Dio ci benedica e la Vergine ci protegga! Per la festa dell’Ascensione, la prima lettura e il Salmo sono comuni agli anni A, B, C mentre cambiano la seconda lettura e il vangelo
*Prima Lettura dagli Atti degli Apostoli (1,1-11)
Questi primi versetti degli Atti degli Apostoli richiamano la conclusione del vangelo di Luca, anch’esso indirizzato a un certo Teofilo ed è interessante notare che l’uno inizi là dove l’altro finisce, cioè con il racconto dell’Ascensione di Gesù, anche se le due narrazioni non combaciano perfettamente come si nota leggendo i testi dell’Anno C. Il vangelo narra la missione e la predicazione di Gesù, gli Atti degli Apostoli si dedicano all’attività missionaria degli apostoli, da cui il titolo. Il vangelo di Luca inizia e termina a Gerusalemme, cuore del mondo ebraico e della Prima Alleanza; gli Atti partono da Gerusalemme, perché la Nuova Alleanza prosegue la Prima ma si concludono a Roma, crocevia di tutte le strade del mondo e la Nuova Alleanza travalica i confini di Israele. Per Luca è chiaro che questa espansione è frutto dello Spirito Santo, l’ispiratore degli apostoli dalla Pentecoste, tanto che gli Atti sono spesso chiamati “il vangelo dello Spirito”. Gesù, dopo il battesimo, si preparò alla sua missione con quaranta giorni di deserto, così egli prepara la Chiesa a questa nuova fase missionaria apparendo agli apostoli per quaranta giorni e “parlando delle cose riguardanti il regno di Dio”. Infatti, “mentre si trovava a tavola con loro”, dunque durante ancora un’ultima cena, da agli apostoli alcune istruzioni che si riassumono in: un ordine, una promessa e un invio in missione.
L’ordine: non allontanarsi da Gerusalemme, ma attendere l’adempimento della promessa del Padre che deve compiersi a Gerusalemme dato che tutta la predicazione dei profeti, soprattutto d’Isaia, attribuisce a Gerusalemme un ruolo centrale nel progetto di Dio (cf Is 60,1-3; 62,1-2). La promessa: “Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo”. Anche questo era noto agli apostoli, che ricordavano la profezia di Gioele: «Spanderò il mio spirito su ogni creatura» (Gl 3,1), e le profezie di Zaccaria: (Za 13,1; 12,10), e di Ezechiele: «Spanderò su di voi acqua purificatrice e sarete purificati… Metterò in voi uno spirito nuovo… Metterò in voi il mio spirito» (Ez 36,25-27). Quado gli apostoli chiedono “se questo è il tempo nel quale ricostruirà il regno per Israele” mostrano di aver compreso che è sorto “il Giorno del Signore” e il progetto di Dio domanda ora la collaborazione dell’uomo: Con Cristo infatti è giunto il Salvatore promesso, ora tocca alla libertà umana accoglierlo e per questo è necessario l’annuncio da parte degli apostoli. Da qui la missione responsabile degli apostoli che ricevono lo Spirito Santo: “Riceverete la forza dello Spirito Santo che scenderà su di voi e di me sarete testimoni… fino ai confini della terra”. Il piano che il libro degli Atti segue è infatti questo: anzitutto l’annuncio a Gerusalemme, poi in tutta la Giudea con la Samaria e infine deve diffondersi fino ai confini del mondo. Come al mattino di Pasqua due uomini in vesti splendenti avevano destato le donne dicendo: “Perché cercate il Vivente tra i morti? Non è qui, è risorto”, così, il giorno dell’Ascensione, “due uomini in bianche vesti” fanno lo stesso con gli apostoli: “Uomini di Galilea perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo” (1,11). Gesù tornerà, ne siamo certi, e lo proclamiamo in ogni eucaristia quando diciamo “Nella beata speranza dell’avvento di Gesù Cristo nostro Salvatore”. Infine nna nube sottrae Gesù alla vista umana: cessa la sua presenza carnale per inaugurare quella spirituale. Segno visibile di questa presenza di Dio è la nube già presente nel passaggio del Mar Rosso (Es 13,21) e nella Trasfigurazione (Lc 9,34).
