Collocarsi negli sconvolgimenti “astrali”
(Lc 21,20-28)
«E vi saranno segni nel sole e nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di nazioni in preda allo smarrimento per il fragore del mare e dei flutti» (v.25).
«In questi anni in cui s’inscrive la realtà quotidiana del nostro secolo, tormentato già allo spuntare di un nuovo millennio, portatrice di speranze dell’umanità. Il processo storico di inculturazione del Vangelo e dell’evangelizzazione delle culture è ben lontano dall’avere esaurito tutte le sue energie latenti. L’eterna novità del Vangelo incontra le apparizioni delle culture in genesi o in fase di rinnovamento. L’emergenza delle nuove culture fa appello, con evidenza, al coraggio e all’intelligenza di tutti i credenti e di tutti gli uomini di buona volontà. Trasformazioni sociali e culturali, sconvolgimenti politici, fermenti ideologici, inquietudini religiose, ricerche etiche, è tutto un mondo in gestazione che aspira a trovare forma e orientamento, sintesi organica e nuova stagione profetica. Sappiamo attingere risposte nuove nel tesoro della nostra speranza.
Assecondati da squilibri socio-politici, dalle scoperte scientifiche non pienamente controllate, da invenzioni tecniche di un’ampiezza inaudita, gli uomini restano confusamente il crepuscolo delle vecchie ideologie e l’usura dei vecchi sistemi. I popoli nuovi provocano le vecchie società, come per svegliarle dalla loro lassezza. I giovani alla ricerca di ideali aspirano a dare un senso che abbia valore all’avventura umana. Né la droga, né la violenza né la permissività né il nichilismo possono riempire il vuoto dell’esistenza. Le intelligenze e i cuori sono alla ricerca della luce che rischiari e dell’amore che riscaldi. La nostra epoca ci rivela nel vuoto la fame spirituale e l’immensa speranza delle coscienze».
[Papa Giovanni Paolo II, Discorso al Pontificio Consiglio per la Cultura 13 gennaio 1986]
Al tempo di Gesù la città eterna si stava autodistruggendo, ma la distanza fra cielo e terra si assottigliava.
Parola viva e meditazione ecclesiale.
Anche oggi sperimentiamo rovesciamenti: d’improvviso il centro appagante diventa periferia malmessa, e viceversa.
E in qualsiasi ceto sociale, ciascuno aspira, tenta, esplora, migra, vuole vivere completamente; non si accontenta più delle condizioni di partenza.
L’inquietudine si diffonde anche nell’istituzione religiosa, che pareva fissa, certa, eterna, immutabile.
Di recente lo stesso Pontefice ha parlato di «degenerazione» interna.
Come spiegare questo fatto? A cosa è finalizzato il trauma? E la caduta di fede che ne scaturisce?
Al contrario, ciò che conta della crisi è proprio negli stati interiori che attiva - malgrado le percezioni esterne di perdita.
Bisogna sganciarsi da cause apparenti, per entrare nel profondo degli spazi che sentiamo violati.
Quel dolore è parte di noi stessi, del cammino di Fede.
Riconoscendolo e accogliendolo come vena intima, lato genuino dell’essere che ci appartiene, si riconquista integrità; si può ripartire.
La Chiesa autentica pensa al senso del cammino… anche dell’intera storia.
Essa riflette in particolare sulla disfatta della città santa e sull’instabilità del suo cosmo - quello delle gerarchie vetuste: ciò che era in alto ora cade rovinosamente.
La vecchia terra delle “promesse” è d’improvviso disseminata di rovine: il suo pareva un tempo paradisiaco, spacciato per divino; invece era un attimo, forse in gran parte di terra.
Sulle macerie ecco profilarsi la fine dell’assetto antico, sconvolto nell’arcaico prestigio e nello stesso ordinamento.
Come ha dichiarato Papa Francesco [ad esempio]: «In una Chiesa per i poveri, più missionaria, non c’è spazio per chi si arricchisce o fa arricchire il suo cerchio magico indossando indegnamente l’abito talare».
Il mondo nuovo avrà gerarchie rovesciate (vv.25-26) e sta provocando già lo sgretolamento dei piedistalli della mitologia politica, devota e sociale, rivelatisi terra terra.
Hanno finito per spegnere la loro inutile attrattiva; hanno esaurito il loro tempo. Ciò mentre un «meraviglioso popolo segue Gesù Cristo».
