Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
Maria SS. Madre di Dio (anno A) [1 gennaio 2026]
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga! Auguri per il nuovo anno invocando la benedizione di Dio su tutto il 2026
*Prima Lettura dal libro dei Numeri (6, 22-27)
La benedizione “Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia” proviene dal Libro dei Numeri ed era pronunciata dai sacerdoti d’Israele fin dai tempi di Aronne. È entrata stabilmente anche nella liturgia cristiana, come benedizione solenne conclusiva della Messa. L’espressione “invocare il Nome di Dio” va compresa nel contesto biblico: il Nome rappresenta la persona stessa, la sua presenza, la sua protezione. Per questo, pronunciare il Nome di Dio sul popolo significa collocarlo sotto la sua custodia. Quando Dio rivela il suo Nome, si rende accessibile alla preghiera del suo popolo. Di conseguenza, ogni offesa al popolo di Dio è un’offesa al suo stesso Nome. Questo illumina anche le parole di Gesù sul farsi prossimo ai più piccoli: Dio ha posto il suo Nome su ogni persona, che va dunque guardata con rispetto e con occhi nuovi. La benedizione è formulata al singolare (ti benedica), ma si riferisce all’intero popolo: è un singolare collettivo, che Israele ha compreso come esteso a tutta l’umanità. L’uso del congiuntivo non indica un dubbio sulla volontà di Dio di benedire, poiché Dio benedice incessantemente; esso esprime piuttosto la libertà dell’uomo di accogliere o rifiutare questa benedizione. Benedire significa, nel senso biblico, che Dio “dice bene” dell’uomo. La sua Parola è efficace e trasformante: quando Dio dice il bene, lo realizza. Chiedere la benedizione equivale ad aprirsi alla sua azione che trasforma e fa vivere. Essere benedetti non significa essere preservati dalle prove, ma viverle nella comunione con Dio, dentro l’Alleanza, certi della sua presenza fedele. Questo trova il suo compimento in Maria, madre di Dio, la “piena di grazia”, su cui il Nome di Dio è posto in modo unico e definitivo. Il testo ebraico originario arricchisce ulteriormente il significato: il Nome YHWH è promessa di presenza continua e la forma verbale indica una benedizione che attraversa passato, presente e futuro. Dio ha benedetto, benedice e benedirà per sempre il suo popolo.
Elementi importanti: +La benedizione di Nm 6 come patrimonio ebraico e cristiano. +Il Nome di Dio come presenza, protezione e appartenenza. +Il singolare collettivo: benedizione per tutto il popolo e per l’umanità. +Il congiuntivo come espressione della libertà umana di accogliere la grazia. +La benedizione come Parola efficace che trasforma. +Benedizione non come assenza di prove, ma come comunione con Dio. +Maria come pienamente benedetta e portatrice del Nome. +La ricchezza del testo ebraico: benedizione eterna di YHWH.
*Salmo responsoriale (66/67)
Il Salmo 66 risponde in modo armonioso alla benedizione sacerdotale del Libro dei Numeri: “Il Signore ti benedica e ti custodisca”. È lo stesso clima spirituale che attraversa il salmo: la certezza che Dio accompagna il suo popolo. Dire che Dio benedice significa affermare che Dio è con noi. Questa è la più autentica definizione di benedizione, come suggerisce il profeta Zaccaria: la presenza di Dio è così evidente da attirare le nazioni. Lo stesso Nome rivelato sul Sinai, YHWH, esprime proprio questa promessa di presenza fedele e permanente. Nel salmo è il popolo stesso a chiedere la benedizione: “Che Dio ci benedica”. Dio benedice senza interruzione; tuttavia l’uomo resta libero di accogliere o di rifiutare questa benedizione. La preghiera diventa allora apertura del cuore all’azione trasformante di Dio. Per questo, nella fede d’Israele, la preghiera è sempre segnata dalla certezza di essere ascoltati ancora prima di domandare. Israele non chiede la benedizione solo per sé. La benedizione ricevuta è destinata a irradiarsi su tutte le nazioni, secondo la promessa fatta ad Abramo. Nel salmo si intrecciano due dimensioni inseparabili: l’elezione di Israele e l’universalità del progetto di Dio. L’espressione “Dio, il nostro Dio” richiama l’Alleanza, mentre l’invito rivolto a tutti i popoli a lodare Dio manifesta che la salvezza è offerta all’intera umanità. Israele comprende progressivamente di essere stato scelto non per esclusione, ma per testimoniare: la luce che lo illumina deve riflettere la luce di Dio per il mondo intero. Questa consapevolezza matura soprattutto dopo l’esilio, quando Israele riconosce che il Dio dell’Alleanza è il Dio dell’universo. La profezia di Zaccaria (8, 23)esprime chiaramente questa visione: le nazioni si avvicineranno al popolo eletto perché riconoscono che Dio è con lui. Anche i credenti di oggi sono chiamati a essere popolo testimone: ogni benedizione ricevuta è un mandato a diventare riflesso della luce di Dio nel mondo. All’inizio di un nuovo anno, questo diventa un augurio reciproco: portare la luce di Dio là dove non è ancora accolta. Infine, il salmo afferma che “la terra ha dato il suo frutto”. Poiché la Parola di Dio è efficace, essa produce frutto nella storia. Dio ha mantenuto la promessa di una terra feconda e, per i cristiani, questo versetto trova il suo compimento pieno nella nascita del Salvatore: nella pienezza dei tempi, la terra ha portato il suo frutto.
Elementi importanti: +Il Salmo 66 come eco della benedizione di Nm 6. +La benedizione come presenza e accompagnamento di Dio. +Il Nome YHWH come promessa di presenza fedele. +Dio benedice sempre; l’uomo è libero di accogliere. +La preghiera come apertura all’azione trasformante di Dio. +Elezione di Israele e universalità della salvezza. Israele (e la Chiesa) come popolo testimone. +La benedizione destinata a tutte le nazioni. +La Parola di Dio che produce frutto nella storia. +Compimento cristiano nel mistero dell’Incarnazione.
Seconda Lettura dalla lettera di san Paolo apostolo ai Galati (4, 4-7)
“Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio nato da donna”: con questa espressione Paolo annuncia il compimento del progetto di Dio. La storia, per la fede biblica, non è un eterno ritorno, ma un cammino progressivo verso la realizzazione del disegno misericordioso di Dio. Questa prospettiva dell’adempimento è una chiave fondamentale non solo per comprendere le lettere di Paolo, ma l’intera Bibbia, a partire dall’Antico Testamento. Gli autori del Nuovo Testamento insistono nel mostrare che la vita, la passione, la morte e la risurrezione di Gesù compiono le Scritture. Ciò non significa che tutto fosse programmato in modo rigido e predeterminato: il compimento non va inteso come fatalità, ma come rilettura nella fede di eventi reali attraverso i quali Dio, rispettando la libertà umana, porta avanti il suo progetto. Dio accetta il rischio della libertà dell’uomo, anche quando essa contrasta il suo disegno; tuttavia, egli non si stanca mai di rinnovare la promessa, come attestano Isaia e Geremia. In Gesù, i credenti contemplano il compimento definitivo di queste promesse. Paolo afferma poi che il Figlio di Dio è “nato da donna e nato sotto la Legge”. Con poche parole egli esprime tutto il mistero di Cristo: vero Figlio di Dio, vero uomo, pienamente inserito nel popolo d’Israele. L’espressione “nato da donna” indica semplicemente la sua piena umanità, come attestato dal linguaggio biblico; l’essere “sotto la Legge” significa che Gesù ha condiviso fino in fondo la condizione del suo popolo. Lo scopo di questa venuta è chiaro: riscattare, cioè liberare, coloro che erano sotto la Legge, affinché diventassero figli adottivi. Non si tratta più di vivere come schiavi che obbediscono a ordini, ma come figli che obbediscono per amore e fiducia. Si passa così dalla sottomissione alla Legge alla libertà dell’obbedienza filiale. Questo passaggio è reso possibile dal dono dello Spirito del Figlio, che grida nei cuori “Abbà, Padre”. È il grido dell’abbandono fiducioso, la certezza che Dio è Padre in ogni circostanza. Per questo il credente non è più schiavo, ma figlio e, in quanto figlio, erede: tutto ciò che appartiene al Figlio è promesso anche a lui. La difficoltà dell’uomo sta spesso nel non osare di credere a questa realtà: non osare di credere che lo Spirito di Dio abiti in lui, che la forza e la capacità di amare di Dio gli siano realmente donate. E tuttavia, tutto questo non è merito umano: se siamo figli ed eredi, lo siamo per grazia. È in questo senso profondo che si può dire che tutto è grazia.
Elementi importanti: +La pienezza dei tempi come compimento del progetto di Dio. +La storia come cammino verso il disegno benevolo di Dio. +L’adempimento delle Scritture in Gesù, senza determinismo. +Il rispetto della libertà umana nel progetto divino. +Gesù: Figlio di Dio, vero uomo, nato sotto la Legge. +l riscatto come liberazione dalla schiavitù della Legge. + Il passaggio da schiavi a figli. +Il dono dello Spirito che grida “Abbà, Padre”. La figliolanza come eredità promessa. +La grazia come fondamento di tutto.
*Dal Vangelo secondo Luca (2,16-21)
“Ciò che hai nascosto ai saggi e agli intelligenti, lo hai rivelato ai piccoli” (Lc10,21/ Mt 11,25): questo versetto illumina il racconto della nascita di Gesù, apparentemente semplice ma profondamente teologico. I pastori, uomini marginali e non osservanti la Legge, sono i primi a ricevere l’annuncio dell’angelo: diventano così i primi testimoni, portatori della buona notizia. La narrazione di Luca (Lc 2,8-14) sottolinea come la gloria di Dio li avvolga e come essi siano colti da timore e gioia. La loro esperienza richiama le parole di Gesù: Dio rivela il suo mistero ai piccoli, non ai sapienti. La vicenda si svolge a Betlemme, città di Davide e «casa del pane», dove il neonato è deposto in una mangiatoia: simbolo di colui che si dà come nutrimento per l’umanità. Maria osserva in silenzio, meditando nel cuore tutti gli eventi (Lc 2,19), mostrando una contemplazione attenta e filiale, in contrasto con la loquacità dei pastori. Il suo atteggiamento ricorda quello di Daniele, che custodiva nel cuore le visioni ricevute (Dn 7,28), prefigurando il destino messianico del bambino. Il nome “Gesù”, che significa “Dio salva”, rivela il suo mistero salvifico. Come ogni bambino ebreo, Gesù è circonciso l’ottavo giorno e sottomesso alla Legge di Mosè, in piena solidarietà con il suo popolo. Luca insiste sulla circoncisione e sulla presentazione al Tempio (Lc 2,22-24) per sottolineare l’osservanza perfetta della Legge da parte di Maria e Giuseppe, non per evidenziare un dettaglio rituale, ma per mostrare la completa adesione di Gesù alla storia e alla tradizione del suo popolo. Questo è coerente con la sua futura identificazione con gli empi, come preannunciato: “E fu annoverato fra gli empi” (Lc 22,37). Infine, la discrezione e il silenzio di Maria, madre di Dio, mostrano la sua umiltà e la capacità di farsi strumento del progetto di Dio. Il centro del progetto non è Maria, ma Gesù, il Salvatore.
