Cerchie, pregiudizi e moggi, o la Luce del ch’i
(Lc 8,16-18)
C’è luce e Luce. C’è pompa che brilla artificiosamente, e sontuosità sostanziale della Vita.
Una delle differenze tra settarismo e proposta di Fede è che l’insegnamento del Risorto non è un mistero accessibile a soli iniziati, o manieristi e forti.
Nulla a che vedere con lunghe discipline dell’arcano, le quali di norma indirizzano il pensiero e soppesano il volontarismo del candidato.
Nel commento al Tao Tê Ching (ii) il maestro Ho-shang Kung afferma che «Il ch’i originario dà vita a tutte le creature e non se ne appropria»: non torna indietro, non conferisce l’ordine antico, retrivo e fisso, non corre ai ripari; piuttosto dà una carica - non parziale, bensì vitale e illuminante.
Intesa e assimilazione della Parola di Dio che chiama in prima persona immettono un’energia fondamentale, estrema e rigenerante. In grado di creare vita nuova e imprimere un senso non blando e codino alla nostra vicenda.
Nella Relazione di Fede, Ascolto e interiorizzazione fanno incessante, intimo appello; in sintonia con la nostra identità-essenza profondi e vocazione personale.
Percezione e sequela dell’anima ci liberano dall’influsso di corti pensieri esterni, condizionanti.
Trasmettono una sorta di possesso immediato e vitale delle cose, una cognizione energetica che guida alla realizzazione; anticipando e attirando futuro.
Quando il Vangelo rimane confinato all’interno di cerchie, non fa brillare tutta la comunità, non comunica con la vita reale; mentre vorrebbe donarla e allietarla, nell’amicizia col nostro carattere e lato eterno che sviluppa.
Fin da bambini ci è sembrato che Parola e consuetudini fossero un tutt’uno: una sorta di Logos attivo, fuso con le manifestazioni qualsiasi della religiosità - soprattutto in occidente.
Ci è parso spontaneo, sicuro, indiscutibile, crescere in un clima di unità di pensiero… sino al momento in cui abbiamo forse scoperto che alcuni costumi e mode temono la Luce.
Oggi infatti ci accorgiamo che anche il pensiero sedicente alternativo, se troppo grande, schematico e disincarnato, evita di confrontarsi col “basso”.
Anzi, volentieri si confina in club d’élite a se stanti; scollegate dalla cruda realtà - considerata vile, poco raffinata [non sofisticata]. Che non vale la pena vagliare in sé.
Ma i Doni che Dio elargisce non sopportano d’essere delimitati da un «vaso» (v.16), né ‘misurati’ da alcun «moggio» (Mt 5,15; Mc 4,21), o messi in buca, occultati: servono solo a edificare e rischiarare.
I tesori del Cielo vanno elargiti, trasmessi, comunicati, non trattenuti; altrimenti si scatena una mediocrità paludosa [da «sotto un letto»: v.16] che non istruisce, né rende radiosi.
Dunque attenzione ai pregiudizi (v.18): l’Ascolto non è azione neutrale.
Le attese popolari del Messia, vincitore, vendicatore, autosufficiente… impedivano alla gente di comprendere l’Annuncio del Regno e del Padre amante della vita rigogliosa.
L’idea antica di un Re affermato ci ha forse inclinati a considerare il Volto dell’Eterno nel Crocifisso come una parentesi, presto superata dal trionfo e dalla sistemazione [della Chiesa, impiantata e visibilissima].
Viceversa, le piaghe d’amore del Figlio descrivono in pienezza tutt’altra cifra costante; protesa - quindi paradossale - ma profonda.
In tal guisa, ciascuno ha una propria attitudine affettiva e le sue competenze, tutte da esplorare e mettere in gioco senza limiti… affinché vengano condivise, rese sapienziali e propulsive.
