Teresa Girolami è laureata in Materie letterarie e Teologia. Ha pubblicato vari testi, fra cui: "Pellegrinaggio del cuore" (Ed. Piemme); "I Fiammiferi di Maria - La Madre di Dio in prosa e poesia"; "Tenerezza Scalza - Natura di donna"; co-autrice di "Dialogo e Solstizio".
Lasciato solo dai discepoli, Gesù risponde loro ricordando e sottolineando la Comunione col Padre.
Li invita alla Pace, spronandoli a essere coraggiosi - perché Lui ha vinto il mondo.
Francesco affrontava con coraggio le avversità, sapendo che sono inevitabili per chi ama il Regno.
Il Poverello le incontrava ad ogni dove, ma si relazionava con le prove cantando, poiché Gesù aveva trionfato su di esse.
Le Fonti raccontano di un episodio avvenuto presso Caprignone:
"Vestito di cenci, colui che un tempo si adornava di abiti purpurei, se ne va per una selva, cantando le lodi di Dio in francese.
Ad un tratto, alcuni manigoldi si precipitano su di lui, domandandogli brutalmente chi sia.
L’uomo di Dio risponde impavido e sicuro:
«Sono l’araldo del gran Re; vi interessa questo?».
Quelli lo percuotono e lo gettano in una fossa piena di neve, dicendo:
«Stattene lì, zotico araldo di Dio!».
Ma egli, rivoltandosi di qua e di là, scossasi di dosso la neve, appena i briganti sono spariti, balza fuori dalla fossa e, tutto giulivo, riprende a cantare a gran voce, riempiendo il bosco con le lodi al Creatore di tutte le cose" (FF 346).
Esempio di coraggio e di fiducia nel Signore!
Francesco, il cui nome viene dall’antico tedesco e significa «libero», appunto liberamente continuava il suo cammino tra i marosi del mondo.
Il coraggio cui Gesù chiamava, lo chiedeva nella preghiera.
Nella Leggenda maggiore si narra:
"I concittadini, al vederlo squallido in volto e mutato nell’animo, ritenendolo uscito di senno, gli lanciavano contro il fango e i sassi delle strade, e, strepitando e schiamazzando, lo insultavano come un pazzo, un demente.
Ma il servo di Dio, senza scoraggiarsi o turbarsi per le ingiurie, passava in mezzo a loro, come se fosse sordo" (FF 1041).
«Nel mondo avete tribolazione. Ma fatevi coraggio! Io ho vinto il mondo» (Gv 16,33).
Lunedì della 7.a sett. di Pasqua (Gv 16,29-33)
Il brano del Vangelo di Luca evidenzia il mandato di Gesù ai suoi, inviati a predicare la Parola a tutti i popoli.
Gesù sottolinea che «nel suo nome sarebbe stata predicata a tutti i popoli la conversione in remissione dei peccati» (Lc 24,47).
Francesco, fedele Araldo di Cristo e annunciatore costante della Parola, ebbe sempre a cuore la diffusione della Buona Novella del Regno per la salvezza di ogni fratello.
Nelle Fonti, percorso delle prime esperienze di fede, troviamo conferma di tale atteggiamento.
Nella Vita prima del Celano leggiamo:
"Era veramente fermo e costante nel bene, e null’altro cercava se non di compiere la volontà di Dio. E infatti, quando anche predicava la parola del Signore davanti a migliaia di persone, era tranquillo e sicuro, come se parlasse con il suo fratello e compagno.
Ai suoi occhi un’immensa moltitudine di uditori era come un uomo solo, e con la stessa diligenza che usava per le folle predicava ad una sola persona.
Dalla purezza del suo cuore attingeva la sicurezza della sua parola, e anche invitato all’improvviso, sapeva dire cose mirabili e mai udite prima" (FF 447).
Nella Leggenda maggiore, poi, viene evidenziato il suo modo di annunciare il Vangelo.
"Gente di ogni età e d’ogni sesso correva a vedere e ad ascoltare quell’uomo nuovo, donato dal cielo al mondo.
Egli pellegrinava per le varie regioni, annunciando con fervore il Vangelo; e il Signore cooperava, confermando la Parola con i miracoli che l’accompagnavano.
