don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Giovedì, 02 Gennaio 2025 12:41

Epifania del Signore

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga!

Con gli auguri ancora freschi per questo nuovo anno, ecco il commento delle letture della solennità dell’Epifania 

Epifania del Signore [6 gennaio 2025]

*Prima Lettura dal Libro del profeta Isaia (60,1-6)

Il richiamo ai simboli dell’oro, incenso e mirra, presente in questo testo del profeta Isaia, l’hanno fatto scegliere per l’odierna festa dell’Epifania del Signore con evidente connessione ai doni dei Magi, ma c’è molto di più. Da notare tutte le espressioni di luce che sono in questo passaggio: “Rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te”…(come sorge il sole)  su di te risplende il Signore , la sua gloria  appare su di te… cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere”. Insomma la tua luce, lo splendore della tua aurora ti renderà radiosa. Contrariamente a quel che si può immaginare, come spesso capita con i profeti che coltivano la speranza, dobbiamo dedurre immediatamente che l’umore generale in quel momento era piuttosto cupo. Perché l’umore generale era cupo, e che cosa suggerisce il profeta per invitare il popolo alla speranza? Per quanto riguarda l’umore, guardiamo al contesto: questo testo fa parte degli ultimi capitoli del libro di Isaia; siamo negli anni 525-520 a.C., cioè circa quindici o vent’anni dopo il ritorno dall’esilio a Babilonia. I deportati erano tornati in patria, e si credeva che la felicità si sarebbe stabilita, ma questo ritorno tanto atteso non ha soddisfatto tutte le aspettative. C’erano quelli che, rimasti nel paese, avevano vissuto il periodo di guerra e occupazione; gli esuli tornati dall’esilio speravano di ritrovare il loro posto e i loro beni. Poiché l’esilio durò cinquant’anni, coloro che erano partiti erano morti là e i superstiti rientrati in patria erano i loro figli o nipoti. Questo non doveva semplificare le riunioni, tanto più che coloro che tornavano non potevano pretendere di recuperare l’eredità dei loro genitori perché, proprio a causa del lungo periodo di cinquant’anni, i beni degli assenti e degli esiliati erano stati occupati e altri se ne erano impossessati. Inoltre molti stranieri si erano stabiliti nella città di Gerusalemme e in tutto il paese e vi avevano introdotto altre usanze, altre religioni. Appare evidente che quest’ammasso di persone tanto diverse non costituiva un clima ideale per vivere insieme. Prima causa di disaccordo fu la ricostruzione del Tempio. Fin dal ritorno dall’esilio, autorizzato nel 538 dal re Ciro, i primi rientrati, che formavano la cosiddetta “comunità del ritorno”, avevano ristabilito l’antico altare del Tempio di Gerusalemme e avevano ripreso a celebrare il culto come in passato. Si volle al tempo stesso cominciare la ricostruzione del Tempio, ma alcune persone considerate eretiche vollero intervenire. Si tratta di un miscuglio di ebrei rimasti nel paese e di popolazioni straniere pagane insediate lì dall’occupante mescolate insieme persino attraverso dei matrimoni che avevano preso abitudini giudicate eretiche dagli ebrei che tornavano dall’Esilio e per questo motivo la “comunità del ritorno” rifiutò che il Tempio del Dio unico fosse costruito da persone che poi vi avrebbero celebrato altri culti. Questo rifiuto fu mal accolto e coloro che erano stati respinti si opposero con tutti i mezzi: il risultato fu l’arresto dei lavori e il tramonto del sogno di ricostruire il Tempio. Con il passare degli anni crebbe e si diffuse lo scoraggiamento.  La tristezza e lo sconforto non sono però degni del popolo portatore delle promesse di Dio e per questo Isaia insieme al profeta Aggeo decisero di risvegliare i loro compatrioti invitandoli a non piangersi addosso e a mettersi al lavoro per ricostruire il Tempio.  Conoscendo questo  contesto, il linguaggio quasi trionfante d’Isaia ci sorprende, ma è il linguaggio abituale nei profeti. Se promettono tutta questa luce è perché il popolo è moralmente a terra e ci si trova nella notte più cupa. Tuttavia è proprio durante la notte che si scrutano i segni del sorgere del giorno e il ruolo del profeta è ridare coraggio annunciando l’alba del nuovo giorno. E’ chiaro: più il profeta insiste sul tema della luce più vuol dire che il popolo è oppresso dal buio dello scoramento. Per risollevarne il morale Isaia e Aggeo insistono su un solo argomento fondamentale per gli ebrei: Gerusalemme è la Città santa, scelta da Dio per farvi dimorare il segno della sua presenza. Dio stesso si è impegnato con il re Salomone, decidendo che “qui sarà il mio Nome”.  Possiamo così sintetizzare e attualizzare il messaggio di Isaia: “Vi sentite in un tunnel, nel buio più profondo, ma alla fine del tunnel vi attende la luce. Ricardatevi la promessa: giunge il Giorno in cui tutti riconosceranno in Gerusalemme la Città santa”.  E allora non lasciatevi abbattere e mettetevi al lavoro, dedicate tutte le vostre forze a ricostruire il Tempio come avete promesso. In ogni tempo quando ci si sente scoraggiati dalle difficoltà e si brancola nel buio dell’incertezza occorrono profeti che ridestano il coraggio della speranza. Isaia lo fa capire con determinazione e questo è il suo ragionamento: quando si è credenti, anche il buio più oscuro non riesce a soffocare la speranza. E qui non si tratta di promessa legata a un trionfo politico, ma della promessa di Dio: un giorno l’intera umanità sarà finalmente riunita in un’armonia perfetta nella Città santa. 