Prima l’ossessione di peccato, la soggezione e inadeguatezza predicate a tutti, nonché le steppe disumanizzanti, aride, prodotte dal potere civile, militare e religioso.
Frutti amari generati da potenze elette, da prìncipi mondani, dalle star che parevano celesti [sole, luna, stelle e potenze che hanno sempre sovrastato l’umanità: vv.25-26].
Ai loro insegnamenti è stato tolto il velo: erano per nulla angelici, bensì di questo mondo.
Avevano programmi parziali, puramente temporali. Non formavano tutta la vita.
Ed ecco finalmente l’innesco di un nuovo Regno, che s’inaugura nell’aspetto di un Figlio, d’un Amico dal cuore di uomo e non di belva (cf. Dn 7,2-14).
Sul fondo della storia istituzionale s’aggira un senso di morte, ma proprio qui l'anima si libera e sublima.
Una nuova Chiamata suscita la coscienza personale e soppianta gli antichi principati. Vertici sociali che dettavano legge e controllavano tutto, opprimendo e stritolando ogni espressione inedita di vita che saliva dal basso.
Viceversa, la Vocazione per Nome offre l’armonia e fraternità del Disegno originario, concepito come Festa nuziale.
Le verità ancora consolidate saranno invece (finalmente) misurate da una Presenza salvatrice.
“Carne” come noi e “Roccia” come Dio.
Una Grazia impegnativa si sta ergendo sulla presunta catastrofe, tappa inesorabile per l’instaurazione di tutt’altra Fraternità - e l’apparire di una nuova Creazione.
In tal guisa, rovina e distruzione si volgeranno in alta consapevolezza; esodo, gioia di trasformazione, senso di libertà.
Speranza fanciulla che ricompone lo spavento di coloro che pensavano la Solenne Religione e le sublimi autorità talari in trono come fortilizio sicuro.
Compito delle nuove comunità in Cristo sarà l’avvio, l’edificazione e il compimento di una storia umanizzante, fonte in se stessa di Speranza; che vince il tempo del pre-umano e lo soppianta con estrema decisione.
Il rapporto tra fedeli e mondanità piramidali - un tempo spacciate per sovreminenti e quasi collocate in cielo, nell’alto - sarà di contrasto.
Quel cosmo ormai divenuto senza senso sta implodendo, nell’agonia della sua finitezza.
Per tale sommovimento c’è solo da gioire.
Lo stile di coloro che rendono umano il mondo sarà viceversa foriero di vittoria che divinizza ciascuno - trionfo questo sì ultraterreno.
Perché il lievito della storia è quello del corpo piegato nel servizio, e del capo alzato nell’attesa del Signore che Viene in continuità.
In ogni occasione l’attitudine della donna e dell’uomo di Fede rimarrà quella di chi prepara un accadimento nuovo, imprevedibile e determinante [come sempre si rivela l’appuntamento col Cristo Veniente e Viandante anche nei dettagli dell’esistenza].
Ma bisogna aiutarsi a percepire la vicinanza di tale senso impersonato: la scelta tra crollo e disperazione o felicità e liberazione avviene ora, nel tempo della vita che volge al momento dell’incontro col Risorto glorioso.
Saremo senza rimpianti per il “fumo” impressionante di ciò che si è autodistrutto - a motivo della sua scarsa cifra umano-divina.
E a tutti i costi permarremo fedeli non a ideologie o “solidi” idoli di ciccia e cartapesta, ma all’esperienza di Dio in dimensione missionaria, consapevoli che il futuro si compie giorno per giorno.
Tutto questo attiveremo, anche quando saremo ritenuti poco avveduti, per le comuni configurazioni.
Quindi - estromessi da ruoli - comprometteremo la nostra bella e più serena carriera di funzionari.
Ragione in più per farci convitati che si accorgono.
In Lui gli sconvolgimenti si tramuteranno: in coscienza acuta e relazioni felici, emancipate d’infinità e giustizia.
Nuova Maestà, che non respinge la notte.
Perché quando sostiamo nel dolore che vorremmo fuggire, le distanze fra cielo e terra si stanno assottigliando.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Quanto è umano il tuo divino?
