Teresa Girolami è laureata in Materie letterarie e Teologia. Ha pubblicato vari testi, fra cui: "Pellegrinaggio del cuore" (Ed. Piemme); "I Fiammiferi di Maria - La Madre di Dio in prosa e poesia"; "Tenerezza Scalza - Natura di donna"; co-autrice di "Dialogo e Solstizio".
Il capitolo ventuno di Giovanni, nella sua parte conclusiva, mette sulle labbra di Gesù il ripetuto verbo «pascere» dopo la domanda fatta a Pietro: «mi ami?» (Gv 21,15.16); «mi vuoi bene?» (Gv 21,17).
L’essere pastore e il pascere le pecore del gregge era stato per Francesco l’opera principale del suo singolare cammino.
Questa solerte chiamata costituì sempre per Francesco il fondamentale motivo del suo vivere.
Nelle Fonti ci sono brani che ben illustrano tale vocazione.
Nella Leggenda maggiore in particolare:
"Benché, poi, con tutte le sue forze stimolasse i frati ad una vita austera, pure non amava quella severità intransigente che non riveste viscere di pietà e non è condita con il sale della discrezione.
Un frate, a causa di digiuni eccessivi, una notte non riusciva assolutamente a dormire, tormentato com’era dalla fame.
Comprendendo il pietoso pastore che la sua pecorella si trovava in pericolo, chiamò il frate, gli mise davanti un po’ di pane e, per evitargli il rossore, incominciò a mangiare lui per primo, mentre con dolcezza invitava l’altro a mangiare.
Il frate scacciò la vergogna e prese cibo con grandissima gioia, giacché, con la sua vigilanza e la sua accondiscendenza, il Padre gli aveva evitato il danno del corpo e gli aveva offerto motivo di grande edificazione.
Al mattino, l’uomo di Dio radunò i frati e, riferendosi a quanto era successo quella notte, aggiunse questo provvido ammonimento:
«A voi, fratelli, sia di esempio non il cibo, ma la carità».
Li ammaestrò, poi, a seguire sempre nella corsa alla virtù, la discrezione che ne è l’auriga; non la discrezione consigliata dalla sapienza umana, ma quella insegnata da Cristo con la sua vita santissima, che certamente è il modello dichiarato della perfezione" (FF 1095).
Francesco fu un pastore dal raffinato intuito, pronto ad educare con l’amore e il rispetto dell’altro, iniziando dai più piccoli.
Venerdì della 7.a sett. di Pasqua (Gv 21,15-19)
Nella parte conclusiva del capitolo diciassette di Giovanni, Gesù più volte torna sul tema dell’unità, chiedendo al Padre per i suoi che «tutti siano Uno» (Gv 17,21).
Francesco aveva sempre tenuto in gran conto il valore miliare dell’unità, della concordia sia con i suoi frati che con i concittadini.
C’è un brano nelle Fonti, nella Vita seconda del Celano, che evidenzia come il Poverello, mentre predica agli abitanti di Perugia, predice la guerra civile e loda la concordia.
"Alcuni giorni dopo il Padre scese dalla cella suddetta e rivolto ai frati presenti disse con voce di pianto:
«I Perugini hanno arrecato molto danno ai loro vicini* ed il loro cuore si è insuperbito, ma per loro ignominia. Perché si avvicina la vendetta di Dio e questi ha già in pugno la spada».
Attese alcuni giorni, poi in fervore di spirito, si diresse verso Perugia.
I frati poterono dedurre con tutta sicurezza che aveva avuto in cella una visione.
Giunto a Perugia, cominciò a parlare al popolo che si era dato convegno.
E poiché i cavalieri impedivano l’ascolto della Parola di Dio, giostrando, secondo l’uso ed esibendosi in spettacoli d’arme, il Santo, molto addolorato, li apostrofò:
«O uomini miseri e stolti, che non riflettete e non temete la punizione di Dio!
Ma ascoltate che cosa il Signore vi annunzia per mezzo di questo poverello.
Il Signore vi ha innalzato al di sopra di quanti abitano attorno, e per questo dovreste essere più benevoli verso il prossimo e più riconoscenti a Dio.
E invece, ingrati per tanto beneficio, assalite con le armi in pugno i vicini, li uccidete e li saccheggiate.
Ebbene, vi dico:
non la passerete liscia! Il Signore a vostra maggiore punizione vi porterà a rovina con una guerra fratricida, che vedrà sollevarsi gli uni contro gli altri.
