Avvento: Venuta, Preghiera e svolta, tra fragore di flutti.
La reinterpretazione del colore liturgico viola
(Lc 21,25-28.34-36)
«Gerusalemme sarà calpestata»: crepuscolo e speranze
Collocarsi negli sconvolgimenti “astrali”
(Lc 21,20-28)
«E vi saranno segni nel sole e nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di nazioni in preda allo smarrimento per il fragore del mare e dei flutti» (v.25).
«In questi anni in cui s’inscrive la realtà quotidiana del nostro secolo, tormentato già allo spuntare di un nuovo millennio, portatrice di speranze dell’umanità. Il processo storico di inculturazione del Vangelo e dell’evangelizzazione delle culture è ben lontano dall’avere esaurito tutte le sue energie latenti. L’eterna novità del Vangelo incontra le apparizioni delle culture in genesi o in fase di rinnovamento. L’emergenza delle nuove culture fa appello, con evidenza, al coraggio e all’intelligenza di tutti i credenti e di tutti gli uomini di buona volontà. Trasformazioni sociali e culturali, sconvolgimenti politici, fermenti ideologici, inquietudini religiose, ricerche etiche, è tutto un mondo in gestazione che aspira a trovare forma e orientamento, sintesi organica e nuova stagione profetica. Sappiamo attingere risposte nuove nel tesoro della nostra speranza.
Assecondati da squilibri socio-politici, dalle scoperte scientifiche non pienamente controllate, da invenzioni tecniche di un’ampiezza inaudita, gli uomini restano confusamente il crepuscolo delle vecchie ideologie e l’usura dei vecchi sistemi. I popoli nuovi provocano le vecchie società, come per svegliarle dalla loro lassezza. I giovani alla ricerca di ideali aspirano a dare un senso che abbia valore all’avventura umana. Né la droga, né la violenza né la permissività né il nichilismo possono riempire il vuoto dell’esistenza. Le intelligenze e i cuori sono alla ricerca della luce che rischiari e dell’amore che riscaldi. La nostra epoca ci rivela nel vuoto la fame spirituale e l’immensa speranza delle coscienze».
[Papa Giovanni Paolo II, Discorso al Pontificio Consiglio per la Cultura 13 gennaio 1986]
Al tempo di Gesù la città eterna si stava autodistruggendo, ma la distanza fra cielo e terra si assottigliava.
Parola viva e meditazione ecclesiale.
Anche oggi sperimentiamo rovesciamenti: d’improvviso il centro appagante diventa periferia malmessa, e viceversa.
E in qualsiasi ceto sociale, ciascuno aspira, tenta, esplora, migra, vuole vivere completamente; non si accontenta più delle condizioni di partenza.
L’inquietudine si diffonde anche nell’istituzione religiosa, che pareva fissa, certa, eterna, immutabile.
Di recente lo stesso Pontefice ha parlato di «degenerazione» interna.
Come spiegare questo fatto? A cosa è finalizzato il trauma? E la caduta di fede che ne scaturisce?
Al contrario, ciò che conta della crisi è proprio negli stati interiori che attiva - malgrado le percezioni esterne di perdita.
Bisogna sganciarsi da cause apparenti, per entrare nel profondo degli spazi che sentiamo violati.
Quel dolore è parte di noi stessi, del cammino di Fede.
Riconoscendolo e accogliendolo come vena intima, lato genuino dell’essere che ci appartiene, si riconquista integrità; si può ripartire.
La Chiesa autentica pensa al senso del cammino… anche dell’intera storia.
Essa riflette in particolare sulla disfatta della città santa e sull’instabilità del suo cosmo - quello delle gerarchie vetuste: ciò che era in alto ora cade rovinosamente.
La vecchia terra delle “promesse” è d’improvviso disseminata di rovine: il suo pareva un tempo paradisiaco, spacciato per divino; invece era un attimo, forse in gran parte di terra.
Sulle macerie ecco profilarsi la fine dell’assetto antico, sconvolto nell’arcaico prestigio e nello stesso ordinamento.
Come ha dichiarato Papa Francesco [ad esempio]: «In una Chiesa per i poveri, più missionaria, non c’è spazio per chi si arricchisce o fa arricchire il suo cerchio magico indossando indegnamente l’abito talare».
Il mondo nuovo avrà gerarchie rovesciate (vv.25-26) e sta provocando già lo sgretolamento dei piedistalli della mitologia politica, devota e sociale, rivelatisi terra terra.
