Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
Il Gaslini è nato dal cuore di un generoso benefattore, l’industriale e Senatore Gerolamo Gaslini, che dedicò quest’opera a sua figlia deceduta a soli 12 anni, e fa parte della storia di carità che fa di Genova una "città della carità cristiana". Anche oggi la fede suggerisce a tante persone di buona volontà gesti di amore e di sostegno concreto a questo Istituto, che con giusto orgoglio è sentito dai Genovesi come un patrimonio prezioso. Ringrazio e incoraggio tutti a continuare. In particolare mi rallegro per il nuovo complesso, del quale è stata recentemente posta la prima pietra, e che ha trovato un munifico donatore. Anche l'attenzione fattiva e cordiale delle pubbliche Amministrazioni è segno di riconoscimento del valore sociale che il Gaslini rappresenta per i bambini della Città e oltre. Quando un bene, infatti, è per tutti, merita il concorso di tutti nel giusto rispetto dei ruoli e delle competenze.
Mi rivolgo ora a voi, cari medici, ricercatori, personale paramedico e amministrativo; a voi, cari cappellani, volontari e quanti vi occupate dell’assistenza spirituale dei piccoli ospiti e dei loro familiari. So che è vostro corale impegno far sì che l’Istituto Gaslini sia un autentico "santuario della vita" e un "santuario della famiglia", dove alla professionalità gli operatori di ogni settore uniscano amorevolezza e attenzione per la persona. La decisione del Fondatore, per cui il Presidente della Fondazione deve essere l’Arcivescovo pro tempore di Genova, manifesta la volontà che l’ispirazione cristiana dell’Istituto non venga mai meno e tutti siano sempre sorretti dai valori evangelici.
Nel 1931, ponendo le basi della struttura, il Senatore Gerolamo Gaslini preconizzava "l’opera perenne di bene che dall’Istituto stesso dovrà irraggiare". Irraggiare il bene attraverso l’amorevole cura dei piccoli ammalati è dunque lo scopo di questo vostro Ospedale. Per questo, mentre ringrazio tutto il personale – dirigente, amministrativo e sanitario – per la professionalità e la dedizione del loro servizio, auspico che questo eccellente Istituto Pediatrico continui a svilupparsi nelle tecnologie, nelle cure e nei servizi; ma anche ad allargare sempre più gli orizzonti in quell'ottica di positiva globalizzazione per cui si riconoscono le risorse, i servizi e i bisogni creando e rafforzando una rete di solidarietà oggi tanto urgente e necessaria. Tutto questo senza mai venir meno a quel supplemento di affetto che dai piccoli degenti è avvertito come la prima e indispensabile terapia. L’Ospedale allora diventerà sempre più luogo di speranza.
La speranza qui al Gaslini prende il volto della cura di pazienti in età pediatrica, ai quali si cerca di provvedere mediante la formazione continua degli operatori sanitari. Di fatto, il vostro Ospedale, quale stimato Istituto di Ricerca e Cura a carattere scientifico, si distingue per essere monotematico e polifunzionale, coprendo quasi tutte le specialità in campo pediatrico. La speranza che qui si coltiva ha dunque buoni fondamenti. Tuttavia, per affrontare efficacemente il futuro, è indispensabile che questa speranza sia sostenuta da una visione più alta della vita, che permetta allo scienziato, al medico, al professionista, all’assistente, ai genitori stessi di impegnare tutte le loro capacità, senza risparmiare sforzi per ottenere i migliori risultati che la scienza e la tecnica possono oggi offrire, sul piano della prevenzione e della cura. Ecco allora affacciarsi il pensiero della silenziosa presenza di Dio, che accompagna quasi impercettibilmente l’uomo nel suo lungo cammino nella storia. La vera speranza "affidabile" è solo Dio, che in Gesù Cristo e nel suo Vangelo ha spalancato sul futuro la porta oscura del tempo. "Sono risorto e ora sono sempre con te" - ci ripete Gesù, specialmente nei momenti più difficili – "la mia mano ti sorregge. Ovunque tu possa cadere, cadrai tra le mie braccia. Sono presente anche alla porta della morte".
Qui, al Gaslini, vengono curati i bambini. Come non pensare alla predilezione che Gesù ebbe per i fanciulli? Li volle accanto a sé, li additò agli apostoli come modelli da seguire nella loro fede spontanea e generosa, nella loro innocenza. Con parole dure mise in guardia dal disprezzarli e dallo scandalizzarli. Si commosse dinanzi alla vedova di Nain, una mamma che aveva perso il figlio, il suo unico figlio. Scrive l’evangelista san Luca che il Signore la rassicurò e le disse: "Non piangere!" (cfr Lc 7,14). Gesù ripete ancor oggi a chi è nel dolore queste parole consolatrici: "Non piangere"! Egli è solidale con ognuno di noi e ci chiede, se vogliamo essere suoi discepoli, di testimoniare il suo amore per chiunque si trova in difficoltà.
Mi rivolgo, infine, a voi, carissimi bambini, per ripetervi che il Papa vi vuole bene. Accanto a voi vedo i vostri familiari, che condividono con voi momenti di trepidazione e di speranza. Siatene tutti certi: Dio non ci abbandona mai. Restate uniti a Lui e non perderete mai la serenità, nemmeno nei momenti più bui e complessi. Vi assicuro il mio ricordo nella preghiera e vi affido a Maria Santissima, che come mamma ha sofferto per i dolori del suo divin Figlio, ma ora vive con Lui nella gloria. Un grazie ancora a ciascuno di voi per quest’incontro, che rimarrà impresso nel mio cuore. Con affetto tutti vi benedico.
[Papa Benedetto, discorso al Gaslini di Genova 18 maggio 2008]
Padre misericordioso,
Signore della vita e della morte,
il nostro destino è nelle tue mani.
Guarda con bontà
l’afflizione di coloro
che piangono la morte di persone care:
figli, padri, fratelli, parenti, amici.
Sentano essi la presenza di Cristo
che consolò la vedova di Naim
e le sorelle di Lazzaro,
perché Egli è la risurrezione e la vita.
Aiutaci a imparare
dal mistero del dolore
che siamo pellegrini sulla terra.
