don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Lunedì, 08 Dicembre 2025 06:12

Le “star” accantonate

Due figli: «No» e «Io!»

(Mt 21,28-32)

 

Mt scrive dopo mezzo secolo dalla morte del Maestro e constata che la maggioranza dei figli di Abramo - il suo popolo - non ha riconosciuto Gesù Messia.

Nelle sue comunità di Galilea e Siria i pagani diventavano rapidamente maggioranza - elevati al rango di figli.

Essi non si sottoponevano a trafile snervanti, ma spontaneamente riconoscevano il Signore.

È un invito ai veterani di chiesa ancora giudaizzanti, a rivedere la loro religiosità (molto di facciata) che ritiene di aver compreso tutto, ma non coglie l'essenziale del disegno divino sull’umanità - e non c’incammina al “lavoro”.

[Culti tranquillizzanti, legalismi tradizionali o sogni isterici salvano solo le apparenze].

Mt vuole che i fedeli di chiesa non avessero invece presunzione alcuna di sentirsi a posto, quasi per anagrafe.

 

Come Pietro (Mt 16,16-28) a volte i direttori anziani erano disposti a impegnarsi per un Messia che avevano solo in testa - non a testimoniare l’Agnello impegnato a trasmettere vita ai nuovi; rallegrarla, promuoverla, donarla.

[Beninteso, oggi non siamo abilitati a identificarci col “terzo figlio”, quello che... “dice «signorsì» e opera”].

È la ritenuta feccia della società, gli esclusi dal regno di Dio (vv.31b-32) che “prende il posto” dei leaders - di coloro che hanno idee sofisticate o la stessa tradizione “a posto”.

 

A paragone dei primi della classe, gli ultimi arrivati non erano più meritevoli di esperti e abitudinari, ma essendo privi di paravento perbenista diventavano man mano disposti ad amare.

Coloro che i dirigenti antichi consideravano responsabili del ritardo del Regno non erano ancora sordi alla Parola.

Del resto, anche Giuda si è pentito.

I capi che si sentono adempienti o grandi riformatori e fenomeni, non si convertiranno mai.

Ecco perché il Maestro era a suo agio coi diversi, più che coi religiosi sterilizzati o con gli idealisti disincarnati.

Insomma: bisogna lasciarsi sottoporre a valutazione.

È necessario mettersi in discussione, fermarsi, interrogarsi: «Che ve ne pare?» (v.21).

 

Dopo la cacciata dei venditori, le autorità sono furibonde, perché  Gesù ha dichiarato che il Tempio di Gerusalemme è un covo di banditi.

Che ingenuo! Non si tocca il dio unico dei luoghi santi antichi, quello vero: il sacchetto delle guide e il tesoro dei sacerdoti implicati.

I massimi responsabili degli affari in nero del recinto sacro non vogliono assolutamente perdere la faccia.

Essi appaiono credenti e leali, ma solo se scrutati di fuori.

Il loro occhio interiore e l’attività ben celata dietro le quinte si posa su tutt’altro che i beni spirituali.

Il loro dio unico si chiama convenienza. Allora è ad essi che il Maestro rivolge la parabola.

E già l’esordio è provocatorio... Nei racconti dei rabbini il «figlio» era uno solo: Israele!

Per Cristo, invece, anche uno scapestrato rimane figlio [che ce ne pare di questo, per esempio... a cominciare dal catechismo, per finire nei corsi di esercizi spirituali?].

 

Il Padrone della Vigna immagine del popolo eletto si rivolge [per la nuova traduzione CEI, inizialmente] al suo «prototipo» di uomo con tenerezza e viscere materne: «Figliolino mio».

Cerca di fargli capire: «La terra poco famigliare è piena di dissensi e rancori, invece la Vigna è tua; impegnati dunque a costruire il mondo della gioia».

Ma è in fondo normale ostinarsi: «Non ne ho voglia» - perché spesso siamo attratti non dalle Beatitudini, bensì dai criteri mondani dell’avere, potere e apparire; del trattenere per sé, salire sugli altri e dominarli.

Lavorare in favore della vita altrui, riconoscerne la dignità e promuoverla, non sorge a tutti immediato e spontaneo.

Anzi, appare oneroso - almeno sino a quando non riusciamo a comprendere il valore dei fratelli, per noi stessi (e scorgere il “nostro” nei “loro” volti).

È solo un cammino di vita nello Spirito che ci rende pronti a riconoscere che il Tu sollecita, dilata, arricchisce e completa l’Io.

Incontrare gli altri sul serio significa aver incontrato se stessi, nella poliedricità dei propri lati.

Non è semplice. Infatti, è più corrivo identificarsi o essere solidali a distanza, che fraterni.

Difficile di fatto eliminare l’egoismo, il quale è un dato creaturale che va integrato per arricchire tutti, piuttosto che fintamente esorcizzato.

 

Insomma: il “diverso” non è solo un appello, ma una ricchezza sconfinata per me stesso; parla del mio stesso essere, proprio in quel modo lì.

Ma per comprendere l’amore - appunto, anche verso di sé - tutti abbiamo bisogno di tempo, esperienza, approfondimenti, crescita dell’empatia e ulteriore esplorazione.

Poi lavorare è anche dispendioso, a partire dall’intimo.

Ovvio che istintivamente ci si possa tirare indietro - almeno sino a quando non s’inizi ad apprendere il legame profondo con il lontano che chiede vita [esattamente come facciamo sempre, in prima persona].

 

La percezione di ciò che appare “straniero” diventa intuizione rara della propria essenza, dilatazione dell’Ego - movimento e processo crescente che porta a comprendere il Tu nell’Io.

L’eccentricità del fratello è lo spunto paradossale per ritrovare se stessi e la propria strada.

 

Costruire il mondo nuovo può essere repellente alla natura (in alcuni lati) segnata dal peccato e dal ripiegamento.

Bisogna capire le reazioni d’istinto banali, perché le condanne preventive bloccano la crescita.

Solo passo dopo passo prendiamo coscienza che la vita autentica e piena fa emergere l’Oro divino.

Accentua la caratura squisitamente umana che anche il Padre celeste suggerisce - sorpassando il disinteresse per l’anelito che su due piedi sembra non ci riguardi.

 

Certo, all’inizio la ripulsa può affiorare; non c’è da scandalizzarsi, né additare.

Recuperare la dimensione umana profonda non è un gioco da ragazzi.

Poi è la differenza che ci dà lo spunto, non la “regola” - né il “rimprovero”. Questi ultimi non attivano nulla di autentico.

Del resto lo sappiamo per esperienza: il Sì più convinto passa attraverso un No iniziale.

La lotta interiore è da mettere in conto - infine essa stessa andrà a incidere ben oltre un’adesione formale.

Non c’è da rimanere indignati se qualcuno risponde picche.

Poi cambierà idea [v.29 della nuova traduzione CEI]: «metamellomai». E recupererà il carattere radicale di figlio e fratello.

 

Per afferrare la propria posizione e corrispondere sapientemente alle proposte del Signore bisogna che la persona passi attraverso un vaglio delle cose.

Ciò chiama un discernimento dalle proprie radici, delle relazioni, e di se stesso (nelle sue molte diversificazioni).

Insomma, il Sì più vero deriva da una richiesta di spiegazione - che porta a contatto diretto con la Fonte del nostro carattere variegato - condizione che ci completa.

