Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
Gesù si presenta come servo, offrendosi quale modello da imitare e da seguire. Dallo sfondo del terzo annuncio della passione, morte e risurrezione del Figlio dell’uomo, si stacca con stridente contrasto la scena dei due figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni, che inseguono ancora sogni di gloria accanto a Gesù. Essi gli chiesero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra» (Mc 10,37). Folgorante è la replica di Gesù e inatteso il suo interrogativo: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo?» (v. 38). L’allusione è chiarissima: il calice è quello della passione, che Gesù accetta per attuare la volontà del Padre. Il servizio a Dio e ai fratelli, il dono di sé: questa è la logica che la fede autentica imprime e sviluppa nel nostro vissuto quotidiano e che non è invece lo stile mondano del potere e della gloria.
Giacomo e Giovanni con la loro richiesta mostrano di non comprendere la logica di vita che Gesù testimonia, quella logica che - secondo il Maestro - deve caratterizzare il discepolo, nel suo spirito e nelle sue azioni. E la logica errata non abita solo nei due figli di Zebedeo perché, secondo l’evangelista, contagia anche «gli altri dieci» apostoli che «cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni» (v. 41). Si indignano, perché non è facile entrare nella logica del Vangelo e lasciare quella del potere e della gloria. San Giovanni Crisostomo afferma che tutti gli apostoli erano ancora imperfetti, sia i due che vogliono innalzarsi sopra i dieci, sia gli altri che hanno invidia di loro (cfr Commento a Matteo, 65, 4: PG 58, 622). E commentando i passi paralleli nel Vangelo secondo Luca, san Cirillo di Alessandria aggiunge: «I discepoli erano caduti nella debolezza umana e stavano discutendo l’un l’altro su chi fosse il capo e superiore agli altri … Questo è accaduto e ci è stato raccontato per il nostro vantaggio… Quanto è accaduto ai santi Apostoli può rivelarsi per noi un incentivo all’umiltà» (Commento a Luca, 12, 5, 24: PG 72, 912). Questo episodio dà modo a Gesù di rivolgersi a tutti i discepoli e «chiamarli a sé», quasi per stringerli a sé, a formare come un corpo unico e indivisibile con Lui e indicare qual è la strada per giungere alla vera gloria, quella di Dio: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti» (Mc 10,42-44).
Dominio e servizio, egoismo e altruismo, possesso e dono, interesse e gratuità: queste logiche profondamente contrastanti si confrontano in ogni tempo e in ogni luogo. Non c’è alcun dubbio sulla strada scelta da Gesù: Egli non si limita a indicarla con le parole ai discepoli di allora e di oggi, ma la vive nella sua stessa carne. Spiega infatti: «Anche il Figlio dell’uomo non è venuto a farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto di molti» (v. 45) […]
Secondo la tradizione biblica, il Figlio dell’uomo è colui che riceve il potere e il dominio da Dio (cfr Dn 7,13s). Gesù interpreta la sua missione sulla terra sovrapponendo alla figura del Figlio dell’uomo quella del Servo sofferente, descritto da Isaia (cfr Is 53,1-12). Egli riceve il potere e la gloria solo in quanto «servo»; ma è servo in quanto accoglie su di sé il destino di dolore e di peccato di tutta l’umanità. Il suo servizio si attua nella fedeltà totale e nella responsabilità piena verso gli uomini. Per questo la libera accettazione della sua morte violenta diventa il prezzo di liberazione per molti, diventa l’inizio e il fondamento della redenzione di ciascun uomo e dell’intero genere umano.
[Papa Benedetto, allocuzione Concistoro 18 febbraio 2012]
2. Guardando Gesù nella sua passione, noi vediamo come in uno specchio le sofferenze dell'umanità nonché le nostre personali vicende. Cristo, pur essendo senza peccato, ha preso su di sé ciò che l'uomo non poteva sopportare: l'ingiustizia, il male, il peccato, l'odio, la sofferenza e, infine, la morte. In Cristo, Figlio dell'uomo umiliato e sofferente, Dio ama tutti, perdona tutti e conferisce il significato ultimo all'umana esistenza.
Siamo qui, questa mattina, per raccogliere questo messaggio da questo Padre che ci ama. Ci possiamo chiedere: che cosa Egli vuole da noi? Vuole che, guardando Gesù, accettiamo di seguirLo nella sua passione per condividere con Lui la resurrezione. Tornano alla mente in questo momento le parole che Gesù disse ai discepoli: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete; il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete» (Mc 10, 39); «Se qualcuno vuol venire dietro a me..., prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà» (Mt 16, 24-25).
L'«osanna» e il «crucifige» diventano così la misura di un modo di concepire la vita, la fede e la testimonianza cristiana: non ci si deve scoraggiare per le sconfitte né esaltare per le vittorie perché, come per Cristo, l'unica vittoria è la fedeltà alla missione ricevuta dal Padre. «Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome» (Fil 2, 9).
(Papa Giovanni Paolo II, omelia 28 marzo 1999)
3. San Giacomo era fratello di Giovanni Evangelista. Essi furono i due discepoli a cui - in uno dei dialoghi più impressionanti che riporta il Vangelo - Gesù fece quella famosa domanda: “"Potete bere il calice che io sto per bere?". Ed essi risposero: «Possiamo»” (Mt 20, 23).
Era la parola della disponibilità, del coraggio; un atteggiamento tipico dei giovani, però non loro esclusivo, ma di tutti i cristiani, ed in particolare di coloro che accettano di essere apostoli del Vangelo. La generosa risposta dei due discepoli fu accettata da Gesù. Egli disse loro: “Il mio calice lo berrete” (Mt 20, 23).