(Giovanni Paolo II)
Papa Francesco, nell’omelia oggi alla Messa a casa Santa Marta, ha commentato il vangelo del giorno che narra della vedova di Naim, cui Gesù resuscitò il figlio. Ma Cristo fece di più, ha osservato il Papa: si mostra vicino, partecipe del dramma vissuto dalla donna. «Era vicino alla gente», ha detto Bergoglio. «Dio vicino che riesce a capire il cuore della gente, il cuore del suo popolo. Poi vede quel corteo, e il Signore si avvicina. Dio visita il suo popolo, in mezzo al suo popolo, e avvicinandosi. Vicinanza. È la modalità di Dio. E poi c’è un’espressione che si ripete nella Bibbia, tante volte: “Il Signore fu preso da grande compassione”. La stessa compassione che, dice il Vangelo, aveva quando ha visto tanta gente come pecore senza pastore. Quando Dio visita il suo popolo, gli è vicino, gli si avvicina e sente compassione: si commuove. Il Signore è profondamente commosso, come lo è stato davanti alla tomba di Lazzaro», come è commosso quel Padre «quando ha visto tornare a casa il figlio prodigo». Cristo ci mostra la strada da seguire: «Vicinanza e compassione». Non stare lontani e predicare, come «i dottori della legge, gli scribi, i farisei», ma avvicinarsi, «patire con il popolo».
Papa Francesco ha voluto sottolineare un altro passo del Vangelo: «”Il morto si mise seduto e incominciò a parlare, ed egli – Gesù – lo restituì a sua madre”. Quando Dio visita il suo popolo, restituisce al popolo la speranza. Sempre. Si può predicare la Parola di Dio brillantemente: ci sono stati nella storia tanti bravi predicatori. Ma se questi predicatori non sono riusciti a seminare speranza, quella predica non serve. È vanità». Per questo, ha concluso il Pontefice rivolgendo un invito ai fedeli, dobbiamo «chiedere la grazia che la nostra testimonianza di cristiani sia testimonianza portatrice della visita di Dio al suo popolo, cioè di vicinanza che semina la speranza».
[Redazione “Tempi”, 16.9.2014.
Maria nella Chiesa, che genera i figli
(Gv 19,25-27)
Il breve passo di Vangelo ai vv.25-27 è forse il vertice artistico del racconto della Passione.
Nel quarto Vangelo la Madre appare due volte, alle nozze di Cana e ai piedi della Croce - entrambi episodi presenti solo in Gv.
Sia a Cana che ai piedi della Croce, la Madre è figura del resto d’Israele autenticamente sensibile e fedele.
Il popolo-sposa del Primo Testamento è come in attesa della reale Rivelazione: percepisce tutto il limite dell’idea antica di Dio, che ha ridotto e spento la gioia della festa nuziale tra il Padre e i suoi figli.
L’Israele autenticamente adorante ha suscitato il passaggio dalla religiosità alla Fede che opera, dalla legge antica al Nuovo Testamento.
Ai piedi della Croce viene generato un Regno alternativo.
Si formano padri e madri di un’umanità diversa, che proclamano la Lieta Notizia di Dio - stavolta in favore esclusivo di ogni uomo, in qualsiasi condizione si trovi.
Nell'intento teologico di Gv, le Parole di Gesù «Donna, ecco tuo figlio» ed «Ecco, la tua Madre» volevano aiutare a dirimere e armonizzare le forti tensioni che a fine primo secolo già contrapponevano diverse correnti di pensiero sul Cristo.
Tra esse: Giudaizzanti; sostenitori del primato della fede sulle opere; Lassisti, che consideravano ormai Gesù anatema, intendendo soppiantarlo con una generica libertà di spirito senza storia.
A inizio secondo secolo Marcione rifiutò tutto il Primo Testamento e sembra apprezzasse solo una parte del Nuovo.
A coloro che ormai volevano prescindere dall’insegnamento dei ‘padri’, Gesù propone di far camminare insieme passato e novità.
Il discepolo amato, icona dell’autentico figlio di Dio [Parola-evento diffusa del Nuovo Testamento] deve ricevere la Madre, la cultura del popolo del Patto, a ‘casa sua’ - ossia nella Chiesa nascente.
Eppure, anche se è nella comunità cristiana che si scopre il senso pieno di tutta la Scrittura… la Persona, la vicenda e la Parola di Cristo stesso non si comprendono né porteranno frutto concreto coi tanti sogni in avanti, senza la radice antica che lo ha generato.
Non bastano le sole proiezioni, che pur scuotono le prigioni mentali, spesso edifici di false certezze: il Seme non è nemico da combattere, ma virtù che viene dal profondo.
L’Alleanza è preziosa, dà l’autentica scossa alla vita. Così fioriscono nuovi rapporti famigliari: allora nasce la Chiesa.
E la Chiesa suscitata dal suo Signore rivelerà qualcosa di portentoso: la fecondità dalla nullità, la vita dall’effusione di essa, la nascita dall’apparente sterilità.
In Maria e nelle icone fedeli generate dal petto di Cristo - inscindibili nella Missione - l’intima cooperazione s’intensifica dei momenti di un’esistenza comunitaria umile e silenziosa.
Nel perfetto adorare l’identità-carattere del Crocifisso e nel movimento del dono di sé, incede la libertà del calarsi.
Se qualcuno si deposita, il nuovo avanzerà.
E anche il vecchio potrà riemergere, stavolta perenne. Perché ci sono altre Altezze. Perché ciò che rende intimi a Dio non è nulla di esterno.
Un fiume di sintonie impensate riallaccerà lo spirito umano dei credenti all’opera materna dello Spirito senza barriere.
In tal guisa, nel silenzio non ci opporremo ai disagi. Il corpo offeso parlerà, manifestando l’anima e colmando la vita, in un crescendo.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
In che modo entri nel ritmo di questo passo di Vangelo? In quale personaggio ti riconosci, o perché ti rivedi in tutti? Qual è in ciascuno di loro la tua misura, che doni al mondo?
[Beata Maria Vergine Addolorata, 15 settembre]
Maria nella Chiesa, che genera i figli
(Gv 19,25-27)
Il breve passo di Vangelo ai vv.25-27 è forse il vertice artistico del racconto della Passione.
Nel quarto Vangelo la Madre appare due volte, alle nozze di Cana e ai piedi della Croce - entrambi episodi presenti solo in Gv.
Sia a Cana che ai piedi della Croce, la Madre è figura del resto d’Israele autenticamente sensibile e fedele.
Il popolo-sposa del Primo Testamento è come in attesa della reale Rivelazione: percepisce tutto il limite dell’idea antica di Dio, che ha ridotto e spento la gioia della festa nuziale tra il Padre e i suoi figli.
L’Israele autenticamente adorante ha suscitato il passaggio dalla religiosità alla Fede che opera, dalla legge antica al Nuovo Testamento.
Ai piedi della Croce viene generato un Regno alternativo.
Si formano padri e madri di un’umanità diversa, che proclamano la Lieta Notizia di Dio - stavolta in favore esclusivo di ogni uomo, in qualsiasi condizione si trovi.