La vita non è un copiare e ricalcare. Bisogna fare attenzione agli “yes-man”: stanno recitando una fiction da paravento.

Sebbene gl’identificati siano “pronti e proni” a mostrare subito le migliori intenzioni, essi diventano tutta vetrina e nessuna sostanza; infine solo parole vuote.

 

Si rivolse dunque al secondo [v.30 nella nuova traduzione CEI] in realtà primogenito delle promesse: «Io, Signore!».

Come dire: «Ci sono io, qui; perché pensare ad altri?».

La reazione esageratamente affine e positiva - in realtà qualunquista perché abitudinaria e forse calcolata - sta a indicare che il “reduce del credere e delle adesioni”, come minimo non ha capito...

Senz’altro non era d’accordo col programma del Padre - così profondo e impegnativo. E pensava a modo suo come ci si comporta nella Vigna. 

Pertanto s’illude di trovarsi avvantaggiato, invece che Salvato.

 

 

 

Fede e protocolli

 

«Peccatori manifesti e contaminati vari vi stanno passando avanti»

(Mt 21,28-32; in part. v.31)

 

Specifico della Fede, che fa differenza, è non fidarsi dell’ideologia religiosa dei migliori.

Un credo è autentico se sopporta di essere vagliato in prima persona; il resto è artificio, sfiducia col trucco.

La convinzione personale passa attraverso una spontanea richiesta di spiegazioni [tipica in tal guisa la vicenda dei due figli, che dicono entrambi sì e no]. 

Il discrimine della vita nello Spirito? L’eccezione che diventa promozione.

Comparato alle diverse credenze antiche, un lato intrinseco dell’invito di Gesù è la mente adulta.

Essa esclude soluzioni aderenti (comuni o élitarie): racchiudono le anime in una condizione di dipendenza, con progressi illusori.

Donne e uomini rispondono «Eccomi» all’appello perché intimamente persuasi, non per influsso esterno di etichette, rituali, protocolli, ufficialità, rispetto di guide canoniche; abitudini altrui, e sentito dire.

 

Alla richiesta dei discepoli di aumentare la loro fede, Gesù neppure risponde (Lc 17,6).

Non dice di migliorare questo o quello. Impossibile cesellare un amore a tappe scandite.

La Fede non è un regalo da mettere al riparo e che il Padre fa solo a qualcuno, ma una relazione di fiducia creativa che si accende in risposta all’iniziativa gratuita, rinnovata, rinvigorita, ripetutamente svecchiata, della Sorgente dell’essere - quando passo dopo passo la si accoglie invece di rifiutarla.

Non solo è una proposta personale e variegata in sé, ma vuole pure essere reinterpretata e resa lussureggiante con l’inedito tutto nostro.

L’unico vigore da introdurre negli eventi è un diverso volto, per nulla difensivo, né finalizzato ad aumentare la situazione.

Perché chiamati a divenire ciò che siamo.

L’anima ci guida a incontrare noi stessi, schiettamente e non ricalcando un complesso di procedure esterne - però, di onda in onda.

Quindi non c’è chi ha già molta fede, altri così così; alcuni in misura giusta, o carente e per niente - magari aspettando di trovare il Dono da qualche parte per rimetterlo in cassaforte e moltiplicare il gruzzolo - conservandolo sempre nel medesimo buco del muro.

 

Va dunque sradicata l’idea conformista, ingessata e ambigua di progresso spirituale.

Esso non è contenuto nei limiti dei “lavori in breccia” da muratore che segue pedissequamente un progetto. E suda suda per inserire in un qualche loculo raffazzonato l’identico scrigno di tutti - ricevuto come pacchetto completo.

Poi, non esistono prediletti, né riferimenti d’avamposto per difenderlo.

Non vi sono scartati collocati a margine, né truppe “medie” secondo capacità di guardia e performance.

Nell’itinerario autentico non esiste una traiettoria o una via d’uscita unilaterali [come fosse un solo varco, già preformato in ogni dettaglio].

Neppure qualche arricchimento pedissequo, a modello - ritenuto eventualmente possibile per eroi a parte, su base ascetica convenzionale.

Non sono questi i veri amici dell’energia vitale.

 

Morale - a contrario: mai fidarsi di coloro che si precipitano a dire: «Sissignore!».

Lunedì, 08 Dicembre 2025 06:04

Non cambia il mondo in modo distruttivo

Abbiamo sentito nel Vangelo la domanda del Battista che si trova in carcere; il Battista, che aveva annunciato la venuta del Giudice che cambia il mondo, e adesso sente che il mondo rimane lo stesso. Fa chiedere, quindi, a Gesù: “Sei tu quello che deve venire? O dobbiamo aspettare un altro? Sei tu o dobbiamo aspettare un altro?”. Negli ultimi due, tre secoli molti hanno chiesto: “Ma realmente sei tu? O il mondo deve essere cambiato in modo più radicale? Tu non lo fai?”. E sono venuti tanti profeti, ideologi e dittatori, che hanno detto: “Non è lui! Non ha cambiato il mondo! Siamo noi!”. Ed hanno creato i loro imperi, le loro dittature, il loro totalitarismo che avrebbe cambiato il mondo. E lo ha cambiato, ma in modo distruttivo. Oggi sappiamo che di queste grandi promesse non è rimasto che un grande vuoto e grande distruzione. Non erano loro.

E così dobbiamo di nuovo vedere Cristo e chiedere a Cristo: “Sei tu?”. Il Signore, nel modo silenzioso che gli è proprio, risponde: “Vedete cosa ho fatto io. Non ho fatto una rivoluzione cruenta, non ho cambiato con forza il mondo, ma ho acceso tante luci che formano, nel frattempo, una grande strada di luce nei millenni”.

Cominciamo qui, nella nostra Parrocchia: San Massimiliano Kolbe, che si offre di morire di fame per salvare un padre di famiglia. Che grande luce è divenuto lui! Quanta luce è venuta da questa figura ed ha incoraggiato altri a donarsi, ad essere vicini ai sofferenti, agli oppressi! Pensiamo al padre che era per i lebbrosi Damiano de Veuster, il quale è vissuto ed è morto con e per i lebbrosi, e così ha portato luce in questa comunità. Pensiamo a Madre Teresa, che ha dato tanta luce a persone, che, dopo una vita senza luce, sono morte con un sorriso, perché erano toccate dalla luce dell’amore di Dio.

E così potremmo continuare e vedremmo, come il Signore ha detto nella risposta a Giovanni, che non è la violenta rivoluzione del mondo, non sono le grandi promesse che cambiano il mondo, ma è la silenziosa luce della verità, della bontà di Dio che è il segno della Sua presenza e ci dà la certezza che siamo amati fino in fondo e che non siamo dimenticati, non siamo un prodotto del caso, ma di una volontà di amore.

Così possiamo vivere, possiamo sentire la vicinanza di Dio. “Dio è vicino”, dice la Prima Lettura di oggi, è vicino, ma noi siamo spesso lontani. Avviciniamoci, andiamo alla presenza della Sua luce, preghiamo il Signore e nel contatto della preghiera diventiamo noi stessi luce per gli altri.

E questo è proprio anche il senso della Chiesa parrocchiale: entrare qui, entrare in colloquio, in contatto con Gesù, con il Figlio di Dio, così che noi stessi diventiamo una delle più piccole luci che Lui ha acceso e portiamo luce nel mondo che sente di essere redento.