Sant’Ambrogio di Milano (IV sec.), commentando la scena dei pastori e l’atteggiamento di Maria, Ambrogio scrive: Maria custodiva tutte queste cose meditandole nel suo cuore: non cercava di spiegare il mistero con parole, ma lo conservava nella fede.” (cf. Expositio Evangelii secundum Lucam, II)
Elementi importanti: +La rivelazione del mistero di Dio ai «piccoli», non ai sapienti e I pastori: testimoni marginali e primi annunciatori. +Betlemme come città del pane, simbolo del nutrimento salvifico. +Maria medita nel cuore gli eventi, modello di contemplazione e silenzio. +Il nome Gesù significa «Dio salva». +Circoncisione e osservanza della Legge: solidarietà di Gesù con il popolo e Presentazione al Tempio: adesione totale alla Legge di Mosè. +Gesù identificato con gli empi: segno della sua missione. +Silenzio e umiltà di Maria: strumento del progetto divino, non centro. + Il progetto di salvezza ha al centro Gesù, il Salvatore
+Giovanni D’Ercole
Festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe (anno A) [28 dicembre 2025]
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga! Ecco il commento dei testi di questa domenica con un augurio per ogni famiglia perché si rispecchi nella sua reale quotidianità in quella di Nazaret che la Bibbia ci mostra veramente provata da tante difficoltà e problemi come ogni famiglia.
*Prima Lettura dal libro del Siracide (3,2-6.12-14)
Ben Sira insiste sul rispetto dovuto ai genitori perché, nel II secolo a.C. (verso il 180), l’autorità familiare stava indebolendosi. A Gerusalemme, sotto il dominio greco, pur nella libertà religiosa, nuove mentalità si diffondevano lentamente: il contatto con il mondo pagano rischiava di modificare il modo di pensare e di vivere degli ebrei. Per questo Ben Sira, maestro di Sapienza, difende i fondamenti della fede a partire dalla famiglia, primo luogo di trasmissione della fede, dei valori e delle pratiche religiose. Il testo è dunque un forte appello a favore della famiglia ed è anche una profonda meditazione sul quarto comandamento: «Onora tuo padre e tua madre», formulato nell’Esodo come promessa di lunga vita e nel Deuteronomio anche di felicità. Circa cinquant’anni dopo, il nipote di Ben Sira, traducendo l’opera in greco, aggiunge una motivazione decisiva: i genitori sono strumenti di Dio perché donano la vita; per questo meritano onore, memoria e riconoscenza. Questo comandamento risponde anche al buon senso umano: una società equilibrata nasce da famiglie solide, mentre la loro rottura genera gravi conseguenze psicologiche e sociali. Tuttavia, al livello più profondo, l’armonia familiare appartiene al progetto stesso di Dio. Alcune espressioni di Ben Sira sembrano suggerire un “calcolo” («chi onora il padre ottiene il perdono dei peccati…»), ma in realtà non si tratta di una ricompensa meccanica: la Legge di Dio è sempre via di grazia e di felicità. Come insegna il Deuteronomio, i comandamenti sono dati per il bene e la libertà dell’uomo. Quando Ben Sira afferma che onorare i genitori ottiene il perdono, si coglie un progresso nella rivelazione: la vera riconciliazione con Dio passa attraverso la riconciliazione con il prossimo, in sintonia con i profeti («misericordia voglio e non sacrifici»). Essere figli rispettosi dei genitori significa essere figli fedeli anche verso Dio. Non a caso, tra i Dieci Comandamenti, solo due sono formulati in positivo: il sabato e l’onore dovuto ai genitori. Essi trovano il loro compimento nel grande comandamento dell’amore del prossimo, che inizia proprio dai genitori, i nostri primi “prossimi”. Per questo il testo di Ben Sira risulta particolarmente appropriato nei tempi di festa, quando i legami familiari si rinsaldano o si riscoprono.
*Elementi più importanti: +Contesto storico: II secolo a.C., influenza ellenistica. +Famiglia come luogo primario di trasmissione della fede. +Difesa del quarto comandamento. +Genitori come strumenti di Dio nel dono della vita. +Legge di Dio come via di felicità, non di calcol. +Riconciliazione con Dio attraverso il prossimo. +Onorare i genitori come primo atto di amore del prossimo.
*Salmo Responsoriale (127/128)
Questo salmo è chiamato “Cantico delle salite” perché era destinato ad essere cantato durante il pellegrinaggio verso Gerusalemme, probabilmente negli ultimi momenti, salendo i gradini del Tempio. Il testo sembra strutturato come una celebrazione liturgica: all’ingresso del Tempio i sacerdoti accolgono i pellegrini e offrono un’ultima catechesi, proclamando la beatitudine dell’uomo che teme il Signore e cammina nelle sue vie. La benedizione riguarda il lavoro, la famiglia, la fecondità e la pace domestica: il frutto delle proprie mani, la moglie come vite feconda, i figli come germogli d’ulivo attorno alla mensa. L’assemblea dei pellegrini risponde confermando che così è benedetto chi teme il Signore. Segue la formula solenne di benedizione sacerdotale: dal monte Sion il Signore accorda la sua benedizione, permettendo di contemplare per tutta la vita il bene di Gerusalemme e la continuità delle generazioni. L’insistenza su lavoro, prosperità e felicità può sembrare troppo “terrena”, ma la Bibbia afferma con forza che Dio ha creato l’uomo per la felicità. Il desiderio umano di riuscita e di armonia familiare coincide con il progetto di Dio; per questo la Scrittura parla spesso di “felicità” e “benedizione”, senza ironia, anche di fronte alle sofferenze della storia. Il termine biblico “felice” non indica una garanzia automatica di successo, ma il vero bene, che è la vicinanza a Dio. È insieme riconoscimento e incoraggiamento. André Chouraqui traduce “felice, beato” con “in cammino”, per dire: sei sulla strada giusta, continua. Israele ha compreso presto che Dio accompagna il suo popolo nel desiderio di felicità e apre davanti a lui una via di speranza (cf. Ger 29,11). Tutta la Bibbia afferma il disegno misericordioso di Dio sull’umanità, come ricorda san Paolo nella lettera agli Efesini. La felicità biblica ha dunque due dimensioni: è anzitutto il progetto di Dio, ma è anche una scelta dell’uomo. Il cammino è chiaro e diritto: la fedeltà alla Legge che si riassume nell’amore di Dio e dell’umanità. Gesù ha percorso questo cammino fino in fondo e invita i discepoli a seguirlo, promettendo la vera beatitudine a chi mette in pratica la sua parola. Resta l’espressione apparentemente paradossale: “Beato chi teme il Signore”. Non si tratta di paura, ma di stupore reverente. Chouraqui rende: “in cammino, tu che fremeresti di Dio”. È l’emozione di chi si sente piccolo davanti a un grande amore. Dopo aver scoperto che Dio è amore, Israele non teme più come lo schiavo, ma come il figlio davanti alla forza e alla tenerezza del padre. Non a caso la Scrittura usa lo stesso verbo per il rispetto dovuto a Dio e ai genitori (Lv 19,3). La fede è quindi la certezza che Dio vuole il bene dell’uomo; per questo “temere il Signore” equivale a “camminare nelle sue vie”. Quando Gerusalemme vivrà questa fedeltà, realizzerà la sua vocazione di città della pace; il salmo lo anticipa proclamando: “Possa tu vedere il bene di Gerusalemme tutti i giorni della tua vita”.
*Elementi più importanti: +Il salmo come Cantico delle salite e canto di pellegrinaggio ha la struttura liturgica: sacerdoti, assemblea, benedizione. +Benedizione su lavoro, famiglia e fecondità. +Dio crea l’uomo per la felicità e “beato” chi è vicino a Dio e Chouraqui traduce “beato” = in cammino. +Disegno benevolo di Dio sull’umanità che vede la felicità come dono di Dio e scelta dell’uomo. +Gesù come compimento del cammino dell’amore. +Timore di Dio” come atteggiamento filiale, non paura. +Gerusalemme chiamata a essere città della pace
*Seconda Lettura dalla lettera di san Paolo ai Colossesi (3,12-21)
La liturgia di oggi invita a contemplare la Santa Famiglia: Giuseppe, Maria e Gesù. È una famiglia semplice, ed è detta “santa” perché al suo centro c’è Dio stesso. Tuttavia, non si tratta di una famiglia idealizzata o irreale: i Vangeli mostrano chiaramente che essa ha attraversato prove e difficoltà concrete. Giuseppe è turbato davanti alla gravidanza misteriosa di Maria, la nascita di Gesù avviene in condizioni povere, la famiglia conosce l’esilio in Egitto e più tardi l’angoscia per Gesù smarrito e ritrovato nel Tempio, senza comprenderne pienamente il senso. Proprio per questo, la Santa Famiglia appare come una vera famiglia, segnata da fatiche e interrogativi simili a quelli di ogni altra famiglia. Questa realtà ci rassicura e dà senso alle raccomandazioni di san Paolo nella lettera ai Colossesi, dove invita alla pazienza e al perdono, virtù necessarie nella vita quotidiana. Colossi, città dell’attuale Turchia, non fu visitata direttamente da Paolo: la comunità cristiana nacque grazie a Epafra, suo discepolo. Paolo scrive dalla prigione, preoccupato per alcune derive che minacciano la purezza della fede cristiana. Il tono della lettera alterna l’entusiasmo contemplativo per il progetto di Dio a richiami molto decisi contro dottrine fuorvianti. Al centro del suo messaggio rimane sempre Gesù Cristo, cuore della storia e del mondo. Paolo invita i cristiani a modellare la loro vita su di Lui: rivestirsi di tenerezza, bontà, pace e gratitudine, facendo ogni cosa nel nome del Signore Gesù. I battezzati, infatti, formano il Corpo di Cristo. Riprendendo e approfondendo un’immagine già usata con i Corinzi, Paolo afferma che Cristo è il capo e i credenti sono le membra, chiamate a sostenersi a vicenda per costruire l’edificio della Chiesa.Il testo affronta anche i rapporti familiari, con espressioni che possono risultare difficili, come l’invito alle mogli alla sottomissione. Nel contesto biblico, però, questa sottomissione non equivale a servitù, ma si inserisce in una visione fondata sull’amore e sulla responsabilità. Paolo, dopo aver richiamato un linguaggio comune all’epoca, rivolge ai mariti un’esigenza ancora più forte: amare la propria moglie con rispetto e senza durezza. L’obbedienza cristiana nasce dalla fiducia nell’amore di Dio e si esprime in relazioni segnate da tenerezza, rispetto e dono reciproco.
*Elementi importanti: +La Santa Famiglia come famiglia reale, non idealizzata con le prove concrete vissute da Giuseppe, Maria e Gesù e invito alla pazienza e al perdono nella vita familiare. +Contesto della lettera ai Colossesi e ruolo di Epafra con la preoccupazione di Paolo per la fedeltà della fede cristiana. +Centralità di Gesù Cristo nella vita dei credenti come Corpo di Cristo, chiamati a sostenersi reciprocamente. +Relazioni familiari fondate sull’amore e sul rispetto dove sottomissione biblica è intesa come fiducia e dono, non come schiavitù. +Obbedienza cristiana radicata nella certezza che Dio è Amore.