Queste parole si compirono in Giacomo, figlio di Zebedeo, che col suo sangue diede testimonianza della risurrezione di Cristo a Gerusalemme. Gesù aveva fatto la domanda sul calice che avrebbero dovuto bere i due fratelli, quando la loro madre, come abbiamo letto nel Vangelo, si avvicinò al Maestro, per chiedergli un posto di speciale rilievo per entrambi nel Regno. Però Cristo dopo aver costatato la loro disponibilità a bere il calice, disse loro: “II mio calice lo berrete; però non sta a me concedere che vi sediate alla mia destra o alla mia sinistra, ma è per coloro per i quali è stato preparato dal Padre mio” (Mt 20, 23).
La disputa per conseguire il primo posto nel futuro Regno di Cristo, che i suoi discepoli immaginavano in modo troppo umano, suscitò l’indignazione degli altri Apostoli. Gesù approfittò allora dell’occasione per spiegare a tutti che la vocazione al suo Regno non è una vocazione al potere ma al servizio, “appunto come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti” (Mt 20, 28).
[Papa Giovanni Paolo II, omelia Santiago de Compostela 9 novembre 1982]
L’odierna pagina evangelica (cfr Mc 10,35-45) descrive Gesù che, ancora una volta e con grande pazienza, cerca di correggere i suoi discepoli convertendoli dalla mentalità del mondo a quella di Dio. L’occasione gli viene data dai fratelli Giacomo e Giovanni, due dei primissimi che Gesù ha incontrato e chiamato a seguirlo. Ormai hanno fatto parecchia strada con Lui e appartengono proprio al gruppo dei dodici Apostoli. Perciò, mentre sono in cammino verso Gerusalemme, dove i discepoli sperano con ansia che Gesù, in occasione della festa di Pasqua, instaurerà finalmente il Regno di Dio, i due fratelli si fanno coraggio, si avvicinano e rivolgono al Maestro la loro richiesta: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra» (v. 37).
Gesù sa che Giacomo e Giovanni sono animati da grande entusiasmo per Lui e per la causa del Regno, ma sa anche che le loro aspettative e il loro zelo sono inquinati, dallo spirito del mondo. Perciò risponde: «Voi non sapete quello che chiedete» (v. 38). E mentre loro parlavano di “troni di gloria” su cui sedere accanto al Cristo Re, Lui parla di un «calice» da bere, di un «battesimo» da ricevere, cioè della sua passione e morte. Giacomo e Giovanni, sempre mirando al privilegio sperato, dicono di slancio: sì, «possiamo»! Ma, anche qui, non si rendono veramente conto di quello che dicono. Gesù preannuncia che il suo calice lo berranno e il suo battesimo lo riceveranno, cioè che anch’essi, come gli altri Apostoli, parteciperanno alla sua croce, quando verrà la loro ora. Però – conclude Gesù – «sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato» (v. 40). Come dire: adesso seguitemi e imparate la via dell’amore “in perdita”, e al premio ci penserà il Padre celeste. La via dell’amore è sempre “in perdita”, perché amare significa lasciare da parte l’egoismo, l’autoreferenzialità, per servire gli altri.
Gesù poi si accorge che gli altri dieci Apostoli si arrabbiano con Giacomo e Giovanni, dimostrando così di avere la stessa mentalità mondana. E questo gli offre lo spunto per una lezione che vale per i cristiani di tutti i tempi, anche per noi. Dice così: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti» (v. 42-44). È la regola del cristiano. Il messaggio del Maestro è chiaro: mentre i grandi della Terra si costruiscono “troni” per il proprio potere, Dio sceglie un trono scomodo, la croce, dal quale regnare dando la vita: «Il Figlio dell’uomo – dice Gesù – non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (v. 45).
La via del servizio è l’antidoto più efficace contro il morbo della ricerca dei primi posti; è la medicina per gli arrampicatori, questa ricerca dei primi posti, che contagia tanti contesti umani e non risparmia neanche i cristiani, il popolo di Dio, neanche la gerarchia ecclesiastica. Perciò, come discepoli di Cristo, accogliamo questo Vangelo come richiamo alla conversione, per testimoniare con coraggio e generosità una Chiesa che si china ai piedi degli ultimi, per servirli con amore e semplicità. La Vergine Maria, che aderì pienamente e umilmente alla volontà di Dio, ci aiuti a seguire con gioia Gesù sulla via del servizio, la via maestra che porta al Cielo.
[Papa Francesco, Angelus 21 ottobre 2018]
«Bestemmiare contro il Santo Spirito»
(Lc 12,8-12)
Spirito Santo è un termine che traduce l’ebraico Ruah haQodesh: Vento impetuoso, non un’aria stagnante.
«Spirito»: energia che butta all’aria la vicenda personale, comunitaria ed ecclesiale... al fine di farla maturare e rinnovarla.
Non per confermare lo standard, ma per dilatare i confini.
Lo fa introducendo nella realtà una sorta di qualità sublime, (soprattutto) irrompendo con un’Azione che discerne l’evoluzione e la capovolge, ne fa un tutt’Altro.
«Santo» perché distingue la sfera della Vita - Santità - da quella paludosa dei germi mortiferi, che volgono al ripiegamento e all’autodistruzione.
Il Vangelo di oggi è nato come appello alle chiese e ai fedeli esposti alle ostilità, affinché non si lascino scoraggiare nella testimonianza reale e genuina.
I credenti non devono mollare quel sentirsi attratti dalla potenza critica della Parola.