Come ha dichiarato Papa Francesco:
«L'incapacità degli esperti di vedere i segni dei tempi è dovuta al fatto che sono chiusi nel loro sistema; sanno cosa si può e non si può fare, e stanno sicuri lì. Interroghiamoci: sono aperto solo alle mie cose e alle mie idee, oppure sono aperto al Dio delle sorprese?».
Mi raccontava un grande parroco romano che una delle cose che lo avevano colpito nei suoi viaggi in USA era stato vedere troppe cittadelle cattoliche sulla cima di alture, ben visibili all’occhio ma altrettanto palesemente munite di tutto - quindi staccate, in grado di provvedere a se stesse, chiuse al confronto con la vita reale urbana di oggi.
Impostazione diametralmente opposta a quella di realtà comunitarie evangelicali, meno appariscenti [senza la pretesa di attirare per bellezza esteriore] in quanto mescolate nel tessuto cittadino; per questo in grado di gettare luce nei risvolti della vita quotidiana della gente in ricerca d’un rapporto personale e reale con Dio Padre.
Insomma (v.18): chiunque si aggiorna, si confronta, s’interessa e dà un contributo, vede la propria ricchezza umana e spirituale crescere e fiorire.
Ciò - nella migliore delle ipotesi - rimanendo fedele a se stesso ed evitando di farsi travolgere dalla routine del pensiero fisso-omologato e dalle fatiche dell’Esodo contromano.
Nessuno si sorprenderà che le situazioni di retroguardia culturale, o stagnanti - pile scariche, estenuanti, fiacche, esaurite, grigie e noiose; ovvero à la page e sfarzose ma confusionarie - subiscano ulteriori flessioni e infine periscano senza lasciare rimpianti.
Malgrado la loro artificiosa [inutile] appariscenza, esse resteranno dipendenti da ciò che è valutato già apprezzabile. E cercheranno sempre più invano l’approvazione esterna.
Impariamo piuttosto a osservare noi stessi, le relazioni, le situazioni, senza pregiudizi; lasciando sullo sfondo i ‘filtri’, le ‘misure’.
Riconosceremo in noi le più autentiche risorse, e l’eco spontaneo della divina Parola.
Accenderemo l’inedito, il lato unico e immenso, personale; la nostra bellezza singolare e plurale.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Come ti proponi di accendere il tuo lato eterno, e la tua bellezza singolare e plurale?
Lumen Fidei
1. La luce della fede: con quest’espressione, la tradizione della Chiesa ha indicato il grande dono portato da Gesù, il quale, nel Vangelo di Giovanni, così si presenta: « Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre » (Gv 12,46). Anche san Paolo si esprime in questi termini: « E Dio, che disse: "Rifulga la luce dalle tenebre", rifulge nei nostri cuori » (2 Cor 4,6). Nel mondo pagano, affamato di luce, si era sviluppato il culto al dio Sole, Sol invictus, invocato nel suo sorgere. Anche se il sole rinasceva ogni giorno, si capiva bene che era incapace di irradiare la sua luce sull’intera esistenza dell’uomo. Il sole, infatti, non illumina tutto il reale, il suo raggio è incapace di arrivare fino all’ombra della morte, là dove l’occhio umano si chiude alla sua luce. « Per la sua fede nel sole — afferma san Giustino Martire — non si è mai visto nessuno pronto a morire ». Consapevoli dell’orizzonte grande che la fede apriva loro, i cristiani chiamarono Cristo il vero sole, « i cui raggi donano la vita ». A Marta, che piange per la morte del fratello Lazzaro, Gesù dice: « Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio? » (Gv 11,40). Chi crede, vede; vede con una luce che illumina tutto il percorso della strada, perché viene a noi da Cristo risorto, stella mattutina che non tramonta.
Una luce illusoria?