Sarete istruiti dallo sdegno, giacché nulla avete imparato dalla benevolenza».
Poco tempo dopo scoppiò la contesa* : si impugnarono le armi contro i vicini di casa, i popolani infieriscono contro i cavalieri e questi, a loro volta, contro il popolo:
furono tali l’atrocità e la strage, che ne provarono compassione anche i confinanti, che pure erano stati danneggiati.
Castigo ben meritato! Si erano allontanati da Dio Uno e Sommo: era inevitabile che neppure tra loro rimanesse l’unità.
Non vi può essere per uno Stato un legame più forte di un amore convinto a Dio, unito a una fede sincera e senza ipocrisie" (FF 622).
E nel Cantico delle creature ecco un’espressione molto significativa, che ben si lega a quanto detto:
«beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati, / ka la morte seconda no ‘L farrà male» (FF 263).
Francesco si adoperò concretamente perché l’Unità, per cui Cristo era morto sulla croce, dimorasse tra i suoi figli e non solo.
* Si combattè tra Assisi e Perugia in diverse riprese dal 1202 al 1209.
Francesco sembra qui accennare alla sua prigionia.
* La lotta civile riarse più volte: nel 1214, nel 1217 e infine nel 1223-1225, e terminò con l’esilio dei nobili.
Giovedì della 7.a sett. di Pasqua (Gv 17,20-26)
Gesù pronuncia una frase stupenda e impegnativa insieme: «Padre santo conservali nel tuo Nome che mi hai dato, affinché siano Uno come noi» (Gv 17,11b).
Questa espressione contiene un tesoro inesauribile ed è motore e ragion d’essere d’ogni missione.
Francesco consumò se stesso, e altrettanto fece Chiara, per la causa dell’unità nella fraternità e nel mondo, perché da essa deriva anche la pace.
Nel ‘laboratorio francescano’ delle Fonti troviamo un ventaglio di brani che, in modo diretto e indiretto, puntano l’indice sull’unità perseguita dai Poveri assisani.
Nella Lettera ai Fedeli:
«Oh, come è glorioso e santo e grande avere in cielo un Padre!
Oh, come è santo, consolante, bello e ammirabile avere un tale Sposo!
Oh, come è santo, come è delizioso, piacevole, umile, pacifico, dolce e amabile e sopra ogni cosa desiderabile avere un tale fratello e figlio, il quale offrì la sua vita per le sue pecore e pregò il Padre per noi, dicendo:
«Padre santo custodiscili nel tuo nome […] affinché siano santificati nell’unità, come lo siamo noi» (FF 201).
Nella Vita seconda del Celano:
"Fu suo desiderio costante e vigile premura mantenere tra i figli il vincolo dell’unità, in modo che vivessero concordi nel grembo di una sola madre quelli che erano stati attratti dallo stesso spirito e generati dallo stesso padre.
Voleva che si fondessero maggiori e minori, che i dotti si legassero con affetto fraterno ai semplici, che i religiosi, pur lontani tra loro, si sentissero uniti dal cemento dell’amore" (FF 777).
Francesco raccomandava anche alle sorelle povere di San Damiano l’unità dei cuori e nella Regola di Chiara:
«Allo scopo di conservare l’unità della scambievole carità e della pace, tutte le responsabili degli uffici del monastero vengano elette di comune consenso da tutte le sorelle» (FF 2782).
A favore di tutto questo Francesco compose un canto per le sorelle damianite, sapendole contristate dalla sua infermità e, non potendo recarsi di persona da loro, mandò alcuni suoi compagni perché facessero sentire alle recluse quel canto.
"In esso Francesco si proponeva di manifestare alle sorelle, allora e per sempre, il suo ideale: che cioè fossero un solo cuore nella carità e convivenza fraterna, poiché quando i frati erano ancora pochi, esse si erano convertite a Cristo, dietro l’esempio e i consigli di lui, Francesco" (FF 1594).
Uniti a Gesù per essere uniti fra loro, sulle sue orme.
La preghiera conclusiva del Poverello, nella Lettera a tutto l’Ordine, recita:
«Onnipotente, eterno, giusto e misericordioso Iddio, concedi a noi miseri di fare, per la forza del tuo amore, ciò che sappiamo che tu vuoi, e di volere sempre ciò che a te piace, affinché, interiormente purificati, interiormente illuminati e accesi dal fuoco dello Spirito Santo, possiamo seguire le orme del tuo Figlio diletto, il Signore nostro Gesù Cristo, e, con l’aiuto della tua sola Grazia, giungere a te, o Altissimo, che nella Trinità perfetta e nell’Unità semplice vivi e regni glorioso, Dio onnipotente per tutti i secoli dei secoli. Amen» (FF 233).