Hanno finito per spegnere la loro inutile attrattiva; hanno esaurito il loro tempo. Ciò mentre un «meraviglioso popolo segue Gesù Cristo».
Prima l’ossessione di peccato, la soggezione e inadeguatezza predicate a tutti, nonché le steppe disumanizzanti, aride, prodotte dal potere civile, militare e religioso.
Frutti amari generati da potenze elette, da prìncipi mondani, dalle star che parevano celesti [sole, luna, stelle e potenze che hanno sempre sovrastato l’umanità: vv.25-26].
Ai loro insegnamenti è stato tolto il velo: erano per nulla angelici, bensì di questo mondo.
Avevano programmi parziali, puramente temporali. Non formavano tutta la vita.
Ed ecco finalmente l’innesco di un nuovo Regno, che s’inaugura nell’aspetto di un Figlio, d’un Amico dal cuore di uomo e non di belva (cf. Dn 7,2-14).
Sul fondo della storia istituzionale s’aggira un senso di morte, ma proprio qui l'anima si libera e sublima.
Una nuova Chiamata suscita la coscienza personale e soppianta gli antichi principati. Vertici sociali che dettavano legge e controllavano tutto, opprimendo e stritolando ogni espressione inedita di vita che saliva dal basso.
Viceversa, la Vocazione per Nome offre l’armonia e fraternità del Disegno originario, concepito come Festa nuziale.
Le verità ancora consolidate saranno invece (finalmente) misurate da una Presenza salvatrice.
“Carne” come noi e “Roccia” come Dio.
Una Grazia impegnativa si sta ergendo sulla presunta catastrofe, tappa inesorabile per l’instaurazione di tutt’altra Fraternità - e l’apparire di una nuova Creazione.
In tal guisa, rovina e distruzione si volgeranno in alta consapevolezza; esodo, gioia di trasformazione, senso di libertà.
Speranza fanciulla che ricompone lo spavento di coloro che pensavano la Solenne Religione e le sublimi autorità talari in trono come fortilizio sicuro.
Compito delle nuove comunità in Cristo sarà l’avvio, l’edificazione e il compimento di una storia umanizzante, fonte in se stessa di Speranza; che vince il tempo del pre-umano e lo soppianta con estrema decisione.
Il rapporto tra fedeli e mondanità piramidali - un tempo spacciate per sovreminenti e quasi collocate in cielo, nell’alto - sarà di contrasto.
Quel cosmo ormai divenuto senza senso sta implodendo, nell’agonia della sua finitezza.
Per tale sommovimento c’è solo da gioire.
Lo stile di coloro che rendono umano il mondo sarà viceversa foriero di vittoria che divinizza ciascuno - trionfo questo sì ultraterreno.
Perché il lievito della storia è quello del corpo piegato nel servizio, e del capo alzato nell’attesa del Signore che Viene in continuità.
In ogni occasione l’attitudine della donna e dell’uomo di Fede rimarrà quella di chi prepara un accadimento nuovo, imprevedibile e determinante [come sempre si rivela l’appuntamento col Cristo Veniente e Viandante anche nei dettagli dell’esistenza].
Ma bisogna aiutarsi a percepire la vicinanza di tale senso impersonato: la scelta tra crollo e disperazione o felicità e liberazione avviene ora, nel tempo della vita che volge al momento dell’incontro col Risorto glorioso.
Saremo senza rimpianti per il “fumo” impressionante di ciò che si è autodistrutto - a motivo della sua scarsa cifra umano-divina.
E a tutti i costi permarremo fedeli non a ideologie o “solidi” idoli di ciccia e cartapesta, ma all’esperienza di Dio in dimensione missionaria, consapevoli che il futuro si compie giorno per giorno.
Tutto questo attiveremo, anche quando saremo ritenuti poco avveduti, per le comuni configurazioni.
Quindi - estromessi da ruoli - comprometteremo la nostra bella e più serena carriera di funzionari.
Ragione in più per farci convitati che si accorgono.
In Lui gli sconvolgimenti si tramuteranno: in coscienza acuta e relazioni felici, emancipate d’infinità e giustizia.
Nuova Maestà, che non respinge la notte.
Perché quando sostiamo nel dolore che vorremmo fuggire, le distanze fra cielo e terra si stanno assottigliando.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Quanto è umano il tuo divino?
E in materia ecclesiale:
Assumendo il linguaggio di Papa Francesco, cosa pensi del «nemico invisibile» che ancora osteggia la riforma dei meccanismi interni (paganeggianti) e delle anomalie nei palazzi apostolici [e dei «finti amici laici», ovunque] che ben poco si addicono allo spirito evangelico e a un’ideale «casa di vetro»?