Infatti, nel nome del Signore, Francesco, predicatore della verità, scacciava i demoni, risanava gli infermi, e, prodigio ancor più grande, con l’efficacia della sua parola inteneriva e muoveva a penitenza gli ostinati e, nello stesso tempo, ridonava la salute ai corpi e ai cuori" (FF 1212).
Il Povero d’Assisi, consapevole dei patimenti di Cristo, attingeva forza per l’annuncio dagli insegnamenti di Gesù.
L’ascendere di Cristo al Padre lo avvertiva come un andare di Lui a "prepararci un posto".
Per questo, infervorato dalla missione affidata dal Signore ai suoi discepoli, predicava alacremente il Vangelo ad ogni creatura sotto il cielo, pregando costantemente.
Ascensione del Signore (Lc 24,46-53)
Il brano di Luca proposto oggi dalla Liturgia presenta la visita di Maria, Madre di Gesù, alla cugina Elisabetta. Entrambe sono in attesa della nascita del proprio figlio, che portano in grembo. Un’attesa confortata da un sussulto di gioia nel ventre di Elisabetta e dall’inno del Magnificat sulle labbra di Maria.
È uno splendido incontro che attesta le grandi opere di Dio in coloro che credono in Lui.
Francesco e Chiara vissero il loro incontro e quello con ogni creatura come Visitazione della Grazia presso di loro, rallegrandosi e commuovendosi per la bellezza dell’opera divina.
Nelle Fonti ci sono passaggi che lasciano intravvedere tutto questo.
Basta scorrere le Lettere di Chiara alla sua figlia spirituale, Agnese di Boemia, per rendersi conto come, pur distanti, godessero l’un l’altra per le meraviglie operate da Dio in loro, comunicandosele.
«Alla venerabile e santissima vergine, Donna Agnese, figlia dell’esimio e illustrissimo re di Boemia, Chiara, indegna serva di Gesù Cristo ed ancella inutile delle Donne recluse del monastero di San Damiano, sua suddita in tutto e serva […] augura di conseguire la gloria dell’eterna felicità» (FF 2859 - Lettera prima).
«Memore del tuo proposito, come un’altra Rachele, tieni sempre davanti agli occhi il punto di partenza. I risultati raggiunti, conservali; ciò che fai, fallo bene; non arrestarti; ma anzi, con corso veloce e passo leggero, con piede sicuro, che neppure alla polvere permetta di ritardarne l’andare, cautamente avanza confidente, lieta e sollecita nella via della beatitudine» (FF 2875 - Lettera seconda).
E ancora:
«Ti ammiro […] stringere a te, mediante l’umiltà, con la forza della fede e le braccia della povertà, il tesoro incomparabile, nascosto nel campo del mondo e dei cuori umani, col quale si compra Colui che dal nulla trasse tutte le cose» (FF 2885 - lettera terza).
«Colloca i tuoi occhi davanti allo specchio dell’eternità, colloca la tua anima nello splendore della gloria, colloca il tuo cuore in Colui che è figura della divina sostanza, e trasformati interamente, per mezzo della contemplazione, nella immagine della divinità di Lui» (FF 2888 - lettera terza).
Quindi Chiara, amabilmente, esorta Agnese e con gioia:
«A quel modo, dunque, che la gloriosa Vergine delle vergini portò Cristo materialmente nel suo grembo, tu pure, seguendo le sue vestigia, specialmente dell’umiltà e povertà di lui, puoi sempre, senza alcun dubbio, portarlo spiritualmente nel tuo corpo casto e verginale.
E conterrai in te Colui dal quale tu e tutte le creature sono contenute, e possederai ciò che è bene più duraturo e definitivo anche a paragone di tutti gli altri possessi transeunti di questo mondo» (FF 2893 - lettera terza).
La danza di gioia di queste due grandi anime visitate dalla Grazia evidenzia come il Signore, di generazione in generazione, continui a compiere i suoi disegni di salvezza in modo mirabile e inarrestabile.
«L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore, perché ha rivolto il suo sguardo alla bassezza della sua serva» (Lc 1,46b-48a)
Visitazione B.V. Maria, 31 maggio (Lc 1,39-56)
Gesù parla ai suoi dicendo: «La vostra gioia nessuno potrà togliere da voi» (Gv 16,22).
La felicità che viene da Lui è duratura, è autentica perché fondata su pilastri non mondani.
Francesco trovava gioia nella povertà e fraternità. Ancor più nell’orazione, nel rapporto interiore con Cristo.