NOTA. Non si possono ricostruire esattamente gli eventi tra la Risurrezione e l’Ascensione. Nei testi di Luca (vangelo e Atti) la narrazione è sostanzialmente identica: Gesù parte da Betania e porta i discepoli sul Monte degli Ulivi raccomandando di non lasciare Gerusalemme finché non abbiano ricevuto lo Spirito Santo. L’unica differenza riguarda la durata: nel vangelo sembra che l’Ascensione avvenga la sera stessa di Pasqua, mentre negli Atti è chiarito che tra Pasqua e Ascensione trascorrono quaranta giorni — da qui la festa quaranta giorni dopo. Negli altri vangeli si trova poco sull’Ascensione: Matteo non ne parla affatto, riferisce solo l’apparizione alle donne e l’invio in Galilea (Mt 28,18-20). Giovanni narra diverse apparizioni, ma omette l’Ascensione. Marco menziona l’Ascensione brevemente alla fine (Mc 16,19). Le differenze dimostrano che i vangeli non mirano a un resoconto geografico preciso ma a sottolineare aspetti teologici: Matteo insiste sulla Galilea, Luca su Gerusalemme. Infatti, è a Gerusalemme che Gesù aveva ordinato di attendere lo Spirito: “Ecco io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città finché non siate rivestiti di potenza dall’alto” (Lc 24,49).
*Salmo responsoriale (46 (47),2-3,6-7,8-9)
In questo salmo Israele canta e acclama Dio non solo come suo re, ma come re di tutta la terra. Prima dell’esilio a Babilonia nessun re di Israele aveva immaginato che Dio potesse essere il Signore dell’intero universo e perciò il salmo data di un’epoca tarda della storia d’Israele. Dio è il re d’Israele e per questo in Israele il re non deteneva ogni potere perché il vero re era Dio stesso. Il re non poteva disporre della legge a suo piacimento e, come tutti, doveva sottomettersi alla Torah, vale a dire alle norme che Dio aveva dato a Mosè sul Sinai. Anzi, secondo il libro del Deuteronomio, egli doveva leggere l’intera Legge ogni giorno e, anche seduto sul trono, non era (in linea di principio) che un esecutore degli ordini di Dio, a lui trasmessi dai profeti. Nei Libri dei Re, i re domandano il parere del profeta in carica prima di intraprendere una campagna militare o, nel caso di Davide, prima di iniziare la costruzione del Tempio così che i profeti intervenivano liberamente nella vita dei re, criticando con forza le loro azioni. Una tale concezione della sovranità di Dio fu persino un ostacolo all’istituzione della monarchia, come avvenne quando il profeta Samuele, al tempo dei Giudici, reagì con forza verso i capi delle tribù che chiedevano un re per essere come tutte le altre nazioni. Desiderare di essere come gli altri popoli, quando si è il popolo eletto da Dio e in alleanza con Lui, era qualcosa di blasfemo e, se Samuele cedette alle pressioni, non mancò di avvertire però della rovina che stavano procurando a se stessi. Quando consacrò il primo re, Saul, si premurò di precisare che questi diventava il custode del patrimonio di Dio perché il popolo rimaneva il popolo di Dio, non del re, e il re stesso era solo un servitore di Dio. Durante gli anni della monarchia, i profeti furono incaricati di ricordare ai re questa verità essenziale. Si comprende allora che in onore di Dio questo salmo utilizza il vocabolario che altrove era riservato ai re. Anche “terribile” è un’espressione tipica del gergo di corte che va inteso così: il re (Dio) non spaventa i suoi sudditi, ma li rassicura e per questo si avvertono i nemici che il “nostro re” sarà invincibile. Il Dio re dell’universo, “il grande re su tutta la terra” (v. 3), acclamato in ogni verso del salmo è proprio il Dio del Sinai, il “Signore” e a questa festa tutti i popoli partecipano: “Popoli tutti battete le mani, acclamate Dio con grida di gioia!” così che la dimensione universale pervade profondamente il salmo fino a dire “Dio regna sulle genti” (v. 9) riconoscendolo come unico Dio dell’intero universo.
