Teresa Girolami è laureata in Materie letterarie e Teologia. Ha pubblicato vari testi, fra cui: "Pellegrinaggio del cuore" (Ed. Piemme); "I Fiammiferi di Maria - La Madre di Dio in prosa e poesia"; "Tenerezza Scalza - Natura di donna"; co-autrice di "Dialogo e Solstizio".
Gesù nel Vangelo odierno sottolinea che la Trinità abita chi osserva la sua Parola.
Accenna, poi, alla venuta dello Spirito Santo, che insegnerà loro ogni cosa e sarà la "Memoria" dei discepoli.
Guardando Francesco e Chiara ci accorgiamo come lo Spirito del Signore guidò in modo capillare la loro vita e ne fu Consigliere.
La Leggenda maggiore di San Bonaventura attesta come Francesco si lasciasse condurre e ammaestrare dallo Spirito nel compilare la Regola non bollata (1221).
"Perciò, guidato dallo Spirito Santo, salì su un monte con due compagni e là, digiunando a pane ed acqua, dettò la Regola, secondo quanto gli suggeriva lo Spirito divino durante la preghiera.
Disceso dal monte, l’affidò da custodire al suo vicario. Ma siccome questi, pochi giorni dopo, gli disse che l’aveva perduta per trascuratezza, il Santo tornò di nuovo nella solitudine e subito la rifece in tutto uguale alla precedente, come se ricevesse le parole dalla bocca di Dio.
Ottenne, poi, che venisse confermata, come aveva desiderato, dal sopraddetto papa Onorio, nell’ottavo anno del suo pontificato.
Per stimolare i frati ad osservarla con fervore, diceva che lui non ci aveva messo niente di proprio, ma tutto aveva fatto scrivere così come gli era stato rivelato da Dio" (FF 1084).
Considerava lo Spirito Santo Ministro generale dell’Ordine ed era convinto che parlasse a tutti, specie ai semplici.
Nella Vita seconda del Celano leggiamo:
"Quando Francesco si faceva la tonsura, spesso ripeteva a chi gli tagliava i capelli:
«Bada di non farmi una corona troppo larga! Perché voglio che i miei frati semplici abbiamo parte nel mio capo».
Voleva appunto che l’Ordine fosse aperto allo stesso modo ai poveri e illetterati, e non soltanto ai ricchi e sapienti.
«Presso Dio - diceva - non vi è preferenza di persone e lo Spirito Santo, Ministro generale dell’Ordine, si posa egualmente sul povero ed il semplice» " (FF 779).
La sua singolare unità con lo Spirito la testimoniò in vita e in morte.
"Nell’anno ventesimo della sua conversione, chiese che lo portassero a Santa Maria della Porziuncola, per rendere a Dio lo spirito della vita là dove aveva ricevuto lo spirito della grazia.
Quando vi fu condotto, per dimostrare che, sul modello di Cristo-Verità, egli non aveva nulla in comune con il mondo, durante quella malattia così grave che pose fine al suo penare, si prostrò in fervore di spirito, tutto nudo sulla nuda terra: così, in quell’ora estrema nella quale il nemico poteva ancora scatenare la sua ira, avrebbe potuto lottare nudo con lui nudo.
Così disteso sulla terra, dopo aver deposto la veste di sacco, sollevò la faccia al cielo, secondo la sua abitudine, totalmente intento a quella gloria celeste, mentre con la mano sinistra copriva la ferita del fianco destro, che non si vedesse.
E disse ai frati:
«Io ho fatto la mia parte; la vostra, Cristo ve la insegni» (FF 1239).
E Chiara, avvinta dallo Spirito del Signore, così si esprimeva nella seconda lettera rivolta ad Agnese di Boemia:
«E non credere, e non lasciarti sedurre da nessuno che tentasse sviarti da questo proposito o metterti degli ostacoli su questa via, per impedirti di riportare all’Altissimo le tue promesse con quella perfezione alla quale ti invitò lo Spirito del Signore» (FF 2876).
«Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà tutte le cose e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14,26)
Lunedì della 5.a sett. di Pasqua (Gv 14,21-26)
Francesco aveva cara quell’espressione del Vangelo:
«Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35).
Teneva molto alla testimonianza trasparente, semplice e convincente della sua fraternità, che avrebbe così predicato il Vangelo con la vita.
Nelle Fonti, nella Leggenda dei tre compagni, leggiamo:
"Profondamente umili e maturi nella carità, ognuno nutriva per il fratello i sentimenti che si hanno verso un padre e signore.
Quelli che, per l’incarico che ricoprivano o per qualità personali, avevano nella fraternità un ruolo preminente, si facevano più umili e piccoli di tutti. E ognuno era disposto alla obbedienza più generosa, sempre disponibile al volere del superiore, senza cercare se l’ordine ricevuto fosse giusto o no, perché convinto che qualsiasi comando era conforme alle disposizioni del Signore. In tal modo, riusciva agevole e dolce eseguire qualunque precetto.
Stavano attenti a non cadere vittime di desideri sregolati. Erano giudici implacabili di se stessi, preoccupati di non nuocersi l’un l’altro in nessuna maniera" (FF 1448).
E ancora:
"I frati s’impegnavano a scacciare qualunque rancore e incompatibilità, e a conservare intatto l’amore scambievole.
Facevano il possibile per sostituire a ogni vizio la virtù corrispondente, ispirati e coadiuvati in questo dalla Grazia di Gesù Cristo" (FF 1449).
Ecco un altro passo, che descrive meravigliosamente il loro amarsi nel Signore:
"Nessuna cosa ritenevano proprietà privata, ma libri e altro erano messi a disposizione di tutti, secondo la direttiva trasmessa e osservata dagli Apostoli.
Sebbene fossero in stato di vera indigenza, erano spontaneamente generosi di tutto quello che venisse loro offerto in nome di Dio.
Donavano con gioia, per amore di Lui, le elemosine raccolte, a quanti ne facessero richiesta, massime ai poveri" (FF 1450).
Era amore vero, perché concreto.
Francesco aveva insegnato ai suoi frati che il denaro non valeva più dello sterco d’asino, custodendoli così dai pericoli.
E le Fonti informano:
"Erano felici nel Signore, sempre, non avendo dentro di sé o tra di loro nulla che potesse in qualche modo contristarli.
Quanto più erano separati dal mondo, tanto più si tenevano avvinti a Dio.
Avanzavano sulla via della croce e sui sentieri della giustizia; toglievano dal cammino stretto della penitenza e dell’osservanza evangelica ogni ostacolo, onde lasciare a quelli che li avrebbero seguiti una strada spianata e sicura" (FF 1454).
E Chiara d’Assisi, nel suo stupendo Testamento, rivolta alle sorelle, dice:
«Avendoci, dunque, Egli scelte per un compito tanto elevato, quale è questo, che in noi si possano specchiare tutte coloro che chiama ad essere esempio e specchio degli altri, siamo estremamente tenute a benedire e a lodare il Signore, ed a crescere ogni giorno più nel bene.
Perciò, se vivremo secondo la predetta forma di vita, lasceremo alle altre un nobile esempio e, attraverso una fatica di brevissima durata, ci guadagneremo il pallio della beatitudine eterna» (FF 2830).
L’amore vicendevole oltrepassava le mura, purificando e profumando di carità ogni aria inquinata, offrendo specchi luminosi di vita fraterna.
Ritenendola riflesso della gloria di Dio, premura di Francesco era la ricerca delle cose celesti da parte di tutta la fraternità.
Diceva, infatti, rivolto ai frati di tutto l’Ordine:
«La grande assemblea è il nostro Ordine, quasi un sinodo generale che si raccoglie da ogni parte del mondo sotto una sola norma di vita. In questo i sapienti traggono a loro vantaggio le qualità proprie dei semplici, perché vedono persone senza cultura cercare con ardore le cose celesti e, pur senza istruzione umana, raggiungere per mezzo dello Spirito la conoscenza delle realtà spirituali.