Crisi di una civiltà
La «paganizzazione», la «mondanità», la «corruzione» portano alla distruzione della persona. Ma il cristiano, chiamato a confrontarsi con le «prove del mondo», nelle difficoltà della vita ha un orizzonte di speranza perché è invitato alle «nozze dell’Agnello». Durante la messa celebrata a Santa Marta la mattina di giovedì 29 novembre, Papa Francesco ha continuato a seguire gli spunti della liturgia che, nella settimana conclusiva dell’anno liturgico, propone una serie di provocazioni sul tema della fine, della «fine del mondo», della «fine di ognuno di noi».
Nella liturgia della parola del giorno, ha spiegato il Pontefice all’inizio dell’omelia, le due letture tratte dall’Apocalisse (18, 1-2.21-23; 19, 1-3.9) e dal vangelo di Luca (21, 20-28) sono caratterizzate entrambe «da due parti: una parte di distruzione e poi una parte di fiducia; una parte di sconfitta, una parte di vittoria». Al centro dell’attenzione sono poste due città dalla grande potenza evocativa: Babilonia e Gerusalemme, «due città che sono sconfitte».
Innanzitutto Babilonia, «simbolo della città mondana, del lusso, dell’autosufficienza, del potere di questo mondo, ricca». Una realtà che «sembra gioiosa», eppure «sarà distrutta». Lo afferma l’Apocalisse descrivendo «un rito di vittoria: “È caduta. È caduta Babilonia, la grande. È caduta”». Ritenendola «incapace di essere fedele», il Signore la condanna: «Ha condannato la grande prostituta che corrompeva la terra con la sua prostituzione».
Sempre rifacendosi al testo biblico, il Pontefice è entrato nel dettaglio della realtà di Babilonia. «Quell’appariscenza di lusso, di gloria, di potere — ha detto — era una grande seduzione che portava la gente alla distruzione. E quella grande città così bella fa vedere la sua verità: “è diventata covo di demoni, rifugio di ogni spirito impuro, rifugio di ogni uccello impuro, rifugio di ogni bestia impura e orrenda”». Dietro la «magnificenza», quindi, si nasconde la «corruzione: le feste di Babilonia sembravano feste di gente felice», ma «erano feste finte di felicità, erano feste di corruzione». E per questo, ha spiegato il Papa, il gesto dell’angelo descritto dall’Apocalisse ha una potenza simbolica: «Prese una grande pietra, grande come una macina e la gettò nel mare esclamando: “Con questa violenza sarà distrutta Babilonia, la grande città”».
Significativo è l’elenco, ricordato dal Pontefice, delle conseguenze riservate a essa. Innanzitutto non ci saranno più le feste: «Il suono dei musicisti, dei suonatori di cetra, di flauto e di tromba, non si udrà più in te». Poi, giacché non è «una città di lavoro ma di corruzione», in essa non si troverà più «ogni artigiano di qualsiasi mestiere» e non si udrà più «il rumore della macina». E ancora: «La luce della lampada non brillerà più in te; sarà forse una città illuminata, ma senza luce, non luminosa; questa è la civiltà corrotta». Infine, «la voce dello sposo e della sposa non si udiranno più in te”. C’erano tante coppie, tanta gente, ma non ci sarà l’amore».
Un destino di distruzione, ha rimarcato il Pontefice, che «incomincia da dentro e finisce quando il Signore dice: “Basta”. E ci sarà un giorno nel quale il Signore dirà: “Basta, alle apparenze di questo mondo”». Di fatto, ha aggiunto, questa «è la crisi di una civiltà che si crede orgogliosa, sufficiente, dittatoriale e finisce così».
Ma un triste destino è riservato anche all’altra città-simbolo, Gerusalemme. Ne parla il brano evangelico nel quale Gesù — che «da buon israelita» amava Gerusalemme, ma la vedeva «adultera, non fedele alla legge» — dice: «Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, allora sappiate che la sua devastazione è vicina”». Cioè, ha spiegato Francesco, la città «è distrutta per un altro tipo di corruzione: la corruzione dell’infedeltà all’amore». Per questa infedeltà essa «non è stata capace di riconoscere l’amore di Dio nel suo Figlio». Anche per Gerusalemme, dunque, il destino è duro: «E cadrà, e saranno giorni di vendetta. Gerusalemme sarà calpestata dai pagani».