Il nostro spirito deve aprirsi a questo invito e così camminiamo con gioia incontro al Natale, imitando la Vergine Maria, che ha atteso nella preghiera, con intima e gioiosa trepidazione, la nascita del Redentore. Amen!

[Papa Benedetto, omelia Torre Angela 12 dicembre 2010]

Lunedì, 08 Dicembre 2025 05:57

La questione della salvezza universale

1. Le difficoltà che talora accompagnano lo sviluppo dell’evangelizzazione pongono in luce un problema delicato la cui soluzione non va cercata in termini puramente storici o sociologici: il problema della salvezza di coloro che non appartengono visibilmente alla Chiesa. Non ci è data la possibilità di scrutare il mistero dell’azione divina nelle menti e nei cuori, per valutare la potenza della grazia di Cristo nel prendere possesso, in vita e in morte, di quanti “il Padre gli ha dato”, e che Egli stesso ha proclamato di non voler “perdere”. Lo sentiamo ripetere in una delle letture evangeliche proposte per la Messa dei defunti (cf. Gv 6, 39-40).

Ma, come ho scritto nell’Enciclica Redemptoris Missio, non si può limitare il dono della salvezza “a coloro che, in modo esplicito, credono in Dio e sono entrati nella Chiesa. Se è destinata a tutti la salvezza deve essere messa in concreto a disposizione di tutti”. E, ammettendo che è concretamente impossibile per tanta gente accedere al messaggio cristiano, ho aggiunto: “Molti uomini non hanno la possibilità di conoscere o di accettare la rivelazione del Vangelo di entrare nella Chiesa. Essi vivono in condizioni socio-culturali che non lo permettono, e spesso sono stati educati in altre tradizioni religiose” (Redemptoris Missio, 10).

Dobbiamo riconoscere che per quanto rientra nelle umane capacità di previsione e di conoscenza questa impossibilità pratica sembrerebbe destinata a durare ancora a lungo forse anche fino al compimento finale dell’opera di evangelizzazione. Gesù stesso ha ammonito che solo il Padre conosce “i tempi e i momenti” da lui fissati per l’instaurazione del suo Regno nel mondo (cf. At 1, 7).

2. Quanto sopra ho detto non giustifica però la posizione relativistica di chi ritiene che in qualsiasi religione si possa trovare una via di salvezza, anche indipendentemente dalla fede in Cristo Redentore, e che su questa ambigua concezione debba basarsi il dialogo interreligioso. Non è qui la soluzione conforme al Vangelo del problema della salvezza di chi non professa il Credo cristiano. Dobbiamo invece sostenere che la strada della salvezza passa sempre per Cristo, e che quindi spetta alla Chiesa e ai suoi missionari il compito di farlo conoscere ed amare in ogni tempo, in ogni luogo e in ogni cultura. Al di fuori di Cristo non “vi è salvezza”. Come proclamava Pietro davanti al Sinedrio, fin dall’inizio della predicazione apostolica: “Non vi è altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati” (At 4, 12).

Anche per coloro che senza loro colpa non conoscono Cristo e non si riconoscono cristiani, il piano divino ha predisposto una via di salvezza. Come leggiamo nel Decreto conciliare sull’attività missionaria Ad Gentes, noi crediamo che “Dio, attraverso le vie che lui solo conosce può portare gli uomini che senza loro colpa ignorano il Vangelo” alla fede necessaria alla salvezza (Ad Gentes, 7). Certo, la condizione “senza loro colpa” non può essere verificata né apprezzata da una valutazione umana, ma deve essere lasciata unicamente al giudizio divino. Per questo nella Costituzione Gaudium et Spes il Concilio dichiara che nel cuore di ogni uomo di buona volontà “opera invisibilmente la grazia”, e che “lo Spirito Santo dà a tutti la possibilità di venire in contatto, nel modo che Dio conosce, col Mistero pasquale” (Gaudium et Spes, 22).

3. E importante sottolineare che la via della salvezza percorsa da quanti ignorano il Vangelo non è una via fuori di Cristo e della Chiesa. La volontà salvifica universale è legata all’unica mediazione di Cristo. Lo afferma la Prima Lettera a Timoteo: “Dio nostro Salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità. Uno solo, infatti, è Dio, e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti” (1 Tm 2, 3-6). Lo proclama Pietro quando dice che “in nessun altro c’è salvezza”, e chiama Gesù “testata d’angolo” (At 4,11-12), ponendo in evidenza il ruolo necessario di Cristo a fondamento della Chiesa.

Questa affermazione della “unicità” del Salvatore trae la sua origine dalle stesse parole del Signore, il quale afferma di essere venuto “per dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10, 45), cioè per l’umanità, come spiega San Paolo quando scrive: “Uno è morto per tutti” (2 Cor 5, 14 cf. Rm 5, 18). Cristo ha ottenuto la salvezza universale con il dono della propria vita: nessun altro mediatore è stato stabilito da Dio come Salvatore. Il valore unico del sacrificio della Croce deve essere sempre riconosciuto nel destino di ogni uomo.

4. E siccome Cristo opera la salvezza mediante il suo mistico Corpo, che è la Chiesa, la via di salvezza è essenzialmente legata alla Chiesa. L’assioma extra Ecclesiam nulla salus – “fuori della Chiesa non c’è salvezza” –, enunciato da San Cipriano (Epist 73,21: PL 1123 AB), appartiene alla tradizione cristiana ed è stato inserito nel Concilio Lateranense IV (Denz.-S. 802), nella bolla Unam Sanctam di Bonifacio VIII (Denz.-S. 870) e nel Concilio di Firenze (Decretum pro Jacobitis, Denz.-S. 1351).

L’assioma significa che per quanti non ignorano che la Chiesa è stata fondata da Dio per mezzo di Gesù Cristo come necessaria c’è l’obbligo di entrare e di perseverare in essa al fine di ottenere la salvezza (cf. Lumen Gentium, 14). Per coloro che invece non hanno ricevuto l’annunzio del Vangelo, come ho scritto nell’Enciclica Redemptoris Missio, la salvezza è accessibile attraverso vie misteriose in quanto la grazia divina viene loro conferita in virtù del sacrificio redentore di Cristo, senza adesione esterna alla Chiesa ma sempre, tuttavia, in relazione con essa (cf. Redemptoris Missio, 10). Si tratta di una “misteriosa relazione”: misteriosa per coloro che la ricevono, perché essi non conoscono la Chiesa e anzi, talvolta, esternamente la respingono; misteriosa anche in se stessa perché legata al mistero salvifico della grazia, che comporta un riferimento essenziale alla Chiesa fondata dal Salvatore.

La grazia salvifica, per operare, richiede un’adesione, una cooperazione, un sì alla divina donazione: e tale adesione è, almeno implicitamente, orientata verso Cristo e la Chiesa. Perciò si può dire anche sine Ecclesia nulla salus – “senza la Chiesa non c’è salvezza” –: l’adesione alla Chiesa-Corpo mistico di Cristo, per quanto implicita è appunto misteriosa, costituisce una condizione essenziale per la salvezza.

5. Le religioni possono esercitare un influsso positivo sul destino di chi ne fa parte e ne segue le indicazioni con sincerità di spirito. Ma se l’azione decisiva per la salvezza è opera dello Spirito Santo dobbiamo tener presente che l’uomo riceve soltanto da Cristo, mediante lo Spirito Santo, la sua salvezza. Essa ha inizio già nella vita terrena, che la grazia, accettata e corrisposta, rende fruttuosa, in senso evangelico, per la terra e per il cielo.