Nell'intento teologico di Gv, le Parole di Gesù «Donna, ecco tuo figlio» ed «Ecco, la tua Madre» volevano aiutare a dirimere e armonizzare le forti tensioni che a fine primo secolo già contrapponevano le diverse correnti di pensiero sul Cristo.
Tra esse: Giudaizzanti; sostenitori del primato della fede sulle opere; Lassisti, che consideravano ormai Gesù anatema, intendendo soppiantarlo con una generica libertà di spirito senza storia.
A inizio secondo secolo Marcione rifiutò tutto il Primo Testamento e sembra apprezzasse solo una parte del Nuovo.
A coloro che ormai volevano prescindere dall’insegnamento dei ‘padri’, Gesù propone di far camminare insieme passato e novità.
Il discepolo amato, icona dell’autentico figlio di Dio [Parola-evento diffusa del Nuovo Testamento] deve ricevere la Madre, la cultura del popolo del Patto, a casa sua - ossia nella Chiesa nascente.
Eppure, anche se è nella comunità cristiana che si scopre il senso pieno di tutta la Scrittura, la Persona, la vicenda e la Parola di Cristo stesso non si comprendono né porteranno frutto concreto coi tanti sogni in avanti, senza la radice antica che lo ha generato.
Non bastano le sole proiezioni, che pur scuotono le prigioni mentali, spesso edifici di false certezze: il Seme non è nemico da combattere, ma virtù che viene dal profondo.
L’Alleanza è preziosa, dà l’autentica scossa alla vita. Così fioriscono nuovi rapporti famigliari: allora nasce la Chiesa.
E la Chiesa suscitata dal suo Signore rivelerà qualcosa di portentoso: la fecondità dalla nullità, la vita dall’effusione di essa, la nascita dall’apparente sterilità.
In Maria e nelle icone fedeli generate dal petto di Cristo - inscindibili nella Missione - l’intima cooperazione s’intensifica dei momenti di un’esistenza comunitaria umile e silenziosa.
Nel perfetto adorare l’identità-carattere del Crocifisso e nel movimento del dono di sé, incede la libertà del calarsi.
Se qualcuno si deposita, il nuovo avanzerà.
E anche il vecchio potrà riemergere, stavolta perenne. Perché ci sono altre Altezze. Perché ciò che rende intimi a Dio non è nulla di esterno.
Un fiume di sintonie impensate riallaccerà lo spirito umano dei credenti all’opera materna dello Spirito senza barriere.
Dice il Tao Tê Ching (xxii): «Se ti pieghi, ti conservi; Se ti curvi, ti raddrizzi; Se t’incavi, ti riempi; Se ti logori, ti rinnovi; Se miri al poco, ottieni; Se miri al molto, resti deluso. Per questo il santo preserva l’Uno [il massimo del poco], e diviene modello [porge la misura] al mondo. Non da sé vede, perciò è illuminato; non da sé s’approva, perciò splende; non da sé si gloria, perciò ha merito; non da sé s’esalta, perciò a lungo dura. Proprio perché non contende, nessuno al mondo può muovergli contesa. Quel che dicevano gli antichi: se ti pieghi ti conservi, erano forse parole vuote? In verità, integri tornavano».
In tal guisa, nel silenzio non ci opporremo ai disagi. Il corpo offeso parlerà, manifestando l’anima e colmando la vita, in un crescendo.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
In che modo entri nel ritmo di questo passo di Vangelo? In quale personaggio ti riconosci, o perché ti rivedi in tutti? Qual è in ciascuno di loro la tua misura, che doni al mondo?
Sangue Acqua: Corpo ancora squarciato
Sangue e Acqua: vita donata e vita trasmessa
(Gv 19,31-37)
La crudele dipartita del Signore non è una fine: inaugura la vita nuova, sebbene fra segni raccapriccianti e di morte vera.
Il Crocifisso salva: comunica una vita da salvati. Ci fa passare da un mondo all’altro: solo in tal senso la Pasqua antica coincide con la nuova.
La sua è una Liberazione e Redenzione che procede ben oltre le promesse rituali dei sacrifici propiziatori, e la religione delle purificazioni.
Il Sangue del Cristo è qui figura del Dono estremo d’Amore. L’Acqua dal medesimo costato trafitto è quella che viene assimilata e fa crescere.
Tale Amicizia sovreminente, donata e accolta, vince ogni forma di morte, perché offre un doppio principio di vita indistruttibile: accoglienza di una proposta sempre inedita, e crescita di onda in onda.
Così la festa di liberazione ebraica viene sostituita dalla Pasqua cristiana - e dai segni dei Sacramenti essenziali.
Nel corpo di Gesù e in quello degli uomini crocifissi al suo fianco, Gv vede la fraternità del Figlio col genere umano, anch’esso reso Santuario divino.
Morto Gesù, anche noi possiamo seguirlo [malfattori cui sono spezzate le gambe] perché nessuno può togliere la vita al Risorto, anche se poi cerca di farlo agli sventurati con Lui.
Infatti la ‘trafittura’ al Corpo di Cristo continua anche dopo la morte in Croce (v.34): l’ostilità nei suoi confronti non si placherà, anzi vuol annientarlo per sempre.
Ma dal suo Corpo squarciato [la Chiesa autentica] continuerà a sgorgare amore da vertigini e finalmente la gioia d’un banchetto festoso, come promesso sin dalle nozze di Cana.
La testimonianza dell’evangelista diventa solenne fondamento della Fede dei discepoli futuri. E la Fede soppianterà il giogo della religione già tutta redatta.
Così l’autore invita ciascuno di noi a scrivere un proprio Vangelo (Gv 20,30-31) nell’esperienza dei paradossi e della salvezza di Dio, che ci ha raggiunto a partire proprio dai nostri peccati o situazioni incerte.
I discepoli futuri sono proclamati Beati (Gv 20,29) proprio perché «non hanno visto» quello spettacolo con gli occhi.
Lo hanno però riconosciuto in se stessi e nel proprio andare - ripetutamente sperimentando nelle proprie debolezze il luogo della Misericordia.
Senso Materno, non Chiesa di zitelli
A Santa Marta, il 21 maggio, Papa Francesco ha celebrato per la prima volta la messa nella memoria della beata Vergine Maria madre della Chiesa: da quest’anno infatti la ricorrenza nel calendario romano generale si celebra il lunedì dopo Pentecoste, come disposto dal Pontefice con il decreto Ecclesia mater della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti (11 febbraio 2018), proprio per «favorire la crescita del senso materno della Chiesa nei pastori, nei religiosi e nei fedeli, come anche della genuina pietà mariana».