 

*Salmo Responsoriale (71/72) 

Questo salmo ci fa assistere all’incoronazione di un nuovo re, quando i sacerdoti pronunciano su di lui preghiere che raccolgono i desideri e i sogni del popolo all’inizio di ogni nuovo regno. Si auspica la potenza politica per il re, la pace e la giustizia, la felicità, la ricchezza e prosperità per tutti e il popolo eletto ha il vantaggio di sapere che questi sogni degli uomini coincidono con il progetto stesso di Dio. L’ultima strofa del salmo, che non fa parte dell’odierna liturgia, cambia però tono: non si parla più del re terreno, ma  di Dio: “Benedetto sia il Signore, il Dio d’Israele, lui solo compie meraviglie! Benedetto sia per sempre il suo nome glorioso, tutta la terra sia piena della sua gloria! Amen! Amen!”. Ed è proprio quest’ultima strofa a offrire la chiave per capire l’intero salmo composto e cantato dopo l’esilio a Babilonia (quindi tra il 500 e il 100 a.C.), in un’epoca in cui non c’era più un re in Israele. I voti e le preghiere non riguardano quindi un re in carne e ossa, ma il futuro re promesso da Dio, il re-messia. E poiché si tratta di una promessa di Dio, si può essere certi che si realizzerà. L’intera Bibbia è attraversata da questa speranza indistruttibile: la storia umana ha un fine, un senso dove  il termine “senso” significa due cose: sia “significato” che “direzione”. Dio ha un unico progetto che ispira tutte le  vicende della Bibbia e assume nomi diversi secondo i diversi autori: è  il “Giorno di Dio” per i profeti, il “regno dei cieli” per l’evangelista Matteo, il “disegno della sua benevolenza (eudokia) ” per san Paolo (Ef1,9-10). Dio ama l’umanità e ripropone instancabilmente il suo progetto di felicità. Progetto che sarà realizzato dal messia che viene invocato ogni qualvolta si cantano i salmi nel Tempio di Gerusalemme.

Il salmo 71 è la descrizione del re ideale, che Israele attende da secoli: quando nasce Gesù, sono passati circa 1000 anni da quando il profeta Natan si recò dal re Davide da parte di Dio e gli fece la promessa di cui parla il nostro salmo. (cf 2 Sam 7,12-16). Di secolo in secolo, la promessa è stata ribadita e meglio precisata. La certezza della fedeltà di Dio alle sue promesse ha permesso di scoprire a poco a poco tutta la sua ricchezza e le sue conseguenze; se questo re meritava davvero il titolo di figlio di Dio, allora sarebbe stato a immagine di Dio, re di giustizia e di pace. A ogni incoronazione di un nuovo re, la promessa veniva ripetuta su di lui e si tornava a sognare, ma il popolo ebraico attende ancora, e bisogna riconoscere che il regno ideale non ha ancora visto la luce sulla terra. Si finirebbe quasi per credere che sia solo un’utopia. I credenti però sanno che non si tratta di un’utopia ma di una promessa di Dio, quindi di una certezza. E l’intera Bibbia è attraversata da questa certezza, speranza invincibile che il progetto di Dio si realizzerà. È il miracolo della fede: di fronte a questa promessa ogni volta delusa, due diverse reazioni sono possibili: il non credente dice “ve l’avevo detto, non accadrà mai”; il credente afferma risolutamente “pazienza, poiché Dio l’ha promesso, non può rinnegare se stesso”, come ricorda san Paolo (2 Tm 2,13).  Oggi, il popolo ebraico canta questo salmo nell’attesa del re-messia e in certe sinagoghe gli ebrei manifestano la loro impazienza  di vedere il messia recitando questa professione di fede di Mosè Maimonide, filosofo, medico e giurista ebreo (1135-1204) di Toledo in Spagna: “Credo con fede certa che il messia verrà, e anche se tarda a venire, nonostante tutto, io aspetterò fino al giorno del suo arrivo”.  Noi, cristiani, lo applichiamo a Gesù Cristo e ci sembra che i magi venuti dall’Oriente abbiano iniziato a realizzare la promessa: “I re di Tarsis e delle isole porteranno doni, i re di Saba e di Seba offriranno tributi… Tutti i re si prostreranno davanti a lui, tutte le nazioni lo serviranno”. E non è lontano il giorno in cui tutta l’umanità accoglierà il Cristo e si realizzerà il regno del suo amore.