È proprio in questo passaggio del vangelo di Luca che il Pontefice ha individuato «una frase che aiuta a capire il senso della distruzione di ambedue le città: la città mondana e la città santa: “Finché i tempi dei pagani non siano compiuti”». La città santa sarà punita, perché ha aperto «le porte del cuore ai pagani». Il Papa ha spiegato come qui emerga «la paganizzazione della vita, nel nostro caso, cristiana»; e ha lanciato una provocazione: «Viviamo come cristiani? Sembra di sì. Ma in verità, la nostra vita è pagana». Il cristiano, cioè, entra nella medesima «seduzione della Babilonia e Gerusalemme vive come Babilonia. Vuol fare una sintesi che non si può fare. E ambedue saranno condannate». Da qui le domande: «Tu sei cristiano? Tu sei cristiana?». Allora, ha esortato, «vivi come cristiano», perché «non si può mescolare l’acqua con l’olio». Oggi invece assistiamo alla «fine di una civiltà contraddittoria in sé stessa, che dice di essere cristiana» ma «vive come pagana».
A questo punto, nella riflessione di Francesco si è aperto l’orizzonte di speranza suggerito dalle letture. Infatti, «dopo la fine della città mondana e della città di Dio paganizzata, si udrà la voce del Signore: “Dopo questo udii come una voce potente di folla immensa nel cielo che diceva: Alleluia!”». Quindi: «dopo la distruzione c’è la salvezza». Come si legge nel capitolo 19 dell’Apocalisse: «Salvezza, gloria e potenza sono del nostro Dio, perché veri e giusti sono i suoi giudizi». E la distruzione delle due città, ha spiegato il Pontefice, è «un giudizio di Dio: Egli ha condannato la grande prostituta che corrompeva la terra con la sua prostituzione, vendicando su di lei il sangue dei suoi servi!». Quella città mondana, infatti, «sacrificava i servi di Dio, i martiri. E quando Gerusalemme si paganizza, sacrificò il grande martire: il Figlio di Dio».
La visione dell’Apocalisse è grandiosa: «E per la seconda volta dissero: “Alleluia!”. E l’angelo disse: “Venite: Beati gli invitati alle nozze dell’Agnello!”». È l’immagine della «grande festa, la vera festa. Non la festa pagana e la festa mondana». Un’immagine di vittoria e di speranza evocata anche da Gesù nel vangelo: «In quel momento di tragedia, allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi — davanti alle tragedie, alla distruzione della paganità, della mondanità, risollevatevi — alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina».
Ecco il messaggio che interpella ogni cristiano: «Ci sono delle tragedie, anche nella nostra vita, ma davanti a queste, guardare l’orizzonte, perché siamo stati redenti e il Signore verrà a salvarci. E questo — ha aggiunto Francesco — ci insegna a vivere le prove del mondo non in un patto con la mondanità o con la paganità che ci porta alla distruzione, ma in speranza, distaccandoci da questa seduzione mondana e pagana, e guardando l’orizzonte, sperando Cristo, il Signore».
In questa prospettiva di speranza, il Papa ha invitato a gettare uno sguardo al passato, anche recente per rileggere la storia alla luce della parola di Dio: «Pensiamo come sono finite le “babilonie” di questo tempo. Pensiamo agli imperi del secolo scorso, per esempio: “Era la grande, la grande potenza...”. Tutto crollato. Solo, rimangono gli umili che hanno la propria speranza nel Signore. E così finiranno anche le grandi città di oggi». Allo stesso modo «finirà la nostra vita, se continuiamo a portarla su questa strada di paganizzazione. È il contrario della speranza: ti porta alla distruzione. È la seduzione babilonica della vita che ci allontana dal Signore». Invece il Signore, ha concluso il Pontefice, invita a un percorso «contrario: andare avanti, guardare con quell’Alleluia di speranza», perché «siamo, tutti noi, stati invitati alla festa di nozze del Figlio di Dio». Quindi «apriamo il cuore con speranza e allontaniamoci dalla paganizzazione della vita».
[Papa Francesco, omelia s. Marta, in L’Osservatore Romano 30/11/2018]
Parole e Natura, codici che non passeranno (vers. Breve)
Le Fonti della Speranza
(Lc 21,29-33)
Lc termina il suo Discorso Apocalittico con delle raccomandazioni sull’attenzione e lo sguardo penetrante da porre al segno dei tempi.
E - radicata nella Parola di Dio che si fa evento e dirige al futuro, la Speranza inaugura una fase nuova della storia.
La sua profondità sorpassa tutte le possibilità attuali, le quali viceversa oscillano inquiete fra segni di catastrofe.