«Nel Vangeli ogni volta che si parla di Maria si parla della “madre di Gesù”» ha fatto subito notare Francesco nell’omelia, riferendosi al passo evangelico di Giovanni (19,25-34). E se «anche nell’Annunciazione non si dice la parola “madre”, il contesto è di maternità: la madre di Gesù» ha affermato il Papa, sottolineando che «questo atteggiamento di madre accompagna il suo operato durante tutta la vita di Gesù: è madre». Tanto che, ha proseguito, «alla fine Gesù la dà come madre ai suoi, nella persona di Giovanni: “Io me ne vado, ma questa è vostra madre”». Ecco, dunque, «la maternalità di Maria».
«Le parole della Madonna sono parole di madre» ha spiegato il Papa. E lo sono «tutte: dopo quelle, all’inizio, di disponibilità alla volontà di Dio e di lode a Dio nel Magnificat, tutte le parole della Madonna sono parole di madre». Lei è sempre «con il Figlio, anche negli atteggiamenti: accompagna il Figlio, segue il Figlio». E ancora «prima, a Nazareth, lo fa crescere, lo alleva, lo educa, ma poi lo segue: “La tua madre è lì”». Maria «è madre dall’inizio, dal momento in cui appare nei Vangeli, da quel momento dell’Annunciazione fino alla fine, lei è madre». Di lei «non si dice “la signora” o “la vedova di Giuseppe”» — e in realtà «potevano dirlo» — ma sempre Maria «è madre».
«I padri della Chiesa hanno capito bene questo — ha affermato il Pontefice — e hanno capito anche che la maternalità di Maria non finisce in lei; va oltre». Sempre i padri «dicono che Maria è madre, la Chiesa è madre e la tua anima è madre: c’è del femminile nella Chiesa, che è maternale». Perciò, ha spiegato Francesco, «la Chiesa è femminile perché è “chiesa”, “sposa”: è femminile ed è madre, dà alla luce». È, dunque «sposa e madre», ma «i padri vanno oltre e dicono: “Anche la tua anima è sposa di Cristo e madre”».
«In questo atteggiamento che viene da Maria che è madre della Chiesa — ha fatto presente il Papa — possiamo capire questa dimensione femminile della Chiesa: quando non c’è, la Chiesa perde la vera identità e diventa un’associazione di beneficienza o una squadra di calcio o qualsiasi cosa, ma non la Chiesa».
«La Chiesa è “donna” — ha rilanciato Francesco — e quando noi pensiamo al ruolo della donna nella Chiesa dobbiamo risalire fino a questa fonte: Maria, madre». E «la Chiesa è “donna” perché è madre, perché è capace di “partorire figli”: la sua anima è femminile perché è madre, è capace di partorire atteggiamenti di fecondità».
«La maternità di Maria è una cosa grande» ha insistito il Pontefice. Dio infatti «ha voluto nascere da donna per insegnarci questa strada». Di più, «Dio si è innamorato del suo popolo come uno sposo con la sposa: questo si dice nell’antico Testamento. Ed è «un mistero grande». Come conseguenza, ha proseguito Francesco, «noi possiamo pensare» che «se la Chiesa è madre, le donne dovranno avere funzioni nella Chiesa: sì, è vero, dovranno avere funzioni, tante funzioni che fanno, grazie a Dio sono di più le funzioni che le donne hanno nella Chiesa».
Ma «questo non è la cosa più significativa» ha messo in guardia il Papa, perché «l’importante è che la Chiesa sia donna, che abbia questo atteggiamento di sposa e di madre». Con la consapevolezza che «quando dimentichiamo questo, è una Chiesa maschile senza questa dimensione, e tristemente diventa una Chiesa di zitelli, che vivono in questo isolamento, incapaci di amore, incapaci di fecondità». Dunque, ha affermato il Pontefice, «senza la donna la Chiesa non va avanti, perché lei è donna, e questo atteggiamento di donna le viene da Maria, perché Gesù ha voluto così».
Francesco, a questo proposito, ha anche voluto indicare «il gesto, direi l’atteggiamento, che distingue maggiormente la Chiesa come donna, la virtù che la distingue di più come donna». E ha suggerito di riconoscerlo nel «gesto di Maria alla nascita di Gesù: “Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia”». Un’immagine in cui si riscontra «proprio la tenerezza di ogni mamma con suo figlio: curarlo con tenerezza, perché non si ferisca, perché stia ben coperto ». E «la tenerezza» perciò è anche «l’atteggiamento della Chiesa che si sente donna e si sente madre».
«San Paolo — l’abbiamo ascoltato ieri, anche nel breviario l’abbiamo pregato — ci ricorda le virtù dello Spirito e ci parla della mitezza, dell’umiltà, di queste virtù cosiddette “passive”» ha affermato il Papa, facendo notare che invece «sono le virtù forti, le virtù delle mamme». Ecco che, ha aggiunto, «una Chiesa che è madre va sulla strada della tenerezza; sa il linguaggio di tanta saggezza delle carezze, del silenzio, dello sguardo che sa di compassione, che sa di silenzio». E «anche un’anima, una persona che vive questa appartenenza alla Chiesa, sapendo che anche è madre deve andare sulla stessa strada: una persona mite, tenera, sorridente, piena di amore».
«Maria, madre; la Chiesa, madre; la nostra anima, madre» ha ripetuto Francesco, invitando a pensare «a questa ricchezza grande della Chiesa e nostra; e lasciamo che lo Spirito Santo ci fecondi, a noi e alla Chiesa, per diventare noi anche madri degli altri, con atteggiamenti di tenerezza, di mitezza, di umiltà. Sicuri che questa è la strada di Maria». E, in conclusione, il Papa ha fatto notare anche come sia «curioso il linguaggio di Maria nei Vangeli: quando parla al Figlio, è per dirgli delle cose di cui hanno bisogno gli altri; e quando parla agli altri, è per dire loro: “fate tutto quello che lui vi dirà”».
[Papa Francesco, omelia s. Marta, in L’Osservatore Romano 22/05/2018]
Abbiamo celebrato ieri la Croce di Cristo, strumento della nostra salvezza, che ci rivela in pienezza la misericordia del nostro Dio. La Croce è, in effetti, il luogo in cui si manifesta in modo perfetto la compassione di Dio per il nostro mondo. Oggi, celebrando la memoria della Beata Vergine Addolorata, contempliamo Maria che condivide la compassione del Figlio per i peccatori. Come affermava san Bernardo, la Madre di Cristo è entrata nella Passione del Figlio mediante la sua compassione (cfr Omelia per la Domenica nell’Ottava dell’Assunzione). Ai piedi della Croce si realizza la profezia di Simeone: il suo cuore di Madre è trafitto (cfr Lc 2,35) dal supplizio inflitto all’Innocente, nato dalla sua carne. Come Gesù ha pianto (cfr Gv 11,35), così anche Maria ha certamente pianto davanti al corpo torturato del Figlio. La sua riservatezza, tuttavia, ci impedisce di misurare l’abisso del suo dolore; la profondità di questa afflizione è soltanto suggerita dal simbolo tradizionale delle sette spade. Come per il suo Figlio Gesù, è possibile affermare che questa sofferenza ha portato anche lei alla perfezione (cfr Eb 2, 10), così da renderla capace di accogliere la nuova missione spirituale che il Figlio le affida immediatamente prima di “emettere lo spirito” (cfr Gv 19,30): divenire la Madre di Cristo nelle sue membra. In quest’ora, attraverso la figura del discepolo amato, Gesù presenta ciascuno dei suoi discepoli alla Madre dicendole: “Ecco tuo figlio” (cfr Gv 19, 26-27).