 

*Seconda Lettura, dalla lettera di san Paolo Apostolo agli Efesini (3,2-6)

Questo testo è tratto dal capitolo terzo della Lettera agli Efesini, e nel primo capitolo Paolo ha usato la famosa espressione “il disegno d’amore della sua volontà” (v.5), “facendoci conoscere il mistero della sua volontà” (v 9). Ritroviamo qui la parola “mistero” che per san Paolo non è un segreto che Dio custodisce gelosamente; al contrario, è la sua intimità, nella quale ci fa entrare. Paolo spiega meglio affermando: “Per rivelazione  mi è stato fatto conoscere il mistero”: il mistero è il disegno di amore che Dio rivela progressivamente. Tutta la storia biblica è una lunga, lenta e paziente pedagogia che Dio utilizza per introdurre il suo popolo in questo suo mistero, nella sua intimità. L’esperienza mostra che non si può insegnare a un bambino tutto in una volta; va educato con pazienza, giorno per giorno e a seconda delle circostanze. Non si possono dare lezioni teoriche in anticipo su vita, morte, matrimonio o famiglia. Il bambino scopre la famiglia vivendo con i genitori, i nonni e i fratelli e sorelle: quando la famiglia celebra un matrimonio o una nascita, quando affronta un lutto, il bambino vive questi eventi con i parenti i quali, pian piano, lo accompagnano nella scoperta della vita. Dio ha usato la stessa pedagogia con il suo popolo rivelandosi progressivamente. Questa rivelazione con Cristo ha compiuto un passo decisivo per cui la storia si divide in due periodi, prima di Cristo e dopo Cristo e spiega l’apostolo che questo mistero “non é stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito” e chiarisce ancor più che il mistero di cui parla è Cristo stesso, il centro del mondo e della storia e l’universo intero sarà un giorno riunito in lui, come le membra sono unite al capo. Nella frase “ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose” (1,10), la parola greca che traduciamo con capo significa proprio la testa. Si tratta inoltre davvero dell’universo intero e Paolo precisa che “le genti sono chiamate in Cristo  Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del vangelo”. In altre parole si può dire che l’eredità è Cristo, la Promessa è Cristo, il Corpo èCristo, Il disegno di amore di Dio è che Cristo sia il centro del mondo e che l’universo intero sia riunito in lui. Quando nel Padre Nostro diciamo “sia fatta la tua volontà”, parliamo proprio di questo progetto divino e, ripetendo quest’invocazione, ci impregniamo sempre di più del desiderio del Giorno in cui tale progetto sarà pienamente realizzato. Paolo spiega che questo progetto riguarda l’umanità intera, non solo il popolo ebreo: è l’universalismo del piano di Dio, dimensione universale scoperta progressivamente nella Bibbia e ben radicata nel popolo di Israele, visto che si fa risalire ad Abramo la promessa della benedizione di tutta l’umanità: “In te saranno benedette tutte le famiglie della terra” (Gen 12,3). Il passaggio di Isaia che leggiamo nella prima lettura della festa dell’Epifania è esattamente su questa linea. Ovviamente, se un profeta come Isaia ha ritenuto opportuno insistervi, è perché si tendeva a dimenticarlo. Allo stesso modo, al tempo di Cristo, se Paolo precisa che “le genti  sono chiamate in Cristo Gesù a condividere a la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del vangelo” è perché ciò non era scontato. Dobbiamo fare uno sforzo d’immaginazione: non ci troviamo affatto nella stessa situazione dei contemporanei di Paolo; per noi, nel ventunesimo secolo, questa è un’evidenza: la gran parte di noi non sono di origine ebraica e trovano normale il fatto che tutti noi partecipiamo alla salvezza recata dal Messia. Dopo duemila anni di cristianesimo, sappiamo che Israele rimane il popolo eletto, perché, come dice altrove san Paolo, “Dio non può rinnegare sé stesso”, ma  crediamo di essere anche noi in questo piano chiamati a testimoniare il vangelo nel mondo. Al tempo di Cristo, però, la situazione era diversa. Gesù è nato all’interno del popolo ebraico: questa era la logica del piano di Dio e dell’elezione di Israele. I Giudei erano il popolo eletto, scelto da Dio per essere apostoli, testimoni e strumenti della salvezza di tutta l’umanità. I giudei diventati cristiani hanno avuto difficoltà, talvolta, ad accettare l’ammissione di ex pagani nelle loro comunità e san Paolo ricorda loro che anche i pagani, ormai, possono essere apostoli e testimoni della salvezza. Del resto, l’episodio dei Magi, narrato da Matteo nel Vangelo dell’Epifania, ci dice esattamente la stessa cosa. Le ultime parole di questa seconda lettura  risuonano come un invito: “le genti  sono chiamate in Cristo Gesù a condividere a la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del vangelo”. Certamente Dio attende la nostra collaborazione al suo disegno d’amore: i Magi allora hanno visto una stella e si sono messi in cammino. Per tanti nostri contemporanei, non ci sarà una stella nel cielo, ma siamo noi i testimoni di Cristo e per questo bisognosi di diventare pieni di luce e di gioia. 