Nel tempo essa ha la forza di spogliare gli intriganti dalle loro manie di vanitosa grandezza o perversione, e far emergere la Luce che ci accomuna, attrae spontaneamente, senz’artificio.
Insomma, i membri di chiesa che vivono di Fede-amore non possono identificarsi con stili di vita vantaggiosi, interpretazioni della realtà tipiche, non cruciali.
Altro che piccole trasgressioni! È nel momento delle minacce di fondo, che si legge la portata della nostra scelta per il Signore.
Lc allude in specie a scuse di circostanza, particolari, nella ricerca dell’appoggio: favori di paradigmi “culturali”, o di gente che conta. Ad es. agevolando le proprie vicende grazie a un servilismo ideologico e codino alle autorità, con annesse garanzie di via d’uscita.
Qui si affaccia il pericolo della bestemmia contro il Santo Spirito: allontanarsi dal Vangelo, ritenendo che Gesù indichi cammini di rovina e morte, invece che d’autentica Vita.
Oggi gli impulsi dello Spirito che rinnova la faccia della terra sconvolgono il panorama, non per abbandonare l’umanità ai puri limiti e a un inesorabile oblio.
Il percorso di colui che cammina sulla Via della Libertà dev’essere senza timori, perché l’Esodo ci rende a noi stessi; riscattati e santificati.
Restituiti al nostro Nucleo e per la potenza della Fede che intreccia la nostra vicenda al Cristo, vedremo realizzare l’impossibile Promessa; cose che non sappiamo, sovranamente efficaci.
Vogliamo esistere completamente, perché non siamo degli alterati.
Per questo ci sono le crisi, i rivolgimenti, e tagli: riconducono alla nostra fragranza, che - questa sì - potremmo smarrire.
Il pericolo e i tempi concitati vengono per ricordarci il nostro lato eterno. Esso può esprimersi solo quando la matrice del nostro stare in campo deflette, per predisporci ad accogliere la soluzione inattesa.
Ciò anche quando agli altri sembrerà che la nostra vita sia perduta.
In realtà, ce la stiamo giocando senza esteriorità di contenuto, per innescare la Beltà integrale della nuova Giovinezza che non sappiamo, ma incede.
[Sabato 28.a sett. T.O. 19 ottobre 2024]
«Bestemmiare contro il Santo Spirito»
(Lc 12,8-12)
«E chiunque dirà una parola contro il Figlio dell’uomo, gli sarà perdonato, ma a colui che avrà bestemmiato contro il Santo Spirito non sarà perdonato» (Lc 12,10).
Spirito Santo è un termine che traduce l’ebraico Ruah haQodesh: un Vento impetuoso, non un’aria stagnante.
Quest’ultima, sarebbe un’atmosfera senza onda vitale, priva d’una fucina di relazioni; che non fa crescere: rende piatta la situazione.
«Spirito»: energia che butta all’aria la vicenda personale, comunitaria ed ecclesiale... al fine di farla maturare e rinnovarla.
Non per confermare lo standard, ma per dilatare i confini.
Basta scorrere i punti trattati nella recente enciclica sull’amicizia sociale per rendersi conto: frontiere, le ombre del mondo chiuso, sogni che vanno in frantumi, fine della coscienza storica, senza un progetto per tutti, lo scarto mondiale, gli sprechi anche alimentari... etc.
Lo Spirito introduce nella realtà una sorta di qualità sublime, (soprattutto) irrompendo con un’Azione che discerne l’evoluzione e la capovolge, ne fa un tutt’Altro rispetto allo spirito stagnante - ben disposto solo a ribadire, celebrare e diffondere se stesso.
«Santo» perché distingue la sfera della Vita - Santità - da quella paludosa dei germi mortiferi, che ci volgono al ripiegamento e all’autodistruzione.
Un tempo anche la «missionarietà» cattolica [persino la preziosa attività di promozione umana, immaginata estranea alla «evangelizzazione» - ideale dal sapore “protestante”] era concepita in termini di proselitismo interno.
Fratelli Tutti invece denuncia la realtà e il richiamo dei flagelli complessivi: le carenze di un progetto comune, la persistenza di uno «scarto mondiale» e l’insufficienza universale dei diritti umani; le situazioni di conflitto e paura, un progresso «senza rotta comune»... così via.
Il Vangelo stesso di oggi è nato come appello alle chiese e ai fedeli esposti alle ostilità, affinché non deflettano né si lascino scoraggiare nella testimonianza reale e genuina del Cristo nel mondo.
Appello da non tralasciare, malgrado la profonda miseria e i confini che continuano a celarsi nei cuori.
I credenti non devono mollare quel sentirsi attratti dalla potenza critica della Parola.
Nel tempo essa ha la forza di spogliare gli intriganti dalle loro manie di vanitosa grandezza o perversione, e far emergere la Luce che ci accomuna, attrae spontaneamente, senz’artificio.
I membri di chiesa che vivono di Fede-amore non possono identificarsi con stili di vita vantaggiosi, interpretazioni della realtà ormai datate e non cruciali, sebbene siano tipiche delle “religioni dottrina-disciplina” - o delle varie denominazioni storiche.
Come tristemente sottolinea Fratelli Tutti circa l’incontro tra le diverse confessioni cristiane:
«Non possiamo dimenticare il desiderio espresso da Gesù: che tutti siano Uno (Gv 17,21). Ascoltando il suo invito, riconosciamo con dolore che al processo di globalizzazione manca ancora il contributo profetico e spirituale dell’unità tra tutti i cristiani» (n.280).
Questo sì è un «imperdonabile peccato» - in tutti i sensi - non un peccatuccio da ridere.