In questo Ordine anche i semplici traggono profitto da ciò che è proprio dei sapienti, quando vedono umiliarsi con loro allo stesso modo uomini illustri, che potrebbero vivere carichi di onori in questo mondo.
Da qui risalta la bellezza di questa beata famiglia, che per le sue molteplici qualità forma la gioia del Padre di famiglia» (FF 778).
Questa speciale consapevolezza e intuizione dei segreti divini rendeva il Santo e la Fraternità singolare immagine della Gloria di Dio, avendone ricevuto la sua libertà.
Domenica 5.a di Pasqua C (Gv 13,31-33a.34-35)
La Liturgia odierna riprende il capitolo quattordici del Vangelo di Giovanni, ricco di tematiche impegnative.
Alla domanda di Filippo:«Mostraci il Padre» (Gv 14,8-9) Gesù risponde chiedendo la fede nella profonda unità del Figlio con il Padre, e viceversa; almeno per le opere stesse che lo attestano ampiamente.
Nelle Fonti Francescane questo grido il Poverello lo traduce in vita reale, poiché non temeva come figlio di rendersi impuro frequentando le periferie culturali ed esistenziali.
Per il Povero Assisano la domanda del discepolo a Gesù trova la sua riposta più esaustiva, contemplandone la Presenza nei diseredati e scartati dalla società.
Nei dimenticati e messi ai margini, ivi il Padre era mostrato, e il Figlio con Lui.
Infatti le Fonti evidenziano tutto questo nell’esperienza scarna di Francesco.
"Poi, amante di ogni forma d’umiltà, si trasferì presso i lebbrosi, restando con loro e servendo a loro tutti con somma cura.
Lavava loro i piedi, fasciava le piaghe, toglieva dalle piaghe la marcia e le ripuliva dalla purulenza.
Baciava anche, spinto da ammirevole devozione, le loro piaghe incancrenite, lui che sarebbe ben presto diventato il Buon Samaritano del Vangelo" (FF 1045).
Il Minimo vedeva e abbracciava il Volto di Dio nell’Epifania dei lebbrosi!
Donaci Signore il tuo Santo Spirito per recuperare l’itinerario di ciascuno, nella pienezza d’essere senza confini. Amen!
«Credetemi: io nel Padre e il Padre in me. Se no, credete per le opere stesse» (Gv14,11)
Sabato 4.a sett. di Pasqua A .C (Gv 14,7-14)
Nel brano di oggi Gesù rivolgendosi ai suoi discepoli li esorta ad avere fede, a non turbarsi, poiché Lui va a preparare loro "un posto".
A Tommaso, che chiede la via, il Signore risponde dicendo che Lui è la via, la verità e la vita del Padre.
Sempre nel suo cammino, Francesco aveva esortato i suoi alla fede, a non lasciarsi prendere dal turbamento nei momenti difficili.
Ammirava ed esaltava la fede dei credenti e la solida testimonianza da qualunque parte giungesse.
Nelle Fonti ci sono vari passaggi al riguardo.
Nella Regola non bollata:
"Manteniamoci dunque fedeli alle parole, alla vita, alla dottrina e al santo Vangelo di colui che si è degnato pregare per noi il Padre suo e manifestarci il nome di Lui, dicendo:
«Padre glorifica il tuo nome […] Rendili gloriosi nella verità. La tua parola è verità […]» " (FF 62).
E Francesco ammirava la fede di donna Jacopa dei Settesogli*, nobile donna affezionata a lui e a tutta la fraternità.
Le Fonti raccontano:
"Un giorno Francesco fece chiamare i suoi compagni e disse:
«Voi sapete come donna Jacopa dei Settesogli fu ed è molto fedele e affezionata a me e alla nostra fraternità. Io credo che, se la informerete del mio stato di salute, riterrà ciò come una grazia grande e consolazione.