 

*Dal Vangelo secondo Matteo ( 2,1-12)

Innanzitutto un’osservazione storica: l’episodio dei Magi narrato dall’evangelista Matteo ci dà uno dei rari indizi sulla data di nascita esatta di Gesù. La data della morte di Erode il Grande è certa: 4 a.C. (visse dal 73 al 4 a.C.) e, poiché fece uccidere tutti i bambini di età inferiore ai due anni, si trattava di bambini nati tra il 6 e il 4 a.C. Quindi, Gesù nacque probabilmente tra il 6 e il 5 a.C. L’errore di calcolo avvenne nel VI secolo, quando un monaco, Dionigi il Piccolo, stabilì, a giusto titolo, di contare gli anni a partire dalla nascita di Gesù, e non più dalla fondazione di Roma. All’epoca, come si desume anche da altre fonti storiche, 

molto viva era l’attesa del Messia e se ne parlava dappertutto. Tutti pregavano Dio affinché affrettasse la sua venuta e alcuni Giudei pensavano che sarebbe stato un re: un discendente di Davide che avrebbe regnato sul trono di Gerusalemme, dopo ver scacciato i Romani e stabilito definitivamente pace, giustizia e fraternità in Israele. Altri con più ottimismo speravano persino che questa felicità si sarebbe estesa al mondo intero. In questo senso, si citavano diverse profezie convergenti dell’Antico Testamento: innanzitutto, quella di Balaam nel Libro dei Numeri. La ricordo: nel momento in cui le tribù d’Israele si avvicinavano alla Terra Promessa sotto la guida di Mosè, attraversando le pianure di Moab (oggi in Giordania), il re di Moab, Balak, aveva convocato Balaam (profeta e indovino pagano) affinché maledicesse questi invasori. Ma, ispirato da Dio, Balaam, anziché maledire, aveva pronunciato profezie di felicità e gloria per Israele, dicendo in particolare: “Io lo vedo, lo contemplo: da Giacobbe spunta una stella, da Israele si alza uno scettro”  (Num 24,17). Il re di Moab si era infuriato, perché aveva interpretato questa profezia come l’annuncio della sua futura sconfitta contro Israele. Ma in Israele, nei secoli successivi, questa bella promessa era stata trasmessa con cura, arrivando a pensare che il regno del Messia sarebbe stato annunciato dall’apparizione di una stella. Ecco perché il re Erode, consultato dai Magi riguardo a una stella, prese la questione molto seriamente. Un’altra profezia riguardante il Messia è quella di Michea: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo tra i capoluoghi di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”. Una profezia perfettamente in linea con la promessa fatta da Dio a Davide, secondo cui la sua dinastia non si sarebbe mai estinta e avrebbe portato al paese la felicità tanto attesa.

I Magi, probabilmente, non sapevano tutte queste cose: erano astrologi e si erano messi in cammino semplicemente perché avevano visto sorgere una nuova stella. Arrivati a Gerusalemme, si informarono presso le autorità locali. Ed è qui che incontriamo la prima sorpresa del racconto di Matteo: da una parte,  i Magi, pagani che non hanno preconcetti, sono alla ricerca del Messia e alla fine lo troveranno guardando l’astro visibile a tutti. Dall’altra parte, ci sono quelli che conoscono le Scritture, gli scribi d’Israele che possono citarle senza errori e possono rivelarne il significato… a condizione, però, che essi stessi si lascino guidare dalle Scritture, ma purtroppo non muovono un dito; non si spingeranno nemmeno da Gerusalemme a Betlemme e quindi non incontreranno il Bambino nella mangiatoia. E’ davvero una provocazione: coloro che attendevano il Messia come gli scribi non riescono a vedere e quindi non incontrano il Messia, mentre i magi estranei alle scritture si lasciano guidare dalla stella , che tutti vedevano, e arrivano all’incontro con Gesù.  Quanto a Erode, è tutta un’altra storia. Mettiamoci nei suoi panni: è il re dei Giudei, riconosciuto come tale dal potere romano. È molto fiero del suo titolo e ferocemente geloso di chiunque possa offuscarlo. Non dimentichiamo che ha fatto assassinare diversi membri della sua famiglia, compresi i suoi stessi figli. Ogni volta che qualcuno diventava un po’ troppo popolare, Erode lo faceva eliminare per gelosia. E ora si diffonde una voce in città: degli astrologi stranieri hanno compiuto un lungo viaggio e dicono: “Abbiamo visto sorgere una stella del tutto eccezionale; sappiamo che annuncia la nascita di un bambino-re… altrettanto eccezionale. Sicuramente è nato il vero re dei Giudei!”. Possiamo immaginare la furia e l’angoscia di Erode. Così, quando san Matteo dice: “Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme”, si tratta sicuramente di un modo molto delicato di esprimersi. Ovviamente, Erode non poteva mostrare la sua rabbia; doveva saper manovrare: il suo obiettivo era ottenere qualche informazione su questo bambino, un potenziale rivale da eliminare. Perciò si informa prima di tutto sul luogo.  Matteo scrive che convocò i capi dei sacerdoti e gli scribi per chiedere loro dove sarebbe nato il Messia. Ed è qui che interviene la profezia di Michea: il Messia sarebbe nato a Betlemme. Erode si informa inoltre sull’età del bambino, perché aveva già in mente un piano per eliminarlo. Convocò i Magi per chiedere loro il momento preciso in cui era apparsa la stella. Non conosciamo la loro risposta, ma gli eventi successivi ci permettono di dedurla: Erode ordinò di uccidere tutti i bambini di età inferiore ai due anni, prendendo così un ampio margine. Molto probabilmente, nel racconto della visita dei Magi, Matteo ci offre già un riassunto di tutta la vita di Gesù: sin dall’inizio, a Betlemme, incontrò l’ostilità e la collera delle autorità politiche e religiose. Non lo riconoscono come il Messia, lo trattano da impostore e alla fine lo eliminano crocifiggendolo come un malfattore . Eppure, era davvero il Messia. Grande lezione di fede per tutti! E’ proprio vero: solamente chi cerca Dio con sincerità e senza preconcetti arriva, come i Magi, a incontrarlo e a entrare nel piano della sua Misericordia infinita

 

N.B. Unisco questa preghiera tratta dal libretto di preghiere del santuario Santissima Trinità Misericordia di Maccio – Como

 

PREGHIERA ALLA SS. TRINITÀ PER IL DONO DELLA FEDE

Signore, sostieni la mia Fede!