E in materia ecclesiale:
Assumendo il linguaggio di Papa Francesco, cosa pensi del «nemico invisibile» che ancora osteggia la riforma dei meccanismi interni (paganeggianti) e delle anomalie nei palazzi apostolici [e dei «finti amici laici», ovunque] che ben poco si addicono allo spirito evangelico e a un’ideale «casa di vetro»?
Crisi di una civiltà
La «paganizzazione», la «mondanità», la «corruzione» portano alla distruzione della persona. Ma il cristiano, chiamato a confrontarsi con le «prove del mondo», nelle difficoltà della vita ha un orizzonte di speranza perché è invitato alle «nozze dell’Agnello». Durante la messa celebrata a Santa Marta la mattina di giovedì 29 novembre, Papa Francesco ha continuato a seguire gli spunti della liturgia che, nella settimana conclusiva dell’anno liturgico, propone una serie di provocazioni sul tema della fine, della «fine del mondo», della «fine di ognuno di noi».
Nella liturgia della parola del giorno, ha spiegato il Pontefice all’inizio dell’omelia, le due letture tratte dall’Apocalisse (18, 1-2.21-23; 19, 1-3.9) e dal vangelo di Luca (21, 20-28) sono caratterizzate entrambe «da due parti: una parte di distruzione e poi una parte di fiducia; una parte di sconfitta, una parte di vittoria». Al centro dell’attenzione sono poste due città dalla grande potenza evocativa: Babilonia e Gerusalemme, «due città che sono sconfitte».
Innanzitutto Babilonia, «simbolo della città mondana, del lusso, dell’autosufficienza, del potere di questo mondo, ricca». Una realtà che «sembra gioiosa», eppure «sarà distrutta». Lo afferma l’Apocalisse descrivendo «un rito di vittoria: “È caduta. È caduta Babilonia, la grande. È caduta”». Ritenendola «incapace di essere fedele», il Signore la condanna: «Ha condannato la grande prostituta che corrompeva la terra con la sua prostituzione».
Sempre rifacendosi al testo biblico, il Pontefice è entrato nel dettaglio della realtà di Babilonia. «Quell’appariscenza di lusso, di gloria, di potere — ha detto — era una grande seduzione che portava la gente alla distruzione. E quella grande città così bella fa vedere la sua verità: “è diventata covo di demoni, rifugio di ogni spirito impuro, rifugio di ogni uccello impuro, rifugio di ogni bestia impura e orrenda”». Dietro la «magnificenza», quindi, si nasconde la «corruzione: le feste di Babilonia sembravano feste di gente felice», ma «erano feste finte di felicità, erano feste di corruzione». E per questo, ha spiegato il Papa, il gesto dell’angelo descritto dall’Apocalisse ha una potenza simbolica: «Prese una grande pietra, grande come una macina e la gettò nel mare esclamando: “Con questa violenza sarà distrutta Babilonia, la grande città”».
Significativo è l’elenco, ricordato dal Pontefice, delle conseguenze riservate a essa. Innanzitutto non ci saranno più le feste: «Il suono dei musicisti, dei suonatori di cetra, di flauto e di tromba, non si udrà più in te». Poi, giacché non è «una città di lavoro ma di corruzione», in essa non si troverà più «ogni artigiano di qualsiasi mestiere» e non si udrà più «il rumore della macina». E ancora: «La luce della lampada non brillerà più in te; sarà forse una città illuminata, ma senza luce, non luminosa; questa è la civiltà corrotta». Infine, «la voce dello sposo e della sposa non si udiranno più in te”. C’erano tante coppie, tanta gente, ma non ci sarà l’amore».
Un destino di distruzione, ha rimarcato il Pontefice, che «incomincia da dentro e finisce quando il Signore dice: “Basta”. E ci sarà un giorno nel quale il Signore dirà: “Basta, alle apparenze di questo mondo”». Di fatto, ha aggiunto, questa «è la crisi di una civiltà che si crede orgogliosa, sufficiente, dittatoriale e finisce così».
Ma un triste destino è riservato anche all’altra città-simbolo, Gerusalemme. Ne parla il brano evangelico nel quale Gesù — che «da buon israelita» amava Gerusalemme, ma la vedeva «adultera, non fedele alla legge» — dice: «Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, allora sappiate che la sua devastazione è vicina”». Cioè, ha spiegato Francesco, la città «è distrutta per un altro tipo di corruzione: la corruzione dell’infedeltà all’amore». Per questa infedeltà essa «non è stata capace di riconoscere l’amore di Dio nel suo Figlio». Anche per Gerusalemme, dunque, il destino è duro: «E cadrà, e saranno giorni di vendetta. Gerusalemme sarà calpestata dai pagani».