Gesù rasserena i discepoli sui timori di fine del mondo, e impone di non guardare messaggi in codice, ma la Natura.
Solo così essi riusciranno a leggere e interpretare gli avvenimenti.
Discernimento saggio, che serve a non chiuderci nel presente immediato: esso spinge su una strada di uniformità o difesa.
Infatti, a motivo degli sconvolgimenti, una valutazione precipitosa potrebbe indurci a temere rovesci, bloccando la crescita e la testimonianza.
Il mondo e le cose camminano verso una Primavera, e anzitutto in tal senso abbiamo un ruolo di sentinella.
Sulle rovine d’un secolo che crolla, il Padre fa capire quanto succede - e continua a costruire ciò che speriamo [non secondo gusti immediati].
Qua e là possiamo coglierne i vagiti, come i germogli sul fico.
È un albero che allude al frutto d’amore che Dio attende dal suo popolo, chiamato a essere tenero e dolce: segni della nuova stagione - quella delle relazioni sane.
In tal guisa, lo spirito di dedizione manifestato dai figli sarà prefigurazione dell’avvento prossimo d’un impero completamente differente - in grado di sostituire nelle coscienze tutti gli altri di carattere competitivo.
Il fico è appunto immagine dell’ideale popolo delle benedizioni; Israele dell’esodo verso la libertà, e traccia del Padre [nella sobrietà riflessiva e condivisione del deserto].
Esso permane a lungo spoglio e scheletrito; d’improvviso le sue gemme spuntano, si schiudono e in pochi giorni si riveste di foglie rigogliose.
Tale sarà il passaggio dal caos all’ordine sensibile e fraterno prodotto dalla proclamazione e assimilazione della Parola: pensiero non uguale; passo divino nella storia.
Attraverso suggestioni che appartengono a processi di natura, siamo introdotti nel discernimento del Mistero - espresso nell’arco della fiumana di trasformazioni.
Le sue ricchezze sono contenute nei codici del Verbo e negli eventi ordinari concreti, i quali hanno un sintomatico peso. Scrigni delle realtà invisibili, che non passano.
Tale dovizia svilupperà persino (e in specie) dalla confusione e dai crolli, come per intrinseca forza ed essenza, giorno per giorno.
Non per un’astratta esemplarità, ma per pienezza della vita che ritrova le proprie radici - riscoprendole nell’errore e nel piccolo.
Un paradossale germe di speranza, e presagio di condizioni migliori.
Perché senza imperfezione e limite non esiste crescita o fioritura, né Regno vicino (vv.30-31) il quale prende sempre «contatto con le ferite» [Fratelli Tutti n.261].
Parola di Dio e ritmi della Natura sono codici che passano il tempo. Rilievi autentici, creati, donati, e rivelati.
Sorgenti di discernimento, dello sguardo penetrante, dei segni del tempo, del pensiero libero, della Speranza che non si accoda.
L’Oggi plurale di Dio nella storia, umanizzante
Attenti a non appesantire, Vegliate «pregando in ogni momento»
(Lc 21,34-36)
Il nuovo mondo piomba addosso in modo alternativo, e s’impone da un momento all’altro, senza preavvisi concatenati o troppo educati.
Ma è proprio questa l’opera dello Spirito che pungola l’unilateralità, che butta all’aria le connessioni categoriche (anche della vita pia).
Tale Vento impetuoso sembra stia sgretolando tutto, invece agisce per radunarci.
Come dice il Pontefice, i cambiamenti nella Chiesa non si fanno «come se fosse una ditta, per maggioranza o minoranza».
Oltre lo scoraggiamento, di fronte agli eventi-lampo sconvolgenti c’è il pericolo di perdita della coscienza critica plurale che ci riporterebbe davvero a casa, e la fuga (anche da noi stessi).
Viceversa, la donna e l’uomo di Fede scoprono la Venuta di Cristo fra la gente e i molti “congiunti” dell’anima, tutti autentici compagni di viaggio.
Egli interpella sempre la nostra libertà su una speranza larga e inclusiva, che raduna i moti interiori - persino i più disparati; una sorta di nuova «sinodalità».
I discepoli veri intuiscono il nuovo Regno che irrompe improvviso - non secondo una procedura di «partito» [continuando a citare Papa Francesco in Udienza generale: v. sotto].
Donne e uomini di Fede esercitano la percezione, si accorgono dei vagiti della vita nuova; non s’abbattono.