*Dal Vangelo secondo Matteo (2,13-15.19-239
L’episodio della fuga della Santa Famiglia in Egitto richiama volutamente un’altra grande vicenda biblica: quella di Mosè e del popolo d’Israele, dodici secoli prima, schiavo in Egitto. Come allora il faraone ordinò l’uccisione dei neonati maschi e Mosè fu salvato per diventare il liberatore del suo popolo, così Gesù sfugge alla strage di Erode e diventerà il salvatore dell’umanità. Matteo invita a riconoscere in Gesù il nuovo Mosè, compimento della promessa di Dt 18,18: un profeta suscitato da Dio come Mosè stesso. Un secondo segno di compimento delle Scritture è la citazione di Os 11,1: “Dall’Egitto ho chiamato mio figlio”. In origine riferita al popolo d’Israele, Matteo la applica a Gesù, presentandolo come il Nuovo Israele, colui che realizza pienamente l’Alleanza. Il titolo di Figlio di Dio, già attribuito ai re e al Messia, in Gesù acquista un significato pieno: alla luce della risurrezione e del dono dello Spirito, i credenti riconoscono che Gesù è veramente Figlio di Dio, Dio da Dio, come confessa la fede cristiana. Un terzo segno è l’affermazione: “Sarà chiamato Nazareno”. Sebbene l’Antico Testamento non parli di Nazaret, Matteo gioca su risonanze linguistiche e simboliche: netser (“germoglio” messianico della stirpe di Davide), nazir (consacrato a Dio), e natsar (“custodire”). Nazaret diventa così il segno della scelta divina dell’umile e dell’insignificante. Inoltre, quando i cristiani vengono disprezzati come “Nazorei”, Matteo li incoraggia ricordando che anche Gesù portò quel titolo: ciò che appare spregevole agli uomini è prezioso agli occhi di Dio. Nel racconto, Matteo costruisce due scene parallele: fuga in Egitto e ritorno dall’Egitto. In entrambe c’è un contesto storico, l’apparizione dell’angelo a Giuseppe in sogno, l’obbedienza immediata e la conclusione: così si compì ciò “che era stato detto per mezzo dei profeti”. Il parallelismo mette in relazione i titoli Figlio di Dio e Nazareno, mostrando un Messia inatteso: glorioso e insieme umile. Per questo il testo è proclamato nella festa della Santa Famiglia: Gesù è Figlio di Dio, ma cresce in una famiglia semplice e in un villaggio insignificante. È il grande paradosso cristiano: la storia divina si compie nella quotidianità più ordinaria delle famiglie umane. I commentatori antichi come Pseudo-Dionisio e Pseudo-Crisostomo riflettono sulla fuga in Egitto, non solo un fatto storico ma una manifestazione del disegno salvifico: Cristo, pur essendo Dio, si sottomette alla legge della carne e alla guida divina, dimostrando la vera umanità e obbedienza del Messia. San Girolamo sottolinea invece che non solo Erode, ma anche i sommi sacerdoti e gli scribi cercarono la morte del Signore fin dai primi istanti della sua venuta nel mondo, mostrando l’ostilità spirituale che Gesù incontrerà per tutta la sua missione. Un’altra interpretazione di alcuni Padri antichi vede nella permanenza in Egitto una dimensione salvifica non solo per Gesù stesso, ma simbolicamente per il mondo: Egli va in quella terra storicamente associata all’oppressione e al paganesimo non per restare, ma per portare luce e salvezza, confermando che la venuta di Cristo è per tutti, anche per i popoli lontani da Dio. Così, per gli antichi commentatori il racconto non è mera narrazione: è rivelazione teologica del mistero di Cristo, che entra nella storia umana come libera obbedienza per la nostra salvezza e compimento delle promesse profetiche.
*Sant’Ireneo di Lione Contro le eresie) scrive: “Gesù è ricapitolazione di tutta la storia: ciò che era stato perduto in Adamo, viene ritrovato in Cristo.”. Spesso questo è applicato dai Padri anche alla fuga in Egitto: Cristo ripercorre la storia d’Israele per portarla a compimento.
*Elementi importanti: +Parallelismo tra Gesù e Mosè, Gesù come nuovo Mosè e nuovo Israele. +Compimento delle Scritture secondo Matteo “Dall’Egitto ho chiamato mio figlio» (Os 11,1). +Titolo di Figlio di Dio in senso pieno cristologico. +Significato simbolico di Nazaret / Nazareno. +Scelta divina dell’umile e del disprezzato, eMessia inatteso: gloria divina e umiltà concreta. +Struttura narrativa parallela: fuga e ritorno dall’Egitto. +Santa Famiglia: il divino vissuto nella vita quotidiana
+Giovanni D’Ercole
(Nm 6,22-27; Lc 2,16-21)
Benedire il popolo era antica prerogativa del sovrano che agiva in nome di Dio e in un primo tempo aveva funzioni sacerdotali.
Ma in atteggiamento d’incontro che rende presente Dio ‘in mezzo’ alle folle - il popolo del suo Volto - quello del re antico diventa anche un atto di culto da ritrovare.
Abbiamo bisogno di sentire che siamo benedetti: per non spegnerci, per rigenerare la verità affettiva che ci abita e riporta alla vita, quindi contemplarla e così avviare qualsiasi avventura.
La maledizione non rafforza, indica un rifiuto; ci separa. Benedire è la via della condivisione e della Pace, ossia della raggiunta completezza.
In Israele la benedizione divina era (infine) attesa in guisa materiale. Ma la formula del sacerdozio aronnita attesta l’idea originaria che la vita umana non ha il suo segreto nella configurazione più ovvia.
Infatti, anche noi sappiamo che le situazioni parziali e di solo conforto, irenismo, benessere e sicurezza, si trasformano nel loro opposto - non fanno crescere l'integrità della vita [autentico senso biblico dello Shalôm].
Chi non segue intuizioni innate, un richiamo più radicale del sé, o annunci sbalorditivi (Lc 1,26-38. 2,8-15) non sviluppa il suo destino, non si muove, non rimette le cose a posto.
I proclami comuni finiscono per incenerire le personalità.
È vero che i pastori non trovano nulla di straordinario e prodigioso, se non una famiglia ridotta in una condizione ordinaria che conoscono.
Ma è quel semplice focolare a coinvolgerli nel nuovo progetto di Dio, e nell’annuncio della sua scandalosa Misericordia senza condizioni - che non li ha fulminati per impurità.
La religione li aveva bollati per sempre: esseri persi, spregevoli, senza rimedio.
Ora sono liberi dall’identificazione. Hanno un ‘altro occhio’ - come quello della “prima volta”: sguardo che li porterà al cento per cento.
Esodati che si trovano davanti un’immagine di Dio indifeso, essi non si preoccupano d’impegnarsi in una disciplina etica, che li avrebbe sgretolati.
Godono lo stupore d’una realtà semplicemente umana - in una misteriosa relazione di reciproco riconoscimento.
Strano che il modesto segno - un bimbo in una mangiatoia, luogo impuro dove si trastullavano le bestie - li convinca, faccia loro recuperare stima, li renda evangelizzatori [forse neanche assidui].
Al pari del Calvario cui rimanda, la Manifestazione risolutiva dell’Eterno è un paradosso.
Ma la geografia affettiva di questa Betlemme priva di circuiti conformisti resta intatta, perché spontaneamente radicata in noi.
C’è un senso d’immediatezza, senza particolari intrecci o cerimonie.
Il Bambino neppure viene adorato dagli sguardi ora “puri” dei piccoli, vilipesi cani della prateria e delle transumanze - come viceversa faranno i Magi (Mt 2,11).
Loro neanche sapevano cosa significasse, riflettere cerimoniali di corte orientali - come il bacio delle pantofole.
I miserabili della terra [i lontani dei greggi] sono coloro che ascoltano l’Annuncio, verificano prontamente, e fondano la nuova ‘stirpe’ divina.
Gente non tormentata dal giudizio statico, bensì ora «in mezzo» a tutti gli uomini e non più ad alta quota.
(Lc 2,16-21)
Maria ricercava il senso delle sorprese (v.19). Così rigenerava, per un nuovo modo di capire e stare insieme - per dare alla luce anche il mondo interno di tutto un diverso popolo della pienezza.
Ella ‘metteva insieme’ fatti e Parola, per scoprirne il filo conduttore, per rimanere ricettiva e non farsi condizionare dalle convinzioni inflessibili, che non le avrebbero dato scampo.
La Madre stessa, pur colta di sorpresa, si preparava all’eccentricità di Dio, senza allontanarsi dal tempo e dalla condizione reale.
La sua figura e quella dei pastori c’interpellano, chiedono il coraggio di una risposta - ma dopo aver lasciato fluire lo stesso genere di ‘presenze interiori’, visitatrici degne, cui è concesso esprimersi.
Anche Lei ha dovuto come noi passare dalle credenze dei padri alla Fede nel Padre. Dall’idea dell’amore come premio a quella del ‘dono’.
La Buona Novella proclama un capovolgimento: ciò che la religione d’altri tempi aveva considerato lontano dall’Altissimo, è vicinissimo a Lui; anzi, gli corrisponde appieno.
È spalancata l’avventura della Fede. E il nuovo Bimbo ha un Nome che ne esprime l’inaudita essenza di Salvatore, non di giustiziere.
Tutta la sua vicenda sarà appunto pienamente istruttiva anche sotto il profilo di come interiorizzare incertezze e disagi: questi momenti “no” e le precarietà c’insegnano a vivere.
Infatti, anche noi come Maria «andiamo riconoscendo» la presenza di Dio negli enigmi della Scrittura, nel Piccolo ‘avvolto in bende’ - persino nell’eco ancestrale dei nostri mondi interni.
E ci lasciamo andare - non sappiamo bene dove. Ma così è l’Infinito, nelle sue pieghe.
Il saggio Sogno che abita l’umano sa di humus antico, ma il suo eco rinasce ogni giorno, nella marea dell’essere che orienta a ‘guardare’ davvero, senza veli.
Un contegno conformista d’imbattersi e ‘vedere’ esteriormente le cose, non risolverebbe il problema.
Talora per non farsi condizionare bisogna riedificarsi nel silenzio, come la Vergine; costruirsi una sorta di isola ermeneutica che schiuda porte differenti, che introduca altre luci.
Entro il suo circuito sacro anche la Madre di Dio valorizzava le innate energie trasformative, proprio radicandole sugli interrogativi.
In tal guisa, tornando al suo essere primordiale e al senso del Neonato - immagine antica, cara a molte culture.
Entrava in un Altrove e non usciva dal campo del reale: dentro il suo Centro, senza fretta.
Ricercando il Sole annegato nel suo essere e che tornava, emergeva, risorgeva nell’intimo, la faceva esistere oltre.
Così non si lasciava assorbire energie da idee tradizionali o da situazioni esterne, che pure volevano rompere l’equilibrio.
Nella sua vereconda solitudine - colma di Grazia - quell’io superiore e celato nell’essenza veniva sempre più a Lei, si faceva nuova Alba e guida.
Non voleva vivere dentro pensieri, saperi e ragionamenti dintorno - nessuno capace di amplificare la vita - tutti in mano alle droghe delle convenzioni, disumanizzanti l’Incanto.
La magia felice di quel Frugolo di carne portava la sua Pace.
I Sogni sostenevano e veicolavano il suo Centro - facendo scorrere una vita nuova dal Nucleo della sua Persona, e la giovinezza del mondo.
[Maria Ss.ma Madre di Dio, 1 gennaio]
L'Incredibile dell'anno
All’inizio dell’anno nuovo, un ricco signore ebbe un’idea: solo la persona capace di fare la cosa più incredibile dell'anno doveva ereditare ogni suo bene.
Gli amici impegnarono tutta la loro fantasia.
Alcuni anziani - per voler rincorrere il proprio gusto - fecero indigestione e rischiarono di morire a forza di mangiare e bere.
Alcuni monelli si esercitarono invece a roteare capriole mortali.
Poi fu allestita un'intera mostra di trovate incredibili. Una persona recitava la parte dì Mosè sulla Montagna con le Tavole della Legge, ma gli risultò difficile riprodurre lampi e tuoni; la scenografia retrostante era statica e antiquata.
Un tizio travestito da cornacchia raccontava storie e antichi ricordi, vicino a una stufa spenta.
Qualcuno si vestì da impresario di pompe funebri, ma le persone non apprezzarono la sua aria troppo professorale né il suo loden.
Altri vollero mettere in scena le Beatitudini, dimenticando però quella dei perseguitati.
Un artista sfregiava i suoi stessi quadri; uno scultore martellava come un forsennato, però il frastuono della sua mola era ancora più insopportabile.
Un falegname lavorava molto bene ad uno scrigno, ma a giudizio di tutti sollevò troppa pula, lasciando a terra una quantità eccessiva di trucioli.