Maria è oggi nella gioia e nella gloria della Risurrezione. Le lacrime versate ai piedi della Croce si sono trasformate in un sorriso che nulla ormai spegnerà, pur rimanendo intatta la sua compassione materna verso di noi. L’intervento soccorrevole della Vergine Maria nel corso della storia lo attesta e non cessa di suscitare verso di lei, nel Popolo di Dio, una confidenza incrollabile: la preghiera del Memorare (“Ricordati”) esprime molto bene questo sentimento. Maria ama ciascuno dei suoi figli, concentrando in particolare la sua attenzione su coloro che, come il Figlio suo nell’ora della Passione, sono in preda alla sofferenza; li ama semplicemente perché sono suoi figli, secondo la volontà di Cristo sulla Croce.
Il Salmista, intravedendo da lontano questo legame materno che unisce la Madre di Cristo e il popolo credente, profetizza a riguardo della Vergine Maria: “i più ricchi del popolo cercheranno il tuo sorriso” (Sal 44,13). Così, sollecitati dalla Parola ispirata della Scrittura, i cristiani da sempre hanno cercato il sorriso di Nostra Signora, quel sorriso che gli artisti, nel Medioevo, hanno saputo così prodigiosamente rappresentare e valorizzare. Questo sorriso di Maria è per tutti: esso tuttavia si indirizza in modo speciale verso coloro che soffrono, affinché in esso possano trovare conforto e sollievo. Cercare il sorriso di Maria non è questione di sentimentalismo devoto o antiquato; è piuttosto la giusta espressione della relazione viva e profondamente umana che ci lega a Colei che Cristo ci ha donato come Madre.
Desiderare di contemplare questo sorriso della Vergine non è affatto un lasciarsi dominare da una immaginazione incontrollata. La Scrittura stessa ci svela tale sorriso sulle labbra di Maria quando ella canta il Magnificat: “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore” (Lc 1,46-47). Quando la Vergine Maria rende grazie al Signore, ci prende a suoi testimoni. Maria condivide, come per anticipazione, con i futuri figli che siamo noi la gioia che abita nel suo cuore, affinché tale gioia diventi anche nostra. Ogni proclamazione del Magnificat fa di noi dei testimoni del suo sorriso.
[Papa Benedetto, omelia Lourdes 15 settembre 2008]
1. "Stabat Mater dolorosa . . .".
"La Madre addolorata stava in piedi, piangendo presso la Croce, da cui pendeva il Figlio".
Oggi, 15 settembre, nel calendario liturgico ricorre la memoria dei dolori della Beata Vergine Maria. Essa è preceduta dalla festa dell'Esaltazione della Santa Croce, che abbiamo celebrato ieri.
Quale sconvolgente mistero è la Croce! Dopo aver a lungo meditato su di esso, San Paolo così scriveva ai cristiani della Galazia: "Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo" (Gal 6, 14).
Anche la Vergine Santissima avrebbe potuto ripetere - e con maggior verità! - queste stesse parole. Contemplando sul Calvario il Figlio morente, Ella aveva infatti capito che il "vanto" della sua maternità divina raggiungeva in quel momento il suo culmine partecipando direttamente all'opera della Redenzione. Aveva inoltre capito che ormai il dolore umano, fatto proprio dal Figlio crocifisso, acquistava un valore inestimabile.
2. Oggi, dunque, la Vergine Addolorata, ritta accanto alla Croce, con la muta eloquenza dell'esempio ci parla del significato della sofferenza nel piano divino della Redenzione.
Ella, per prima, ha saputo e voluto partecipare al mistero salvifico, "associandosi con animo materno al sacrificio di Cristo, amorosamente consenziente all'immolazione della vittima da Lei generata" (Lumen Gentium, 58). Intimamente arricchita da questa ineffabile esperienza, Ella s'accosta a chi soffre, lo prende per mano, lo invita a salire con Lei sul Calvario e a sostare davanti al Crocifisso.
In quel corpo martoriato c'è l'unica risposta convincente agli interrogativi che salgono imperiosi dal cuore. E con la risposta c'è anche la forza necessaria per assumere il proprio posto in quella lotta, che - come ho scritto nella Lettera Apostolica Salvifici doloris - oppone le forze del bene a quelle del male (cfr. Ioannis Pauli PP. II, Salvifici doloris, n. 27). Ed aggiungevo: "Coloro che partecipano alle sofferenze di Cristo conservano nelle proprie sofferenze una specialissima Particella dell'infinito tesoro della Redenzione del mondo, e possono condividere questo tesoro con gli altri" (Ibid.).
3. Chiediamo alla Madonna Addolorata di alimentare in noi la fermezza della fede e l'ardore della carità, per saper portare con coraggio la nostra croce quotidiana (cfr. Lc 9, 23) e così partecipare efficacemente all'opera della Redenzione.
"Fac ut ardeat cor meum . . .", "Fa' che arda il mio cuore nell'amare il Cristo Dio, per essergli gradito!". Amen!
[Papa Giovanni Paolo II, Angelus 15 settembre 1991]
In un mondo di orfani, Maria è la madre ci comprende fino in fondo e ci difende, anche perché ha vissuto sulla propria pelle le stesse umiliazioni che oggi, ad esempio, subiscono le mamme dei detenuti. Celebrando la messa nella cappella della Casa Santa Marta giovedì mattina, 15 settembre, giorno della memoria della beata Maria vergine addolorata, Papa Francesco ha suggerito di rifugiarsi sempre, nei momento difficili, «sotto il mantello» della madre di Dio, riproponendo così «il consiglio spirituale dei mistici russi» che l’occidente ha rilanciato con l’antifona Sub tuum preasidium.