Non ricercano palliativi o idee cerebrali à la page, che ci disperdono le energie e confondono, o ancor più fanno abbassare la guardia.
D’altro canto, ecco il pericolo di adagiarsi in un tempo istituzionale - e lo spuntare di compensazioni oscure: soluzioni fasulle, che rendono insensibili; buone solo a distrarci, e pure affannose (vv.34-35).
Le evasioni o i mezzucci anestetizzano l’anima.
In fondo, i compromessi permangono espressione del senso d’impotenza e fallimento che talora attanaglia la vita - anche spirituale - partigiana [oggi coi suoi piccini orientamenti disincarnati; o di recupero del terreno perduto, o di eccesso di sofisticazione].
E le tragiche dissolutezze non sono che una spia del tentativo di evasione, o ritorno indietro - d’irresolubili attaccamenti.
Idoli-trappola [«laccio» del v.35] da tenere a distanza: non consentono di accorgersi del Signore che Viene.
Limitano la ricchezza che vuole sopraggiungere. Dovizia che in verità già conteniamo: nei lati cui ancora non abbiamo dato spazio. In essi dimora un Sé eminente, autentico e nascosto.
Lì - nel Mistero - brulica vita nuova. Vene inesplorate che attendono. Versanti d’inconscio che vogliono esprimersi. A contatto con la nostra Chiamata per Nome ed essenza profonda.
Risorse intime da valorizzare e innescare per sapiente dilatazione; persino con frutto amaro - da eventi che appaiono minacciosi, e però attivano uno scavo, una scoperta, un Esodo.
Quindi non dividiamo il panorama in modo isterico, tra emozioni belle e brutte: per il “nuovo” di dove siamo e saremo, anche perigli o amarezze, soste o deviazioni avranno avuto senso.
Insomma non ci lasciamo ridurre né ghermire dalla lotta lacerante tra bianco e nero… però non rinunciamo alla virtù di gettare zavorre, superando i timori, per allargare lo sguardo.
La Preghiera si fa qui terapia, Presenza, Motivo e Motore; fonte e culmine. Medicina e Pane per il viaggio di coloro che non vogliono lasciarsi mettere a nanna, ma desiderano rimanere svegli, anzi avanzare, e attivare futuro.
Assimilando il punto di vista sacro sui rivolgimenti del mondo, nell’orazione otterremo buona disposizione, sposteremo l’occhio verso orizzonti in cui non compare una sola forma e un solo colore.
Capiremo che la Provvidenza ha ragione, che lo Spirito lavora bene: ci sta avvicinando al progetto pieno del Padre.
Accostandoci in tal guisa anche al desiderio di vita dei fratelli, staremo «ritti in piedi» (v.36) ossia attenderemo e accoglieremo senza paura l’avvento del «Figlio dell’uomo».
Autentica Presenza di Dio - sviluppo vero e pieno del progetto divino sull’umanità.
Forse ancora oggi facciamo difficoltà a credere che il Messia possa identificarsi con Colui che crea abbondanza dov’essa non c’è e prima non sembrava lecito potesse espandersi.
«Figlio dell’uomo» è invece Chi avendo raggiunto il massimo della completezza umana, giunge a riflettere la condizione divina e la irradia in modo diffuso.
Ci si aspettava che tale lato profondo fosse assoluto, performante, e selettivo. Da primo piano.
L’Incarnazione sorprende. Rivaluta perfino il nostro essere scheletrito e carente.
Lo trasforma in Perla preziosa, «fiuto senza cittadinanza»:
«Nel cammino sinodale, l’ascolto deve tener conto del sensus fidei, ma non deve trascurare tutti quei “presentimenti” incarnati dove non ce l’aspetteremmo: ci può essere un “fiuto senza cittadinanza”, ma non meno efficace. Lo Spirito Santo nella sua libertà non conosce confini, e non si lascia nemmeno limitare dalle appartenenze. Se la parrocchia è la casa di tutti nel quartiere, non un club esclusivo, mi raccomando: lasciate aperte porte e finestre, non vi limitate a prendere in considerazione solo chi frequenta o la pensa come voi – che saranno il 3, 4 o 5%, non di più. Permettete a tutti di entrare… Permettete a voi stessi di andare incontro e lasciarsi interrogare, che le loro domande siano le vostre domande, permettete di camminare insieme: lo Spirito vi condurrà, abbiate fiducia nello Spirito. Non abbiate paura di entrare in dialogo e lasciatevi sconvolgere dal dialogo: è il dialogo della salvezza.