Come affermava Giovanni Paolo II: «La “bestemmia” [di cui si tratta] non consiste propriamente nell’offendere con le parole lo Spirito Santo; consiste, invece, nel rifiuto di accettare la salvezza che Dio offre all’uomo mediante lo Spirito Santo, e che opera in virtù del sacrificio della croce [Esso] non permette all’uomo di uscire dalla sua autoprigionia e di aprirsi alle fonti divine della purificazione» (Udienza Generale 25 luglio 1990).
Solo l’opera colma di speranze incontra gl’insegnamenti di Gesù.
È il Crocifisso che rivela l’intimità di Dio e dell’uomo, nonché le distorsioni di quell’ipocrisia devota che privilegia lo spirito d’interesse e di frontiera, il potere, l’accumulo di qualsiasi risorsa, e i disvalori.
In simbiosi col passo di Lc e il nuovo Magistero, possiamo ribadire che è appunto nel momento delle minacce in situazione - oggi purtroppo anche globali - che si legge la portata della nostra scelta per il Signore.
C’è chi si affida alla fraternità trasparente, allo spirito dei figli, all’amore che «integra e raduna» (FT 190-192)... viceversa chi cerca fiducia in sé o tenta di rifarsi ai soliti calcoli mondani (vv.11-12), badando ai risultati più che alla fecondità dell’avviare processi (cf. FT 193-197).
Altro che piccole trasgressioni!
È nel momento delle minacce di fondo, che si legge la portata della nostra scelta per il Signore.
Lc allude in specie a scuse di circostanza, particolari, nella ricerca dell’appoggio: favori di paradigmi “culturali”, o di gente che conta. Ad es. agevolando le proprie vicende grazie a un servilismo ideologico e codino alle autorità, con annesse garanzie di via d’uscita.
Tutto ciò senza mai «pensare e generare un universo aperto» (cf. FT 87-127) che sappia andare oltre il «mondo di soci» e cordate - perfino ecclesiali, come ribadito in diverse occasioni dall’attuale pontefice [alludendo appunto agli stessi prelati].
Qui si affaccia il pericolo della bestemmia contro il Santo Spirito: allontanarsi dal Vangelo ritenendo che oggi Gesù sia per l’esclusivismo, o un estraneo che indichi cammini di rovina e morte, invece che d’autentica Vita.
Beninteso, non sono pochi coloro che forse negano esternamente il Cristo, ma non rigettano il senso di Gesù: vivono del suo stesso Spirito [amore del prossimo, vittoria sul male, speranza in un regno più autentico: v.10; FT 271ss].
Il Maestro e il nuovo impegno magisteriale - che suonano all’unisono - intendono scuotere le coscienze e farci capire la gravità di scelte contrarie al disegno di Dio.
Oggi gli impulsi dello Spirito che rinnova la faccia della terra sconvolgono il panorama, ma non per abbandonare l’umanità ai puri limiti e a un inesorabile oblio.
Scrive il Tao Tê Ching (xxxiv) circa il nostro confidare nel Perfetto:
«Come è universale il gran Tao! Può stare a sinistra come a destra». E il maestro Wang Pi commenta: «Non v’è nulla che l’universalità e la sovrabbondanza del Tao non raggiunga: a sinistra e a destra, in alto e in basso. Se ovunque conferisce e s’adopra, non v’è nulla cui non giunga». Ribadisce il maestro Ho-shang Kung: «Non v’è luogo che non gli convenga».
Il percorso di colui che cammina sulla Via della Libertà dev’essere senza timori, perché l’Esodo ci rende a noi stessi; riscattati e santificati.
Con un «cuore aperto al mondo intero» (FT 128-153): stabiliti nel «sapore locale» con «orizzonte universale».
Restituiti al nostro Nucleo e per la potenza della Fede che intreccia la nostra vicenda al Cristo personale e cosmico, vedremo realizzare l’impossibile Promessa; cose che non sappiamo, sovranamente efficaci.
Solo lo Spirito non va contro la nostra natura eminente, quindi è impermeabile, definitivo - pur non essendolo. Perché ci chiama a confidare: per questo non lascia attaccati a ombre, ricordi, antiche sicurezze e commemorazioni che non guidano lo sguardo altrove.
Fomentare il museo dei dettagli vintage [o abbandonarsi all’onda delle mode, anche di pensiero] significa incagliare la mente sul passato, sui vissuti che forse neanche sono stati mai posti in essere.
Semplici ideali d’un tempo altrui, modelli; teologizzazioni arcaiche, o viceversa edoniste.
Vogliamo esistere completamente, perché non siamo degli alterati.
Per questo ci sono le crisi, i rivolgimenti, i tagli: riconducono alla nostra fragranza, che - questa sì - potremmo smarrire.
Se viceversa permanessimo ancora identificati, rischieremmo di non metterci in posizione di scatto; di non cambiare i rapporti, e far sbiadire le energie presenti ora a tutto tondo (anche dentro).
Non facciamole come scivolar via - togliendo smalto alle emergenze inedite che ci chiamano.
Abbiamo lati dell’anima che altrimenti non si esprimerebbero, se non nei pericoli che frastornano, nelle relazioni difficili e a tutto campo, o nei rifiuti più dolorosi e finalmente stravolgenti, i quali ci costringono a spostare lo sguardo.
Ma bisogna deporre la mente precipitosa e opportunista, che cerca subito di rimediare e riparare secondo stereotipi.
Il pericolo e i tempi concitati vengono per ricordarci il nostro lato eterno. Esso può esprimersi solo quando la matrice del nostro stare in campo deflette, per predisporci ad accogliere la soluzione inattesa.