Era la sua allegrezza quella proveniente dall’essere Araldo del Gran Re, che poggiava i propri piedi sulle orme del Figlio di Dio.
Nelle Fonti, sorgente dell’esperienza originaria francescana, vi sono passi che lo avvalorano.
Il Celano, solerte biografo, nella Vita prima, informa sulla vita fraterna e gioiosa dei frati:
“Da cultori fedeli della santissima povertà, poiché non possedevano nulla, non s’attaccavano a nessuna cosa, e niente temevano di perdere.
Erano contenti di una sola tonaca, talvolta rammendata dentro e fuori, tanto povera e senza ricercatezze da apparire in quella veste dei veri crocifissi per il mondo, e la stringevano ai fianchi con una corda, e portavano rozzi calzoni.
Il loro santo proposito era di restare in quello stato, senza avere altro. Erano perciò sempre sereni, liberi da ogni ansietà e pensiero, senza affanni per il futuro; non si angustiavano neppure di assicurarsi un ospizio per la notte, anche se pativano grandi disagi nel viaggio. Sovente, durante il freddo più intenso, non trovando ospitalità, si rannicchiavano in un forno, o pernottavano in qualche spelonca" (FF 388).
Nella Leggenda dei Tre compagni, Francesco e frate Egidio vibrano di gioia nel Signore:
"Francesco unitamente a Egidio andò nella Marca di Ancona, gli altri due si posero in cammino verso un’altra regione. Andando verso la Marca, esultavano giocondamente nel Signore.
Francesco, a voce alta e chiara, cantava in francese le lodi del Signore, benedicendo e glorificando la bontà dell’Altissimo. Tanta era la loro gioia, che pareva avessero scoperto un magnifico tesoro nel podere evangelico della signora Povertà, per amore del quale si erano generosamente e spontaneamente sbarazzati di ogni avere materiale, considerandolo alla stregua dei rifiuti […]" (FF 1436).
E Chiara gioisce nel sapere come Agnese di Praga, sua diletta figlia nello Spirito, progredisce nella vita interiore, tanto da dire:
«All’udire la stupenda fama della vostra santa vita religiosa, che non a me soltanto è giunta, ma si è sparsa magnificamente su tutta quasi la faccia della terra, sono ripiena di gaudio nel Signore e gioisco; e di questo possono rallegrarsi non soltanto io, ma tutti coloro che servono o desiderano servire Gesù Cristo» (FF 2860).
I due Poveri d’Assisi vivevano la loro disadorna esistenza, proiettati nel Vangelo di Gesù; riposavano sulla Parola, che preparava loro la beatitudine senza fine.
In attesa del ritorno di Cristo, avevano apparecchiato la loro vita offrendola all’unione con Dio e con i fratelli.
Con letizia accoglievano le esperienze favorevoli e (almeno in apparenza) contrarie, sapendo che Dio è fedele alle sue promesse e ai semplici che lo seguono.
Venerdì della 6.a sett. di Pasqua (Gv 16,20-23a)
Nel capitolo sedici del Vangelo di Giovanni, ormai vicino al suo ritorno al Padre, Gesù dice ai suoi discepoli:
«Voi vi rattristerete, ma la vostra tristezza diverrà gioia» (Gv 16,20).
Francesco aveva una geniale capacità ispirata dall’alto, nel trasformare ogni tristezza in gioia, in attesa della beata speranza.
Aveva insegnato, ad esempio, a frate Leone, pecorella di Dio, a trovare perfetta letizia nell’essere respinti e non riconosciuti dagli altri.
Trovava gioia nelle sofferenze al solo pensiero che Gesù le aveva vissute per primo e che quello era un nobile modo di unirsi a Lui.
Provava tristezza per le cattive testimonianze fra i suoi, ma veniva scosso da Dio stesso dinanzi a questo tipo di amarezza, poiché il Signore gli ricordava che tutto era in mano sua.
Le varie malinconie del cammino erano trasformate dal Poverello, per la forza dello Spirito, in opportunità di grazia - pensando al ritorno di Gesù e alla beata unione.
Nelle Fonti, gioiello di testimonianze originali, scopriamo la bellezza di tali dinamiche che la fede in Dio e l’efficacia della Parola elaboravano nel Minimo.
"Un giorno vide un suo compagno con una faccia triste e melanconica. Sopportando la cosa a malincuore, gli disse:
«Il servo di Dio non deve mostrarsi agli altri triste e rabbuiato, ma sempre sereno.