Di qui l’importanza del ruolo indispensabile della Chiesa, la quale “non è fine a se stessa ma fervidamente sollecita di essere tutta di Cristo, in Cristo e per Cristo, e tutta degli uomini, fra gli uomini e per gli uomini”. Un ruolo che non è dunque “ecclesiocentrico” come a volte si è detto: la Chiesa non esiste infatti né lavora per se stessa, ma è al servizio di una umanità chiamata alla filiazione divina in Cristo (cf. Redemptoris Missio, 19). Essa esercita perciò una mediazione implicita anche nei confronti di quanti ignorano il Vangelo.

Ciò non deve però portare alla conclusione che la sua attività missionaria sia in tali circostanze meno necessaria. Tutt’altro. In effetti chi ignora Cristo, pur senza sua colpa, viene a trovarsi in una condizione di oscurità e di carestia spirituale con riflessi negativi spesso anche sul piano culturale e morale. L’azione missionaria della Chiesa può procurargli le condizioni di pieno sviluppo della grazia salvatrice di Cristo, proponendo l’adesione piena e consapevole al messaggio della fede e la partecipazione attiva alla vita ecclesiale nei sacramenti.

Questa è la linea teologica tratta dalla tradizione cristiana. Il magistero della Chiesa l’ha seguita nella dottrina e nella prassi come via segnata da Cristo stesso per gli Apostoli e per i missionari di tutti i tempi.

[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 31 maggio 1995]

Lunedì, 08 Dicembre 2025 05:30

Stile diverso. È la misericordia che salva

Abbiamo ascoltato un brano del Vangelo di Matteo (11,2-6). L’intento dell’evangelista è quello di farci entrare più profondamente nel mistero di Gesù, per cogliere la sua bontà e la sua misericordia. L’episodio è il seguente: Giovanni Battista manda i suoi discepoli da Gesù – Giovanni era in carcere - per fargli una domanda molto chiara: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?» (v. 3). Era proprio nel momento del buio … Il Battista attendeva con ansia il Messia e nella sua predicazione lo aveva descritto a tinte forti, come un giudice che finalmente avrebbe instaurato il regno di Dio e purificato il suo popolo, premiando i buoni e castigando i cattivi. Egli predicava così: «Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco» (Mt 3,10). Ora che Gesù ha iniziato la sua missione pubblica con uno stile diverso; Giovanni soffre perché si trova in un doppio buio: nel buio del carcere e di una cella, e nel buio del cuore. Non capisce questo stile di Gesù e vuole sapere se è proprio Lui il Messia, oppure se si deve aspettare un altro.

E la risposta di Gesù sembra a prima vista non corrispondere alla richiesta del Battista. Gesù, infatti, dice: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!» (vv. 4-6). Qui diventa chiaro l’intento del Signore Gesù: Egli risponde di essere lo strumento concreto della misericordia del Padre, che a tutti va incontro portando la consolazione e la salvezza, e in questo modo manifesta il giudizio di Dio. I ciechi, gli zoppi, i lebbrosi, i sordi, recuperano la loro dignità e non sono più esclusi per la loro malattia, i morti ritornano a vivere, mentre ai poveri è annunciata la Buona Notizia. E questa diventa la sintesi dell’agire di Gesù, che in questo modo rende visibile e tangibile l’agire stesso di Dio.

Il messaggio che la Chiesa riceve da questo racconto della vita di Cristo è molto chiaro. Dio non ha mandato il suo Figlio nel mondo per punire i peccatori né per annientare i malvagi. A loro è invece rivolto l’invito alla conversione affinché, vedendo i segni della bontà divina, possano ritrovare la strada del ritorno. Come dice il Salmo: «Se consideri le colpe, Signore, / Signore, chi ti può resistere? / Ma con te è il perdono: / così avremo il tuo timore» (130,3-4).

La giustizia che il Battista poneva al centro della sua predicazione, in Gesù si manifesta in primo luogo come misericordia. E i dubbi del Precursore non fanno che anticipare lo sconcerto che Gesù susciterà in seguito con le sue azioni e con le sue parole. Si comprende, allora, la conclusione della risposta di Gesù. Dice: «Beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!» (v. 6). Scandalo significa “ostacolo”. Gesù perciò ammonisce su un particolare pericolo: se l’ostacolo a credere sono soprattutto le sue azioni di misericordia, ciò significa che si ha una falsa immagine del Messia. Beati invece coloro che, di fronte ai gesti e alle parole di Gesù, rendono gloria al Padre che è nei cieli.

L’ammonimento di Gesù è sempre attuale: anche oggi l’uomo costruisce immagini di Dio che gli impediscono di gustare la sua reale presenza. Alcuni si ritagliano una fede “fai di te” che riduce Dio nello spazio limitato dei propri desideri e delle proprie convinzioni. Ma questa fede non è conversione al Signore che si rivela, anzi, gli impedisce di provocare la nostra vita e la nostra coscienza. Altri riducono Dio a un falso idolo; usano il suo santo nome per giustificare i propri interessi o addirittura l’odio e la violenza. Per altri ancora Dio è solo un rifugio psicologico in cui essere rassicurati nei momenti difficili: si tratta di una fede ripiegata su sé stessa, impermeabile alla forza dell’amore misericordioso di Gesù che spinge verso i fratelli. Altri ancora considerano Cristo solo un buon maestro di insegnamenti etici, uno fra i tanti della storia. Infine, c’è chi soffoca la fede in un rapporto puramente intimistico con Gesù, annullando la sua spinta missionaria capace di trasformare il mondo e la storia. Noi cristiani crediamo nel Dio di Gesù Cristo, e il nostro desiderio è quello di crescere nell’esperienza viva del suo mistero di amore.

Impegniamoci dunque a non frapporre alcun ostacolo all’agire misericordioso del Padre, ma domandiamo il dono di una fede grande per diventare anche noi segni e strumenti di misericordia.

[Papa Francesco, Udienza Generale 7 settembre 2016]

Domenica, 07 Dicembre 2025 18:00

Immacolata Concezione

Solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria [8 Dicembre]

Testi biblici: Gn3, 9…20 – Ep 1, 3…12 – Lc 1, 26-38 Dio ci benedica e la Vergine ci protegga! Invece di commentare le letture propongo una meditazione teologica e spirituale sulla Immacolata Concezione a partire da San Paolo e facendo riferimento alla tradizione della Chiesa e alla liturgia.

1. San Paolo e Maria: un legame nascosto ma reale Anche se Paolo parla quasi per nulla direttamente della Vergine Maria, il suo insegnamento sull’elezione, santità e predestinazione dei cristiani (Ef 1,4-11) illumina profondamente il mistero di Maria. San Paolo afferma che tutti i battezzati sono eletti, santi e immacolati. Applicando questo a Maria, comprendiamo che ciò che vale per l’intera Chiesa si realizza in lei in modo perfetto e anticipato.