L’imprevista pena o sconfitta non ci farà “piacere per forza” in società anche ecclesiale, concatenata, ma consentirà di essere ciò che siamo. E diventare noi stessi, scoprire altre visuali - secondo Firma d’Autore.
Ciò anche quando agli altri sembrerà che la nostra vita sia perduta.
In realtà, ce la stiamo giocando senza esteriorità di contenuto, per innescare la Beltà integrale della nuova Giovinezza che non sappiamo, ma incede.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Come vivi la persecuzione? Maledizione ovvero Occasione?
Sotto minaccia, insulto, calunnia, processo, derisione, violenza, emergenza, hai mai pensato che Gesù ti avesse condotto in cammini di morte?
E facendo proprio il nuovo Magistero, quale taglio con le indecenze del passato, quale orizzonte giovane, quale beltà e relazioni difformi hai gustato?
Il male non è una forza anonima.
Limite delle liberazioni umane
Dobbiamo essere ben coscienti che il male non è una forza anonima che agisce nel mondo in modo impersonale o deterministico. Il male, il demonio, passa attraverso la libertà umana, attraverso l’uso della nostra libertà. Cerca un alleato, l’uomo. Il male ha bisogno di lui per diffondersi. È così che, avendo offeso il primo comandamento, l’amore di Dio, viene a pervertire il secondo, l’amore del prossimo. Con lui, l’amore del prossimo sparisce a vantaggio della menzogna e dell’invidia, dell’odio e della morte. Ma è possibile non lasciarsi vincere dal male e vincere il male con il bene (cfr Rm 12, 21). È a questa conversione del cuore che siamo chiamati. Senza di essa, le «liberazioni» umane tanto desiderate deludono, perché si muovono nello spazio ridotto concesso dalla ristrettezza di spirito dell’uomo, dalla sua durezza, dalle sue intolleranze, dai suoi favoritismi, dai suoi desideri di rivincita e dalle sue pulsioni di morte. La trasformazione in profondità dello spirito e del cuore è necessaria per ritrovare una certa chiaroveggenza e una certa imparzialità, il senso profondo della giustizia e quello del bene comune. Uno sguardo nuovo e più libero renderà capaci di analizzare e di mettere in discussione sistemi umani che conducono a vicoli ciechi, per andare avanti tenendo conto del passato, per non ripeterlo più con i suoi effetti devastanti. Questa conversione richiesta è esaltante perché apre delle possibilità facendo appello alle innumerevoli risorse che abitano il cuore di tanti uomini e donne desiderosi di vivere in pace e pronti ad impegnarsi per la pace. Ora essa è particolarmente esigente: si tratta di dire no alla vendetta, di riconoscere i propri torti, di accettare le scuse senza cercarle, e infine di perdonare. Perché solo il perdono dato e ricevuto pone le fondamenta durevoli della riconciliazione e della pace per tutti (cfr Rm 12,16b.18).
[Papa Benedetto, Discorso all’Incontro in Baabda Libano 15 settembre 2012]
Lo Spirito ci mette intimamente in rapporto con Dio, presso il quale si trova la sorgente d’ogni ricchezza umana autentica. Tutti voi cercate di amare e di essere amati! È verso Dio che voi dovete volgervi per imparare ad amare e per avere la forza di amare. Lo Spirito, che è Amore, può aprire i vostri cuori per ricevere il dono dell’amore autentico. Tutti voi cercate la verità e volete viverne! Questa verità è Cristo. Egli è la sola Via, l’unica Verità e la vera Vita. Seguire Cristo significa veramente “prendere il largo”, come dicono diverse volte i Salmi. La strada della Verità è una e nello stesso tempo molteplice, secondo i diversi carismi, come la Verità è una e nello stesso tempo di una ricchezza inesauribile. Affidatevi allo Spirito Santo per scoprire Cristo. Lo Spirito è la guida necessaria per la preghiera, l’anima della nostra speranza e la sorgente della vera gioia.
[Papa Benedetto, veglia di preghiera dei giovani Parigi 12 settembre 2008]
E quando predice ai suoi discepoli che li attende la persecuzione, con imprigionamenti e interrogatori, aggiunge: “Non preoccupatevi di ciò che dovrete dire, ma dite ciò che in quell’ora vi sarà dato: poiché non siete voi a parlare, ma lo Spirito Santo” (Mc 13, 11). “Lo Spirito Santo vi insegnerà in quel momento ciò che bisogna dire” (Lc 12, 12).
5. I Vangeli sinottici riportano un’altra affermazione di Gesù nelle sue istruzioni ai discepoli, che non può non impressionare. Riguarda la “bestemmia contro lo Spirito Santo”. Egli dice: “Chiunque parlerà contro il Figlio dell’uomo gli sarà perdonato, ma chi bestemmierà lo Spirito Santo non gli sarà perdonato” (Lc 12, 10; cf. Mt 12, 32; Mc 3, 29). Queste parole creano un problema di vastità teologica ed etica maggiore di quanto si possa pensare, stando alla superficie del testo. “La “bestemmia” (di cui si tratta) non consiste propriamente nell’offendere con le parole lo Spirito Santo; consiste, invece, nel rifiuto di accettare la salvezza che Dio offre all’uomo mediante lo Spirito Santo, e che opera in virtù del sacrificio della croce . . . Se la bestemmia contro lo Spirito Santo non può essere rimessa né in questa vita né in quella futura, è perché questa “non-remissione” è legata, come a sua causa, alla “non-penitenza”, cioè al radicale rifiuto di convertirsi . . . Ora la bestemmia contro lo Spirito Santo è il peccato commesso dall’uomo, che rivendica un suo presunto “diritto” di perseverare nel male - in qualsiasi peccato - e rifiuta così la redenzione . . . (Esso) non permette all’uomo di uscire dalla sua autoprigionia e di aprirsi alle fonti divine della purificazione delle coscienze e della remissione dei peccati” (Dominum et vivificantem, 46). È l’esatto rovesciamento della condizione di docilità e di comunione col Padre, in cui vive Gesù orante e operante, e che egli insegna e raccomanda all’uomo come atteggiamento interiore e come principio di azione.