NOTA. La vera scoperta del monoteismo avvenne soltanto con l’esilio babilonese: fino ad allora Israele non era monoteista nel senso pieno del termine, bensì monolatra, ossia riconosceva come proprio un solo Dio—quello dell’Alleanza del Sinai—ma ammetteva che i popoli confinanti avessero ciascuno il proprio dio, sovrano nella loro terra e difensore in battaglia. Questo salmo fu dunque probabilmente composto dopo il ritorno dall’esilio non nella sala del trono, ma nel Tempio ricostruito di Gerusalemme, in un contesto liturgico in cui si evocava il grande progetto di Dio sull’umanità, anticipando il giorno in cui finalmente Dio sarà riconosciuto come Padre di ogni bene. Noi cristiani facciamo nostro questo salmo e l’espressione “ascende Dio tra le acclamazioni” sembra ben adatta per l’odierna celebrazione dell’Ascensione di Gesù. Tributando a Cristo re dell’universo questo splendido omaggio, anticipiamo il canto che nell’ultimo giorno i figli di Dio finalmente riuniti intoneranno insieme: “Popoli tutti, battete le mani! Acclamate Dio con grida di gioia”.
*Seconda Lettura dalla Lettera agli Ebrei (9, 24-28 ; 10,19-23)
Nella prima parte di questo testo l’autore medita sul mistero di Cristo; nella seconda ne ricava le conseguenze per la vita di fede con l’intento di rassicurare i suoi lettori, i cristiani di origine ebraica, che provavano una certa nostalgia del culto antico dato che nella pratica cristiana non c’è più il tempio, né più sacrifici di sangue e si domandavano se davvero fosse questo ciò che Dio vuole. L’autore ripercorre tutti i riti e le realtà della religione ebraica dimostrando che sono ormai superati. Ttratta soprattutto del Tempio, chiamato santuario, e chiarisce che bisogna distinguere il vero santuario in cui Dio dimora — il cielo stesso — dal tempio costruito dagli uomini, che ne è solo una pallida immagine. Gli ebrei erano giustamente orgogliosi del Tempio di Gerusalemme, ma non dimenticavano che ogni costruzione umana, per definizione, resta debole, imperfetta e destinata a perire. Inoltre, nessuno in Israele sosteneva che si potesse rinchiudere la presenza di Dio in un edificio, per quanto maestoso. Lo aveva già detto il primo costruttore del Tempio, il re Salomone: “Forse che Dio dimorerebbe sulla terra? I cieli e i cieli dei cieli non ti possono contenere; figuriamoci questa Casa che io ho edificato!” (1 Re 8,27). Per i cristiani il vero Tempio — il luogo dell’incontro con Dio — non è più un edificio, perché l’Incarnazione del Verbo ha cambiato tutto. Il luogo d’incontro tra Dio e l’uomo è Cristo, il Dio fatto uomo e san Giovanni lo spiegha quando narra Gesù che caccia dal Tempio i cambiamonete e venditori di animali. A coloro che gli chiesero: “Quale segno ci mostrerai per fare questo?”, (cioè «in nome di chi fai questa rivoluzione? rispose: “Distruggete questo tempio e in tre giorni io lo ristabilirò”. Solo dopo la risurrezione i discepoli capiranno che parlava del suo corpo (Gv 2,13-21). Qui, nella Lettera agli Ebrei, si afferma la stessa cosa: solo restando innestati in Cristo, nutriti del suo corpo, entriamo nel mistero del Dio che “non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo, figura di quello vero, ma nel cielo” (Eb 9,24). Questo avvenne con la morte di Cristo rendendo chiara la centralità della Croce nel mistero cristiano, come confermano tutti gli autori del Nuovo Testamento. L’autore della Lettera agli Ebrei precisa più avanti che il culmine dell’offerta della vita di Cristo è la sua morte ma il suo sacrificio abbraccia l’intera sua esistenza non solo quindi la sua Passione (cp10). Nel passo che leggiamo oggi l’attenzione si concentra sul sacrificio della Passione, contrapposto a quello che ogni anno offriva il sommo sacerdote nel Giorno dell’Espiazione (Yom Kippur). Entrava da solo nel Santo dei Santi, pronunciava l’indicibile nome di Dio (YHVH), spargeva il sangue di un toro per i propri peccati e quello di un capro per quelli del popolo, rinnovando così solennemente l’Alleanza e, quando usciva, il popolo sapeva che i suoi peccati erano perdonati. Quell’alleanza andava rinnovata ogni anno, invece la nuova Alleanza stabilita con il Padre è definitiva in Cristo crocifisso e risorto. Sulla croce si rivela il vero volto di Dio, che ci ama fino all’estremo, padre di ognuno di noi per cui non c’è più da temere il giudizio di Dio. Quando nel Credo proclamiamo che Gesù verrà a giudicare i vivi e i morti, sappiamo che, in Dio giudizio significa salvezza, come leggiamo qui: “Cristo dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato a coloro che lo aspettano per la loro salvezza” (Eb 9,28). Questa certezza della fede ci permette di vivere il rapporto con Dio in piena serenità e azione di grazie. Ma è importante testimoniarlo, come ci esorta questo testo: “Continuiamo senza esitare a professare la nostra speranza, perché Colui che ha promesso è fedele» (Eb. 10,23). Gesù Cristo è “il sommo sacerdote dei beni futuri” (Eb 9,11).