Fatele sapere […] che vi mandi, per confezionare una tonaca, del panno grezzo […] E insieme invii un po’ di quel dolce che era solita prepararmi quando soggiornavo a Roma».
Si tratta del dolce che i romani chiamano mostacciolo, ed è fatto con mandorle, zucchero o miele ed altri ingredienti.
Jacopa era una donna spirituale, vedova, devota a Dio, una delle più nobili e ricche signore di Roma.
Per i meriti e la predicazione di Francesco ella aveva avuto da Dio tanta grazia da sembrare quasi una seconda Maddalena, teneramente devota fino alle lacrime" (FF 1657).
I frati avevano scritto una lettera da inviare a Donna Jacopa, ma sentirono bussare alla porta ed era proprio lei, venuta in fretta per visitare Francesco.
Siccome era stato stabilito, fin dai primi tempi, che nessuna donna entrasse in clausura per salvaguardare l’onorabilità e il raccoglimento della casa religiosa, un frate disse a Francesco:
" «Padre che facciamo? Dobbiamo lasciarla entrare e accostarsi a te?».
Rispose Francesco:
«Il divieto non è applicabile a questa signora, che una tale fede e devozione ha fatto accorrere da così lontano».
Jacopa entrò dunque da Francesco e al vederlo si mise a piangere…
Donna Jacopa si rivolse loro e spiegò:
«Fratelli, mentre stavo pregando, mi fu detto in spirito:
Va’ e visita il tuo padre Francesco. Affrettati, non indugiare, poiché se tu tardi non lo troverai vivo […]» " (FF 1657- Leggenda Perugina).
Così Francesco, ormai prossimo al trapasso, ebbe la gioia della testimonianza di una grande fede da parte di questa nobile donna.
E vicino alla sua Pasqua parve quasi dire ai suoi:
«Non si turbi il vostro cuore. Credete in Dio e credete in me» (Gv 14,1).
Anche lui, dietro le orme di Cristo, andava a preparare loro ‘un posto’.
* Jacopa non dei Settesoli, ma sette “sogli”, cioè troni o seggi.
* «Iacopa de Septem soliis».
Venerdì della 4.a sett. di Pasqua (Gv 14,1-6)
«Chi riceve colui che manderò, riceve me; ma chi riceve me, riceve Colui che mi ha mandato» (Gv 13,20).
Gesù, nell’ultima Cena, dopo aver lavato i piedi ai suoi discepoli li invita a fare altrettanto, ricordando loro che un inviato non è più grande di chi lo ha mandato.
Al tempo stesso rammenta che ricevere colui che Dio manda significa ospitare il Signore stesso.
Francesco sapeva, per grazia, che accogliere è l’infinito del verbo disvelare.
Il Signore si manifesta a colui che ospita con amore l’inviato del Padre delle Misericordie.
Il Povero e i suoi figli conobbero l’accoglienza speciale del vescovo assisano, come è narrato nella Leggenda dei tre compagni:
"Arrivati a Roma, vi trovarono il vescovo di Assisi, che li ricevette con grande gioia.
Egli nutriva una stima affettuosa per Francesco e tutti i frati; ma, ignorando il motivo della loro venuta, fu preso da ansietà: temeva che volessero abbandonare Assisi, dove il Signore aveva cominciato per loro mezzo a compiere meraviglie di bene.
Egli era fiero e felice di avere nella sua diocesi uomini così zelanti, sulla cui vita esemplare faceva moltissimo conto.
Quando però seppe lo scopo del viaggio e comprese i loro progetti, ne fu rasserenato e promise di consigliarli e aiutarli" (FF 1456).
Ma c’era anche chi reagiva diversamente con i frati inviati:
"Molti li prendevano per dei ciarlatani o sempliciotti, e non volevano riceverli in casa, per paura che commettessero dei furti.
In diverse località, dopo aver ricevuto un mucchio d’ingiurie, non trovavano dove rifugiarsi, se non sotto i portici delle chiese o delle case.