2. Il mistero della Chiesa illumina il mistero di Maria Nella cammino della teologia soprattutto nei primi secoli, si è compreso Maria a partire dalla Chiesa: Maria è ciò che la Chiesa è chiamata a diventare. Ciò che in noi è parziale, in lei è perfetto. È “la prima in cammino”: prima per tempo, prima per perfezione. Maria è la “prima” in due sensi: cronologicamente prima ad accogliere Cristo, prima a condividere la sua Passione, prima ad entrare nella gloria con corpo e anima. Qualitativamente: nessuno ha accolto Cristo con maggiore purezza, amore e libertà. La sua grazia unica non la separa da noi, ma manifesta ciò che Dio vuole realizzare in tutta la Chiesa. L’Immacolata Concezione non è un privilegio isolato, ma la piena realizzazione della vocazione di ogni cristiano: Maria è preservata dal peccato in vista dei meriti di Cristo. Noi siamo salvati dal peccato attraverso i meriti di Cristo (battesimo, sacramenti, conversione). Le traiettorie sono le stesse; in Maria sono solo anticipate e portate a perfezione grazie alla sua totale obbedienza e totale abbandono nella volontà di Dio: Maria non ha fatto la volontà divina ma ha vissuto interamente nella volontà di Dio. E’ qui la chiave della sua vita: tentata come tutti compreso Gesù, ha sconfitto Satana scegliendo di vivere sempre e completamente nella volontà del Padre e per questo è ora segno di sicura speranza per noi tutti

3. Perché Maria è Immacolata? La ragione è profondamente semplice: per essere veramente Madre di Dio. Per amare Gesù per ciò che è realmente — vero Dio e vero uomo — Maria doveva essere totalmente libera dal peccato, totalmente aperta all’amore, capace di accogliere Dio senza ostacoli. L’Immacolata Concezione è un dono d’amore: Dio la forma così per amore del Figlio e per amore nostro, perché Maria diventi Madre del Salvatore e Madre della Chiesa. Scrive san Giovanni Damasceno: “Come Eva ha collaborato alla caduta, Maria ha cooperato alla redenzione: immacolata, ha portato la vita a colui che doveva dare la vita al mondo.” E san Bartolo Longo recentemente canonizzato osserva: “L’Immacolata non è solo un titolo, ma un mistero vivo: Dio l’ha creata tutta pura per farne la Madre del Redentore.”

4. Maria ci precede per indicarci il nostro destino. Maria non schiaccia, non umilia, non allontana: mostra ciò che noi saremo nella gloria; è anticipo di ciò che la Chiesa diventerà; la sua santità è promessa della nostra. In lei vediamo la meta della vita cristiana. Maria riceve l’annuncio dell’angelo liberamente e Il suo “fiat” apre la porta alla salvezza. Oggi anche la Chiesa, come Maria, è chiamata ad annunciare Cristo, a portare il suo amore nel mondo, a dire il proprio “sì” nella storia. Dio ha bisogno delle nostre mani, dei nostri occhi, delle nostre abbra, del nostro cuore: come Maria, siamo chiamati a essere portatori di luce e lo possiamo essere nella misura in cui in noi vive la volontà di Dio come protagonista di tutta la nostra esistenza.

5. Che significa essere “immacolati” oggi? Per noi non significa essere senza peccato, ma accogliere l’azione di Dio nella nostra vita. Significa vivere aperti alla grazia, dire il nostro “sì” quotidiano, lasciarci purificare e trasformare dallo Spirito, diventare trasparenti per mostrare Cristo nel mondo. L’Immacolata Concezione diventa così una vocazione e un cammino. “La verità sull’Immacolata Concezione mi sembrava la più difficile da accettare … quando finalmente l’ho accolta, tutto si è chiarito: la mia fede ha trovato senso.”  (testimonianza riportata sul sito CatholicConvert.com nel racconto di Delores, una donna che narra la sua conversione al cattolicesimo).

Elementi importanti da ricordare: +Maria è compresa a partire dalla Chiesa: ciò che è vero per tutti i battezzati è perfetto in lei. +Immacolata perché Madre di Dio: per amare pienamente il Figlio, doveva essere totalmente libera dal peccato +“Prima in cammino”: prima nel tempo e nella qualità dell’amore e della santità.+La sua grazia è promessa per noi: ciò che lei vive già, la Chiesa e i cristiani lo vivranno appieno nella gloria. +Predestinazione condivisa: Maria è preservata dal peccato; noi siamo salvati dal peccato. +Il “fiat” di Maria come modello: Dio chiama, ma attende la nostra libertà; il sì apre la via alla missione. +Essere immacolati oggi: significa accogliere Dio, lasciarsi purificare, diventare trasparenza della sua luce. +Maria non toglie nulla a Dio: è “eco di Dio”; venerarla significa onorare l’opera di Dio in lei. +Maria indica il nostro destino: in lei vediamo ciò che Dio vuole realizzare in ognuno di noi. +L’Immacolata è un dono d’amore: di Dio a Maria e di Maria al  mondo.

*Ecco una brevissima sintesi storica dei principali difensori medievali dell’Immacolata Concezione: Sant’Alberto Magno (1200‑1280) – Teologo domenicano; aperto all’idea della preservazione di Maria dal peccato originale, ma senza definirla definitivamente. San Tommaso d’Aquino (1225‑1274) – Teologo domenicano; sosteneva che Maria fosse redenta «dopo il peccato originale», quindi non immacolata fin dal concepimento. Duns Scoto (1266‑1308) – Teologo francescano; difensore principale dell’Immacolata Concezione. Maria fu preservata dal peccato originale fin dal primo istante, grazie ai meriti di Cristo anticipati da Dio. Guglielmo di Ockham (1287‑1347) – Francescano; sostenitore della posizione di Scoto, pur con alcune sfumature filosofiche. L’idea centrale di Scoto: Maria immacolata fin dal concepimento, preservata dalla grazia di Dio grazie ai meriti futuri di Cristo, anticipando il dogma ufficiale definito nel 1854.

 

+ Giovanni D’Ercole

Domenica, 07 Dicembre 2025 02:58

Traduzione della potenza in silenzio

L’autorevolezza di Gesù e nostra

(Mt 21,23-27)

 

«Con quale autorità fai queste cose? E chi ti ha dato questa autorità?» (Mt 21,23).

Nell’ambiente tradizionale giudaizzante delle prime comunità rimbalzavano domande circa l’autorevolezza di Cristo nel porre sotto assedio il sistema religioso ordinario, e il suo distinguersi perfino da profeti riconosciuti come il Battista.

Unica risposta: la potenza di Dio che si esprimeva nel segno dei tempi - fermentando le coscienze.

La missione di Gesù non è stata regolare: sconcertava l’atmosfera, quindi la sua Parola viva e tagliente andava circoscritta a ogni costo.

Un comportamento così audace sarebbe sembrato irriverente, perfino se adottato dal Messia atteso in persona.

E un senza-terra non poteva che essere un suo falso pretendente...

 

I leaders religiosi che il Signore fronteggiava - radicati in schemi di pensiero e strategie consolidate - si accontentavano sempre di adattare il Cielo entro canovacci chiusi.

Mt tenta di aiutare le sue comunità di Galilea e Siria: dovevano continuare impavide, e non lasciarsi sedurre da pratiche religiose ufficiali, né inquinare dall’ideologia imperiale.

L’evangelista sembra anche suggerire ai fedeli in Cristo di evitare diatribe puntigliose, con i rappresentanti di un mondo solo in apparenza stabile - viceversa destinato a implodere sulle proprie contraddizioni.

 

Dopo la cacciata dei venditori e usurai-profanatori dal Tempio (Mt 21,12ss), la sorte di Gesù è segnata.

Ma attraverso i suoi intimi, il nuovo Regno - slegato - si deve proporre nello spirito di disinteresse, e come Sorpresa.

Solo il Padre può aver gestione di seme, radici e sviluppo.