D'improvviso irruppe un buttafuori alto come un gorilla e forzuto come Maciste: «Sono io l'uomo della cosa più incredibile».
Coi pugni mise k.o. gli astanti e con un'ascia sferzò ogni cosa attorno, tutto riducendo in brandelli.
Qualsiasi oggetto venne distrutto e ciascuno rimaneva tramortito al tappeto. «Ecco quello di cui sono capace!» - disse l'uomo - «la mia azione ha battuto l'universo intero! Io ho fatto la cosa più incredibile, e non solo dell'anno!».
I giudici della contesa rimasero perplessi, ma a quel punto sembrava non potessero concedere la palma della vittoria a nessun altro...
Nell'atmosfera di annientamento generale, spuntò non si sa da dove l'ultimo della lista; un certo Cristoforo. Egli propose di andare a Levante passando da Ponente. Tutti risero a squarciagola, ma costui chiese tempo.
Così, al termine della sua vicenda fatta di calcoli sbagliati e venti - talora anche - favorevoli, dimostrò di poter approdare a una terra nuova, più ricca di ogni dove e prima impensata. (Spesso però passando attraverso notizie imprecise e forze in apparenza distruttive).
Tutto cambiò, per quel suo coraggio da visionario.
Da quel momento il continente da cui salparono le caravelle divenne nell’accezione comune "il vecchio mondo", che infatti - sazio e disperato, bloccato sulle sue posizioni - invecchiò anche demograficamente e in modo via via irreparabile; rovinandosi.
Quell'avventura assurda - metafora del viaggio di ciascuno che non impara a trattenere - proruppe allora come tipo d'una nuova proposta di vita, aperta e creativa, incline alla meraviglia.
La varietà delle esperienze e persino il ventaglio delle fantasticherie non furono più additate a oltraggio dei costumi, ma divennero valore aggiunto.
Tal modello di proposta (visioni che anticipavano bisogni) man mano emerse nella pedagogia comune.
Venne adottata anche dai pellegrini dello Spirito come icona positiva del Nuovo Patto fra Dio e l'uomo - ora capace di valorizzare l'intricato miscuglio di valori e criteri del nostro cuore; coi suoi interessi comuni e di terra, ma rapiti nei sogni più sublimi.
Per una vita cristiana non fatta di cosmetica, ma di esplorazione e sorpresa; programma di tutto l'anno.
Così Cristoforo cambiò la storia, veleggiando al contrario.
Maria, l’Arte della Percezione che rompe gli schemi
(Lc 2,19) (Lc 1,26-38)
Per una vita dall’Io autentico al Culmine sconosciuto
«Ora, Maria conservava e custodiva tutte - proprio tutte - queste parole-evento, mettendole insieme e comparandole nel suo cuore» [senso del testo greco].
Cosa ne era di lei, del Figlio e di tutti gli altri?
Voleva capire le affinità essenziali - con l'anima e altrove: il senso degli strani e semplici accadimenti. Regola d’oro anche per noi.
Nel ritratto di Gesù che allattava, il suo silenzio non permaneva collocato - e non si lasciava demotivare: scavando.
Per questo conosceva ben più cose espressive di tante menti - sublimi eppure incapaci di uscire dagli automatismi, già allagate di dottrine e tradizioni ragguardevoli.
Siamo volentieri anche noi lì, con Maria; in una cultura che c’invade i sensi e inquina l'anima di opinioni rumorose, di modelli apparentemente eloquenti ma che mettono in ginocchio: stressanti e futili.
Tutte riproduzioni enfatiche, d’impatto - ma esterne.
Eppure debordano nell’intimo, e malgrado le apparenze scintillanti, chiudono la personalità in uno spazio ristretto, di abitudini malsane, solo da esibire.
Ci costringiamo infatti a correre da una parte all’altra, spesso a recitare prototipi. Appunto, intrigati a forza da piani, organigrammi e pensieri, anche devoti, i quali divengono però forme di banalizzazione personale e sociale.
Ci stiamo abituando alla paura del nostro lato discreto, riservato, non pettegolo, appartato, nascosto, tutto nostro e vicino alla Fonte: in una parola, custode della Chiamata per Nome - che vuol fare pausa per tornare all’Ascolto antico del nuovo.
Un lato che ancora non conosciamo: esso non ha mai lo stesso tono di sempre. È tutto nostro, ma allude agli incontri veri.
Affinando la visione interiore, cogliamo la nostra scaturigine e il senso della storia; e le sue pieghe - così possiamo partorire ancora il mondo prezioso dentro e fuori di noi.
Lo facciamo a partire dall’impalpabile che fa da perno dell’essenza. E custodisce il Fuoco dentro.
Per un tratto - sempre più breve - gli opinionisti ufficiali c’illudono di stare al centro del mondo.
Vogliono inocularci il falso senso di protagonismo e permanenza che rapidamente svanisce; in realtà, ci travolgono.
Sentiamo il bisogno di una riscoperta dell’essere e dell’essenza, non dissolti nel regno della notte e dell’illusione [avere potere apparire, trattenere salire dominare]. Senza fughe, né ritmi che non ci appartengono.
Cerchiamo un coinvolgimento, e una distanza.
Vogliamo ‘percepire’ come Maria e come i pastori - sconclusionati da opinioni religiose altrui - per divenire e rinascere, e divenire ancora. Recuperando le frenesie, le sorprese, le ferite; senza disperdere il Centro.
“Rifugiarsi” in uno spazio segreto non era per Lei un ritrovare la se stessa attesa da tutti, stereotipa e adeguata come sempre.
Esprimeva piuttosto il suo essere - in fuga dai modi convenzionali.
Per vivere intensamente non desiderava entrare nella nomenclatura - poi essere normale, e asservita - piuttosto allontanarsi, ma stando lì. Perciò non escludeva nulla.
Si è riconosciuta pure in quei vagabondi.
Mai si sarebbe immaginata protagonista (recitante) d’una tradizione che l’ha collocata su piedistalli, forme, attributi solenni, e costrizioni - proprio quelle che l’avrebbero resa dolcemente ma decisamente ribelle.
Non si rivisitava per crogiolarsi, bensì per verificare e riattivare il suo ‘modo’ - che non voleva perdere: poteva essere travolto da pareri esterni e seppellito da circostanze [impellenti ma senza orizzonte].
Non voleva smarrire il proprio Indirizzo dentro mete comuni, omologate, perdendo di vista ciò che era davvero, e la introduceva nel cielo del senza tempo - né bramava assomigliare alla maggioranza, o starle sopra.
Quella che le abbiamo costruito noi, non è casa sua.
Maria non si affacciava sulla realtà e oggi dentro di noi [per aiutarci a guardare il “nostro” Mistero] col viso conforme; edulcorato e artefatto, o intimista, paludoso.
La sua anima era sempre in viaggio. Per conoscere l’inconoscibile, mai si sarebbe fermata - anche senza sapere in anticipo dove andare.
Il suo carattere non voleva le certezze della sistemazione. Senza tentennare, anche in sé preferiva intuire e vivere la Passione d’amore.
Si lasciava guidare e salvare, ma a partire dal suo stesso centro sacro, santuario del Dio-Con. Colui che sblocca, c’incammina, e libera.
Non poteva consentire che la sua Vocazione venisse coperta da idoli, né da alcuna trama, che pur si stava svolgendo.
Nel ‘qui e ora’ ritrovava la sua affinità proprio dal suo stesso essere viandante, che avanzando poneva i disagi alle spalle.
Sviluppando l’occhio interiore, trasmutava anche il suo interno per ritrovare il passo dell’Annunciazione nascosta nei disadattati, che ancora la conduceva.
Solo questo le durava negli anni - non il lato funzionale.
Non sognava di fare una vita tranquilla, bensì di capire la personale missione.
Senza ingenuità s’interrogava sul significato delle chiamate intime, degli accadimenti, delle vie traverse, e dei suoi moti - estranea solo all’ansia di piacere a tutti.
Desiderava comprendere come inserirsi al meglio, procedendo verso la nuova terra promessa [cf. Lc 1,29: «Ma fu molto turbata per la Parola e si domandava che saluto fosse questo»; Lc 1,34: «Come sarà questo?»].
La quiete dentro non era uniforme, bensì colma delle vicissitudini e di ‘notizie’ imprevedibili.
Mai avrebbe voluto diventare modello: un documento d’identità scaduto - ingessato, dogmatico. Mai icona di privilegi, e sfarzosa - come una donna che spegne la sua consapevolezza, e si rende identificata, vuota, vetusta, disgiunta.
In mezzo agli altri - persino lazzaroni, poco delicati, indiscreti - Maria lasciava fare, percependo i suoni inudibili del silenzio dell’anima.
Note che producevano la sua figura e - ancor meglio - la sua evoluzione e Destinazione, senza disturbarla con ostinazioni separate.
Togliendo lo sguardo dall’intenzione conformista.
Per esistere davvero, intensamente, cambiava o faceva breccia; recuperava la storia ma ascoltava l’interno di sé.
Cogliendo i propri strati profondi, percependosi nelle voci più intime, prendeva coscienza del senso della sua vita, e della storia che si svolgeva.
Negl’intervalli di pensiero, riattivava l’energia dello ‘sguardo’.
E senza mortificazioni portava l’attenzione su un’altra dimensione, entrando gradualmente nel Vento che incessantemente la disinnestava.
In tal guisa, imparava a non aspettarsi qualcosa di allineato ai propositi e previsioni normali, né alla graduatoria sociale e culturale: doveva introdursi nelle vicende, e staccarsi (per contemplarne l’importanza e profondità).
Misteriosamente - così scrutando senza troppo fare - leggeva le ‘note’, sceglieva i registri giusti; interpretava lo spartito.
Epifania di Dio in una creatura del tutto priva di stile ieratico o cortese; piuttosto, delicato e gitano.
Non si è precipitata a mettere a posto le cose: intuiva «dentro» la vita sommaria, invece che condurla e organizzarla, o disporla.
Attendeva che il suo Sé eminente facesse da guida allo strano percorso non dirigista né volontarista che si stava dispiegando, davvero tutto eccentrico e poco esemplare.
Non si attivava per compiacere.
Impariamo in Lei anche noi: a vedere accadere il Dio domestico, le ‘visite’ che non aspetteremmo; l'intensità delle cromie differenti.
Esse che poi ci portano a un diverso sguardo anche nell’anima; coinvolta e distaccata.
Al pari della realtà circostante, Maria non era sempre uguale.
Non aveva in mente un campione da inseguire sino in fondo, per poi trovarsi cronicizzata nell’esemplarità altrui - sradicata, esteriore, dissipata e scarica.
Situazioni ed emozioni avevano valore, non solo né anzitutto sulla base del registro a paradigmi - ormai inutile - con cui venivano interpretate.
Nella speranza delle cose presenti e nel loro sensibile Ascolto, veniva acquisendo fluidità.
In tal guisa, passando senza forzature dalla religione dei padri alla Fede, al rischio d’amicizia nell’imprevedibile proposta dell’unico Padre.
Ritirata nella Dimora dello Spirito, dentro una Speranza che si svelava onda su onda, imparava a comprendere le relazioni e le energie interiori, non impacchettate.
Una volta ascoltate e assunte, esse potevano deviare, e prendere proprio la strada inattesa.
Passo dopo passo, l’occhio, l’orecchio e il cuore attenti introducono anche noi - come Maria - in un territorio di sospensione delle intenzioni chiuse. Dove abita l’amore e il destino della Novità di Dio.
Espandeva la Visione non a partire unicamente dattorno.
Dispiegando il suo perdersi nel Noi, non selettivo, ma solo dal proprio centro sacro, anche l’orizzonte dilatava nella sensazione d’infinito in azione.