Mercoledì della 7.a sett. di Pasqua (Gv 17,11b-19)
Gesù si rivolge al Padre dicendoGli di glorificarLo perché il Figlio possa glorificare Lui, mentre prega per quanti gli sono stati affidati nella sua immensa e impervia missione.
L’inizio di questo capitolo, che illustra la stupenda preghiera sacerdotale di Cristo, ci trasferisce nel mondo dell’orazione di Francesco d’Assisi, liturgo dell’universo e dell’umanità.
Nelle Fonti troviamo passi equivalenti - perle della contemplazione francescana.
Nelle Lettere del Minimo assisano:
"Oh, come è glorioso e santo e grande avere in cielo un Padre!
Oh, come è santo, consolante, bello e ammirabile avere un tale Sposo!
Oh, come è santo, come è delizioso, piacevole, umile, pacifico, dolce e amabile e sopra ogni cosa desiderabile avere un tale fratello e figlio, il quale offrì la sua vita per le pecore e pregò il Padre per noi, dicendo:
«Padre santo, custodisci nel tuo nome quelli che mi hai dato. Padre, tutti coloro che mi hai dato nel mondo erano tuoi e tu li hai dati a me […]» (FF 201).
E ancora:
«A Colui che tanto patì per noi, che tanti beni ha elargito e ci elargirà in futuro, a Dio, ogni creatura che vive nei cieli, sulla terra, nel mare e negli abissi, renda lode, gloria, onore e benedizione, poiché egli è la nostra virtù e la nostra fortezza. Egli che solo è buono, solo altissimo, solo onnipotente, ammirabile, glorioso e solo è santo, degno di lode e benedetto per gli infiniti secoli dei secoli. Amen» (FF 202).
Gli stessi figli di Francesco, dopo la dipartita del padre santo, li vediamo pregare con parole e atteggiamenti che richiamano la preghiera sacerdotale di Gesù.
«Ricordati, o Padre, di tutti i tuoi figli. Tu, o santissimo, conosci perfettamente come, angustiati da gravi pericoli, solo da lontano seguono le tue orme. Dà loro forza per resistere, purificali perché risplendano, rendili fecondi perché portino frutto. Ottieni che sia effuso su di loro lo spirito di grazia e di preghiera, perché abbiano la vera umiltà che tu hai avuto, osservino la povertà che tu hai seguito, meritino quella carità con cui tu hai sempre amato Cristo Crocifisso. Egli vive e regna col Padre e lo Spirito Santo nei secoli dei secoli. Amen» (FF 820).
«Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per quelli che mi hai dato, perché sono tuoi» (Gv 17,9).
Martedì 7.a sett. di Pasqua (Gv 17,1-11a)
Lasciato solo dai discepoli, Gesù risponde loro ricordando e sottolineando la Comunione col Padre.
Li invita alla Pace, spronandoli a essere coraggiosi - perché Lui ha vinto il mondo.
Francesco affrontava con coraggio le avversità, sapendo che sono inevitabili per chi ama il Regno.
Il Poverello le incontrava ad ogni dove, ma si relazionava con le prove cantando, poiché Gesù aveva trionfato su di esse.
Le Fonti raccontano di un episodio avvenuto presso Caprignone:
"Vestito di cenci, colui che un tempo si adornava di abiti purpurei, se ne va per una selva, cantando le lodi di Dio in francese.
Ad un tratto, alcuni manigoldi si precipitano su di lui, domandandogli brutalmente chi sia.
L’uomo di Dio risponde impavido e sicuro:
«Sono l’araldo del gran Re; vi interessa questo?».
Quelli lo percuotono e lo gettano in una fossa piena di neve, dicendo:
«Stattene lì, zotico araldo di Dio!».
Ma egli, rivoltandosi di qua e di là, scossasi di dosso la neve, appena i briganti sono spariti, balza fuori dalla fossa e, tutto giulivo, riprende a cantare a gran voce, riempiendo il bosco con le lodi al Creatore di tutte le cose" (FF 346).
Esempio di coraggio e di fiducia nel Signore!
Francesco, il cui nome viene dall’antico tedesco e significa «libero», appunto liberamente continuava il suo cammino tra i marosi del mondo.