6. Nell’insieme della predicazione e dell’azione di Gesù Cristo, che scaturisce dalla sua unione con lo Spirito Santo-Amore, è contenuta un’immensa ricchezza del cuore: “Imparate da me, che sono mite e umile di cuore - egli esorta - e troverete ristoro per le vostre anime” (Mt 11, 29), ma è presente, nello stesso tempo, tutta la fermezza della verità sul regno di Dio, e quindi l’insistente invito ad aprire il cuore, sotto l’azione dello Spirito Santo, per esservi ammessi e non esserne esclusi.
In tutto ciò si rivela la “potenza dello Spirito Santo” e anzi si manifesta lo Spirito Santo stesso con la sua presenza e la sua azione di Paraclito, confortatore dell’uomo, confermatore della verità divina, debellatore del “padrone di questo mondo”.
[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 25 luglio 1990]
Gesù reagisce con parole forti e chiare, non tollera questo, perché quegli scribi, forse senza accorgersene, stanno cadendo nel peccato più grave: negare e bestemmiare l’Amore di Dio che è presente e opera in Gesù. E la bestemmia, il peccato contro lo Spirito Santo, è l’unico peccato imperdonabile – così dice Gesù –, perché parte da una chiusura del cuore alla misericordia di Dio che agisce in Gesù.
[Papa Francesco, Angelus 10 giugno 2018]
XXVII Domenica del tempo ordinario (B) 6 ottobre 2024
1. Capita spesso, come in questa domenica, che il vangelo e la prima lettura si richiamino a vicenda quasi a completare il messaggio che Dio vuole comunicarci. Nella prima lettura, tratta dal libro della Genesi, leggiamo: “Il Signore Dio disse: “Non è bene che l'uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda” (Gn2,18- 24). E’ meglio subito precisare che la Genesi non è un libro di storia, ma un testo sapienziale che risale al X secolo A.C., quando un teologo, probabilmente alla corte del re Salomone, ha voluto riflettere sulle inquietudini esistenziali dell’essere umano, chiedendosi, ad esempio “Perché la morte? Perché la sofferenza? Perché tanti problemi e difficoltà nella nostra vita? E per cercare una risposta, sviluppa un racconto simbolico analogo alle parabole di Gesù. L’autore del libro della Genesi non è quindi uno scienziato che vuole spiegarci il perché e il quando della creazione, bensì un credente che intende aiutarci a capire il progetto di Dio riguardo all’essere umano, con elementi simbolici da ben interpretare perché non si sta parlando di un’ipotetica prima coppia dell’umanità – Adamo ed Eva - , ma in generale dell’origine dell’umanità e infatti in ebraico la parola Adamo non è il nome di qualcuno, significa invece “terreno” cioè fatto di terra polverosa (adamah). Par la creazione della donna l’autore del testo sacro usa l’immagine del sonno e della costola tratta dall’uomo. Cosa vuole dirci la Parola di Dio? In primo luogo la donna è parte della creazione sin dall’origine e se questo per noi è un dato del tutto ovvio, in quell’epoca affermarlo costituiva una novità assoluta. In Mesopotamia, patria di Abramo, si pensava che la donna non era stata creata sin dall’inizio e che prima l’uomo viveva benissimo da solo. La Bibbia invece pone la creazione della donna subito all’inizio e soprattutto la introduce come dono di Dio; senza di essa l’uomo non potrebbe essere felice e l’umanità risulterebbe incompleta. Le divinità delle popolazioni dell’epoca, spesso rivali tra di loro, creavano gli uomini per tenerli come schiavi; al contrario nella Bibbia Dio è Uno solo e creando l’uomo lo pone nel giardino del paradiso per essere felice insieme a lui. La frase “Non è bene che l'uomo sia solo” mostra che egli tiene molto alla nostra felicità e ciò costituisce una novità assoluta e importante: cioè la sessualità umana, intesa come relazione d’amore, è bella e buona, parte integrante del disegno originario della creazione, voluta da Diocome elemento unito al godimento relazionale tra uomo e donna. L’idea della costola tratta da Adamo, evidenzia che il disegno del Creatore non è il dominio dell’uomo sulla donna, ma la loro uguaglianza nel dialogo, che implica al tempo stesso intimità e distanza in un clima di dono reciproco. L’ebraico ci aiuta a meglio percepire perché uomo si dice “Ish” e donna “isha”, due termini vicini che indicano appartenenza alla stessa famiglia, pur nella diversità dell’uno rispetto all’altra.