Nella contemplazione degli eventi, rendeva più corposa e persino reinventava la figura del cuore che l’aveva guidata fin lì.
Reinterpretava ancora l’immagine espressiva della sua Vocazione. E cambiava il suo destino - non dando peso alle angolazioni unilaterali.
Niente obblighi e propositi cesellati - controcorrente ma naturale, senza la lacerazione degli sforzi titanici.
Così perfino i disagi l’avvicinavano alla sua Missione di Madre della nuova umanità, nel Figlio.
E ciascuno egualmente ritrova l’energia della suggestione primordiale che lo conduce, affinché nella Meditazione riabbracci il Richiamo della Chiamata che vuole ancora strapparlo dalla palude.
Eco dell’Appello primigenio che s’intesse agli accadimenti ed è già la Destinazione.
Testimonianza ogni istante da riscoprire nel “vuoto intimo e colmo” da fare dentro, per attendere qualcosa che non sappiamo prima cosa sia.
Maria si faceva tracciare nel tempo dall’Amore senza brevetto.
Tali i Sogni delle creature totalmente immerse nelle passioni vere, che colgono, anticipano e attualizzano il senza-tempo nel tempo.
Non rinunciava a chiedersi cosa - dai molteplici aspetti - la stava abitando e silenziosamente guidava.
La immaginiamo ancora (v.19) ‘come ad occhi chiusi’: situazione che la nostra cultura spesso ignora.
Non pensava le cause efficienti: era per riscoprire altrimenti il suo aprire la porta ai visitatori, e a ogni novità da stupore.
Stava già allattando, non solo il Figlio; al contempo alimentava se stessa.
Non per vano intimismo riscopriva il Mistero sottile annidato nel diverso - e nel cangiante e crudo - imprevedibile dentro e fuori.
Senza rendersi conto, già nutriva il mondo, custodendosi.
Vera, giunge sino a noi e in noi, accudendo il nido dell’essenza e della storia... senz’apparenza alcuna di stendardi e vetrine - rispettando solo ciò che capita.
Similmente la sua intera Famiglia diventa la vera signora feconda di una Festa dell’Annuncio impossibile attorno - che non si capisce da dove sia nata (Lc 1,20).
Sicuramente da nulla di esteriore. Perciò decisivo.
Totalmente aderente alle circostanze e presente in sé, diveniva completamente - nei moti nitidi e spontanei, anche altrui.
Certo non aveva attorno gente che potesse vantare paraventi. Solo strani individui, ma che incessantemente lasciavano emergere l’istinto vitale.
Anche loro non si dicevano prima dove bisognasse andare. Per questo si ritrovavano in un’incessante gravidanza.
Avevano in serbo solo l’esperienza delle distanze; spesso gelo e rifiuto.
Mai conosciuta una figura che li aiutasse a riconoscersi completamente, e a guardare le cose dal punto di vista della soavità intramontabile scoperta.
Persino capaci di tendere al globale più largo e comprensivo [noi diremmo, all’eternità servizievole della condizione angelica].
Eccoli invece incendiati dalla Fiamma perenne - quella del mondo intero (passato, presente e futuro) che sa recuperare e stare nascostamente, a parte ma nel cosmo - come aurora e giorno del Signore.
Nella cultura del tempo, condizione degli spiriti del servizio al trono celeste, che glorificavano e lodavano Dio (v.20) «per tutto quello che avevano udito e avevano visto».
Di fronte alla Famiglia Chiesa domestica, in Maria e Gesù i pastori fanno un’esperienza decisiva.
Non più di carenza e giudizio unilaterali, ma di rinascita nella stima; di un altro mondo, disponibile e inclusivo - d’un altro regno, unisono senza uniformità.
La Madre di Dio è una possibilità di tendere all’eterno presente, non più esclusivo: ma come una danza, dove il tutto che cambia mette perfettamente a proprio agio - senza già le tracce da ricalcare.
Gli stravaganti della società, pellegrini e cani della prateria raccogliticci, abili solo nelle transumanze, forse mai avevano avuto la capacità di riconoscere l’estasi dello stare bene e intensamente nel sommario.
Forse mai avevano avuto l’esperienza di riconoscere in una creatura accurata il loro stesso lato sensibile, tenero e femminile.
Aspetto che nella Donna Chiesa autentica si fa custode e diversamente banditore [nei malfermi] dello scrigno della Vita.
Dal tepore di Maria e della Culla, fra i loro labirinti, ormai portavano nel proprio luogo appartato una benedizione entusiasmante, e il lato intimo indistruttibile; anche altrove.
Per mettere in discussione anche noi.
Cerchiamo un’anima silenziosa, per un’arte della rinascita.
Ecco Maria: ella aveva notato, mentre meditava, che di riflesso anche gli altri lo facevano.
Quando si ritagliava energie preparatorie, anche attorno ci si disponeva in modo più equilibrato, pieno all’Annuncio.
Camminava nella vita per custodire e alimentare nuovi padri e madri di umanizzazione.
Non per commentare, ma per intuire e sciogliere; per non spegnere il lato sognante con la parte “all’altezza”, vecchia.
Il suo regno della verecondia che cura l’io e il Tu era il cielo e la terra delle nuove potenze.
Virtù affidabili perché scaturite dal Silenzio della Via che la stava rinnovando completamente - amando le contraddizioni.
Perché tutto ora può accadere, rigenerare; e ogni giorno recare la sua marea (dell’inedito) nella presenza di Spirito, senza routine.
Un’anima genuina, priva di finzioni... lo può fare.
Per un’avventura che spinge via la continuità, ricolma di Eros fondante; per un’esplorazione diretta al Culmine sconosciuto.
Maria: Rallentando un po’, si Nasce
Chi non segue intuizioni innate, un richiamo più radicale del sé, o annunci sbalorditivi [Lc 1,26-38. 2,8-15] non sviluppa il suo destino, non si muove; non rimette le cose a posto.
I proclami comuni finiscono per incenerire le personalità.
È vero che i pastori non trovano nulla di straordinario e prodigioso, se non una famiglia ridotta in una condizione ordinaria, che conoscono.
Ma è quel semplice focolare a coinvolgerli nel nuovo Progetto, e nell’annuncio della sua scandalosa Misericordia senza condizioni - che non li ha fulminati per impurità.
La religione arcaica li aveva bollati per sempre: esseri persi, spregevoli, senza rimedio. Ora sono liberi dall’identificazione.
Hanno un altro occhio - come quello della prima volta. Sguardo che li porterà al cento per cento.
Esodati che si trovano davanti un’immagine di Dio indifeso, essi non si preoccupano d’impegnarsi in una disciplina etica: li avrebbe sgretolati.
Piuttosto, godono lo stupore d’una realtà semplicemente umana - in una misteriosa relazione di reciproco riconoscimento.
Un bimbo in una mangiatoia, luogo impuro dove si trastullavano le bestie.
Strano che il modesto segno li convinca, che faccia loro recuperare la stima, e li renda evangelizzatori - forse neanche assidui.
Al pari del Calvario (cui rimanda), la Manifestazione risolutiva dell’Eterno è un paradosso.
Ma la geografia affettiva di questa Betlemme priva di circuiti conformisti resta intatta, perché spontaneamente radicata in noi.
C’è un senso d’immediatezza, senza particolari intrecci o cerimonie.
Il Bambino neppure viene adorato dagli sguardi ora “puri” dei piccoli, vilipesi cani della prateria e delle transumanze - come viceversa faranno i Magi (Mt 2,11).
Loro neanche sapevano cosa significasse, riflettere cerimoniali di corte orientali - come il bacio delle pantofole rosse.
[Per questo motivo Papa Francesco le ha rifiutate, insieme all’ermellino - dopo che Paolo VI aveva avuto il coraggio di deporre il segno pluridirigista delle tiare, con le sue tre corone sovrapposte; un pochino più intricata è stata la vicenda dell’anacronistica sedia gestatoria].
I miserabili della terra e i lontani dei greggi sono coloro che ascoltano l’Annuncio, verificano prontamente, e fondano la nuova stirpe divina.
Gente non tormentata dal giudizio statico - uomini in mezzo a tutti; non più ad alta quota.
Intanto Maria ricercava il senso delle sorprese e così rigenerava, per un nuovo modo di capire e ‘stare’ insieme - per dare alla luce anche il mondo interno di tutto un diverso popolo della pienezza.
Ella metteva insieme fatti e Parola, per scoprirne il filo conduttore.
E rimanere ricettiva; non farsi condizionare dalle convinzioni dei recinti devoti - targati e inflessibili, che non le avrebbero dato scampo.
La Madre stessa, pur colta di sorpresa, si preparava all’eccentricità di Dio, senza allontanarsi dal tempo e dalla sua condizione reale.
La sua figura e quella dei pastori c’interpellano, chiedono il coraggio di una risposta - ma dopo aver lasciato fluire lo stesso genere di Presenze interiori: visitatrici degne, cui è concesso esprimersi.
Anche Lei ha dovuto come noi passare dalle credenze dei padri alla Fede nel Padre.
Dall’idea dell’amore come premio a quella del ‘dono’.
Dalla pratica dei culti e delle chiusure che non rendono affatto intimi all’Eterno, all’apertura della mente e degli usci.
Non lo ha realizzato senza fatica, bensì sopportando le resistenze del suo ambiente arido.
Gesù è stato infatti circonciso - inutile rito che secondo l’abitudine pretendeva mutare il Figlio di Dio in figlio di Abramo.
La Buona Novella proclama un capovolgimento: ciò che la religione aveva considerato lontano dall’Altissimo... è vicinissimo a Lui; anzi, gli corrisponde appieno.
Mai accaduto prima, immaginarselo.
Nelle Annunciazioni dei Vangeli è spalancata l’avventura della Fede.
E il nuovo Bimbo ha un Nome ch’esprime l’inaudita essenza di Salvatore, non giustiziere.
Tutta la sua vicenda sarà appunto pienamente istruttiva anche sotto il profilo di come interiorizzare incertezze e disagi: questi “momenti no” e le precarietà che c’insegnano a vivere.
Infatti, anche noi come Maria «andiamo riconoscendo» la presenza di Dio negli enigmi della Scrittura, nel Piccolo ‘avvolto in bende’ - persino nell’eco ancestrale dei nostri mondi interni.
E ci lasciamo andare - non sappiamo bene dove. Ma così è l’Infinito, l’immenso Segreto, l’inesplicabile Respiro, nelle sue pieghe.
Il saggio Sogno che abita l’umano sa di humus antico, ma il suo eco rinasce ogni giorno, nella marea dell’essere che orienta a ‘guardare’ davvero, senza veli.
Un contegno conformista di “vedere le cose” non risolverebbe il problema.
Talora, per non farsi condizionare bisogna riedificarsi nel silenzio, come la Vergine; costruirsi una sorta di isola ermeneutica che schiuda porte differenti, che introduca altre luci.
Entro il suo circuito sacro anche la Madre di Dio valorizzava le innate energie trasformative, proprio radicandole sugli interrogativi…
Così tornando al suo essere primordiale e al senso del Neonato - immagine intrisa di senso primigenio e onda vitale, cara a molte culture.
Maria entrava in un Altrove e non usciva dal campo del reale.
Era ‘dentro’ il suo Centro, senza fretta - ricercando il Sole annegato nel suo essere e che tornava, emergeva, risorgeva; dall’intimo, la faceva esistere oltre.
Così non si lasciava assorbire energie dalle idee conformiste altrui o da situazioni [esterne] che pure volevano rompere l’equilibrio.
Nella sua vereconda solitudine - colma di Grazia - quell’io superiore e celato nell’essenza veniva sempre più a Lei. Si faceva nuova Alba e guida.
Non voleva vivere dentro pensieri, saperi e ragionamenti dintorno - nessuno capace di amplificare la vita - tutti in mano alle droghe delle procedure, disumanizzanti l’Incanto.