Il coraggio cui Gesù chiamava, lo chiedeva nella preghiera.
Nella Leggenda maggiore si narra:
"I concittadini, al vederlo squallido in volto e mutato nell’animo, ritenendolo uscito di senno, gli lanciavano contro il fango e i sassi delle strade, e, strepitando e schiamazzando, lo insultavano come un pazzo, un demente.
Ma il servo di Dio, senza scoraggiarsi o turbarsi per le ingiurie, passava in mezzo a loro, come se fosse sordo" (FF 1041).
«Nel mondo avete tribolazione. Ma fatevi coraggio! Io ho vinto il mondo» (Gv 16,33).
Lunedì della 7.a sett. di Pasqua (Gv 16,29-33)
Il brano del Vangelo di Luca evidenzia il mandato di Gesù ai suoi, inviati a predicare la Parola a tutti i popoli.
Gesù sottolinea che «nel suo nome sarebbe stata predicata a tutti i popoli la conversione in remissione dei peccati» (Lc 24,47).
Francesco, fedele Araldo di Cristo e annunciatore costante della Parola, ebbe sempre a cuore la diffusione della Buona Novella del Regno per la salvezza di ogni fratello.
Nelle Fonti, percorso delle prime esperienze di fede, troviamo conferma di tale atteggiamento.
Nella Vita prima del Celano leggiamo:
"Era veramente fermo e costante nel bene, e null’altro cercava se non di compiere la volontà di Dio. E infatti, quando anche predicava la parola del Signore davanti a migliaia di persone, era tranquillo e sicuro, come se parlasse con il suo fratello e compagno.
Ai suoi occhi un’immensa moltitudine di uditori era come un uomo solo, e con la stessa diligenza che usava per le folle predicava ad una sola persona.
Dalla purezza del suo cuore attingeva la sicurezza della sua parola, e anche invitato all’improvviso, sapeva dire cose mirabili e mai udite prima" (FF 447).
Nella Leggenda maggiore, poi, viene evidenziato il suo modo di annunciare il Vangelo.
"Gente di ogni età e d’ogni sesso correva a vedere e ad ascoltare quell’uomo nuovo, donato dal cielo al mondo.
Egli pellegrinava per le varie regioni, annunciando con fervore il Vangelo; e il Signore cooperava, confermando la Parola con i miracoli che l’accompagnavano.
Infatti, nel nome del Signore, Francesco, predicatore della verità, scacciava i demoni, risanava gli infermi, e, prodigio ancor più grande, con l’efficacia della sua parola inteneriva e muoveva a penitenza gli ostinati e, nello stesso tempo, ridonava la salute ai corpi e ai cuori" (FF 1212).
Il Povero d’Assisi, consapevole dei patimenti di Cristo, attingeva forza per l’annuncio dagli insegnamenti di Gesù.
L’ascendere di Cristo al Padre lo avvertiva come un andare di Lui a "prepararci un posto".
Per questo, infervorato dalla missione affidata dal Signore ai suoi discepoli, predicava alacremente il Vangelo ad ogni creatura sotto il cielo, pregando costantemente.
Ascensione del Signore (Lc 24,46-53)
Il brano di Luca proposto oggi dalla Liturgia presenta la visita di Maria, Madre di Gesù, alla cugina Elisabetta. Entrambe sono in attesa della nascita del proprio figlio, che portano in grembo. Un’attesa confortata da un sussulto di gioia nel ventre di Elisabetta e dall’inno del Magnificat sulle labbra di Maria.
È uno splendido incontro che attesta le grandi opere di Dio in coloro che credono in Lui.
Francesco e Chiara vissero il loro incontro e quello con ogni creatura come Visitazione della Grazia presso di loro, rallegrandosi e commuovendosi per la bellezza dell’opera divina.
Nelle Fonti ci sono passaggi che lasciano intravvedere tutto questo.
Basta scorrere le Lettere di Chiara alla sua figlia spirituale, Agnese di Boemia, per rendersi conto come, pur distanti, godessero l’un l’altra per le meraviglie operate da Dio in loro, comunicandosele.
«Alla venerabile e santissima vergine, Donna Agnese, figlia dell’esimio e illustrissimo re di Boemia, Chiara, indegna serva di Gesù Cristo ed ancella inutile delle Donne recluse del monastero di San Damiano, sua suddita in tutto e serva […] augura di conseguire la gloria dell’eterna felicità» (FF 2859 - Lettera prima).