2. C’è un particolare su cui focalizziamo la nostra attenzione. Nel secondo capitolo della Genesi si legge che il Signore chiese all’uomo di dare il nome a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli animali selvatici, affidandogli potere sull’intero creato. Adamo però “non trovò un aiuto che gli corrispondesse” (Gn2,20); solo davanti alla donna il suo grido è pieno di emozione e di riconoscenza nel senso che la riconosce come parte di sé stesso e per questo la considera il suo “alter ego”. Nello stupore di questo momento assumono risonanza le parole di Yahweh: ”voglio fargli un aiuto che gli corrisponda”, perché sia la sua “interfaccia”. E quando precisa che “non è bene che l’uomo sia solo” non è da intendersi che è male per l’uomo restare celibe, ma che l’umanità è completa nella sua dualità di uomo e donna, in una relazione di dialogo che armonizza l’intimità col rispetto della reciproca alterità. Sta qui la vocazione della coppia: essere immagine di Dio Uno e Comunione Trinitaria. Un altro libro sapienziale dell’Antico Testamento, Il Cantico dei Cantici, un poetico dialogo tra due amanti, rivela il mistero dell’intimità divina ricorrendo agli slanci, alla tenerezza e all’intimità d’una coppia di innamorati. Nella tradizione ebraica viene proclamato a Pasqua/Pesach, che cade sempre in primavera, un periodo di rinnovamento e fioritura, che ben si lega ai temi d’amore e fertilità espressi nel Cantico. Ancor più interessante è il fatto che gli ebrei proclamano il Cantico dei Cantici nella celebrazione pasquale, la festa dell’Alleanza tra Dio e il suo popolo assumendo così un significato spirituale profondo: non si tratta solo di un inno all’amore umano, ma di una celebrazione della salvezza e della rinascita spirituale. Come gli ebrei furono liberati dalla schiavitù fisica, così l’amore divino dona alla vita degli uomini un nuovo inizio. E’ stato Il peccato originale a ferire l’incanto della relazione con Dio, e ciò si riflette sul rapporto coniugale diventato faticoso e difficile perché, scrive in proposito sant’Agostino: “il matrimonio è un bene del quale non si può spezzare l’unione senza peccato” (De bono conjugali,24)
3. Nel vangelo i farisei pongono a Gesù una domanda provocatoria sul divorzio, e lui, come sempre, non risponde in maniera diretta, li aiuta invece a cercare essi stessi gli elementi della risposta. Il divorzio esisteva nell’Antico Testamento insieme all’atto di ripudio, non però codificato in maniera sistematica nella Torah, bensì soltanto citato nel Deuteronomio in un contesto specifico senza stabilire norme dettagliate (Dt 24,1-4). Ai tempi di Gesù era diventato una pratica relativamente diffusa ed esistevano interpretazioni e applicazioni pratiche diverse. Per Gesù non è importante la casistica, ma tornare al progetto originario di Dio che ha creato gli esseri umani a sua immagine - uomo e donna – affinché l’uomo staccatosi dalla sua famiglia si unisca alla donna in modo da formare una sola cosa (Gn 2, 24). Se la coppia riflette l’immagine di Dio la sua vocazione non può che essere l’indivisibilità, l’indissolubilità per cui diventa logica la conclusione: ”Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto” . Facile a dirsi e complicato a realizzarsi come l’esperienza dimostra. Questo perché il matrimonio non è invenzione umana ma progetto di Dio, e diviene possibile portarlo a pieno compimento soltanto con il suo sostegno. Non bastano cioè la buona volontà e le risorse umane per conservare l’unità d’una coppia e della famiglia. Solo quando si prega e si vivere uniti a Dio, con il soccorso della sua misericordia ciò che impossibile umanamente diventa realtà possibile e sorgente di pacifica convivenza. E’ l’eroismo delle coppie che abbracciano il vangelo sino al martirio dell’amore nonostante tutto: coppie di coniugi canonizzate e molte altre nascoste nella semplicità della fedeltà quotidiana. Esse superano con coraggio ostacoli e accettano che le inevitabili incomprensioni quotidiane non spezzino mai la loro unità che il Signore ha saldato con la consacrazione matrimoniale. Se questo è l’ideale che mai va nascosto né ridotto per paura di chiedere troppo a coloro che sono chiamati al matrimonio cristiano, una domanda interpella spesso le nostre comunità: che fare con le coppie che si sono perse per strada o che preferiscono al matrimonio la convivenza? Ogni pastore ha il dovere di accompagnare tutti con pazienza e apertura d’animo specialmente quando ferite laceranti ne segnato l’esistenza. Tuttavia, pur consapevoli delle problematiche esistenti, sarebbe un errore smettere di credere che soltanto l’amore di Dio può salvare l’unità della coppia e della famiglia dal naufragio del divorzio. Nel vangelo Gesù aggiunge: “per la durezza del vostro cuore” Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio facendo comprendere che la legge è solo una tappa della pedagogia divina, mentre l’obbiettivo resta sempre la suprema legge dell’amore. Il rischio è dunque “l’indurimento del cuore”, cioè la pretesa di poter contare soltanto sulle proprie forze. Facendo riferimento ai bambini, Gesù insegna che se si vuole conservare l’unità nella famiglia occorre conservare l’umile semplicità del bambino pieno di fiducia verso chi lo ama. Il segreto dunque è sperimentare l’amore misericordioso di Dio.
Buona domenica a tutti.
+Giovanni D’Ercole
E smuovere i vicini
(Lc 10,1-9)
Gesù constata che gli Apostoli non sono persone libere (cf. Lc 9). Il loro modo di essere è talmente fondato su atteggiamenti standard e comportamenti obbligati da tradursi in armature mentali impermeabili.
La loro prevedibilità è troppo limitante: non dà respiro al cammino di coloro che invece vogliono riattivarsi, scoprire, valorizzare sorprese dietro i lati segreti della realtà e della personalità.
Ciò che rimane vincolato ad antiche costumanze e soliti protagonisti non fa sognare, non è apparizione e testimonianza stupefacente d’Altrove; toglie ricchezza espressiva all’Annuncio e alla vita.
Il Signore si vede costretto a chiamare i samaritani [gli eretici della religione] raccolti altrove, non provenienti da osservanze “corrette”, ma in grado di camminare, comprendere e non fare gli schizzinosi.