Nessun uomo può dare “autorizzazione” a una qualsiasi persona di poter essere riflessiva e disciolta.

C’è un percorso imprevedibile anche per chi è abituato a sentirsi dirigere in ogni vicenda. Mentre le garanzie ingombrano le menti e intasano le vie che poi sfociano in esperienze di frontiera.

In tal guisa, palesiamo indipendenza e libertà perché Gesù stesso l’ha dimostrate, sorvolando qualsiasi aspettativa e proposito.

 

Prima o poi i capi sarebbero rimasti costernati da chi non sopporta le ratifiche, riconoscendo infine la loro ignoranza.

Si sarebbero incagliati definitivamente, da soli - persino a motivo della volontà di non esporsi (vv.25-27a). Perplessità tattica, che rivela incredulità - tiepidezza - mancanza totale di Fede.

Insomma, il ‘silenzio’ di quanti gradiscono una Chiesa più attenta e meno esteriore è spesso l’eco giusto di Dio, più eloquente di tante brillanti disquisizioni (v.27b).

Così Gesù evita l’ambiguità della restrizione mentale o della semantica evasiva: in Lui la non-risposta ai dirigenti si trasforma in domanda.

 

Il Signore resta silente, ma senza sviare il quesito.

 

 

[Lunedì 3.a sett. Avvento, 15 dicembre 2025]

Domenica, 07 Dicembre 2025 02:54

Traduzione della potenza in silenzio

L’autorevolezza di Gesù e nostra

(Mt 21,23-27)

 

«Con quale autorità fai queste cose? E chi ti ha dato questa autorità?» (Mt 21,23).

Nell’ambiente tradizionale giudaizzante delle prime comunità rimbalzavano domande circa l’autorevolezza di Cristo nel porre sotto assedio il sistema religioso ordinario, e il suo distinguersi perfino da profeti riconosciuti come il Battista.

Unica risposta: la potenza di Dio che si esprimeva nel segno dei tempi - fermentando le coscienze.

La missione di Gesù non è stata regolare: sconcertava l’atmosfera, quindi la sua Parola viva e tagliente andava circoscritta a ogni costo.

Un comportamento così audace sarebbe sembrato irriverente nei confronti delle autorità, perfino se adottato dal Messia atteso in persona. E un senza-terra non poteva che essere un suo falso pretendente...

I leaders religiosi che il Signore fronteggiava - radicati in schemi di pensiero e strategie consolidate, pure di moneta - si accontentavano sempre di adattare il Cielo entro canovacci chiusi.

Anche i fedeli delle comunità di Mt sembravano sotto la tutela d’interessi, strade, parole e gesti imposti dal clima dispotico.

Negli anni 70-80 i giudei convertiti al Signore erano perseguitati, perché resistevano ai costumi e alle pressioni delle guide religiose costituite e al sistema di potere.

Alcuni avevano già sconsideratamente tentato la strada diplomatica, provando a conciliare Fede e Impero.

Come diceva Paolo, ormai tristemente consapevole della sconfitta della sua teologia: «Quelli che vogliono fare bella figura nella carne, vi costringono a farvi circoncidere, solo per non essere perseguitati a causa della croce di Cristo».

Mt tenta di aiutare le sue comunità di Galilea e Siria: dovevano continuare impavide, e non lasciarsi sedurre da pratiche religiose ufficiali, né inquinare dall’ideologia corriva, dei vari Cesari.

L’evangelista sembra anche suggerire ai fedeli in Cristo di evitare diatribe puntigliose, con i rappresentanti di un mondo solo in apparenza stabile - viceversa destinato a implodere sulle proprie contraddizioni.

 

Scrive il Tao Tê Ching (v): «Parlar molto e scrutar razionalmente, val meno che mantenersi vuoto». E il maestro Wang Pi commenta: «Chi non parla e non fa ragionamenti sicuramente scruta la ragione delle cose».

 

Dopo la cacciata dei venditori e usurai-profanatori dal Tempio (Mt 21,12ss), la sorte di Gesù è segnata.

Non si tocca il vero dio delle antiche alture: il sacchetto dei “maestri” e il tesoro dei sacerdoti implicati.

I massimi responsabili degli affari in nero del recinto sacro apparivano credenti e leali, ma solo se scrutati dal di fuori.

Il loro occhio interiore e la loro attività ben celata sotto i mantelli e dietro le quinte si posava su tutt’altro che i beni spirituali.

Erano padroni di tutto, quindi nessuno doveva prendere iniziativa alcuna senza loro placet. Figuriamoci intaccare il commercio religioso.

Chi mai ha dato l’imprimatur a un figlio di falegname di contrapporsi a lauti guadagni, e intaccarne il prestigio?

Le convinzioni utili e i proventi ormai abitudinari erano “diritto acquisito”.

Purtroppo, la storia delle religioni è punteggiata di episodi di plagio e compromesso, anche nei tempi in cui la situazione economica e sociale diventava difficile o complessa (come oggi).

Laddove i ceti meno abbienti declinavano i rischi, più volentieri si appaltava la difficile gestione della libertà personale - lasciando campo aperto ai soci in affari con Dio, manipolatori di coscienza.

Ma qui - a furia di permessi da chiedere con deferenza, procedimenti analoghi (e “cordate” di contrabbando) - mancava infine quella freschezza piena di stupore, tipica dell'anima aperta all’avventura e alla passione d'amore.

 

Pertanto, secondo Gesù nessun uomo può dare “autorizzazione” a una qualsiasi persona di poter essere riflessiva e disciolta.

C’è un percorso imprevedibile anche per chi è abituato a sentirsi dirigere in ogni vicenda.

Il seme portato dal vento dello Spirito fa la sua pianta, che non necessariamente somiglia a quelle circostanti: non si vincola nella sua espressività particolare, e vola anche fuori confine.

Sebbene le autorità costituite non volessero assolutamente perdere il controllo delle cose e imponessero la solita vita pia standard - coi suoi tornaconti - secondo il Cristo, Dio solo poteva aver gestione di seme, radici e sviluppo.

Attraverso i suoi intimi, il nuovo Regno - slegato - si deve proporre al mondo intero, nello spirito di disinteresse… e come Sorpresa.

Attributi imprevisti e sgombri, che il Figlio svela nella sua vicenda di cura dei malfermi, e di contrapposizione agli astuti; nella sua Persona.

 

Palesiamo indipendenza e libertà, perché Gesù stesso l’ha dimostrate, sorvolando qualsiasi aspettativa e proposito.

Il Maestro non era un qualunquista con coloro che ordivano trame di mestiere e pretendevano pure il nullaosta.

Egli, senza ricercare concordismi lessicali, sottolineava che l’ortodossia non si doveva confondere con la ripetizione.

Le garanzie del passato ingombrano spesso le menti e intasano le vie che poi sfociano in esperienze di frontiera.

In tal guisa, prima o poi i capi sarebbero rimasti costernati da chi non sopporta le ratifiche, riconoscendo infine la loro ignoranza.

Si sarebbero incagliati definitivamente, da soli - soverchiati dai loro stessi imbrogli e dall’ansia di non perdere il potere sulla gente [sempre più insofferente ai “visti”].

Ciò, persino a motivo della volontà di non esporsi (vv.25-27a). 

Perplessità tattica, che rivela incredulità - tiepidezza - mancanza totale di Fede.