La magia felice di quel Frugolo di carne portava la sua Pace.
I Sogni sostenevano e veicolavano il suo nido e intimo fulcro - facendo scorrere una vita nuova dal nucleo della sua Persona, e la giovinezza del mondo.
«Ora Maria conservava tutte Parole-evento confrontandole nel suo cuore»
(Lc 2,16-21)
Nelle gabbie della nostra devozione, forse non c’è ancora posto per Gesù che si offre. Egli continua a nascere bambino come gli altri, lontano e povero, rifiutato.
Solo i marginali della società sembrano capaci di attesa, apertura al mistero, e ricerca: vegliare di notte (v.8), passare e vedere (v.15), venire affrettandosi (v.16), lodare (v.20).
La Madre sta facendo già il suo cammino per passare dalla religiosità dei padri alla Fede nel Padre: Contemplativa che ascolta, incontra i suoi stati profondi e cerca di non perdere nulla.
Chi non è nessuno ma sente ansia di ricerca e cuore orante può cantare un canto nuovo.
In tal guisa, sarà in grado di decifrare i segni della Presenza divina iscritti nelle vicende, e accogliere Cristo nella propria dimora interna (v.7) [cf. commento al Prologo di Gv].
Nella semplicità del Figlio - nella Libertà dei figli - il Dio Eterno indica alle moltitudini misere e abbandonate una Via nuova, in grado di valorizzare i limiti e perfino le eccentricità di ciascuno.
Lungo tutto il primo secolo, sia in Palestina che in Asia Minore [chiese giovannee e lucane] le diverse scuole teologiche e di servitori di Dio - del giudaismo tradizionale, di Gesù, del Battista - si confrontavano in modo alternativo.
Dove c’erano comunità di giudei, non mancavano polemiche tra cristiani e vari osservanti (più o meno radicali) della religione dei padri - nonché persone che erano state battezzate da Giovanni, o almeno a contatto con i suoi allievi. Anche il Maestro e i primi apostoli lo erano stati.
Più che confusione, tra il gruppo dei discepoli di Cristo e quelli del Battezzatore, si notavano vere e proprie competizioni.
Ciò, sebbene entrambe proclamassero la venuta del Regno di Dio, e proponessero giustizia sociale, nonché il perdono dei peccati nella vita pratica - invece che mediante riti e gesti sacrificali al Tempio di Gerusalemme.
Eppure, grazie al Figlio, gli apostoli coglievano la profondità del cuore del Padre, che mai somiglia a un giustizialista, bensì opera esclusivamente per il bene e la promozione della vita.
Quindi nella Fede essi stessi ottenevano recuperi inspiegabili - proprio integrando gratuitamente i lati deboli delle persone - senza opere di mortificazione della donna e dell’uomo insicuri, né pretendere perfezioni preventive impossibili.
Ancora oggi, proprio a partire dai versanti oscuri della nostra personalità, il Padre crea nello Spirito delle Beatitudini la ‘sua’ Novità, che ribalta le carte in tavola.
Mutamento del tutto inatteso, impossibile da immaginare e proporsi; almeno sulla base di pregiudizi o idee già consolidate - tutte concorrenziali con la stima di sé e la gioia di vivere.
Il Dio dall’amore senza condizioni e che scaccia i sensi di colpa era appunto appannaggio esclusivo delle nuove persone di Fede in Cristo, le quali avevano superato le cappe accusatorie, moralistiche e pignole, della consuetudine affermata.
Anche allora le diversità mettevano in gioco la questione delle purificazioni richieste dai “credo” accettati dal paradigma culturale, e dai riti identitari.
Gesù sembrava del tutto estraneo alla mentalità delle abluzioni cultuali della tradizione.
Era la consuetudine di vita con Lui che rigenerava anime a tutto tondo, anche a partire dalle eccentricità di ciascuno.
Unicità preziose, interpretate come segno di eccezionalità vocazionali.
Insegnava ai miseri e ai condannati dalla religione a rimettersi in piedi facendo leva sulla possibilità d’incontrare i diversi volti annidati nell’anima di ciascuno: assumerli e investirli invece che rinnegarli.
Personalità tutte... non sterilizzate in via preventiva; anime anche dalle espressioni stravaganti, o dai lati inconsapevoli, malfermi, inespressi - nei quali Gesù insegnava a scoprire i tratti della Chiamata missionaria personale.
E proprio ‘da’ qui - sembra incredibile - anche noi inviati all’Annuncio.
Tutto ciò resta fondamentale ogni giorno.
Infatti, le proposte [pie o d’avanguardia] possono presentarsi in forme pur dignitosissime - ma esse restano solo battistrada del nuovo salto di qualità.
Quest’ultimo, capace di stupore e tutto umanizzante: senza la tara di sentirsi segnati a vita dalle opinioni esterne.
Ovviamente, queste forme di scioltezza e immediatezza famigliare nei confronti del Dio Eterno suscitavano l’invidia dei veterani ancora ingabbiati nei vecchi timori della retribuzione, nel mucchio delle opere di legge, di efficienze personali inconsapevoli della Grazia aperta, del Dono personale.
In nessun adempimento, bensì solo in Cristo, i suoi amici e fratelli riconoscevano la Voce del Dio amabile.
Egli non distingue a priori le “superiorità”: fra puri e impuri, capaci e incapaci, amici e nemici; reduci, eletti, predestinati, e non.
Insomma, nella nostra vita reale non attendiamo un Messia fenomeno che turbi e opprima di continuo, riempiendoci di paure e deviazioni da correggere [che fiaccano tutte le energie].
Badiamo solo a un Amico che consenta di esprimersi in modo inedito e avere una speranza lunga - anche immeritata.
Facciamo come i pastori: nessuno ha mai capito cosa li abbia convinti, se non lo stupore della gratuità imprevedibile (vv.15-18.20).
Paradossalmente pronti a fondare un nuovo popolo - senza troppi regolamenti e luoghi comuni - a partire da come e dove ciascuno si trovasse.
Ormai anche a noi non serve più l’imprimatur dei settarismi ideologici, senza apertura alla sorpresa dell’Incarnazione sorprendente, che fa trasalire di gioia gli ‘inadeguati’..
Le nostre più infantili stranezze [cf. commento al Prologo di Gv] possono avvicinare la condizione umana a quella divina.
Quindi hanno l’approvazione del Signore di tutti i cosmi.
E Maria: la Domanda ch’è la Risposta
(Gal 4,4-7; Lc 2,16-21)
Ci chiediamo: in questo tempo, cosa può renderci intimi al Signore?
[Un certo Cristoforo cambiò la storia, veleggiando al contrario…].
I pastori sperimentano la predilezione d’un vero e proprio Amore eccessivo, per benedizione dell’eccentrico - e Meraviglia.
Preferenza che non viene concessa dietro scambio coi meriti, ma a motivo dei bisogni.
Lc vuol sottolineare che - lodando e glorificando Dio (v.20) proprio come fanno gli Angeli - gl’imperfetti e inadempienti si ritrovano paradossalmente più vicini al trono divino rispetto alla posizione sempre arrembante dei piissimi sterilizzati, o dei più “performanti”.
Sbalordiamo anche noi di conoscere un Padre che invece di incenerirci a motivo delle nostre oscillazioni, non solo avvolge di ‘luce’ (v.9), ma proprio su quelle stesse insicurezze costruisce la sua Novità.
Pensavamo tutti di essere nati per fare i figli devoti e obbedienti, o i grandi “fenomeni” [narcisi].
Invece di metterci sotto stress, il Padre vuole che ritroviamo il piacere e lo stupore della gratuità e dello stare insieme. Senza prima i modelli - e badare a obblighi, modi, orari, luoghi, doveri, riverenze, prostrazioni e baciamani di nessun genere!
Dio sa che siamo circondati da ambiti, stimoli, spostamenti, faccende, che ci portano via. Ma neanche pretende un minimo sindacale tutto suo, perché non fa come il ragazzino capriccioso che vuole la fetta grande di torta a merenda [corrispondente al suo rango].
La relazione con Lui non è un impegno continuo, cui star dietro con fatica. È un alleggerimento, e addirittura si fortifica nei contrappesi.
In Avvento abbiamo già sottolineato: quello del Signore che Viene è un Raggio che non s’introduce nell’orizzonte delle aspettative normali, adattandosi ai nostri sogni esterni - quelli che vivono di traguardi attesi, e poi diventano un tormento.
Nell’arco della vita l’incontro con tale Luce sapiente che squarcia le tenebre della notte è nelle difficoltà che costringono a spostare lo sguardo, nell’insuccesso che obbliga a rigenerare la creatività, nello smarrimento che ci fa contattare nuovi modi di essere.
La vita di Fede non sopporta il demone della ‘perfezione’ immaginata dalle religioni arcaiche.
Esse volentieri sostituiscono ogni Gratis con il senso del dovere adultoide - che inevitabilmente partorisce strategie snervanti e addirittura compensatorie [grazie a Dio, oggi sempre meno occulte].
Secondo il pensiero cinese, per acquistare smalto e fuggire un servilismo inquinato e logoro, i Santi «si fanno insegnare dalle bestie l’arte di evitare gli effetti nocivi della domesticazione, che la vita in società impone».
Infatti: «Gli animali domestici muoiono prematuramente. E così gli uomini, cui le convenzioni sociali vietano di obbedire spontaneamente al ritmo della vita universale».
«Queste convenzioni impongono un’attività continua, interessata, estenuante [mentre è opportuno] alternare i periodi di vita rallentata e di tripudio».
«Il Santo non si sottomette al ritiro o al digiuno se non al fine di giungere, grazie all’estasi, a evadere per lunghi viaggi. Questa liberazione è preparata da giochi vivificanti, che la natura insegna».
«Ci si allena alla vita paradisiaca imitando i sollazzi degli animali. Per santificarsi, bisogna prima abbrutirsi – si intenda: imparare dai bambini, dalle bestie, dalle piante, l’arte semplice e gioiosa di non vivere che in vista della vita».
[M. Granet, Il Pensiero Cinese, Adelphi 2019, kindle pp. 6904-6909].
I ‘pastori’ pongono immediatamente sullo sfondo della propria esistenza reale sia i sensi di colpa che il tempo obbligato degli adempimenti, conservando carica ed entusiasmo.
In tal guisa, anche per noi nulla della vita sembra più un muro invalicabile - a parte il pregiudizio dei ‘giusti’ [quelli dei “condizionali”: i “se”, i “ma”, i “però”].
Anche la routine non toglie energie e voglia di fare - come mai? Perché le anime spontanee non hanno bisogno di occuparsi del look esterno, di piacere all’opinione altrui; così via.
Senza neppure rendersi conto, non avendo da tenere in piedi paraventi artificiosi, i genuini possono affrontare la vita guardandola in faccia, e partire col piede giusto.
Così, attirare grandi opportunità di cambiamento.
Forse non vanno troppo in profondità, ma ascoltano i bisogni.
E allargano i loro spazi senza chiedere l’autorizzazione a coloro che mai la concederanno; intuiscono l’essenziale che sgorga dalla libertà di mente e di codice.
Il loro “dover essere” non ha aspettative artefatte: è semplice sintonia con la natura e con se stessi.
Posizione risolutiva, perché su tale raggio riescono a guardare il lato debole come un contenitore di grande forza, che attiva capacità in grado di costruire tutto un altro destino.
Non si pongono il problema di dover sembrare all’altezza, o di non essere quel che sono. Poi di non potersi concedere tempo in abbondanza, e di farsi vedere ordinati e buonisti, senza malesseri; in armonia con tutti.
Seguono la loro storia, e senza troppe aspettative o propositi, imparano ad affidarsi al flusso degli eventi, anche intimi.