O Mio Signor, o Mio Dio,

con fede profondissima son qui prostrato a Te.

Tu sei Speranza Certa in cui son fatto salvo!

Tu sei Misericordia che in Te tutto m’attiri!

Tu sei la Carità, Tu Tutto a me donato!

Tu sei l’Amore Eterno in cui il mio cuor s’acqueta!

Per questo Dono immenso,

di Te che Tutto sei e a me Tutto Ti doni,

del buio de la mia notte la Luce il velo squarcia,

e canto e prego e grido, con quanta fede io possa:

Io credo, io credo, io credo,

in te Dio Uno e Trino, mio Unico Signore!

Tu, Padre, Tu, Principio, che d’essa sei la Fonte;

Tu, Figlio, Eterno Verbo, per Cui essa s’accresce;

Tu, Spirito Divino, che in essa me confermi.

Tu, Trinità Santissima, Mistero impenetrabile di Te Unico Dio,

nel Sacrificio Santo del Dio che si fa Figlio,

fa’ che io trovi ognora Cibo, Conforto e Forza

e l’Acqua che purifica,

per render più salda e santa,

in Te che sei la Via, La Verità e la Vita,

per la sicura mano de la Virgo Purissima

che a Te, e da Te per me, Tu Amor, Madre facesti,

fermo e sicur restando

nel seno della tua Santa ed Amata Sposa,

la Fede che, nel Figlio, mi unisce e fa’ dono a Te!

 

+ Giovanni D’Ercole

Martedì, 31 Dicembre 2024 04:57

Epifania: serve più avventura

Parto e Manifestazione

(Mt 2,1-12)

 

Mt scrive negli anni 80 per i fedeli di terza generazione. È un tempo in cui constata che nelle prime comunità i pagani sono entrati a frotte, mentre proprio coloro che da secoli attendevano la Luce cui sembravano tanto affezionati la stavano sdegnosamente rifiutando.

Il racconto dell’Epifania trae spunto da ciò che stava accadendo sotto gli occhi dei credenti alla fine del primo secolo.

Le persone che da sempre avevano l’abitudine di aspettare, ormai non attendevano né vedevano nulla. Si erano talmente assuefatte alle aspettative antiche che non immaginavano più di poter fare un Incontro reale con la Novità di Dio.

Ben differente l’impatto di coloro che onestamente stavano cercando la Stella: un approccio diverso, pur in equilibrio precario, che tuttavia consentiva proprio ai lontani in cammino di farsi le domande giuste.

Privi d’interessi da difendere, i nuovi cercatori di Dio erano ancora in marcia, si smuovevano da tutte le pastoie antiche e dalle loro stesse idee. Senza tregua percorrevano una lunga e nuova Via.

Non cercavano solo rassicurazioni quietiste. Capivano che il Tesoro di Dio è in un Cammino, per una meraviglia non mediocre; tutta d’Origine.

 

Pur rivolgendosi alle autorità religiose e agli esperti delle antiche Scritture (vv.1-2) gli autentici pellegrini continuavano a dirigersi avanti.

In tal guisa, sorvolando gli steccati abitudinari del rispetto dei ruoli, del risalto sociale, dell’interpretazione conformista.

Ma se il trono temeva per il potere, il tempio aveva paura di perdere l’esclusiva su Dio, quindi l’egemonia sulle coscienze.

[Nei Vangeli, troni e altari sono all’insegna della supremazia, della forza, della dote, dell’inganno: qui vv.3-4].

Tuttavia gli Esploratori non si sottomettono a cerimoniali di verticismo assodato, né all’influsso d’una finta uniformità.

Ricevendo così il Fulgore della Rivelazione del Natale: Dio non è un dominatore, bensì inerme. Tenero e Piccolo, tra indifesi.

 

Per tradizione, il popolo delle promesse messianiche si riteneva insignito d’una dignità regale, sacerdotale e sponsale.

Questi Doni [oro e incenso e mirra: v.11] vengono ora trasmessi a persone di qualsiasi estrazione culturale.

Papa Francesco accennerebbe forse a coloro che sono dotati d’un «fiuto senza cittadinanza» - tesoro remoto, «efficace», così prezioso per il cammino sinodale (e altrettanto trascurato) [Discorso 18 settembre 2021].

Insomma, i cercatori di Dio sono chiamati e tratti da una geografia e da una storia impensabili, perché restano gli unici ad avere il fegato d’intraprendere costantemente una strada differente: «altra Via» (v.12).

Perché la normalità dei sentieri dettati uccide la vita - annientando lo spirito d’avventura e sorpresa che briga nel tuffarsi dentro il presente.