Un giorno due frati giunsero a Firenze. Girarono mendicando tutta la città, senza però trovare uno che li ospitasse.
Arrivati a una casa che aveva davanti un porticato, sotto il quale c’era il forno, si dissero:
«Potremo riposarci qui».
Pregarono però la padrona di riceverli in casa, ma quella ricusò.
Allora umilmente le proposero che permettesse loro almeno di rifugiarsi quella notte vicino al forno. La donna acconsentì […]
Quella notte dormirono a disagio fino all’alba, presso il forno, scaldati dal solo amore divino e protetti dalla coperta di Madonna Povertà.
Si levarono per andare alla chiesa più vicina, per partecipare alla liturgia del mattino" (FF 1442).
Nel riconoscere colui che Cristo invia è insita la rivelazione dell’incontro autentico e personale con Gesù.
Inoltre, Francesco e i suoi avevano la chiara consapevolezza che se avessero respinto il Maestro la via del discepolo non avrebbe potuto essere dissimile.
Da qui l’accogliere tutto, dimorando nell’Amore.
Le Fonti ricordano che in ciò riposa la Perfetta Letizia, come Francesco insegnò a frate Leone:
" «Ecco, io torno da Perugia e, a notte profonda, giungo qui, ed è un inverno fangoso e così rigido che, all’estremità della tonaca, si formano dei ghiaccioli d’acqua congelata […] giungo alla porta e, dopo aver a lungo picchiato e chiamato, viene un frate e chiede:
«Chi è?».
Io rispondo:
«Frate Francesco» […]
l’altro risponde:
«Vattene, tu sei un semplice ed un idiota, qui non ci puoi venire ormai […]».
E io sempre resto davanti alla porta e dico:
«Per amor di Dio, accoglietemi per questa notte» […]
«Ebbene se io avrò avuto pazienza e non mi sarò conturbato, io ti dico che qui è la vera letizia e qui la vera virtù e la salvezza dell’anima» " (FF 278).
Giovedì della 4.a sett. di Pasqua (Gv 13,16-20)
Il brano proposto oggi dalla Liturgia evidenzia il meraviglioso discorso di Gesù ai suoi sull’Amore.
Inizia dicendo di rimanere nel suo amore; e il versetto conclusivo ribadisce quanto detto poco prima: di amarsi gli uni gli altri.
Sia Francesco che Chiara erano divorati dall’amore di Dio, tanto che nelle Fonti troviamo brani di notevole spessore in merito.
La Leggenda maggiore narra:
"Chi potrebbe descrivere degnamente il fervore di carità, che infiammava Francesco, amico dello Sposo? Poiché egli, come un carbone ardente, pareva tutto divorato dalla fiamma dell’amor divino.
Al sentir nominare l’amore del Signore, subito si sentiva stimolato, colpito, infiammato: quel nome era per lui come un plettro, che gli faceva vibrare l’intimo del cuore.
«Offrire, in compenso dell’elemosina, il prezioso patrimonio dell’amor di Dio - così egli affermava - è nobile prodigalità; e stoltissimi sono coloro che lo stimano meno del denaro, poiché soltanto il prezzo inapprezzabile dell’amor divino è capace di comprare il regno dei cieli. E molto si deve amare l’amore di Colui che molto ci ha amati» " (FF 1161).
Parimenti Chiara, nella terza lettera ad Agnese di Praga, si esprimeva così:
" «…è ormai chiaro che l’anima dell’uomo fedele, che è la più degna tra tutte le creature, è resa dalla Grazia di Dio più grande del cielo. Mentre, infatti, i cieli con tutte le altre cose create non possono contenere il Creatore, l’anima fedele invece, ed essa sola, è sua dimora e soggiorno, e ciò soltanto a motivo della carità, di cui gli empi sono privi. È la stessa Verità che lo afferma:
«Colui che mi ama, sarà amato dal Padre mio, e io pure l’amerò; noi verremo a lui e porremo in lui la nostra dimora» " (FF 2892).
