù che sale al Calvario è ben altro paradigma: diverso modo di essere e tutt’altra Via.
Al titolo di Messia Lc preferisce quello di «Figlio dell’uomo» (v.22): espressione con cui il Maestro effettivamente designava se stesso.
Il Figlio dell’uomo - lo sviluppo vero e pieno del progetto divino sull’umanità - non si sente ostacolato da frequentatori dei luoghi di malaffare, ma dagli habitué dei recinti sacri.
Nei Vangeli la crescita e umanizzazione del popolo non è contrastata da peccatori, ma proprio da coloro che avrebbero il ministero di far conoscere a tutti il Volto di Dio.
Pertanto, il carattere dell’apostolo non è identificato con celebrità e personaggi di rilievo sociale, ma con la vita di Gesù di Nazaret - il pubblico ribelle alle autorità ufficiali, e condannato.
Qui, spingendoci in basso, incontriamo Dio.
Quello della croce era infatti il supplizio imposto ai criminali emarginati. In ciò sta la “negazione di sé” (v.23) che purtroppo nella storia della spiritualità ha subìto pessime interpretazioni.
Il credente non è riconosciuto da gesti eroici e magnificenti, o ascetici; né per eccellenza e visibilità d’incarico, carisma e credito, peso e prestigio - bensì a motivo di scelta sociale, che porta discredito alla propria fama.
Il missionario non è individuato per qualità straordinarie, bensì a motivo di piccolezza.
Chi apprezza solo cose grandi - anche sbalorditive e plateali sotto il profilo “spirituale” - ama la forza e non edifica il nuovo Regno.
Un confronto fra i testi paralleli in lingua greca (ad es.) di Mc 8,34; Mt 10,38; Lc 9,23 e 14,27 (Gv 12,26) fa comprendere il significato di «prendere» o «sollevare la croce» per un discepolo che rivive Cristo e lo dilata nella storia degli uomini.
Dio non dà croce alcuna, né i figli sono chiamati a “sopportarla” (o addirittura “offrirla”)! La Croce va presa attivamente, perché l’amico di Gesù si gioca l’onore.
La Fonte eminente e cristallina di vita intima consente di raggiungere il dono totale anche sotto il profilo della pubblica considerazione.
Dopo la sentenza di tribunale, il condannato al supplizio doveva caricarsi sulle spalle il braccio orizzontale del patibolo.
Era il momento più straziante, perché di massima solitudine e percezione di fallimento.
Lo sventurato e già svergognato procedeva al luogo dell’esecuzione passando fra due ali di folla che per dovere religioso deridevano e malmenavano il disgraziato (ritenuto maledetto da Dio).
Gesù non propone la Croce nel senso corrivo d’una necessaria sopportazione delle inevitabili contrarietà della vita, che poi attraverso l’ascesi cesella animi più capaci di abbozzare... (oggi si dice: resilienti).
Rispetto alle solite manfrine sulla sana disciplina - esteriore e interiore - uguali per tutti (e utili solo per tenere buona la situazione, di privilegio) Lc sta viceversa suggerendo un comportamento assai più radicale.
Il Signore propone un’ascetica totalmente differente da quella delle religioni - addirittura capovolta.
Il credente rinuncia alla reputazione. È lo spunto essenziale, dirimente, del carattere della Fede.
Chi è legato alla sua buona fama, ai ruoli, al personaggio (da recitare), alla mansione, al livello acquisito, non somiglierà mai al Signore - e neppure chi non dilata la dimensione tribale dell’interesse di “famiglia”.
Sin dai primi tempi, l’annuncio dell’autentico Messia ha creato divisioni: la spada della sua Persona separava la vicenda di ciascuno dal mondo di valori del clan di appartenenza o dall’idea di rispettabilità, anche nazionale.
Oggi capita la stessa cosa dove qualcuno annuncia il Vangelo com’è, e tenta di rinnovare i meccanismi inceppati dell’istituzione abitudinaria, attempata e di finto sangue blu sul territorio. Caricandosi della Croce di beffe conseguenti.
Una separazione e taglio nettissimo coi criteri di grandezza e successo, per l'unità nuova: quella che fa da crocevia della Verità senza doppiezze. Provare per credere.
Sembra un sogno privo di senso, ma questo è ciò che unisce la Chiesa al suo Signore: un cammino crocifiggente, dove si guadagna quello che si perde - anzitutto in considerazione.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Quali mutamenti senti come tua Chiamata? La reputazione e l’opinione in comunità, favorisce o ti blocca? Per quale motivo? La tua “famiglia” è rinchiusa in se stessa o agevola l’apertura d’orizzonte?