Per la sua meditazione sul «mistero della maternità di Maria», il Pontefice ha preso le mosse dall’ultima cena: «Gesù, a tavola, si congeda dai suoi discepoli: c’è un’aria di tristezza, tutti sapevano che c’era qualcosa che sarebbe finita male e facevano domande, erano tristi». Ma «Gesù, in quel congedo, per dare loro un po’ di coraggio e anche per prepararli nella speranza, dice loro: “Non siate tristi, il vostro cuore non sia triste, non vi lascerò soli! Io chiederò al Padre di inviare un altro Paraclito, che vi accompagnerà. E lui vi insegnerà tutto e vi ricorderà tutto ciò che io ho detto”». Il Signore, dunque, «promette di inviare lo Spirito Santo per accompagnare i discepoli, la Chiesa sulla strada della storia».
Ma Gesù «parla anche del Padre». Infatti, ha ricordato Francesco, «in quel lungo, lungo discorso con i discepoli, parla del Padre», assicurando «che il Padre vuole loro bene e che qualsiasi cosa loro domandano al Padre, il Padre gliela darà. Che siano fiduciosi nel Padre». E così, ha spiegato il Papa, fa «un passo in più: non solo dice “non vi lascerò soli”, ma anche “non vi lascerò orfani, vi do il Padre, con voi è il Padre, il mio Padre è il vostro Padre». Poi, ha proseguito Francesco, «avviene tutto quello che noi sappiamo, dopo la cena: l’umiliazione, la prigione, il tradimento dei discepoli; Pietro rinnega Gesù, gli altri fuggono».
Tanto che, ha detto il Pontefice riferendosi al passo liturgico del Vangelo di Giovanni (19, 25-27), sotto la croce c’era «soltanto un discepolo, con la madre di Gesù, con Maria di Màgdala e l’altra Maria, parente». E lì, alla croce, «c’è Maria, la madre di Gesù: tutti la guardavano», magari sussurrando: «Quella è la madre di questo delinquente! Quella è la madre di questo sovversivo!». E Maria, ha aggiunto il Papa, «sentiva queste cose, soffriva umiliazioni terribili e sentiva anche i grandi, alcuni sacerdoti che lei rispettava perché erano sacerdoti», dire a Gesù: «Ma tu che sei tanto bravo, scendi, scendi!». Maria, ha affermato Francesco, accanto a «suo Figlio, nudo, lì, aveva una sofferenza tanto grande, ma non se ne è andata, non rinnegò il Figlio, era la sua carne».
Con una confidenza personale, il Papa ha ricordato: «È accaduto tante volte quando andavo, nella diocesi di Buenos Aires, nelle carceri a visitare i carcerati, di vedere la coda, la fila delle donne che aspettavano per entrare: erano mamme ma non si vergognavano, la loro carne era lì dentro». E quelle «donne soffrivano non solo la vergogna di essere lì», sentendo dire: «Ma guarda quella, cosa avrà fatto il figlio?». Quelle mamme «soffrivano anche le più brutte umiliazioni nelle perquisizioni che venivano fatte loro prima di entrare, ma erano madri e andavano a trovare la propria carne». E così è stato anche per Maria, che «era lì, con il Figlio, con quella sofferenza tanto grande».
Proprio «in quel momento — ha fatto notare il Papa — Gesù, che aveva parlato di non lasciarci orfani, che aveva parlato del Padre, guarda sua madre e ce la dà a noi come madre: “Ecco, tua madre!”». Il Signore «non ci lascia orfani: noi cristiani abbiamo una madre, la stessa di Gesù; abbiamo un Padre, lo stesso di Gesù. Non siamo orfani». E Maria «ci partorisce in quel momento con tanto dolore, è davvero un martirio: col cuore trafitto, accetta di partorire tutti noi in quel momento di dolore. E da quel momento lei diventa la nostra madre, da quel momento lei è nostra madre, quella che si prende cura di noi e non si vergogna di noi: ci difende».
«I mistici russi dei primi secoli della Chiesa — ha ricordato a questo proposito Francesco — davano un consiglio ai loro discepoli, i giovani monaci: nel momento delle turbolenze spirituali rifugiatevi sotto il manto della santa madre di Dio. Lì non può entrare il diavolo perché lei è madre e come madre difende». Poi «l’occidente ha preso questo consiglio e ha fatto la prima antifona mariana Sub tuum praesidium: sotto il tuo mantello, sotto la tua custodia, o Madre, lì siamo sicuri».
«Oggi è la memoria del momento che la Madonna ci ha partorito — ha proseguito il Papa — e lei è stata fedele a questo parto fino al momento di oggi e continuerà a essere fedele». E «in un mondo che possiamo chiamare “orfano”, in questo mondo che soffre la crisi di una grande orfanezza, forse il nostro aiuto è dire: “Guarda a tua madre!”». Perché abbiamo una madre «che ci difende, ci insegna, ci accompagna, che non si vergogna dei nostri peccati» e «non si vergogna, perché lei è madre».
In conclusione, il Pontefice ha pregato «che lo Spirito Santo, questo amico, questo compagno di strada, questo Paraclito avvocato che il Signore ci ha inviato, ci faccia capire questo mistero tanto grande della maternità di Maria».
[Papa Francesco, s. Marta, in L’Osservatore Romano 16/09/2016]
Andare su e andare giù, andare oltre o retrocedere
(Gv 3,13-17)
Uno dei primi compagni di Francesco - fra’ Egidio - diceva: «La via per andare in su è andare in giù». Ci chiediamo: qual è il senso di tale paradosso?
La festa di oggi ha il titolo di Esaltazione. Il Vangelo parla invece di «Innalzamento».
Certo, sinonimo di farsi vedere e notare, ma sotto una «specie contraria». Dunque, come elevare la vita fissando Gesù crocifisso?
Il passo di Nicodemo suggerisce una risposta.
Il dottore della Legge, fariseo e membro del Sinedrio è «nella notte»perché diseducato all’idea normale di uomo ‘riuscito’ secondo gli attributi di possesso, potenza e gloria.
Tuttavia giunge il momento in cui anche il costume viene scosso dal dubbio, dall’alternativa di Cristo.
La Croce non dà più nulla per scontato. È un nuovo Giudizio, dal quale affiorano altre possibilità, proprio nell’incedere di vacillamenti sregolati.
Le disavventure, gli sconvolgimenti, le contrarietà della vita, il contesto di caos... fanno emergere un migliore rapporto con le azioni e il nostro destino.
L’indeterminazione ci accosta alla nostra essenza - invoca risorse, aria pura, relazioni.
Insomma, le situazioni di patibolo possono diventare creative.
Compromettere la «reputazione» ci riplasma l’anima, il punto di vista; mette in discussione l’idea che ci siamo fatti di noi stessi.
Apre sbalorditivi nuovi percorsi, repentini - realizzazioni altrimenti soffocate in partenza.