*Dal Vangelo secondo san Luca (24, 46-53)
I sinottici, Matteo, Marco, Luca si differenziano nel racconto dell’Ascensione del Signore,
Matteo lo colloca su un monte in Galilea, dove Gesù aveva fissato il suo appuntamento con gli apostoli; Marco non fornisce alcuna indicazione geografica; Luca, al contrario, situa l’evento sul Monte degli Ulivi verso Betania. In tal modo conclude il vangelo là dove era iniziato, a Gerusalemme: la città santa del popolo eletto da cui la rivelazione del Dio unico si era irradiata al mondo; la città del tempio-segno della presenza di Dio fra gli uomini. Ma anche la città dell’adempimento della salvezza per mezzo della morte e risurrezione di Cristo, e la città del dono dello Spirito. Infine la città da cui deve irradiarsi sull’universo l’ultima rivelazione e Luca fa risuonare nelle nostre orecchie le parole di Gesù: “Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?” (Lc 24,26). Ciò che è nuovo qui, rispetto alle tre profezie della sua passione pronunciate da Gesù prima degli eventi e alle due affermazioni subito dopo la risurrezione e sul cammino di Emmaus, è la conclusione della frase, che assume la forma di un invio missionario degli apostoli: “ Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni (Lc 24, 46-49) Per i primi cristiani era difficile spiegare quale passo delle Scritture aveva annunciato le sofferenze del Messia e la sua risurrezione il terzo giorno; fra gli ultimi profeti dell’Antico Testamento erano molto più diffuse le profezie sulla conversione di tutte le nazioni, cominciando da Gerusalemme, come leggiamo in Geremia: “In quel giorno chiameranno Gerusalemme trono del Signore; tutte le nazioni vi si troveranno affluire, al nome del Signore, a Gerusalemme» (3,17); e nel terzo Isaia: “La casa mia sarà chiamata casa di preghiera per tutti i popoli” (56,7); “Di luna in luna, di sabato in sabato, verrà ogni creatura a prostrarsi davanti a me” (66,23). Zaccaria poi sviluppa questo tema: “In quel giorno molte nazioni si raccoglieranno al Signore e saranno per me un popolo” (Za 2,15), “Molti popoli e nazioni potenti verranno a Gerusalemme a cercare il Signore degli eserciti” (8,22).Gli esegeti affermano che, anche se queste riflessioni sono presenti in numerosi salmi, furono soprattutto i canti del Servo nei DeuteroIsaia (Is 42; 49; 50; 52-53) a ispirare la meditazione degli evangelisti e a chiarire l’espressione di Gesù “Bisognava che:::” perché in questi quattro cantici emerge la figura del Messia sofferente e glorificato e l’annuncio del bene per tutte le nazioni: “Io, il Signore”, ti ho chiamato con giustizia, ti ho preso per mano, ti ho formato; ti ho fatto alleanza del popolo, luce delle nazioni» (Is 42,6);
“Il giusto, mio servo, giustificherà le moltitudini” (Is 53,11). Questa conclusione del vangelo di Luca assume dunque i toni della liturgia: Gesù, vero sommo sacerdote, benedice i suoi e li invia nel mondo e il popolo adora e rende grazie: “Alzate le mani, li benedisse. E mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio” (Lc 24, 50-53). Il vangelo di Luca si chiude tornando al suo inizio, quando Zaccaria, sacerdote dell’Antica Alleanza, aveva udito l’annuncio della salvezza di Dio (Lc 1,5-19 e l’ultima immagine che i discepoli custodirono del Maestro è un gesto di benedizione. Per questo si capisce perché tornano a Gerusalemme con grande gioia. In quest’immagine conclusiva è racchiuso il mistero della luce e della gioia dell’Ascensione, una partenza che non è abbandono, ma certezza di una presenza diversa, invisibile ma ancor più potente ed efficace.
+Giovanni D’Ercole