«Memore del tuo proposito, come un’altra Rachele, tieni sempre davanti agli occhi il punto di partenza. I risultati raggiunti, conservali; ciò che fai, fallo bene; non arrestarti; ma anzi, con corso veloce e passo leggero, con piede sicuro, che neppure alla polvere permetta di ritardarne l’andare, cautamente avanza confidente, lieta e sollecita nella via della beatitudine» (FF 2875 - Lettera seconda).
E ancora:
«Ti ammiro […] stringere a te, mediante l’umiltà, con la forza della fede e le braccia della povertà, il tesoro incomparabile, nascosto nel campo del mondo e dei cuori umani, col quale si compra Colui che dal nulla trasse tutte le cose» (FF 2885 - lettera terza).
«Colloca i tuoi occhi davanti allo specchio dell’eternità, colloca la tua anima nello splendore della gloria, colloca il tuo cuore in Colui che è figura della divina sostanza, e trasformati interamente, per mezzo della contemplazione, nella immagine della divinità di Lui» (FF 2888 - lettera terza).
Quindi Chiara, amabilmente, esorta Agnese e con gioia:
«A quel modo, dunque, che la gloriosa Vergine delle vergini portò Cristo materialmente nel suo grembo, tu pure, seguendo le sue vestigia, specialmente dell’umiltà e povertà di lui, puoi sempre, senza alcun dubbio, portarlo spiritualmente nel tuo corpo casto e verginale.
E conterrai in te Colui dal quale tu e tutte le creature sono contenute, e possederai ciò che è bene più duraturo e definitivo anche a paragone di tutti gli altri possessi transeunti di questo mondo» (FF 2893 - lettera terza).
La danza di gioia di queste due grandi anime visitate dalla Grazia evidenzia come il Signore, di generazione in generazione, continui a compiere i suoi disegni di salvezza in modo mirabile e inarrestabile.
«L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore, perché ha rivolto il suo sguardo alla bassezza della sua serva» (Lc 1,46b-48a)
Visitazione B.V. Maria, 31 maggio (Lc 1,39-56)
Gesù parla ai suoi dicendo: «La vostra gioia nessuno potrà togliere da voi» (Gv 16,22).
La felicità che viene da Lui è duratura, è autentica perché fondata su pilastri non mondani.
Francesco trovava gioia nella povertà e fraternità. Ancor più nell’orazione, nel rapporto interiore con Cristo.
Era la sua allegrezza quella proveniente dall’essere Araldo del Gran Re, che poggiava i propri piedi sulle orme del Figlio di Dio.
Nelle Fonti, sorgente dell’esperienza originaria francescana, vi sono passi che lo avvalorano.
Il Celano, solerte biografo, nella Vita prima, informa sulla vita fraterna e gioiosa dei frati:
“Da cultori fedeli della santissima povertà, poiché non possedevano nulla, non s’attaccavano a nessuna cosa, e niente temevano di perdere.
Erano contenti di una sola tonaca, talvolta rammendata dentro e fuori, tanto povera e senza ricercatezze da apparire in quella veste dei veri crocifissi per il mondo, e la stringevano ai fianchi con una corda, e portavano rozzi calzoni.
Il loro santo proposito era di restare in quello stato, senza avere altro. Erano perciò sempre sereni, liberi da ogni ansietà e pensiero, senza affanni per il futuro; non si angustiavano neppure di assicurarsi un ospizio per la notte, anche se pativano grandi disagi nel viaggio. Sovente, durante il freddo più intenso, non trovando ospitalità, si rannicchiavano in un forno, o pernottavano in qualche spelonca" (FF 388).
Nella Leggenda dei Tre compagni, Francesco e frate Egidio vibrano di gioia nel Signore:
"Francesco unitamente a Egidio andò nella Marca di Ancona, gli altri due si posero in cammino verso un’altra regione. Andando verso la Marca, esultavano giocondamente nel Signore.
Francesco, a voce alta e chiara, cantava in francese le lodi del Signore, benedicendo e glorificando la bontà dell’Altissimo. Tanta era la loro gioia, che pareva avessero scoperto un magnifico tesoro nel podere evangelico della signora Povertà, per amore del quale si erano generosamente e spontaneamente sbarazzati di ogni avere materiale, considerandolo alla stregua dei rifiuti […]" (FF 1436).