E ancora, riguardo l’amore scambievole, nella Leggenda dei tre compagni:
"Occupavano la giornata nell’orazione e lavorando con le loro mani, in maniera da evitare risolutamente l’ozio, nemico dell’anima. A mezzanotte si alzavano per la preghiera, animata da gemiti e lacrime.
Si amavano l’un l’altro con un affetto profondo, e a vicenda si servivano e procuravano il necessario, come farebbe una madre col suo unico figlio teneramente amato. Tale era l’affetto che ardeva loro in cuore, che erano pronti a consegnarsi alla morte senza esitare, non solo per amore di Cristo, ma anche per salvare l’anima o il corpo dei fratelli" (FF 1446).
La fraternità delle origini di Francesco è la più alta e concreta testimonianza di cosa vuol dire rimanere nell’Amore di Dono e riversarlo nelle relazioni con i fratelli.
Fatti eloquenti richiamano all’autenticità dei rapporti, senza usare la verità a proprio tornaconto.
È chiaro, infatti, che «chi fa la verità viene verso la luce, perché siano manifeste le sue opere, poiché sono state operate in Dio» (Gv 3,21).
«Queste cose vi comando: perché vi amiate gli uni gli altri» (Gv 15,17)
San Mattia, 14 maggio (Gv 15,9-17)
Sotto al Portico di Salomone, in Gerusalemme, Gesù fa la sua denuncia ai Giudei: non siete mie pecore, perché non ascoltate la mia voce.
Francesco aveva una grande premura per le pecore del suo gregge, volendo camminare sulle orme del Signore e desiderando altrettanto per esse.
Aveva una predilezione speciale per le pecore e gli agnellini: gli richiamavano alla memoria l’Agnello Immolato per la nostra salvezza.
È commovente come questi mansueti animali lo ascoltassero, riconoscendo la sua voce di pastore vero.
Nelle Fonti troviamo brani significativi in merito. La Leggenda maggiore narra:
"A Santa Maria della Porziuncola portarono in dono all’uomo di Dio una pecora, che egli accettò con gratitudine, perché amava l’innocenza e la semplicità che, per sua natura, la pecora dimostra.
L’uomo di Dio ammoniva la pecorella a lodare Dio e a non infastidire assolutamente i frati. La pecora, a sua volta, quasi sentisse la pietà dell’uomo di Dio, metteva in pratica i suoi ammaestramenti con grande cura.
Quando sentiva i frati cantare in coro, entrava anche lei in chiesa e, senza bisogno di maestro, piegava le ginocchia, emettendo teneri belati davanti all’altare della Vergine, Madre dell’Agnello, come se fosse impaziente di salutarla.
Durante la celebrazione della Messa, al momento dell’elevazione, si curvava con le ginocchia piegate, quasi volesse, quell’animale devoto, rimproverare agli uomini poco devoti la loro irriverenza e volesse incitare i devoti alla riverenza verso il Sacramento" (FF 1148).
Francesco, pastore mite, era ascoltato e seguito da tutte le creature, che avvertivano in lui la sua unità con il Cristo, il Bel Pastore inviato dal Padre.
I suoi intimi lo ascoltavano con grande ammirazione, poiché la sua vita eloquente parlava per lui.
«Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco e mi seguono» (Gv 10,27)
Martedì della 4.a sett. di Pasqua (Gv 10,22-30)
Gesù nel capitolo dieci del Vangelo giovanneo si definisce la ‘Porta delle pecore’ entrando per la quale s’incontra la salvezza. Lui solo è il vero Pastore che ha cura di esse e le difende dai pericoli.
Un giorno Francesco, vicino al traguardo della sua chiamata, ricevette da un frate una domanda circa la figura che avrebbe guidato l’Ordine dopo di lui.
Il passo, tratto dalla vita seconda del Celano, recita così:
«Padre tu passerai da questa vita, e la famiglia che ti ha seguito rimane abbandonata in questa valle di lacrime. Indica uno, se conosci che esista nell’Ordine, che soddisfi il tuo spirito e al quale si possa addossare con tranquillità il peso di ministro generale».