I nuovi inviati vanno sulla strada indifesi. Non potendo contare sulle consuete astuzie, vengono sicuramente danneggiati, defraudati e - se toccano tutti i nervi scoperti - sbranati.
Ma il loro essere dimesso e poco saccente fa pensare, suscita nuovi saperi e consapevolezze. Così la loro amicizia spontanea e innocente.
Poi, in situazioni bloccate sarà questo “disordine” di nuovi stupefatti a introdurre rinnovato fascino, evocare potenzialità, allargare occasioni espressive e il campo d’azione di tutti.
Giunti in un territorio, sarà bene non passare di casa in casa: da una sistemazione di fortuna all’appartamento, alla villa e poi al palazzo, perché la ricerca di migliori agi fa sparire la Novità di Dio.
La cura dei malati e delle devianze è punto fermo della Missione, perché proprio dalle insicurezze o eccentricità germoglia un regno diverso, quello che si accorge e si fa carico - nell’amore di chi non abbandona.
E non si perda tempo a pettinare l’ambiente seduto: anche un volontario allontanamento educa alla gratuità.
Lo slancio della vita desterà le coscienze e prevarrà sul negativo: nel cammino che ci appartiene le accuse conteranno sempre meno.
A differenza dell’azione infruttuosa degli Apostoli (Lc 9 passim), il ritorno dei nuovi evangelizzatori è pieno di gioia e risultati (vv.17-20).
Sono gli ultimi e diversi a far cadere dal “cielo” - e sostituire - i nemici dell’umanità e della nostra Letizia (vv.5-6).
Nella prospettiva della Pace-Felicità [Shalom] da annunciare, quelli che erano sempre sembrati imperfezioni e difetti diventano energie preparatorie, che ci completano e realizzano anche spiritualmente.
Ora la Salvezza (vita da salvati) che fiorisce è a portata di mano di tutti (v.9), non più un privilegio.
I lati giudicati pazzeschi, estranei o materialmente inconcludenti stanno apprestando i nostri nuovi percorsi.
Nel grande Mistero di percepirsi come un ‘essere nel Dono’ - «due a due» (v.1) per vivere in pienezza - il sé comprende le opposte polarità della sua essenza.
Solo così ‘dilatati’ diventiamo un essere con e per l'altro. In cammino sulla Via, nella forma di Croce.
[San Luca, Evangelista, 18 ottobre 2024]
«Too pure water has no fish». Accepting ourselves will complete us: it will make us recover the co-present, opposite and shadowed sides. It’s the leap of profound Faith. And seems incredible, but the Rock on which we build the way of being believers is Freedom
«L’acqua troppo pura non ha pesci». Accettarsi ci completerà: farà recuperare i lati compresenti, opposti e in ombra. È il balzo della Fede profonda. Sembra incredibile, ma la Roccia sulla quale edifichiamo il modo di essere credenti è la Libertà
Our shortages make us attentive, and unique. They should not be despised, but assumed and dynamized in communion - with recoveries that renew relationships. Falls are therefore also a precious signal: perhaps we are not using and investing our resources in the best possible way. So the collapses can quickly turn into (different) climbs even for those who have no self-esteem
Le nostre carenze ci rendono attenti, e unici. Non vanno disprezzate, ma assunte e dinamizzate in comunione - con recuperi che rinnovano i rapporti. Anche le cadute sono dunque un segnale prezioso: forse non stiamo utilizzando e investendo al meglio le nostre risorse. Così i crolli si possono trasformare rapidamente in risalite (differenti) anche per chi non ha stima di sé
God is Relationship simple: He demythologizes the idol of greatness. The Eternal is no longer the master of creation - He who manifested himself strong and peremptory; in his action, again in the Old Covenant illustrated through nature’s irrepressible powers
Dio è Relazione semplice: demitizza l’idolo della grandezza. L’Eterno non è più il padrone del creato - Colui che si manifestava forte e perentorio; nella sua azione, ancora nel Patto antico illustrato attraverso le potenze incontenibili della natura
Starting from his simple experience, the centurion understands the "remote" value of the Word and the magnet effect of personal Faith. The divine Face is already within things, and the Beatitudes do not create exclusions: they advocate a deeper adhesion, and (at the same time) a less strong manifestation
Partendo dalla sua semplice esperienza, il centurione comprende il valore “a distanza” della Parola e l’effetto-calamita della Fede personale. Il Cospetto divino è già dentro le cose, e le Beatitudini non creano esclusioni: caldeggiano un’adesione più profonda, e (insieme) una manifestazione meno forte
What kind of Coming is it? A shortcut or an act of power to equalize our stormy waves? The missionaries are animated by this certainty: the best stability is instability: that "roar of the sea and the waves" Coming, where no wave resembles the others.
Che tipo di Venuta è? Una scorciatoia o un atto di potenza che pareggi le nostre onde in tempesta? I missionari sono animati da questa certezza: la migliore stabilità è l’instabilità: quel «fragore del mare e dei flutti» che Viene, dove nessuna onda somiglia alle altre.
The words of his call are entrusted to our apostolic ministry and we must make them heard, like the other words of the Gospel, "to the end of the earth" (Acts 1:8). It is Christ's will that we would make them heard. The People of God have a right to hear them from us [Pope John Paul II]
Queste parole di chiamata sono affidate al nostro ministero apostolico e noi dobbiamo farle ascoltare, come le altre parole del Vangelo, «fino agli estremi confini della terra» (At 1, 8). E' volontà di Cristo che le facciamo ascoltare. Il Popolo di Dio ha diritto di ascoltarle da noi [Papa Giovanni Paolo II]
don Giuseppe Nespeca
Tel. 333-1329741
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