Sanno accogliere quali ospiti degni tutti i propri stati interiori, senza sentirsi in colpa.
Nei propri moventi, sono ‘chiari’. Quindi non cadono nelle nevrosi.
L’incontro con l’Autenticità serena li ha riqualificati.
Luce che ha espugnato l’autostima.
Si sentono legittimati, invece che bersagli. E la riconquistata fiducia li renderà aperti e accoglienti verso gli altri.
Hanno capito di doversi affidare a un sapere più profondo di quello inoculato dai pregiudizi dei capi decisionisti.
Dio è l’esatto contrario del catechismo dei veterani: è solo l’Incontro con Lui che purifica - non il viceversa apparente.
Anche noi desideriamo aprirci al nuovo Mistero. Esperienza che in questo tempo ci sta preparando il grembo dell’anima.
Siamo in una transumanza piena di scoperte e avventure: possiamo apprendere come stare con ciò che Viene e reinterpretarlo, imparando a camminare sulle nostre gambe e mettendo in campo le attitudini.
Accanto ai pastori, che incessantemente rimettono in circolo le energie - la nostra vita può rivelarsi assai più ricca della vicenda dei precisi e inappuntabili.
Vogliamo trasformare la routine in un’avventura che scorge il Sacro autentico nel piccolo Seme che ci abita.
Lo faremo senza troppe efficienze: forse anche noi costruiremo un rifugio d’altura rigenerante, per allenare l’intuizione - e da lì ricreare la Visione, e il mondo.
Nessuno quest’anno deve sentirsi inadeguato, escluso dall’azione dell’Amore di Dio e dalla capacità d’irradiarlo.
Come nel Vangelo della mattina di Pasqua, possiamo scrutare nel buio e intuire anche fra segni di morte le grandi energie della Vita.
Il mondo delle ombre non è più nel medesimo assetto di prima.
Fra gli umiliati, anche Maria è stupita, ma cerca di capire e fa il suo percorso. Anzi, comprende che la Risposta è già nella Domanda.
Confrontando dentro sé Parola e vicende attorno al Figlio, intuisce che nel “problema” (che la sorprendeva) c’era già l’energia della ‘soluzione’.
Chi è Gesù?
Il contrasto fra la straordinaria figura del Messia atteso e frainteso, e l’ottusità del giudizio elusivo delle dottrine popolari, finiva per lasciare le cose come stavano.
Anzi, peggio: racchiudeva il Mistero - quello più normale del mondo [ma che rimane per sempre]: l'umanità di Dio.
E smarriva il suo ‘dove’.
Non poteva comprendere la Persona del Cristo a partire dalle cose che conosceva o cercando d’inquadrarlo nei criteri famigliari del Primo Testamento; nel sentire comune, coi modelli magici del tempo.
Il Maestro suo allievo non si poteva accontentare d’un miglioramento della situazione.
Doveva sostituirla, annunciando la Verità del Padre; della donna e dell’uomo autentici.
Proponendo un germe di mondo alternativo alla società spietata e piramidale; quella che istituisce cosa pensare e dire, come bisogna essere e comportarsi.
Dio intende far emergere e valorizzare l’intuizione delle coscienze più che imporre doveri o smanie di analizzare i comportamenti.
Questo l’incredibile.
Ogni gruppo religioso chiudeva il Messia nel suo modello interpretativo, consono a un ambiente venato di speranze antiche: difesa dei beni e delle consuetudini, benessere a scapito altrui, espansione, prodigi.
La rivoluzione dei figli pone una tematica che cerca la sua Via Altrove - in fondo dietro l’angolo, ma non relegata “dentro” un angolo.
Perché interrogarsi sulla Persona del Cristo significa già iniziare a superare le piccine interpretazioni abitudinarie, e abbracciare l’irruzione di Dio.
Il Signore sempre fanciullo rovescerà le sorti, il destino del regno dell’uomo, e le sue rivendicazioni che ingabbiano l'anima, immobilizzando la vita.
La conoscenza della sua vicenda, l’adesione alla sua Persona, e l’Azione dello Spirito, non lasceranno perdurare nella mente di Maria i pensieri fissi, gli attaccamenti, i luoghi comuni, le vetrine che poi impregnano tutta l’anima privandola di ebbrezza e fecondità.
È nel Figlio ch’ella diviene Madre, Presenza del tutto personale, nuovo Fiuto.
Maternità la sua, d’innata Sapienza, che apre gli orizzonti: nella Chiesa autentica ci sta conducendo a differenti Sogni dell’essere.
Donna che vuole esprimersi umanizzando.
L’odierna liturgia contempla, come in un mosaico, diversi fatti e realtà messianiche, ma l’attenzione si concentra particolarmente su Maria, Madre di Dio. Otto giorni dopo la nascita di Gesù, ricordiamo la Madre, la Theotókos, colei che "ha dato alla luce il Re che governa il cielo e la terra per i secoli in eterno" (Antifona d’ingresso; cfr Sedulio). La liturgia medita oggi sul Verbo fatto uomo, e ripete che è nato dalla Vergine. Riflette sulla circoncisione di Gesù come rito di aggregazione alla comunità, e contempla Dio che ha dato il suo Unigenito Figlio come capo del "nuovo popolo" per mezzo di Maria. Ricorda il nome dato al Messia, e lo ascolta pronunciato con tenera dolcezza da sua Madre. Invoca per il mondo la pace, la pace di Cristo, e lo fa attraverso Maria, mediatrice e cooperatrice di Cristo (cfr Lumen gentium, 60–61).
Iniziamo un nuovo anno solare, che è un ulteriore periodo di tempo offertoci dalla Provvidenza divina nel contesto della salvezza inaugurata da Cristo. Ma il Verbo eterno non è entrato nel tempo proprio per mezzo di Maria? Lo ricorda nella seconda Lettura, che abbiamo poco fa ascoltato, l’apostolo Paolo, affermando che Gesù è nato "da una donna" (cfr Gal 4,4). Nella liturgia di oggi grandeggia la figura di Maria, vera Madre di Gesù, Uomo–Dio. L’odierna solennità non celebra pertanto un’idea astratta, bensì un mistero ed un evento storico: Gesù Cristo, persona divina, è nato da Maria Vergine, la quale è, nel senso più vero, sua madre.
Oltre alla maternità oggi viene messa in evidenza anche la verginità di Maria. Si tratta di due prerogative che vengono sempre proclamate insieme ed in maniera indissociabile, perché si integrano e si qualificano vicendevolmente. Maria è madre, ma madre vergine; Maria è vergine, ma vergine madre. Se si tralascia l’uno o l’altro aspetto non si comprende appieno il mistero di Maria, come i Vangeli ce lo presentano. Madre di Cristo, Maria è anche Madre della Chiesa, come il mio venerato predecessore, il Servo di Dio Paolo VI volle proclamare il 21 novembre del 1964, durante il Concilio Vaticano II. Maria è, infine, Madre spirituale dell’intera umanità, perché per tutti Gesù ha dato il suo sangue sulla croce, e tutti dalla croce ha affidato alle sue materne premure.
Iniziamo dunque guardando a Maria questo nuovo anno, che riceviamo dalle mani di Dio come un "talento" prezioso da far fruttare, come un’occasione provvidenziale per contribuire a realizzare il Regno di Dio […]
Sono profondamente convinto che "rispettando la persona si promuove la pace, e costruendo la pace si pongono le premesse per un autentico umanesimo integrale" (Messaggio "La persona umana, cuore della pace ", n. 1). È un impegno questo che compete in modo peculiare al cristiano, chiamato "ad essere infaticabile operatore di pace e strenuo difensore della dignità della persona umana e dei suoi inalienabili diritti" (Messaggio, n. 16). Proprio perché creato ad immagine e somiglianza di Dio (cfr Gn 1,27), ogni individuo umano, senza distinzione di razza, cultura e religione, è rivestito della medesima dignità di persona. Per questo va rispettato, né alcuna ragione può mai giustificare che si disponga di lui a piacimento, quasi fosse un oggetto. Di fronte alle minacce alla pace, purtroppo sempre presenti, dinanzi alle situazioni di ingiustizia e di violenza, che continuano a persistere in diverse regioni della terra, davanti al permanere di conflitti armati, spesso dimenticati dalla vasta opinione pubblica, e al pericolo del terrorismo che turba la serenità dei popoli, diventa più che mai necessario operare insieme per la pace. Questa, ho ricordato nel Messaggio, è "insieme un dono e un compito" (n. 3): dono da invocare con la preghiera, compito da realizzare con coraggio senza mai stancarsi.
Il racconto evangelico che abbiamo ascoltato mostra la scena dei pastori di Betlemme che si recano alla grotta per adorare il Bambino, dopo aver ricevuto l’annuncio dell’Angelo (cfr Lc 2,16). Come non volgere lo sguardo ancora una volta alla drammatica situazione che caratterizza proprio quella Terra dove nacque Gesù? Come non implorare con insistente preghiera che anche in quella regione giunga quanto prima il giorno della pace, il giorno in cui si risolva definitivamente il conflitto in atto che dura ormai da troppo tempo? Un accordo di pace, per essere durevole, deve poggiare sul rispetto della dignità e dei diritti di ogni persona. L’auspicio che formulo dinanzi ai rappresentanti delle Nazioni qui presenti è che la Comunità internazionale congiunga i propri sforzi, perché in nome di Dio si costruisca un mondo in cui gli essenziali diritti dell’uomo siano da tutti rispettati. Perché ciò avvenga è però necessario che il fondamento di tali diritti sia riconosciuto non in semplici pattuizioni umane, ma "nella natura stessa dell’uomo e nella sua inalienabile dignità di persona creata da Dio" (Messaggio, n. 13). Se infatti gli elementi costitutivi della dignità umana vengono affidati alle mutevoli opinioni umane, anche i suoi diritti, pur solennemente proclamati, finiscono per diventare deboli e variamente interpretabili. "È importante, pertanto, che gli Organismi internazionali non perdano di vista il fondamento naturale dei diritti dell’uomo. Ciò li sottrarrà al rischio, purtroppo sempre latente, di scivolare verso una loro interpretazione solo positivistica" (ibid.).
"Ti benedica il Signore e ti protegga… rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace" (Nm 6,24.26). E’ questa la formula di benedizione che abbiamo ascoltato nella prima Lettura. E’ tratta dal libro dei Numeri: vi si ripete tre volte il nome del Signore. Ciò sta a significare l’intensità e la forza della benedizione, la cui ultima parola è "pace". Il termine biblico shalom, che traduciamo "pace", indica quell’insieme di beni in cui consiste "la salvezza" portata da Cristo, il Messia annunciato dai profeti. Per questo noi cristiani riconosciamo in Lui il Principe della pace. Egli si è fatto uomo ed è nato in una grotta a Betlemme per portare la sua pace agli uomini di buona volontà, a coloro che lo accolgono con fede e amore. La pace è così veramente il dono e l’impegno del Natale: il dono, che va accolto con umile docilità e costantemente invocato con orante fiducia; l’impegno, che fa di ogni persona di buona volontà un "canale di pace".
Chiediamo a Maria, Madre di Dio, di aiutarci ad accogliere il Figlio suo e, in Lui, la vera pace. Domandiamole di illuminare i nostri occhi, perché sappiamo riconoscere il Volto di Cristo nel volto di ogni persona umana, cuore della pace!
[Papa Benedetto, omelia 1 gennaio 2007]
Carissimi Fratelli e Sorelle!
1. Rendiamo grazie a Dio, che ci offre l'opportunità di iniziare un altro anno. Mentre invoco da lui protezione e grazia per ciascuno, a tutti porgo il mio più cordiale augurio di buon Anno Duemila!