Ai tuoi peccati, riflettici nella tua stanza e alla presenza di Dio piangi e gemi. Ma quando ritorni tra i frati, lascia la tristezza e conformati agli altri».
E, poco dopo:
«Gli avversari della salvezza umana hanno molta invidia di me e, siccome non riescono a turbarmi direttamente, tentano sempre di farlo attraverso i miei compagni».
Amava poi tanto l’uomo pieno di letizia spirituale, che per ammonimento generale fece scrivere in un capitolo queste parole:
«Si guardino i frati di non mostrarsi tristi di fuori e rannuvolati come degli ipocriti, ma si mostrino lieti nel Signore, ilari e convenientemente graziosi» " (FF 712).
E ancora, nella Vita seconda del Celano, troviamo Francesco che istruisce su come comportarsi nei turbamenti:
«Il servo di Dio - spiegava - quando è turbato, come capita, da qualcosa, deve alzarsi subito per pregare, e perseverare davanti al Padre Sommo sino a che gli restituisca la gioia della sua salvezza. Perché se permane nella tristezza, crescerà quel male babilonese e, alla fine, genererà nel cuore una ruggine indelebile, se non verrà tolta con le lacrime» (FF 709).
Francesco, esperto di vita nello Spirito, era solito dire ai suoi:
«I demoni non possono recare danno al servo di Cristo, quando lo vedono santamente giocondo. Se invece l’animo è malinconico, desolato e piangente, con tutta facilità o viene sopraffatto dalla tristezza o è trasportato alle gioie frivole» (FF 709).
In attesa di ricongiungersi al suo Signore, egli voleva vivere ogni cosa in unità di Spirito con Lui, che aveva donato tutto di Sé per ogni creatura.
Giovedì 6.a sett. di Pasqua (Gv 16,16-20)
Gesù dice ai suoi che lo Spirito della Verità inviato li condurrà alla verità tutta intera, annunciando ciò che avrà udito.
Francesco, povero e semplice, era un uomo in continuo ascolto del sussurro dello Spirito.
Ed era proprio questo atteggiamento costante che gli faceva cogliere quanto agli altri talora sfuggiva.
Le primizie raccolte nelle Fonti illustrano come lo Spirito della verità lo istruiva e conduceva ogni giorno.
"In realtà, pur essendo egli perfettissimo tra i perfetti, non ammettendolo, si stimava il più imperfetto di tutti.
Aveva infatti gustato e provato personalmente quanto è dolce, soave e buono il Dio d’Israele per i retti di cuore, che lo cercano sempre con semplicità pura e con purezza vera.
La dolcezza e soavità, che egli sentiva infusa dall’alto nella sua anima, dono rarissimo concesso a pochissimi, lo spingeva a dimenticare totalmente se stesso, e allora, riboccante di tale gaudio, bramava con tutte le forze ascendere alla vita immortale degli spiriti eletti, dove, uscendo da se stesso, in parte si era già elevato.
Ripieno dello spirito di Dio, era pronto ad affrontare qualsiasi angustia di spirito, qualsiasi tormento nel corpo, a patto che gli fosse concesso quanto bramava: che si compisse in lui totalmente la misericordiosa volontà del Padre celeste" (FF 481).
Inoltre, Francesco ormai molto malato e vicino alla morte, a frate Elia che chiedeva come riuscisse ad esprimere tanta letizia in mezzo a così tanti dolori, in un impeto di fervore ebbe a dire:
«Fratello, lascia che io goda nel Signore e nelle sue Laudi in mezzo ai miei dolori, poiché, con la grazia dello Spirito Santo, sono così strettamente unito al mio Signore che, per sua misericordia, posso ben esultare nell’Altissimo» (FF 1614).
Aveva imparato che la presenza dello Spirito conduce alla verità tutta intera e che si offre a quanti lo invocano con tanta maggiore familiarità, nella solitudine e nelle sofferenze.
«Ma quando verrà Lui, lo Spirito della verità, vi guiderà alla verità tutta, perché non parlerà da se stesso, ma dirà quanto avrà udito, e vi annuncerà le cose che verranno» (Gv 16,13)
Mercoledì della 6.a sett. di Pasqua (Gv 16,12-15)
Nel capitolo sedici di Giovanni, rivolto ai suoi discepoli, Gesù fa presente che è bene che Lui torni al Padre, altrimenti non giungerà loro il Paraclito: lo Spirito che rende testimonianza alla Verità.