Certo, per chi sceglie di essere se stesso, la sorte di persecuzione, incomprensione, beffa e calunnia, mancanza di credito e allori, è segnata - come fossimo dei falliti.
Ma nel Giudizio del Crocifisso è questa la «giusta posizione» per divenire ‘figli’ che trovano completezza umana, e partoriscono frutti corrispondenti: spesso il miglior tempo della propria storia.
La Croce è Dono gratuito, per una Vita da Salvati. Redime dalle attrattive che spengono la nostra crescita.
È l’occasione migliore per uno sviluppo.
Infatti, la realizzazione e il completamento emergono da lati di noi stessi [e situazioni] che non vogliamo. Persino da ferite profonde, che investono tutto un modo di essere, fare e apparire.
La ‘prova’ non è la fine del mondo. Annienta il nostro aspetto potente, eppure lascia trapelare la virtù del lato fragile, prima messo in ombra per esigenze di passerella sociale.
Ecco il Crocifisso, che sanguina non solo per guarire, ingentilire e togliere zavorre, ma per rovesciare, sostituire orizzonti e soppiantare l’intero sistema di conformismi assuefatti. E punti anche sedicenti alternativi, modi di pensare che sembravano chissà cosa.
Così la Croce abbracciata ci salva.
Essa sembra un sabotaggio al nostro lato “infallibile”, invece è l’Antidoto alla città assopita sui medesimi sentieri di prima - nei soliti modi di essere e scendere in campo [ormai senza futuro].
Sollevare la Croce va ben oltre la capacità di resilienza.
[Esaltazione della santa Croce, 14 settembre]
Andare su e andare giù, andare oltre o retrocedere
(Gv 3,13-17)
Niente da fare, malgrado due millenni di simboli, formule e riti cristiani, soprattutto in Italia restiamo al solito palo: guelfi contro ghibellini; persino mentre incombe un destino traballante.
Come mai una fede così ripiegata e incapace di liberare da puntigli occasionali? Perché - pur incamminati verso una montagna di debiti - continuiamo a comportarci come coloro che non smettono di papparsi a vicenda?
Abbiamo bisogno di una bella Conversione, con le piramidi rovesciate del “primato” e della gloria: arroganti, aggressivi, intransigenti e aitanti che divengono umili, miti, benevoli e deboli.
Non aver mai bisogno? Avere un gran bisogno! Motivo in più per aggrapparci al Crocifisso.
Del resto, uno dei primi compagni di Francesco - fra’ Egidio - diceva: «La via per andare in su è andare in giù». Ci chiediamo: qual è il senso di tale paradosso?
La festa di oggi ha il titolo di Esaltazione (o Invenzione - derivante dal latino: ritrovamento). Il Vangelo parla invece di «Innalzamento».
Certo, sinonimo di farsi vedere e notare, ma sotto una «specie contraria». Dunque, come elevare la vita fissando Gesù crocifisso? Il passo di Nicodemo suggerisce una risposta.
Il dottore della Legge, fariseo e membro del Sinedrio è «nella notte»perché diseducato all’idea normale di uomo riuscito: se Dio è “qualcuno”, anche il seguace… gli deve somigliare negli attributi di possesso, potenza e gloria.
Tuttavia giunge il momento in cui anche il costume popolare o teologico e l’antiquato modo di vedere le cose viene scosso dal dubbio, dall’alternativa di Cristo.
Davvero la persona ch’evolve è quella che s’impone? Sul serio l’uomo riuscito è quello che sale sugli altri - trattati a sgabello - o non sarà per caso colui che ha la libertà di scendere per farci respirare?
Tutto con spontaneità e fluidità, non sforzo: imporsi scalate di rinuncia e dolore non è terapeutico e non estrae da noi il meglio. Anzi ci separa da quella plasticità e semplicità che producono nel mondo le cose migliori.
La Croce non è una disciplina di purificazioni standard, del tipo: voler cambiare vita, mettere a posto i rapporti soffocando le incoerenze che ci appartengono, mettersi in testa di centrare traguardi e farcela (anche spiritualmente) a tutti i costi...
Questi sono i soliti programmi di miglioramento a cliché che spesso non ci rendono naturali, bensì pieni d’artifizio - e non consentono di stare a viso aperto con noi stessi, quindi neppure con gli altri.
In Cristo la Croce apre orizzonti intatti, perché non dà più nulla per scontato. È un nuovo Giudizio, globale e di merito.
Affiorano altre possibilità, le quali ci fanno incontrare il cambiamento che risolve i veri problemi - proprio nell’incedere di vacillamenti sregolati.
Se vissuta nella Fede, la mescolanza pencolante è una realtà profondamente energetica, plasmabile ed evolutiva.
Porta sì in una situazione di caos, disordine nel quale però emerge un migliore rapporto con le azioni e il nostro destino, persino recuperando tutto quanto pensavamo irrealizzabile.
Ciò avviene nell’indeterminazione che ci accosta alla nostra essenza - nei giorni in cui le vicende si fanno serie, e invochiamo risorse, aria pura, relazioni più solide.
Abbiamo allora necessità di un balzo, non di retrocedere [stare lì e ripiegarci (centrando su di sé) per individuare problemi e difetti, quindi correggerli in modo precipitoso e innaturale...].
Sarebbe un dispendio assurdo di virtù e occasioni di crescita nella ricerca del nostro territorio.
Anche nel cammino spirituale, infatti, tutto facciamo per ottenere vita completa, realizzazione totale, libertà forte. Non per essere visti perfetti.
Il passaggio nel clima del disprezzo sociale sarà inevitabile.
Il Crocifisso non dice “come dovremmo essere e ancora non siamo” (in modo convenzionale): perché ci accostiamo alla nostra Vocazione solo se sorprendiamo noi stessi e gli altri - proprio quando l’opinione comune e conformista ci giudica incoerenti.
Non significa che stiamo rifiutando il patibolo.
Le situazioni di condanna possono diventare creative, così la forca che ci appartiene in quella situazione - sebbene comprometta la reputazione - non deve poi tormentare l’anima oltre misura.
Disavventure, sconvolgimenti, contrarietà, contesti amari… riplasmano l’anima e il punto di vista, mettendo in discussione l’idea (che ci siamo già fatti) di noi stessi.
Aprono anzi spalancano sbalorditivi nuovi percorsi repentini - realizzazioni altrimenti soffocate in partenza, per convincimenti esterni.
Ecco perché nella proposta di Gesù c’è qualcosa di paradossale e assurdo: per crescere, raggiungere pienezza e completarsi bisogna perdere; non fare l’opportunista, non essere svelto, non approfittarsi. Tutti atteggiamenti insulsi e puerili che non rigenerano, che ci riportano agli attriti, ai conformismi inattendibili, e li accentuano.