E chi nasce di onda in onda produce sane opportunità.

Il Signore conosce a quali potenzialità di bene le creature perfino più imbarazzanti possono convertirsi, e le rincalza.

 

A un certo punto del nostro percorso - poi di volta in volta - comprenderemo che il disagio dell’esplorazione aveva la funzione di far venire alla luce il Bambino in noi, celato e malgiudicato.

Insomma, certi difetti “religiosi” ci rendono Unici, Speciali. Fanno venerare quel Frugolo presente, che ci è complice.

Fanno tornare a Casa, quella davvero nostra.

 

 

[Epifania del Signore, 6 Gennaio]

Martedì, 31 Dicembre 2024 04:45

Epifania: serve più avventura

Parto e Manifestazione

Mt 2,1-12 (1-18)

 

Il racconto dell’Epifania trae spunto da ciò che stava accadendo sotto gli occhi dei credenti, alla fine primo secolo.

Mt scrive negli anni 80 per i fedeli di terza generazione.

È un tempo in cui anche nelle prime comunità si constata che i pagani erano entrati a frotte - mentre coloro che da secoli attendevano la Luce cui sembravano tanto affezionati la stavano sdegnosamente rifiutando.

Le persone certe di sé, tutte pie, scelte, sempre installate, che avevano l’abitudine di aspettare… ormai non attendevano più nulla.

Vedevano ogni accadimento uguale a prima; niente di nuovo.

Si erano talmente assuefatte alle speranze antiche o alle loro certezze, che non immaginavano più di poter fare un Incontro personale, reale, con la Novità di Dio.

Si rifugiavano nel loro piccolo mondo abitudinario, conosciuto e sicuro; senza rimedio - taluni anche per opportunismo di posizione.

Così evitando la seccatura di dover rielaborare un pensiero di fondo.

Erano gli esperti della pratica religiosa; come contraddire i calati nel ruolo, veterani giudaizzanti, primi della classe?

Non era la vita giovane, il tu per tu, né la realtà, che li coinvolgeva. Solo forse i rimpianti del passato glorioso; imperiale, addirittura.

Nessun terremoto doveva reclamare spazio, all’interno delle convinzioni e dell’immagine di popolo eletto.

Del resto, chi concepisce secondo ranghi comuni, non ha altro cui pensare che i suoi stessi cliché illusori - perdendo il contatto con gli eventi. 

Infine annaspando nel tentativo di aggrapparsi ai consueti motivi, da sempre ripetuti; senza incisività presente, né traiettoria futura.

 

I reduci a capo delle stesse fraternità delle origini facevano difficoltà ad abbandonarsi alla nuova marea di persone e di spinte che veniva loro - cedendo agli stimoli con fiducia, godendo di nuovo respiro.

Mt nota che i già sicuri e titolati si sentivano legati a meriti “culturali” e religiosi che non ammettevano fratture, variazioni, altre idee di fondo.

In particolare, non avendo fiducia nella potenza della vita concreta, non si lasciavano salvare né sostenere dalla Provvidenza, che stava rinnovando la faccia della terra.

Piuttosto, le persone devote sembravano legate all’abitudine delle consuete impalcature esterne di culto, e maniere d’intendere e fare.

Così in questa pericope l’evangelista incoraggia i fratelli credenti delle sue comunità, a spostare lo sguardo, aprire la Visione.

Per una Fede che potesse sapere più, e cogliere-oltre quanto ristagnava nel mondo identitario meccanico della religiosità stabilita, ormai quasi inutile.

 

Ben differente l’impatto di coloro che onestamente cercavano la Salvezza, la Luce, la Stella; anche a partire dal senso intimo di vuoto, invece che dalle sicurezze.

Quello dell’opzione di Fede è anche per noi un approccio diverso, tutto in equilibrio precario, che tuttavia consente persino ai lontani di farsi le domande giuste.

Privi d’interessi da difendere, i viandanti dell’autentico Sacro abbandonano le loro concezioni. Si mettono in marcia, smossi da tutte le pastoie del costume (particolare, ereditato) o del pensiero à la page dominante.

Senza tregua i pellegrini dello Spirito divino percorrono indifesi la loro lunga Via; senza falsità.

Non cercano solo rassicurazioni quietiste; non si accontentano di ciò che hanno in tasca, né del facile consenso esterno.

Capiscono che il Tesoro di Dio è celato in un Cammino misterioso, che però fiancheggia e vale più del benessere o dell’approvazione.

Presenza [niente di clamoroso, ma] sulla quale ci si può paradossalmente appoggiare, per una meraviglia non mediocre; tutta d’Origine.

 

Pur rivolgendosi alle autorità religiose e agli esperti delle antiche Scritture (vv.1-2) i viandanti continuano a dirigersi avanti.

Essi sorvolano gli steccati abitudinari del rispetto dei ruoli, del risalto sociale, dell’interpretazione conformista.

Nel frattempo, se il trono teme per il potere, il tempio ha paura di perdere l’esclusiva su Dio, quindi l’egemonia sulle coscienze.

[Nei Vangeli, troni e altari sono all’insegna della supremazia, della forza, della dote, dell’inganno: qui vv.3-4].

Tuttavia gli Esploratori non si sottomettono a cerimoniali di verticismo assodato, né all’influsso d’una finta uniformità.