Francesco, nell’orazione continua, lo considerava il Tesoro più grande della sua esistenza.
Senza lo Spirito Santo non sapeva parlare né agire secondo Dio.
Infatti, nella Leggenda maggiore, troviamo un episodio che conferma tutto questo:
"Una volta, che doveva predicare davanti al Papa e ai cardinali, per suggerimento del cardinale di Ostia aveva mandato a memoria un discorso stilato con ogni cura.
Se non che, quando si trovò là in mezzo, al momento di pronunciare quelle parole edificanti, dimenticò tutto e non riuscì a spiccicare nemmeno una frase.
Allora, dopo aver esposto con umiltà e sincerità il suo imbarazzo, si mise a invocare la Grazia dello Spirito Santo.
Immediatamente le parole incominciarono ad affluire così abbondanti, così efficaci nel commuovere e piegare il cuore di quegli illustri personaggi, da far vedere chiaramente che non era lui a parlare, ma lo Spirito del Signore" (FF 1211).
E ancora:
"Lo Spirito del Signore, che lo aveva unto e inviato assisteva il suo servo Francesco, ovunque si dirigesse; lo assisteva Cristo stesso, potenza e sapienza di Dio.
Per questo le sue parole sovrabbondavano di sana dottrina e i suoi miracoli erano così splendidi ed efficaci.
Era, la sua parola, come un fuoco ardente, che penetrava l’intimo del cuore e ricolmava d’ammirazione le menti; non sfoggiava l’eleganza della retorica, ma aveva il profumo e l’afflato della rivelazione divina" (FF 1210).
La vocazione di Francesco e la sua missione furono davvero una Epifania dello Spirito, che dimorava presso di lui e la sua fraternità. Manifestazione che ancora oggi attesta la santa operazione avvenuta nel suo percorso di fede sorprendente, incoraggiando ogni creatura nel suo cammino.
«Se non vado, il Paraclito non verrà a voi; se invece parto, lo manderò a voi» (Gv 16,7)
Martedì 6.a sett. di Pasqua (Gv 16,5-11)
Francesco e Chiara d’Assisi avevano una speciale devozione per lo Spirito del Signore e la sua Santa operazione.
Nelle Fonti sono innumerevoli i passi che lo attestano.
Nella Vita prima del Celano, a riguardo della vita fraterna condotta dai frati, leggiamo:
"Poiché camminavano con semplicità davanti a Dio e con coraggio davanti agli uomini, in quel tempo meritarono i santi frati la grazia di una rivelazione soprannaturale.
Animati dal fuoco dello Spirito Santo, pregavano cantando il «Pater noster» su una melodia religiosa, non solo nei momenti prescritti, ma ad ogni ora, perché non erano preoccupati dalle cure materiali" (FF 404).
Lo stesso Francesco, avvinto dallo Spirito, andò a Roma per fare una richiesta a Papa Onorio. Questi, insieme ai suoi Cardinali, lo accolsero con grande devozione.
"[…] predicò davanti al Papa e ai Cardinali con animo franco e pieno di ardore, attingendo dalla pienezza del cuore, come gli suggeriva lo Spirito.
Alla sua Parola si commossero quelle altezze e, traendo profondi sospiri dall’intimo, lavarono con lacrime l’uomo interiore.
Terminato il discorso e dopo qualche istante di cordiale colloquio col Papa, alla fine così espose la sua richiesta:
«Non è facile, Signore, come sapete, per gente povera e umile avere accesso a così grande maestà.
Avete nelle mani il mondo, e gli impegni molto importanti non permettono di dedicarsi alle minuzie.
Per questo, Signore, - continuò - chiedo al tenerissimo affetto di vostra Santità di concederci come papa il Signore d’Ostia, qui presente; così, rimanendo sempre intatta la dignità della vostra preminenza, i frati potranno rivolgersi a lui in tempo di necessità, ed essere, con vantaggio, difesi e governati».
Il Papa gradì una richiesta tanto santa, e subito prepose all’Ordine, secondo la domanda dell’uomo di Dio, il Signor Ugolino, allora vescovo d’Ostia.