Logica sconcertante quella della Croce: su due piedi sembra umiliarci. Viceversa pone al riparo dal veleno d’una religiosità vana, di belle maniere e pessime abitudini.
Spiritualità vuota, consolatoria o solo teatrale, la quale produce ambienti conflittuali ma inerti [fanno cadere le braccia: inutili e infestanti].
Tutti sanno che bisogna imparare ad accettare le inevitabili contrarietà dell’esistenza. Ma non è questo il senso della Croce.
Dio non redime per dolore, ma con Amore - quello che non ripiega e accartoccia, bensì dilata la vita e le capacità inespresse.
La Croce provvidenziale non viene data da Dio, ma presa attivamente, e accolta dal discepolo. Nei Vangeli sta a significare l’accettazione dell’inevitabile onta che comporta la sequela di Gesù - anche in un panorama comicamente vanitoso, sebbene di cartapesta.
Per chi sceglie di essere se stesso nel mondo del “sembrare” e della nomea, la sorte (esteriore) di persecuzione, incomprensione, beffa e calunnia, mancanza di credito e allori - come fossimo dei falliti - è segnata.
Ma nel Giudizio del Crocifisso è questa la giusta posizione per divenire figli che trovano completezza umana, stanno saldi nelle scelte di peso specifico - e partoriscono frutti corrispondenti: spesso il miglior tempo della propria storia.
Dono gratuito, per una Vita da Salvati, la Croce redime dalle attrattive dell’apprezzamento in società che volentieri sul versante del banale e dell’estrinseco elargisce ampi crediti, i quali però spengono la nostra crescita personale completa.
Essa ci salva dai pericoli di piedistalli che sgretolano, sui quali non vale la pena continuare a salire per farsi notare e inutilmente - astutamente - compiacere. Come farebbe un qualsiasi manipolatore che ama la poderosità; anche pio, colmo d’attributi di vigore, ma inesorabilmente vecchio e votato alla morte - impantanato e sterile - incapace di generare creature nuove e far rinascere se stesso.
Le occasioni migliori per uno sviluppo, la realizzazione e il completamento emergono da lati di noi stessi e situazioni che non vogliamo. Appunto; persino da ferite profonde, che investono tutto un modo di essere, fare e apparire.
Non è la fine del mondo. Oggi la crisi globale ha già annientato il nostro aspetto potente, eppure sta facendo trapelare la virtù del lato fragile; prima messo in ombra per esigenze di passerella sociale.
Ecco il Crocifisso, che sanguina non solo per guarire, ingentilire e togliere zavorre, ma per rovesciare, sostituire orizzonti e soppiantare l’intero sistema di conformismi assuefatti; e “punti” anche sedicenti alternativi, modi di pensare che sembravano chissà cosa.
Tutto ciò, per Fede. Non con tensione e disegno identificato, ma per attitudine battesimale alla nuova integrità che Viene: donata, accolta, riconosciuta.
Così la Croce abbracciata ci salva.
Essa sembra un sabotaggio al nostro lato “infallibile”, invece è l’Antidoto alla città assopita sui medesimi sentieri di prima - nei soliti modi di essere e scendere in campo (ormai senza futuro).
Sollevare la Croce va ben oltre la capacità di resilienza.
[Esaltazione della santa Croce, 14 settembre 2022]
«The Russian mystics of the first centuries of the Church gave advice to their disciples, the young monks: in the moment of spiritual turmoil take refuge under the mantle of the holy Mother of God». Then «the West took this advice and made the first Marian antiphon “Sub tuum Praesidium”: under your cloak, in your custody, O Mother, we are sure there» (Pope Francis)
«I mistici russi dei primi secoli della Chiesa davano un consiglio ai loro discepoli, i giovani monaci: nel momento delle turbolenze spirituali rifugiatevi sotto il manto della santa Madre di Dio». Poi «l’occidente ha preso questo consiglio e ha fatto la prima antifona mariana “Sub tuum praesidium”: sotto il tuo mantello, sotto la tua custodia, o Madre, lì siamo sicuri» (Papa Francesco)
The Cross of Jesus is our one true hope! That is why the Church “exalts” the Holy Cross, and why we Christians bless ourselves with the sign of the cross. That is, we don’t exalt crosses, but the glorious Cross of Christ, the sign of God’s immense love, the sign of our salvation and path toward the Resurrection. This is our hope (Pope Francis)
La Croce di Gesù è la nostra unica vera speranza! Ecco perché la Chiesa “esalta” la santa Croce, ed ecco perché noi cristiani benediciamo con il segno della croce. Cioè, noi non esaltiamo le croci, ma la Croce gloriosa di Gesù, segno dell’amore immenso di Dio, segno della nostra salvezza e cammino verso la Risurrezione. E questa è la nostra speranza (Papa Francesco)
The basis of Christian construction is listening to and the fulfilment of the word of Christ (Pope John Paul II)
Alla base della costruzione cristiana c’è l’ascolto e il compimento della parola di Cristo (Papa Giovanni Paolo II)
«Rebuke the wise and he will love you for it. Be open with the wise, he grows wiser still; teach the upright, he will gain yet more» (Prov 9:8ff)
«Rimprovera il saggio ed egli ti sarà grato. Dà consigli al saggio e diventerà ancora più saggio; istruisci il giusto ed egli aumenterà il sapere» (Pr 9,8s)
These divisions are seen in the relationships between individuals and groups, and also at the level of larger groups: nations against nations and blocs of opposing countries in a headlong quest for domination [Reconciliatio et Paenitentia n.2]
Queste divisioni si manifestano nei rapporti fra le persone e fra i gruppi, ma anche a livello delle più vaste collettività: nazioni contro nazioni, e blocchi di paesi contrapposti, in un'affannosa ricerca di egemonia [Reconciliatio et Paenitentia n.2]
But the words of Jesus may seem strange. It is strange that Jesus exalts those whom the world generally regards as weak. He says to them, “Blessed are you who seem to be losers, because you are the true winners: the kingdom of heaven is yours!” Spoken by him who is “gentle and humble in heart”, these words present a challenge (Pope John Paul II)
È strano che Gesù esalti coloro che il mondo considera in generale dei deboli. Dice loro: “Beati voi che sembrate perdenti, perché siete i veri vincitori: vostro è il Regno dei Cieli!”. Dette da lui che è “mite e umile di cuore”, queste parole lanciano una sfida (Papa Giovanni Paolo II)
The first constitutive element of the group of Twelve is therefore an absolute attachment to Christ: they are people called to "be with him", that is, to follow him leaving everything. The second element is the missionary one, expressed on the model of the very mission of Jesus (Pope John Paul II)
don Giuseppe Nespeca
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