La sua profondità è radicata non nella “perfezione” più algida, bensì in tutto ciò che non è seduto - e sorpassa le categorie della religiosità antica, unilaterale, perbene» [Papa Francesco, Discorso alla Diocesi di Roma, 18 settembre 2021].
Gli accadimenti - anche quelli opposti (e inseparabili) - parlano, in noi; sviluppano per energia interiore.
Sono scrigni di realtà coinvolgenti; contengono un segreto da stupore, una destinazione che sorprende.
Vigilanza e Preghiera ci preparano a questo inatteso Incontro, che è crescita e umanizzazione del popolo: il traboccare tranquillo, vero e pieno del progetto Eterno, trasferito a maglie larghe.
Ciò senza rassegnarsi… pur nel sommario del quotidiano - nonché per la visione e azione di profeti che non biasimano la propria finitudine. Anzi, la considerano terreno di svolta.
Questo rende veniente e presente il Figlio incarnato, animando «ogni cosa» pur nell’età dell’incertezza - sostenuti da preghiera «fuoco vivo dello Spirito, che dà forza alla testimonianza e alla missione».
Tutto ciò apre a una ecclesialità sana e non dissociata:
Coordinate della Ecclesialità
I primi passi della Chiesa nel mondo sono stati scanditi dalla preghiera. Gli scritti apostolici e la grande narrazione degli Atti degli Apostoli ci restituiscono l’immagine di una Chiesa in cammino, una Chiesa operosa, che però trova nelle riunioni di preghiera la base e l’impulso per l’azione missionaria. L’immagine della primitiva Comunità di Gerusalemme è punto di riferimento per ogni altra esperienza cristiana. Scrive Luca nel Libro degli Atti: «Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere» (2,42). La comunità persevera nella preghiera.
Troviamo qui quattro caratteristiche essenziali della vita ecclesiale: l’ascolto dell’insegnamento degli apostoli, primo; secondo, la custodia della comunione reciproca; terzo, la frazione del pane e, quarto, la preghiera. Esse ci ricordano che l’esistenza della Chiesa ha senso se resta saldamente unita a Cristo, cioè nella comunità, nella sua Parola, nell’Eucaristia e nella preghiera. È il modo di unirci, noi, a Cristo. La predicazione e la catechesi testimoniano le parole e i gesti del Maestro; la ricerca costante della comunione fraterna preserva da egoismi e particolarismi; la frazione del pane realizza il sacramento della presenza di Gesù in mezzo a noi: Lui non sarà mai assente, nell’Eucaristia è proprio Lui. Lui vive e cammina con noi. E infine la preghiera, che è lo spazio del dialogo con il Padre, mediante Cristo nello Spirito Santo.
Tutto ciò che nella Chiesa cresce fuori da queste “coordinate”, è privo di fondamenta. Per discernere una situazione dobbiamo chiederci come, in questa situazione, ci sono queste quattro coordinate: la predicazione, la ricerca costante della comunione fraterna – la carità –, la frazione del pane – cioè la vita eucaristica – e la preghiera. Qualsiasi situazione dev’essere valutata alla luce di queste quattro coordinate. Quello che non entra in queste coordinate è privo di ecclesialità, non è ecclesiale. È Dio che fa la Chiesa, non il clamore delle opere. La Chiesa non è un mercato; la Chiesa non è un gruppo di imprenditori che vanno avanti con questa impresa nuova. La Chiesa è opera dello Spirito Santo, che Gesù ci ha inviato per radunarci. La Chiesa è proprio il lavoro dello Spirito nella comunità cristiana, nella vita comunitaria, nell’Eucaristia, nella preghiera, sempre. E tutto quello che cresce fuori da queste coordinate è privo di fondamento, è come una casa costruita sulla sabbia (cfr Mt 7,24-27). È Dio che fa la Chiesa, non il clamore delle opere. È la parola di Gesù che riempie di senso i nostri sforzi. È nell’umiltà che si costruisce il futuro del mondo.