È proprio in questo passaggio del vangelo di Luca che il Pontefice ha individuato «una frase che aiuta a capire il senso della distruzione di ambedue le città: la città mondana e la città santa: “Finché i tempi dei pagani non siano compiuti”». La città santa sarà punita, perché ha aperto «le porte del cuore ai pagani». Il Papa ha spiegato come qui emerga «la paganizzazione della vita, nel nostro caso, cristiana»; e ha lanciato una provocazione: «Viviamo come cristiani? Sembra di sì. Ma in verità, la nostra vita è pagana». Il cristiano, cioè, entra nella medesima «seduzione della Babilonia e Gerusalemme vive come Babilonia. Vuol fare una sintesi che non si può fare. E ambedue saranno condannate». Da qui le domande: «Tu sei cristiano? Tu sei cristiana?». Allora, ha esortato, «vivi come cristiano», perché «non si può mescolare l’acqua con l’olio». Oggi invece assistiamo alla «fine di una civiltà contraddittoria in sé stessa, che dice di essere cristiana» ma «vive come pagana».
A questo punto, nella riflessione di Francesco si è aperto l’orizzonte di speranza suggerito dalle letture. Infatti, «dopo la fine della città mondana e della città di Dio paganizzata, si udrà la voce del Signore: “Dopo questo udii come una voce potente di folla immensa nel cielo che diceva: Alleluia!”». Quindi: «dopo la distruzione c’è la salvezza». Come si legge nel capitolo 19 dell’Apocalisse: «Salvezza, gloria e potenza sono del nostro Dio, perché veri e giusti sono i suoi giudizi». E la distruzione delle due città, ha spiegato il Pontefice, è «un giudizio di Dio: Egli ha condannato la grande prostituta che corrompeva la terra con la sua prostituzione, vendicando su di lei il sangue dei suoi servi!». Quella città mondana, infatti, «sacrificava i servi di Dio, i martiri. E quando Gerusalemme si paganizza, sacrificò il grande martire: il Figlio di Dio».
La visione dell’Apocalisse è grandiosa: «E per la seconda volta dissero: “Alleluia!”. E l’angelo disse: “Venite: Beati gli invitati alle nozze dell’Agnello!”». È l’immagine della «grande festa, la vera festa. Non la festa pagana e la festa mondana». Un’immagine di vittoria e di speranza evocata anche da Gesù nel vangelo: «In quel momento di tragedia, allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi — davanti alle tragedie, alla distruzione della paganità, della mondanità, risollevatevi — alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina».
Ecco il messaggio che interpella ogni cristiano: «Ci sono delle tragedie, anche nella nostra vita, ma davanti a queste, guardare l’orizzonte, perché siamo stati redenti e il Signore verrà a salvarci. E questo — ha aggiunto Francesco — ci insegna a vivere le prove del mondo non in un patto con la mondanità o con la paganità che ci porta alla distruzione, ma in speranza, distaccandoci da questa seduzione mondana e pagana, e guardando l’orizzonte, sperando Cristo, il Signore».
In questa prospettiva di speranza, il Papa ha invitato a gettare uno sguardo al passato, anche recente per rileggere la storia alla luce della parola di Dio: «Pensiamo come sono finite le “babilonie” di questo tempo. Pensiamo agli imperi del secolo scorso, per esempio: “Era la grande, la grande potenza...”. Tutto crollato. Solo, rimangono gli umili che hanno la propria speranza nel Signore. E così finiranno anche le grandi città di oggi». Allo stesso modo «finirà la nostra vita, se continuiamo a portarla su questa strada di paganizzazione. È il contrario della speranza: ti porta alla distruzione. È la seduzione babilonica della vita che ci allontana dal Signore». Invece il Signore, ha concluso il Pontefice, invita a un percorso «contrario: andare avanti, guardare con quell’Alleluia di speranza», perché «siamo, tutti noi, stati invitati alla festa di nozze del Figlio di Dio». Quindi «apriamo il cuore con speranza e allontaniamoci dalla paganizzazione della vita».
[Papa Francesco, omelia s. Marta, in L’Osservatore Romano 30/11/2018]