Ricevendo così il Fulgore della Rivelazione del Natale: Dio non è un dominatore, bensì inerme. Tenero e Piccolo, tra indifesi.

 

Per tradizione, il popolo delle promesse messianiche si riteneva insignito d’una dignità regale, sacerdotale e sponsale.

Questi Doni [oro e incenso e mirra: v.11] vengono ora trasmessi a persone di qualsiasi estrazione culturale.

Rincarando la dose, Mt mette in scena non solo dei lontanissimi pagani, ma il peggio che il target etico d’allora potesse immaginare: i maghi!

Persone ragguardevoli a quel tempo, se svolgevano attività di astrologi: una sorta di scrutatori del cielo e intellettuali dei luoghi sacri - quindi rappresentanti eminenti delle diverse culture.

Ma il termine greco «màgoi» - letteralmente: «maghi» - indicava anche ciarlatani, corruttori, persino i deviatori della spiritualità biblica.

Un’attività severamente condannata dalle Scritture, e nella Didaché messa all’indice fra le attività più degradanti: compresa fra il divieto di abortire e quello di rubare.

 

Dio accoglie e riconosce per primi non i potenti (o i religiosissimi) ubriachi e drogati dell’apparire; piuttosto, i distanti.

E fra loro, quelli proprio estranei a ogni etichetta o criterio usuale di discernimento.

Papa Francesco accennerebbe forse a coloro che sono dotati d’un «fiuto senza cittadinanza» - tesoro remoto, «efficace», così prezioso per il cammino sinodale (e altrettanto trascurato) [Discorso 18 settembre 2021].

 

Il Natale di Lc introduce i pastori, i cani della prateria che conducevano una vita impura e selvatica, come le bestie che accudivano.

In Mt troviamo i maghi: addirittura gli ingannatori!

 

Insomma, i cercatori di Dio sono chiamati e tratti da una geografia e da una storia impensabili, perché restano gli unici ad avere il fegato di intraprendere costantemente una strada differente: «altra Via» (v.12).

 

I testimoni critici non si fermano alle meline del terzo incomodo: vogliono il rischio d’amore diretto.

La normalità di zone comfort, di ragionamenti, procedure, sentieri dettati, uccide la vita - annientando lo spirito d’avventura e sorpresa che briga nel tuffarsi dentro il presente.

Le acque della nuova energia che si nutre di stupore vengono contaminate da luoghi comuni, dai soliti nidi che non evolvono e solo puntellano ruoli o posizioni - facendo impallidire lo stupore della ricerca vitale.

Ma allorché si sorvolano i giudizi banali, i conformismi, le gabbie mentali, i costumi locali, le fantasie glamour - la nostra Unicità ardisce partorire una Persona sconosciuta.

E chi nasce di onda in onda produce sane opportunità.

 

A un certo punto della nostra strada - poi di volta in volta - comprenderemo che il disagio dell’esplorazione aveva la funzione di far venire alla luce il Bambino in noi, celato e malgiudicato.

 

Il Signore conosce a quali potenzialità di bene proprio le creature più imbarazzanti possono convertirsi, e le rincalza.

Ma si può rischiare tutto non per abitudine: solo per Fede, ossia per Amicizia e Speranza fiduciose, in atto.

Insomma, certi difetti “religiosi” ci rendono Unici, Speciali. Fanno venerare quel Frugolo presente, che ci è complice.

Fanno tornare a Casa, quella davvero nostra.

 

 

Rivelazione, sostegno, nuova Via e nuovo Popolo

 

L’energia della tristezza

(Mt 2,13-18)

 

La crudeltà di Erode - un egocentrico esasperato - divenne proverbiale persino a Roma.

Nei suoi ultimi anni, assurdamente ripiegato in una inquieta adesione a se stesso, fece perire tre dei suoi figli ed emanò un decreto [non eseguito per sopravvenuta morte] col quale dispose che fossero eliminati i più influenti tra i giudei - sia per cancellare via via i (ritenuti) pretendenti al trono che i dissensi sul territorio.

Nel passo di Vangelo il re è icona della volontà di potenza che uccide coloro i quali richiamano lo spirito d’infanzia del Cristo: il Figlio di Dio poneva nella Missione del Padre il suo essere.

[Tale umiltà decentrata non ci salva solo nell’ordine della grazia, ma anche in quello dell’equilibrio umano].

 

Mt scrive il suo Vangelo per rispondere alla situazione che viveva la Chiesa in un momento assai critico.

Dopo l’anno 70, gli unici gruppi che sopravvissero alla distruzione del Giudaismo furono i cristiani messianici e i farisei - entrambi convinti che la lotta armata contro l’impero romano non avesse nulla a che fare con l'adempimento delle Promesse.

A distanza di non molti anni dal disastro di Gerusalemme, proprio la setta dei farisei ormai priva del luogo di culto - centro dell’identità nazionale - iniziò ad organizzarsi in modo da accentrare il governo delle sinagoghe.

Accusati di tradire la cultura particolare e le usanze, i giudaizzanti che riconoscevano Gesù Figlio di Dio furono infine cacciati dalle stesse sinagoghe.