A volte, sento una grande tristezza quando vedo qualche comunità che, con buona volontà, sbaglia la strada perché pensa di fare la Chiesa in raduni, come se fosse un partito politico: la maggioranza, la minoranza, cosa pensa questo, quello, l’altro… “Questo è come un Sinodo, una strada sinodale che noi dobbiamo fare”. Io mi domando: dov’è lo Spirito Santo, lì? Dov’è la preghiera? Dov’è l’amore comunitario? Dov’è l’Eucaristia? Senza queste quattro coordinate, la Chiesa diventa una società umana, un partito politico – maggioranza, minoranza – i cambiamenti si fanno come se fosse una ditta, per maggioranza o minoranza… Ma non c’è lo Spirito Santo. E la presenza dello Spirito Santo è proprio garantita da queste quattro coordinate. Per valutare una situazione, se è ecclesiale o non è ecclesiale, domandiamoci se ci sono queste quattro coordinate: la vita comunitaria, la preghiera, l’Eucaristia…[la predicazione], come si sviluppa la vita in queste quattro coordinate. Se manca questo, manca lo Spirito, e se manca lo Spirito noi saremo una bella associazione umanitaria, di beneficienza, bene, bene, anche un partito, diciamo così, ecclesiale, ma non c’è la Chiesa. E per questo la Chiesa non può crescere per queste cose: cresce non per proselitismo, come qualsiasi ditta, cresce per attrazione. E chi muove l’attrazione? Lo Spirito Santo. Non dimentichiamo mai questa parola di Benedetto XVI: “La Chiesa non cresce per proselitismo, cresce per attrazione”. Se manca lo Spirito Santo, che è quello che attrae a Gesù, lì non c’è la Chiesa. C’è un bel club di amici, bene, con buone intenzioni, ma non c’è la Chiesa, non c’è sinodalità.
Leggendo gli Atti degli Apostoli scopriamo allora come il potente motore dell’evangelizzazione siano le riunioni di preghiera, dove chi partecipa sperimenta dal vivo la presenza di Gesù ed è toccato dallo Spirito. I membri della prima comunità – ma questo vale sempre, anche per noi oggi – percepiscono che la storia dell’incontro con Gesù non si è fermata al momento dell’Ascensione, ma continua nella loro vita. Raccontando ciò che ha detto e fatto il Signore – l’ascolto della Parola – pregando per entrare in comunione con Lui, tutto diventa vivo. La preghiera infonde luce e calore: il dono dello Spirito fa nascere in loro il fervore.
A questo proposito, il Catechismo ha un’espressione molto densa. Dice così: «Lo Spirito Santo […] ricorda Cristo alla sua Chiesa orante, la conduce anche alla Verità tutta intera e suscita nuove formulazioni, le quali esprimeranno l’insondabile Mistero di Cristo, che opera nella vita, nei sacramenti e nella missione della sua Chiesa» (n. 2625). Ecco l’opera dello Spirito nella Chiesa: ricordare Gesù. Gesù stesso lo ha detto: Lui vi insegnerà e vi ricorderà. La missione è ricordare Gesù, ma non come un esercizio mnemonico. I cristiani, camminando sui sentieri della missione, ricordano Gesù mentre lo rendono nuovamente presente; e da Lui, dal suo Spirito, ricevono la “spinta” per andare, per annunciare, per servire. Nella preghiera il cristiano si immerge nel mistero di Dio, che ama ogni uomo, quel Dio che desidera che il Vangelo sia predicato a tutti. Dio è Dio per tutti, e in Gesù ogni muro di separazione è definitivamente crollato: come dice san Paolo, Lui è la nostra pace, cioè «colui che di due ha fatto una cosa sola» (Ef 2,14). Gesù ha fatto l’unità.
Così la vita della Chiesa primitiva è ritmata da un continuo susseguirsi di celebrazioni, convocazioni, tempi di preghiera sia comunitaria sia personale. Ed è lo Spirito che concede forza ai predicatori che si mettono in viaggio, e che per amore di Gesù solcano mari, affrontano pericoli, si sottomettono a umiliazioni.
Dio dona amore, Dio chiede amore. È questa la radice mistica di tutta la vita credente. I primi cristiani in preghiera, ma anche noi che veniamo parecchi secoli dopo, viviamo tutti la medesima esperienza. Lo Spirito anima ogni cosa. E ogni cristiano che non ha paura di dedicare tempo alla preghiera può fare proprie le parole dell’apostolo Paolo: «Questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (Gal 2,20). La preghiera ti fa conscio di questo. Solo nel silenzio dell’adorazione si sperimenta tutta la verità di queste parole. Dobbiamo riprendere il senso dell’adorazione. Adorare, adorare Dio, adorare Gesù, adorare lo Spirito. Il Padre, il Figlio e lo Spirito: adorare. In silenzio. La preghiera dell’adorazione è la preghiera che ci fa riconoscere Dio come inizio e fine di tutta la storia. E questa preghiera è il fuoco vivo dello Spirito che dà forza alla testimonianza e alla missione.
[Papa Francesco, Udienza Generale 25 novembre 2020]
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