E Chiara gioisce nel sapere come Agnese di Praga, sua diletta figlia nello Spirito, progredisce nella vita interiore, tanto da dire:
«All’udire la stupenda fama della vostra santa vita religiosa, che non a me soltanto è giunta, ma si è sparsa magnificamente su tutta quasi la faccia della terra, sono ripiena di gaudio nel Signore e gioisco; e di questo possono rallegrarsi non soltanto io, ma tutti coloro che servono o desiderano servire Gesù Cristo» (FF 2860).
I due Poveri d’Assisi vivevano la loro disadorna esistenza, proiettati nel Vangelo di Gesù; riposavano sulla Parola, che preparava loro la beatitudine senza fine.
In attesa del ritorno di Cristo, avevano apparecchiato la loro vita offrendola all’unione con Dio e con i fratelli.
Con letizia accoglievano le esperienze favorevoli e (almeno in apparenza) contrarie, sapendo che Dio è fedele alle sue promesse e ai semplici che lo seguono.
Venerdì della 6.a sett. di Pasqua (Gv 16,20-23a)
This is to say that Jesus has put himself on the level of Peter, rather than Peter on Jesus' level! It is exactly this divine conformity that gives hope to the Disciple, who experienced the pain of infidelity. From here is born the trust that makes him able to follow [Christ] to the end: «This he said to show by what death he was to glorify God. And after this he said to him, "Follow me"» (Pope Benedict)
Verrebbe da dire che Gesù si è adeguato a Pietro, piuttosto che Pietro a Gesù! E’ proprio questo adeguamento divino a dare speranza al discepolo, che ha conosciuto la sofferenza dell’infedeltà. Da qui nasce la fiducia che lo rende capace della sequela fino alla fine: «Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo aggiunse: “Seguimi”» (Papa Benedetto)
Unity is not made with glue [...] The great prayer of Jesus is to «resemble» the Father (Pope Francis)
L’Unità non si fa con la colla […] La grande preghiera di Gesù» è quella di «assomigliare» al Padre (Papa Francesco)
Divisions among Christians, while they wound the Church, wound Christ; and divided, we cause a wound to Christ: the Church is indeed the body of which Christ is the Head (Pope Francis)
Le divisioni tra i cristiani, mentre feriscono la Chiesa, feriscono Cristo, e noi divisi provochiamo una ferita a Cristo: la Chiesa infatti è il corpo di cui Cristo è capo (Papa Francesco)
The glorification that Jesus asks for himself as High Priest, is the entry into full obedience to the Father, an obedience that leads to his fullest filial condition [Pope Benedict]
La glorificazione che Gesù chiede per se stesso, quale Sommo Sacerdote, è l'ingresso nella piena obbedienza al Padre, un'obbedienza che lo conduce alla sua più piena condizione filiale [Papa Benedetto]
All this helps us not to let our guard down before the depths of iniquity, before the mockery of the wicked. In these situations of weariness, the Lord says to us: “Have courage! I have overcome the world!” (Jn 16:33). The word of God gives us strength [Pope Francis]
Tutto questo aiuta a non farsi cadere le braccia davanti allo spessore dell’iniquità, davanti allo scherno dei malvagi. La parola del Signore per queste situazioni di stanchezza è: «Abbiate coraggio, io ho vinto il mondo!» (Gv 16,33). E questa parola ci darà forza [Papa Francesco]
The Ascension does not point to Jesus’ absence, but tells us that he is alive in our midst in a new way. He is no longer in a specific place in the world as he was before the Ascension. He is now in the lordship of God, present in every space and time, close to each one of us. In our life we are never alone (Pope Francis)
L’Ascensione non indica l’assenza di Gesù, ma ci dice che Egli è vivo in mezzo a noi in modo nuovo; non è più in un preciso posto del mondo come lo era prima dell’Ascensione; ora è nella signoria di Dio, presente in ogni spazio e tempo, vicino ad ognuno di noi. Nella nostra vita non siamo mai soli (Papa Francesco)
The Magnificat is the hymn of praise which rises from humanity redeemed by divine mercy, it rises from all the People of God; at the same time, it is a hymn that denounces the illusion of those who think they are lords of history and masters of their own destiny (Pope Benedict)
Il Magnificat è il canto di lode che sale dall’umanità redenta dalla divina misericordia, sale da tutto il popolo di Dio; in pari tempo è l’inno che denuncia l’illusione di coloro che si credono signori della storia e arbitri del loro destino (Papa Benedetto)
don Giuseppe Nespeca
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