Francesco, accompagnando le singole parole con sospiri, rispose:
«Non conosco alcuno capace di essere guida di un esercito così vario e pastore di un gregge tanto numeroso. Ma voglio dipingervi e, come si dice, modellare la figura, nella quale si veda chiaramente quale deve essere il padre di questa famiglia».
«Deve essere - proseguì - un uomo di vita quanto mai austera, di grande discrezione e lodevole fama […] si applichi con zelo alla preghiera e sappia distribuire determinate ore alla sua anima e altre al gregge, che gli è affidato […] Dopo l’orazione poi, si metta a disposizione dei religiosi, disposto a lasciarsi importunare da tutti, pronto a rispondere e a provvedere a tutti con affabilità […] Anche ammettendo che emerga per cultura, tuttavia ancor più nella sua condotta sia il ritratto della virtuosa semplicità e coltivi la virtù […]».
E continuò:
«Consoli gli afflitti, essendo l’ultimo rifugio per i tribolati, perché non avvenga che, non trovando presso di lui rimedi salutari, gli infermi si sentano sopraffatti dal morbo della disperazione. Umili se stesso, per piegare i protervi alla mitezza, e lasci cadere parte del suo diritto, per conquistare un’anima a Cristo. Quanto ai disertori dell’Ordine, come a pecorelle smarrite, non chiuda loro le viscere della sua misericordia, ben sapendo che sono violentissime le tentazioni, che possono spingere a tanto […] È suo compito soprattutto indagare nel segreto delle coscienze per estrarre la verità dalle vene più occulte, ma non presti orecchio a chi fa pettegolezzi […]» (FF 771-772).
Tutto questo indica il valore dell’essere "Porta" per Francesco tra i suoi frati, che amò con fermezza e tenerezza; con discrezione e comprensione, per amore di Cristo.
«Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; ed entrerà e uscirà e troverà pascolo» (Gv 10,9)
Lunedì della 4.a sett. di Pasqua (Gv 10,1-10)
Gesù, il vero Pastore, discutendo con i capi Giudei sotto il portico di Salomone fa loro presente che essi non sono sue pecore. Queste, infatti, ascoltano la sua voce e lo seguono. Le autorità invece non credono neppure all’evidenza delle sue opere.
Francesco fu un pastore dal cuore tenero, ma fermo, nel cammino da seguire sulle orme di Cristo.
In tal senso vari passi delle Fonti illuminano circa il suo itinerario. Nelle sue Ammonizioni il Poverello scrive:
«Guardiamo con attenzione, fratelli tutti, il buon pastore che per salvare le sue pecore sostenne la passione della croce.
Le pecore del Signore l’hanno seguito nella tribolazione e persecuzione, nell’ignominia e nella fame, nella infermità e nella tentazione e in altre cose simili; e ne hanno ricevuto in cambio dal Signore la vita eterna» (FF 155).
Ancora, la Leggenda maggiore di San Bonaventura c’informa:
"Un giorno, trovandosi in cammino nei pressi di Siena, incontrò un grande gregge di pecore al pascolo. Secondo il suo solito, le salutò benevolmente, e quelle, smettendo di brucare, corsero tutte insieme da lui, sollevando il muso e fissandolo con gli occhi alzati.
Gli fecero tanta festa che i frati e i pastori ne rimasero stupefatti, vedendo gli agnelli e perfino gli arieti saltellargli intorno in modo così meraviglioso" (FF 1147).
E trovandosi S. Francesco insieme a S. Domenico a Roma, in casa del cardinale d’Ostia, dinanzi a questi così parlò dei suoi frati, con grande umiltà:
«Signore, i miei frati proprio per questo sono stati chiamati Minori, perché non presumano di diventare maggiori.
Il nome stesso insegna loro a rimanere in basso ed a seguire le orme dell’umiltà di Cristo, per essere alla fine innalzati più degli altri al cospetto dei Santi.