2. Eppure, parlando di questa luce della fede, possiamo sentire l’obiezione di tanti nostri contemporanei. Nell’epoca moderna si è pensato che una tale luce potesse bastare per le società antiche, ma non servisse per i nuovi tempi, per l’uomo diventato adulto, fiero della sua ragione, desideroso di esplorare in modo nuovo il futuro. In questo senso, la fede appariva come una luce illusoria, che impediva all’uomo di coltivare l’audacia del sapere. Il giovane Nietzsche invitava la sorella Elisabeth a rischiare, percorrendo « nuove vie…, nell’incertezza del procedere autonomo ». E aggiungeva: « A questo punto si separano le vie dell’umanità: se vuoi raggiungere la pace dell’anima e la felicità, abbi pur fede, ma se vuoi essere un discepolo della verità, allora indaga ». Il credere si opporrebbe al cercare. A partire da qui, Nietzsche svilupperà la sua critica al cristianesimo per aver sminuito la portata dell’esistenza umana, togliendo alla vita novità e avventura. La fede sarebbe allora come un’illusione di luce che impedisce il nostro cammino di uomini liberi verso il domani.
3. In questo processo, la fede ha finito per essere associata al buio. Si è pensato di poterla conservare, di trovare per essa uno spazio perché convivesse con la luce della ragione. Lo spazio per la fede si apriva lì dove la ragione non poteva illuminare, lì dove l’uomo non poteva più avere certezze. La fede è stata intesa allora come un salto nel vuoto che compiamo per mancanza di luce, spinti da un sentimento cieco; o come una luce soggettiva, capace forse di riscaldare il cuore, di portare una consolazione privata, ma che non può proporsi agli altri come luce oggettiva e comune per rischiarare il cammino. Poco a poco, però, si è visto che la luce della ragione autonoma non riesce a illuminare abbastanza il futuro; alla fine, esso resta nella sua oscurità e lascia l’uomo nella paura dell’ignoto. E così l’uomo ha rinunciato alla ricerca di una luce grande, di una verità grande, per accontentarsi delle piccole luci che illuminano il breve istante, ma sono incapaci di aprire la strada. Quando manca la luce, tutto diventa confuso, è impossibile distinguere il bene dal male, la strada che porta alla mèta da quella che ci fa camminare in cerchi ripetitivi, senza direzione.
Una luce da riscoprire
4. È urgente perciò recuperare il carattere di luce proprio della fede, perché quando la sua fiamma si spegne anche tutte le altre luci finiscono per perdere il loro vigore. La luce della fede possiede, infatti, un carattere singolare, essendo capace di illuminare tutta l’esistenza dell’uomo. Perché una luce sia così potente, non può procedere da noi stessi, deve venire da una fonte più originaria, deve venire, in definitiva, da Dio. La fede nasce nell’incontro con il Dio vivente, che ci chiama e ci svela il suo amore, un amore che ci precede e su cui possiamo poggiare per essere saldi e costruire la vita. Trasformati da questo amore riceviamo occhi nuovi, sperimentiamo che in esso c’è una grande promessa di pienezza e si apre a noi lo sguardo del futuro. La fede, che riceviamo da Dio come dono soprannaturale, appare come luce per la strada, luce che orienta il nostro cammino nel tempo. Da una parte, essa procede dal passato, è la luce di una memoria fondante, quella della vita di Gesù, dove si è manifestato il suo amore pienamente affidabile, capace di vincere la morte. Allo stesso tempo, però, poiché Cristo è risorto e ci attira oltre la morte, la fede è luce che viene dal futuro, che schiude davanti a noi orizzonti grandi, e ci porta al di là del nostro "io" isolato verso l’ampiezza della comunione. Comprendiamo allora che la fede non abita nel buio; che essa è una luce per le nostre tenebre. Dante, nella Divina Commedia, dopo aver confessato la sua fede davanti a san Pietro, la descrive come una "favilla, / che si dilata in fiamma poi vivace / e come stella in cielo in me scintilla". Proprio di questa luce della fede vorrei parlare, perché cresca per illuminare il presente fino a diventare stella che mostra gli orizzonti del nostro cammino, in un tempo in cui l’uomo è particolarmente bisognoso di luce.
[Lumen Fidei]