 

Come ha sottolineato Papa Francesco:

 

Gesù, con intelligenza, risponde con un’altra domanda e mette i capi dei sacerdoti “all’angolo”, chiedendo loro se Giovanni il Battista battezzava con un’autorità che gli veniva dal cielo, cioè da Dio o dagli uomini. Matteo descrive il loro ragionamento, riletto dal Pontefice «Se noi diciamo: “Dal cielo”, ci dirà: “Perché non avete creduto?”; se diciamo: “Dagli uomini”, la gente verrà contro di noi». E se ne lavano le mani e dicono: “Non sappiamo”. Questo, ha commentato il Santo Padre, «è l’atteggiamento dei mediocri, dei bugiardi della fede».

«Non solo Pilato se ne lavò le mani», ha spiegato il Papa, anche questi se ne lavano le mani: «Non sappiamo». Questo significa, ha proseguito Francesco, «non entrare nella storia degli uomini, non coinvolgersi nei problemi, non lottare per fare il bene, non lottare per guarire tanta gente che ha bisogno... “Meglio di no. Non sporchiamoci”».

Per questo, ha chiarito il Pontefice, Gesù risponde «con la stessa musica: “Neppure io vi dico con quale autorità faccio questo”». Infatti «questi sono due atteggiamenti dei cristiani tiepidi», ha ricordato Francesco, «di noi — come diceva mia nonna — “cristiani all’acqua di rosa”; cristiani così: senza consistenza».

[Papa Francesco, s. Marta, in L’Osservatore Romano 16-17/12/2019]

Nel commento al Tao (LXV) il maestro Ho-Shang Kung scrive: «L’uomo che possiede la misteriosa virtù è così profondo da non poter essere sondato, così imperscrutabile da non aver limite».

Il silenzio di coloro che in Cristo stanno tuttora educando i protagonisti dei luoghi sacri è spesso l’eco giusto di Dio, più eloquente di tante brillanti disquisizioni (v.27b).

Così Gesù evita l’ambiguità della restrizione mentale o della semantica evasiva: in Lui la non risposta ai dirigenti si trasforma in domanda.

 

Il Signore resta silente, ma senza sviare il quesito.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Dimostri autonomia ed emancipazione da coloro che ambiscono controllare la tua personalità, per farti poi diventare solo un operaietto (con licenza) del (loro) tempio?

Secondo te: malgrado le fastose apparenze di rango, le pressappochiste guide spirituali del popolo e i funzionari del Tempio, avevano a che fare con Colui che celebravano?

Talora, forse - anche noi - poco o nulla?

 

 

Traduzione della potenza in umiltà

 

La parola che Gesù rivolge agli uomini apre immediatamente l’accesso al volere del Padre e alla verità di se stessi. Non così, invece, accadeva agli scribi, che dovevano sforzarsi di interpretare le Sacre Scritture con innumerevoli riflessioni (…)

L’autorità divina non è una forza della natura. È il potere dell’amore di Dio che crea l’universo e, incarnandosi nel Figlio Unigenito, scendendo nella nostra umanità, risana il mondo corrotto dal peccato. Scrive Romano Guardini: «L’intera esistenza di Gesù è traduzione della potenza in umiltà… è la sovranità che qui si abbassa alla forma di servo» (Il Potere, Brescia 1999, 141.142).

Spesso per l’uomo l’autorità significa possesso, potere, dominio, successo. Per Dio, invece, l’autorità significa servizio, umiltà, amore; significa entrare nella logica di Gesù che si china a lavare i piedi dei discepoli (cfr Gv 13,5), che cerca il vero bene dell’uomo, che guarisce le ferite, che è capace di un amore così grande da dare la vita, perché è Amore. In una delle sue Lettere, santa Caterina da Siena scrive: «E’ necessario che noi vediamo e conosciamo, in verità, con la luce della fede, che Dio è l’Amore supremo ed eterno, e non può volere altro se non il nostro bene» (Ep. 13 in: Le Lettere, vol. 3, Bologna 1999, 206).

[Papa Benedetto, Angelus 29 gennaio 2012]

Domenica, 07 Dicembre 2025 02:49

Traduzione della potenza in umiltà

La parola che Gesù rivolge agli uomini apre immediatamente l’accesso al volere del Padre e alla verità di se stessi. Non così, invece, accadeva agli scribi, che dovevano sforzarsi di interpretare le Sacre Scritture con innumerevoli riflessioni (…)

L’autorità divina non è una forza della natura. È il potere dell’amore di Dio che crea l’universo e, incarnandosi nel Figlio Unigenito, scendendo nella nostra umanità, risana il mondo corrotto dal peccato. Scrive Romano Guardini: «L’intera esistenza di Gesù è traduzione della potenza in umiltà… è la sovranità che qui si abbassa alla forma di servo» (Il Potere, Brescia 1999, 141.142).

Spesso per l’uomo l’autorità significa possesso, potere, dominio, successo. Per Dio, invece, l’autorità significa servizio, umiltà, amore; significa entrare nella logica di Gesù che si china a lavare i piedi dei discepoli (cfr Gv 13,5), che cerca il vero bene dell’uomo, che guarisce le ferite, che è capace di un amore così grande da dare la vita, perché è Amore. In una delle sue Lettere, santa Caterina da Siena scrive: «E’ necessario che noi vediamo e conosciamo, in verità, con la luce della fede, che Dio è l’Amore supremo ed eterno, e non può volere altro se non il nostro bene» (Ep. 13 in: Le Lettere, vol. 3, Bologna 1999, 206).

[Papa Benedetto, Angelus 29 gennaio 2012]

Domenica, 07 Dicembre 2025 02:44

Coscienza, Regola d’oro

Non è qui il luogo di citare le conferme che percorrono l’intera storia dell’umanità. Certo è che fin dai tempi più antichi il dettame della coscienza indirizza ogni soggetto umano verso una norma morale oggettiva, che trova espressione concreta nel rispetto della persona dell’altro e nel principio di non fare a lui quello che non si vuole sia fatto a sé [41].

[41] «La legge morale – ha lasciato detto Confucio – non è lontana da noi... L’uomo saggio non sbaglia molto in quanto riguarda la legge morale. Egli ha per principio: non fate agli altri quello che non vorreste che gli altri facessero a voi» (Tchung-Yung – Il giusto Mezzo, 13). Un antico maestro giapponese (Dengyo Daishi, detto anche Saicho, vissuto tra il 767-822 d.C.) esorta a essere «dimentichi di se stessi, benefici verso gli altri, perché qui sta il vertice dell’amicizia e della compassione» (cfr. W. Th. De Bary, Sources of Japanese Tradition, New York 1958, vol. I, 127). E come non ricordare il Mahatma Gandhi, il quale ha inculcato la «forza della verità» (satyagraha) che vince senza violenza, col dinamismo proprio che è intrinseco all’azione giusta?

[Papa Giovanni Paolo II, Dilecti Amici n.7]

Due atteggiamenti dei cristiani tiepidi — «mettere Dio all’angolo e lavarsene le mani» — sono pericolosi: perché «è come sfidare Dio». Se il Signore mettesse noi all’angolo «non entreremmo mai in Paradiso» e guai se poi «se ne lavasse le mani, con noi». Papa Francesco, nell’omelia della messa del mattino a Casa Santa Marta, ha riletto così lunedì 16 dicembre il Vangelo di Matteo proposto dalla liturgia: quello sul dialogo tra Gesù e i capi dei sacerdoti, che gli chiedono con quale autorità insegni nel tempio.