Se volete - continuò - che portino frutto nella Chiesa, manteneteli e conservateli nello stato della loro vocazione, e riportateli in basso anche contro loro volontà.
Per questo, Padre, ti prego: affinché non siano tanto più superbi quanto più poveri e non si mostrino arroganti verso gli altri, non permettete in nessun modo che ottengano cariche» (FF 732).
Sì, Francesco pregava il Padre celeste perché conservasse le sue pecore nell’umiltà e non fossero strappate dalla sua mano.
Il Povero d’Assisi portò in sé tutti i tratti dell’autentico pastore.
«Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco e mi seguono» (Gv 10,27).
Domenica 4.a di Pasqua C (Gv 10,27-30)
Divisions among Christians, while they wound the Church, wound Christ; and divided, we cause a wound to Christ: the Church is indeed the body of which Christ is the Head (Pope Francis)
Le divisioni tra i cristiani, mentre feriscono la Chiesa, feriscono Cristo, e noi divisi provochiamo una ferita a Cristo: la Chiesa infatti è il corpo di cui Cristo è capo (Papa Francesco)
The glorification that Jesus asks for himself as High Priest, is the entry into full obedience to the Father, an obedience that leads to his fullest filial condition [Pope Benedict]
La glorificazione che Gesù chiede per se stesso, quale Sommo Sacerdote, è l'ingresso nella piena obbedienza al Padre, un'obbedienza che lo conduce alla sua più piena condizione filiale [Papa Benedetto]
All this helps us not to let our guard down before the depths of iniquity, before the mockery of the wicked. In these situations of weariness, the Lord says to us: “Have courage! I have overcome the world!” (Jn 16:33). The word of God gives us strength [Pope Francis]
Tutto questo aiuta a non farsi cadere le braccia davanti allo spessore dell’iniquità, davanti allo scherno dei malvagi. La parola del Signore per queste situazioni di stanchezza è: «Abbiate coraggio, io ho vinto il mondo!» (Gv 16,33). E questa parola ci darà forza [Papa Francesco]
The Ascension does not point to Jesus’ absence, but tells us that he is alive in our midst in a new way. He is no longer in a specific place in the world as he was before the Ascension. He is now in the lordship of God, present in every space and time, close to each one of us. In our life we are never alone (Pope Francis)
L’Ascensione non indica l’assenza di Gesù, ma ci dice che Egli è vivo in mezzo a noi in modo nuovo; non è più in un preciso posto del mondo come lo era prima dell’Ascensione; ora è nella signoria di Dio, presente in ogni spazio e tempo, vicino ad ognuno di noi. Nella nostra vita non siamo mai soli (Papa Francesco)
The Magnificat is the hymn of praise which rises from humanity redeemed by divine mercy, it rises from all the People of God; at the same time, it is a hymn that denounces the illusion of those who think they are lords of history and masters of their own destiny (Pope Benedict)
Il Magnificat è il canto di lode che sale dall’umanità redenta dalla divina misericordia, sale da tutto il popolo di Dio; in pari tempo è l’inno che denuncia l’illusione di coloro che si credono signori della storia e arbitri del loro destino (Papa Benedetto)
This unknown “thing” is the true “hope” which drives us, and at the same time the fact that it is unknown is the cause of all forms of despair and also of all efforts, whether positive or destructive, directed towards worldly authenticity and human authenticity (Spe Salvi n.12)
Questa « cosa » ignota è la vera « speranza » che ci spinge e il suo essere ignota è, al contempo, la causa di tutte le disperazioni come pure di tutti gli slanci positivi o distruttivi verso il mondo autentico e l'autentico uomo (Spe Salvi n.12)
«When the servant of God is troubled, as it happens, by something, he must get up immediately to pray, and persevere before the Supreme Father until he restores to him the joy of his salvation. Because if it remains in sadness, that Babylonian evil will grow and, in the end, will generate in the heart an indelible rust, if it is not removed with tears» (St Francis of Assisi, FS 709)
don Giuseppe Nespeca
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