Durante la notte del Natale, abbiamo riascoltato l'annuncio degli Angeli: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama” (Lc 2, 14). È questo l'annuncio di speranza che ho voluto riproporre nel tradizionale Messaggio per l'odierna Giornata Mondiale della Pace. Dio ci ama, Egli dona a ciascuno la speranza di un tempo nuovo, un tempo di salvezza e di pace.
2. Sì, Cristo è la nostra pace. Egli ci chiama ad amare ogni essere umano senza discriminazione, convertendo il cuore e la mente a pensieri di pace, ed allontanando la tentazione della violenza e della guerra. Il Giubileo appena iniziato costituisce un invito pressante all'amore nella prospettiva di un'umanità riconciliata.
Varchiamo la soglia di un nuovo anno con l'impegno di recare il nostro contributo, perché la pace diventi il linguaggio quotidiano dei popoli. Il Vangelo ci insegna che il dialogo, la cooperazione, il rispetto della vita e la solidarietà sono validi strumenti per tessere nuovi rapporti fra popoli e Paesi, fra ricchi e poveri, fra credenti e non credenti.
Da ogni parte della terra si eleva un'accorata invocazione di pace. Preghiamo perché essa non cada inascoltata. In questo momento, il mio pensiero va a quanti sono vittime della violenza, a coloro che si sentono soli ed abbandonati.
Cristo, Figlio di Dio incarnato, illumina i cuori degli uomini col dono della pace. Tu, Figlio dell'Altissimo, sei nato per tutti. Sei lo stesso ieri, oggi e nei secoli!
3. Il primo giorno dell'anno è posto sotto la speciale protezione di Maria. Iniziamo il Duemila sotto lo sguardo amorevole della Madre di Dio, che dona al mondo Cristo, Principe della Pace. Il manto della sua maternità si stenda su tutti e ci protegga dal male, ci liberi dall'odio e dalla violenza. Accompagni l'umanità su sentieri di pace. Ogni uomo scopra negli altri, al di là di ogni frontiera, il volto di fratelli, di amici, di membri di una sola famiglia.
Maria, Madre di Dio, rendici apostoli di pace!
[Papa Giovanni Paolo II, Angelus 1 gennaio 2000]
«Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna» (Gal 4,4). Nato da donna: così è venuto Gesù. Non è apparso nel mondo adulto ma, come ci ha detto il Vangelo, è stato «concepito nel grembo» (Lc 2,21): lì ha fatto sua la nostra umanità, giorno dopo giorno, mese dopo mese. Nel grembo di una donna Dio e l’umanità si sono uniti per non lasciarsi mai più: anche ora, in cielo, Gesù vive nella carne che ha preso nel grembo della madre. In Dio c’è la nostra carne umana!
Nel primo giorno dell’anno celebriamo queste nozze tra Dio e l’uomo, inaugurate nel grembo di una donna. In Dio ci sarà per sempre la nostra umanità e per sempre Maria sarà la Madre di Dio. È donna e madre, questo è l’essenziale. Da lei, donna, è sorta la salvezza e dunque non c’è salvezza senza la donna. Lì Dio si è unito a noi e, se vogliamo unirci a Lui, si passa per la stessa strada: per Maria, donna e madre. Perciò iniziamo l’anno nel segno della Madonna, donna che ha tessuto l’umanità di Dio. Se vogliamo tessere di umanità le trame dei nostri giorni, dobbiamo ripartire dalla donna.
Nato da donna. La rinascita dell’umanità è cominciata dalla donna. Le donne sono fonti di vita. Eppure sono continuamente offese, picchiate, violentate, indotte a prostituirsi e a sopprimere la vita che portano in grembo. Ogni violenza inferta alla donna è una profanazione di Dio, nato da donna. Dal corpo di una donna è arrivata la salvezza per l’umanità: da come trattiamo il corpo della donna comprendiamo il nostro livello di umanità. Quante volte il corpo della donna viene sacrificato sugli altari profani della pubblicità, del guadagno, della pornografia, sfruttato come superficie da usare. Va liberato dal consumismo, va rispettato e onorato; è la carne più nobile del mondo, ha concepito e dato alla luce l’Amore che ci ha salvati! Oggi pure la maternità viene umiliata, perché l’unica crescita che interessa è quella economica. Ci sono madri, che rischiano viaggi impervi per cercare disperatamente di dare al frutto del grembo un futuro migliore e vengono giudicate numeri in esubero da persone che hanno la pancia piena, ma di cose, e il cuore vuoto di amore.
Nato da donna. Secondo il racconto della Bibbia, la donna giunge al culmine della creazione, come il riassunto dell’intero creato. Ella, infatti, racchiude in sé il fine del creato stesso: la generazione e la custodia della vita, la comunione con tutto, il prendersi cura di tutto. È quello che fa la Madonna nel Vangelo oggi. «Maria – dice il testo – custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (v. 19). Custodiva tutto: la gioia per la nascita di Gesù e la tristezza per l’ospitalità negata a Betlemme; l’amore di Giuseppe e lo stupore dei pastori; le promesse e le incertezze per il futuro. Tutto prendeva a cuore e nel suo cuore tutto metteva a posto, anche le avversità. Perché nel suo cuore sistemava ogni cosa con amore e affidava tutto a Dio.
Nel Vangelo questa azione di Maria ritorna una seconda volta: al termine della vita nascosta di Gesù si dice infatti che «sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore» (v. 51). Questa ripetizione ci fa capire che custodire nel cuore non è un bel gesto che la Madonna faceva ogni tanto, ma la sua abitudine. È proprio della donna prendere a cuore la vita. La donna mostra che il senso del vivere non è continuare a produrre cose, ma prendere a cuore le cose che ci sono. Solo chi guarda col cuore vede bene, perché sa “vedere dentro”: la persona al di là dei suoi sbagli, il fratello oltre le sue fragilità, la speranza nelle difficoltà; vede Dio in tutto.
Mentre cominciamo il nuovo anno chiediamoci: “So guardare col cuore? So guardare col cuore le persone? Mi sta a cuore la gente con cui vivo, o le distruggo con le chiacchiere? E soprattutto, ho al centro del cuore il Signore? O altri valori, altri interessi, la mia promozione, le ricchezze, il potere?”. Solo se la vita ci sta a cuore sapremo prendercene cura e superare l’indifferenza che ci avvolge. Chiediamo questa grazia: di vivere l’anno col desiderio di prendere a cuore gli altri, di prenderci cura degli altri. E se vogliamo un mondo migliore, che sia casa di pace e non cortile di guerra, ci stia a cuore la dignità di ogni donna. Dalla donna è nato il Principe della pace. La donna è donatrice e mediatrice di pace e va pienamente associata ai processi decisionali. Perché quando le donne possono trasmettere i loro doni, il mondo si ritrova più unito e più in pace. Perciò, una conquista per la donna è una conquista per l’umanità intera.
Nato da donna. Gesù, appena nato, si è specchiato negli occhi di una donna, nel volto di sua madre. Da lei ha ricevuto le prime carezze, con lei ha scambiato i primi sorrisi. Con lei ha inaugurato la rivoluzione della tenerezza. La Chiesa, guardando Gesù bambino, è chiamata a continuarla. Anch’ella, infatti, come Maria, è donna e madre, la Chiesa è donna e madre, e nella Madonna ritrova i suoi tratti distintivi. Vede lei, immacolata, e si sente chiamata a dire “no” al peccato e alla mondanità. Vede lei, feconda, e si sente chiamata ad annunciare il Signore, a generarlo nelle vite. Vede lei, madre, e si sente chiamata ad accogliere ogni uomo come un figlio.
Avvicinandosi a Maria la Chiesa si ritrova, ritrova il suo centro, ritrova la sua unità. Il nemico della natura umana, il diavolo, cerca invece di dividerla, mettendo in primo piano le differenze, le ideologie, i pensieri di parte e i partiti. Ma non capiamo la Chiesa se la guardiamo a partire dalle strutture, a partire dai programmi e dalle tendenze, dalle ideologie, dalle funzionalità: coglieremo qualcosa, ma non il cuore della Chiesa. Perché la Chiesa ha un cuore di madre. E noi figli invochiamo oggi la Madre di Dio, che ci riunisce come popolo credente. O Madre, genera in noi la speranza, porta a noi l’unità. Donna della salvezza, ti affidiamo quest’anno, custodiscilo nel tuo cuore. Ti acclamiamo: Santa Madre di Dio. Tutti insieme, per tre volte, acclamiamo la Signora, in piedi, la Madonna Santa Madre di Dio: [con l’assemblea] Santa Madre di Dio, Santa Madre di Dio, Santa Madre di Dio!
[Papa Francesco, omelia 1 gennaio 2020]
Raw life is full of powers: «Be grateful for everything that comes, because everything was sent as a guide to the afterlife» [Gialal al-Din Rumi]
La vita grezza è colma di potenze: «Sii grato per tutto quel che arriva, perché ogni cosa è stata mandata come guida dell’aldilà» [Gialal al-Din Rumi]
It is not enough to be a pious and devoted person to become aware of the presence of Christ - to see God himself, brothers and things with the eyes of the Spirit. An uncomfortable vision, which produces conflict with those who do not want to know
Non basta essere persone pie e devote per rendersi conto della presenza di Cristo - per vedere Dio stesso, i fratelli e le cose con gli occhi dello Spirito. Visione scomoda, che produce conflitto con chi non ne vuol sapere
An eloquent and peremptory manifestation of the power of the God of Israel and the submission of those who did not fulfill the Law was expected. Everyone imagined witnessing the triumphal entry of a great ruler, surrounded by military leaders or angelic ranks...
Ci si attendeva una manifestazione eloquente e perentoria della potenza del Dio d’Israele e la sottomissione di coloro che non adempivano la Legge. Tutti immaginavano di assistere all’ingresso trionfale d’un condottiero, circondato da capi militari o schiere angeliche…
May the Holy Family be a model for our families, so that parents and children may support each other mutually in adherence to the Gospel, the basis of the holiness of the family (Pope Francis)
La Santa Famiglia possa essere modello delle nostre famiglie, affinché genitori e figli si sostengano a vicenda nell’adesione al Vangelo, fondamento della santità della famiglia (Papa Francesco)
John is the origin of our loftiest spirituality. Like him, ‘the silent ones' experience that mysterious exchange of hearts, pray for John's presence, and their hearts are set on fire (Athinagoras)
Giovanni è all'origine della nostra più alta spiritualità. Come lui, i ‘silenziosi’ conoscono quel misterioso scambio dei cuori, invocano la presenza di Giovanni e il loro cuore si infiamma (Atenagora)
Stephen's story tells us many things: for example, that charitable social commitment must never be separated from the courageous proclamation of the faith. He was one of the seven made responsible above all for charity. But it was impossible to separate charity and faith. Thus, with charity, he proclaimed the crucified Christ, to the point of accepting even martyrdom. This is the first lesson we can learn from the figure of St Stephen: charity and the proclamation of faith always go hand in hand (Pope Benedict)
La storia di Stefano dice a noi molte cose. Per esempio, ci insegna che non bisogna mai disgiungere l'impegno sociale della carità dall'annuncio coraggioso della fede. Era uno dei sette incaricato soprattutto della carità. Ma non era possibile disgiungere carità e annuncio. Così, con la carità, annuncia Cristo crocifisso, fino al punto di accettare anche il martirio. Questa è la prima lezione che possiamo imparare dalla figura di santo Stefano: carità e annuncio vanno sempre insieme (Papa Benedetto)
“They found”: this word indicates the Search. This is the truth about man. It cannot be falsified. It cannot even be destroyed. It must be left to man because it defines him (John Paul II)
“Trovarono”: questa parola indica la Ricerca. Questa è la verità sull’uomo. Non la si può falsificare. Non la si può nemmeno distruggere. La si deve lasciare all’uomo perché essa lo definisce (Giovanni Paolo II)
don Giuseppe Nespeca
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