Gesù, ricorda il Pontefice, esortava la gente, la guariva, insegnava e faceva miracoli, e così innervosiva i capi dei sacerdoti, perché con la sua dolcezza e la dedizione al popolo attirava tutti verso di sé. Mentre loro, i funzionari, erano rispettati dalla gente, che però non li avvicinava «perché non aveva fiducia in loro». Quindi si accordano «per mettere Gesù all’angolo». E gli domandano, ha proseguito Francesco: «Con quale autorità tu fai queste cose?». Infatti «tu non sei un sacerdote, un dottore della legge, non hai studiato nelle nostre università. Non sei niente».

Gesù, con intelligenza, risponde con un’altra domanda e mette i capi dei sacerdoti “all’angolo”, chiedendo loro se Giovanni il Battista battezzava con un’autorità che gli veniva dal cielo, cioè da Dio o dagli uomini. Matteo descrive il loro ragionamento, riletto dal Pontefice «Se noi diciamo: “Dal cielo”, ci dirà: “Perché non avete creduto?”; se diciamo: “Dagli uomini”, la gente verrà contro di noi». E se ne lavano le mani e dicono: “Non sappiamo”. Questo, ha commentato il Santo Padre, «è l’atteggiamento dei mediocri, dei bugiardi della fede».

«Non solo Pilato se ne lavò le mani», ha spiegato il Papa, anche questi se ne lavano le mani: «Non sappiamo». Questo significa, ha proseguito Francesco, «non entrare nella storia degli uomini, non coinvolgersi nei problemi, non lottare per fare il bene, non lottare per guarire tanta gente che ha bisogno... “Meglio di no. Non sporchiamoci”».

Per questo, ha chiarito il Pontefice, Gesù risponde «con la stessa musica: “Neppure io vi dico con quale autorità faccio questo”». Infatti «questi sono due atteggiamenti dei cristiani tiepidi», ha ricordato Francesco, «di noi — come diceva mia nonna — “cristiani all’acqua di rosa”; cristiani così: senza consistenza». Da cui deriva, ha spiegato il Pontefice, quell’atteggiamento di «mettere nell’angolo Dio: “O mi fai questo o non andrò più in una chiesa”».

L’altro atteggiamento di tiepidezza, ha continuato il Papa, è lavarsene le mani, come «i discepoli di Emmaus quella mattina della Risurrezione»: vedono le donne «tutte gioiose perché avevano visto il Signore», ma non si fidano, perché le donne «sono troppo fantasiose»; e perciò se ne lavano le mani e così entrano nella confraternita «di San Pilato».

«Tanti cristiani — ha denunciato allora Papa Francesco — se ne lavano le mani davanti alle sfide della cultura, alle sfide della storia, alle sfide delle persone del nostro tempo; anche davanti alle sfide più piccole». Quante volte, ha ricordato, «sentiamo il cristiano tirchio davanti a una persona che chiede elemosina e non la dà: “No, no io non do perché poi questi si ubriacano”. Se ne lava le mani». E a chi replica, ha proseguito il Pontefice «“Ma non ha da mangiare... – “Fatti suoi: io non voglio che si ubriachi”. Lo sentiamo tante volte, tante volte».

«Mettere Dio all’angolo e lavarsene le mani — è stato dunque l’ammonimento del Pontefice — sono due atteggiamenti pericolosi, perché è come sfidare Dio. Pensiamo cosa accadrebbe se il Signore ci mettesse all’angolo. Mai entreremmo nel Paradiso. E cosa accadrebbe se il Signore se ne lavasse le mani con noi? Poveracci». Sono, conclude Papa Francesco, «due atteggiamenti ipocriti di educati».

«No, questo no. Non mi immischio», così il Papa ha dato voce agli educati ipocriti, «metto all’angolo la gente, perché è gente sporca», mentre «io davanti a questo me ne lavo le mani perché sono fatti loro». Da qui l’invito finale di Francesco a vedere «se in noi c’è qualcosa del genere»; e se c’è a cacciare via «questi atteggiamenti per fare strada al Signore che viene».

[Papa Francesco, s. Marta, in L’Osservatore Romano 16-17/12/2019]

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In these words we find the core of biblical truth about St. Joseph; they refer to that moment in his life to which the Fathers of the Church make special reference (Redemtoris Custos n.2)
In queste parole è racchiuso il nucleo centrale della verità biblica su san Giuseppe, il momento della sua esistenza a cui in particolare si riferiscono i padri della Chiesa (Redemtoris Custos n.2)
The ancient priest stagnates, and evaluates based on categories of possibilities; reluctant to the Spirit who moves situations
Il sacerdote antico ristagna, e valuta basando su categorie di possibilità; riluttante allo Spirito che smuove le situazioni
«Even through Joseph’s fears, God’s will, his history and his plan were at work. Joseph, then, teaches us that faith in God includes believing that he can work even through our fears, our frailties and our weaknesses. He also teaches us that amid the tempests of life, we must never be afraid to let the Lord steer our course. At times, we want to be in complete control, yet God always sees the bigger picture» (Patris Corde, n.2)
«Anche attraverso l’angustia di Giuseppe passa la volontà di Dio, la sua storia, il suo progetto. Giuseppe ci insegna così che avere fede in Dio comprende pure il credere che Egli può operare anche attraverso le nostre paure, le nostre fragilità, la nostra debolezza. E ci insegna che, in mezzo alle tempeste della vita, non dobbiamo temere di lasciare a Dio il timone della nostra barca. A volte noi vorremmo controllare tutto, ma Lui ha sempre uno sguardo più grande» (Patris Corde, n.2)
Man is the surname of God: the Lord in fact takes his name from each of us - whether we are saints or sinners - to make him our surname (Pope Francis). God's fidelity to the Promise is realized not only through men, but with them (Pope Benedict).
L’uomo è il cognome di Dio: il Signore infatti prende il nome da ognuno di noi — sia che siamo santi, sia che siamo peccatori — per farlo diventare il proprio cognome (Papa Francesco). La fedeltà di Dio alla Promessa si attua non soltanto mediante gli uomini, ma con loro (Papa Benedetto)
In the communities of Galilee and Syria the pagans quickly became a majority - elevated to the rank of sons. They did not submit to nerve-wracking processes, but spontaneously were recognizing the Lord
Nelle comunità di Galilea e Siria i pagani diventavano rapidamente maggioranza - elevati al rango di figli. Essi non si sottoponevano a trafile snervanti, ma spontaneamente riconoscevano il Signore
And thus we must see Christ again and ask Christ: “Is it you?” The Lord, in his own silent way, answers: “You see what I did, I did not start a bloody revolution, I did not change the world with force; but lit many I, which in the meantime form a pathway of light through the millenniums” (Pope Benedict)
E così dobbiamo di nuovo vedere Cristo e chiedere a Cristo: “Sei tu?”. Il Signore, nel modo silenzioso che gli è proprio, risponde: “Vedete cosa ho fatto io. Non ho fatto una rivoluzione cruenta, non ho cambiato con forza il mondo, ma ho acceso tante luci che formano, nel frattempo, una grande strada di luce nei millenni” (Papa Benedetto)
Experts in the Holy Scriptures believed that Elijah's return should anticipate and prepare for the advent of the Kingdom of God. Since the Lord was present, the first disciples wondered what the value of that teaching was. Among the people coming from Judaism the question arose about the value of ancient doctrines…

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