Il santo cardinale accettò con amore il gregge, che gli era stato affidato, lo allevò premurosamente, e ne fu insieme pastore ed alunno sino alla beata fine" (FF 612).
Anche Chiara, sposa dello Spirito Santo sulle orme di Maria, la Madre di Gesù, così si rivolgeva ad Agnese di Praga, sua fedele discepola:
«E non credere, e non lasciarti sedurre da nessuno che tentasse sviarti da questo proposito o metterti degli ostacoli su questa via, per impedirti di riportare all’Altissimo le tue promesse con quella perfezione alla quale ti invitò lo Spirito del Signore» (FF 2876).
Lo Spirito di Dio aveva fecondato la vita di Francesco e di Chiara e quella delle loro rispettive fraternità, rendendone l’agire una testimonianza eloquente del Vangelo.
«Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della Verità che procede dal Padre, egli testimonierà di me. Ma anche voi testimonierete, perché fin da principio siete con me» (Gv 15,26-27)
Lunedì della 6.a sett. di Pasqua (Gv 15,26-16,4a)
All this helps us not to let our guard down before the depths of iniquity, before the mockery of the wicked. In these situations of weariness, the Lord says to us: “Have courage! I have overcome the world!” (Jn 16:33). The word of God gives us strength [Pope Francis]
Tutto questo aiuta a non farsi cadere le braccia davanti allo spessore dell’iniquità, davanti allo scherno dei malvagi. La parola del Signore per queste situazioni di stanchezza è: «Abbiate coraggio, io ho vinto il mondo!» (Gv 16,33). E questa parola ci darà forza [Papa Francesco]
The Ascension does not point to Jesus’ absence, but tells us that he is alive in our midst in a new way. He is no longer in a specific place in the world as he was before the Ascension. He is now in the lordship of God, present in every space and time, close to each one of us. In our life we are never alone (Pope Francis)
L’Ascensione non indica l’assenza di Gesù, ma ci dice che Egli è vivo in mezzo a noi in modo nuovo; non è più in un preciso posto del mondo come lo era prima dell’Ascensione; ora è nella signoria di Dio, presente in ogni spazio e tempo, vicino ad ognuno di noi. Nella nostra vita non siamo mai soli (Papa Francesco)
The Magnificat is the hymn of praise which rises from humanity redeemed by divine mercy, it rises from all the People of God; at the same time, it is a hymn that denounces the illusion of those who think they are lords of history and masters of their own destiny (Pope Benedict)
Il Magnificat è il canto di lode che sale dall’umanità redenta dalla divina misericordia, sale da tutto il popolo di Dio; in pari tempo è l’inno che denuncia l’illusione di coloro che si credono signori della storia e arbitri del loro destino (Papa Benedetto)
This unknown “thing” is the true “hope” which drives us, and at the same time the fact that it is unknown is the cause of all forms of despair and also of all efforts, whether positive or destructive, directed towards worldly authenticity and human authenticity (Spe Salvi n.12)
Questa « cosa » ignota è la vera « speranza » che ci spinge e il suo essere ignota è, al contempo, la causa di tutte le disperazioni come pure di tutti gli slanci positivi o distruttivi verso il mondo autentico e l'autentico uomo (Spe Salvi n.12)
«When the servant of God is troubled, as it happens, by something, he must get up immediately to pray, and persevere before the Supreme Father until he restores to him the joy of his salvation. Because if it remains in sadness, that Babylonian evil will grow and, in the end, will generate in the heart an indelible rust, if it is not removed with tears» (St Francis of Assisi, FS 709)
«Il servo di Dio quando è turbato, come capita, da qualcosa, deve alzarsi subito per pregare, e perseverare davanti al Padre Sommo sino a che gli restituisca la gioia della sua salvezza. Perché se permane nella tristezza, crescerà quel male babilonese e, alla fine, genererà nel cuore una ruggine indelebile, se non verrà tolta con le lacrime» (san Francesco d’Assisi, FF 709)
Wherever people want to set themselves up as God they cannot but set themselves against each other. Instead, wherever they place themselves in the Lord’s truth they are open to the action of his Spirit who sustains and unites them (Pope Benedict)
Dove gli uomini vogliono farsi Dio, possono solo mettersi l’uno contro l’altro. Dove invece si pongono nella verità del Signore, si aprono all’azione del suo Spirito che li sostiene e li unisce (Papa Benedetto)
don Giuseppe Nespeca
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