L’opposizione crescente e poi l’esplicita separazione dal popolo del Patto resero acuto lo smarrimento dei fedeli e il problema della stessa identità delle prime assemblee di Fede; gruppi in evidente sofferenza.

Mt incoraggia a evitare defezioni, sostenendo coloro che avevano ricevuto la tagliente scomunica da parte dei leaders della religiosità popolare - sino allora ammirati per spiccata devozione, e tenuti in gran conto.

Per aiutare a superare il trauma, la Lieta Notizia rivolta ai convertiti di matrice giudaizzante si proponeva di rivelare Gesù come vero compimento delle Profezie e autentico Messia - nella figura del nuovo Mosè che attua le promesse di liberazione.

Come lui, perseguitato che ha dovuto incessantemente muoversi e fuggire (cf. Es 4,19).

Secondo una credenza generalizzata nel giudaismo, il tempo dell’Unto del Signore avrebbe riattualizzato il tempo di Mosè.

Ma l’antico condottiero de «il Monte» aveva imposto una relazione tra Dio e il popolo fondata sul banale obbedire a una Legge.

Il Figlio genuino e trasparente, invece, propone ora ai fratelli di Fede un rapporto creativo di beatitudine e comunione basato sulla Somiglianza.

Relazione chiamata a superare l’antica giustizia dei farisei (Mt 5,20).

 

Nessuna paura dunque - anche per noi - delle vessazioni, che vanno semplicemente messe in conto.

Anzi, colte quali occasioni di testimonianza d’amore e coinvolgimento forte, nella vicenda stessa del Maestro - reinterpretata in prima persona.

Ecco indicato anche un nuovo Cammino di ricerca della Luce o Stella che guida i nostri passi.

Tutto come i Magi - stranieri, eppure autentici adoratori del Signore.

Essi seppero evitare la vigilanza del sovrano - così ritrovarono la propria Dimora, deviando dalla strada già prevista.

 

Al pari dell’Inviato di Dio per eccellenza che ha sperimentato la medesima sorte del suo popolo, le chiese di ogni tempo possono vivere in Lui un’identica vicenda di Esodo.

Un cammino inedito, fucina di esplorazioni e cambio di mentalità; di consolazione e più vive speranze - con inesorabili contrapposizioni.

Cristo è il Messia nascosto e perseguitato, fondatore di un Popolo nuovo, dimesso e fraterno. Germe di una società alternativa a quella spietata sul campo.

Coronamento delle speranze di tutti gli uomini.

 

Il diniego della stessa Via del Signore proietta un’atmosfera oscura: diventa conservazione del belluino.

Rifiuto dell’umanizzazione… la cui terapia sta nella fiducia dei «piccoli», nell’audacia giovane e “infantile” che non conosce l’impossibile.

I bimbi innocenti di quello sterminio sono figura dei figli di Dio di ogni secolo, quali “coetanei” di Gesù, in grado di riattualizzarne il tempo spontaneo - contrario alla violenza e alla morte.

Essi sono i perseguitati e fatti fuori a causa della paradossale forza sovversiva della loro tenera Fede di minuscoli e schietti che si lasciano salvare, e non badano a ruoli.

Il contrario dei servili e adulatori, divorati dal calcolo; sempre pronti alla deferenza nei confronti dei feroci detentori del potere. Intimiditi dalla possibilità che una forma di vita morbida e gracile possa destabilizzarne le posizioni.

 

Ma in caso di gravi angherie, persino l’energia della tristezza che attraversa gli eventi dolorosi (vv.17-18) farà riscoprire quel che conta davvero.

Ciò consentirà di rinascere (nel pianto, nel buio) separando anche noi da quel genere di personaggi.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Nella realizzazione di te stesso in Cristo, come hai teneramente abbattuto la prigione del pensiero comune, del potere e dei suoi timori?

 

 

Mettiamoci in cammino,

per cambiare idea, per ritrovare noi stessi

Cari giovani!

Nel nostro pellegrinaggio con i misteriosi Magi dell'Oriente siamo giunti a quel momento che san Matteo nel suo Vangelo ci descrive così: "Entrati nella casa (sulla quale la stella si era fermata), videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono" (Mt 2, 11). Il cammino esteriore di quegli uomini era finito. Erano giunti alla meta. Ma a questo punto per loro comincia un nuovo cammino, un pellegrinaggio interiore che cambia tutta la loro vita. Poiché sicuramente avevano immaginato questo Re neonato in modo diverso. Si erano appunto fermati a Gerusalemme per raccogliere presso il Re locale notizie sul promesso Re che era nato. Sapevano che il mondo era in disordine, e per questo il loro cuore era inquieto. Erano certi che Dio esisteva e che era un Dio giusto e benigno. E forse avevano anche sentito parlare delle grandi profezie in cui i profeti d'Israele annunciavano un Re che sarebbe stato in intima armonia con Dio, e che a nome e per conto di Lui avrebbe ristabilito il mondo nel suo ordine. Per cercare questo Re si erano messi in cammino: dal profondo del loro intimo erano alla ricerca del diritto, della giustizia che doveva venire da Dio, e volevano servire quel Re, prostrarsi ai suoi piedi e così servire essi stessi al rinnovamento del mondo. Appartenevano a quel genere di persone "che hanno fame e sete della giustizia" (Mt 5, 6). Questa fame e questa sete avevano seguito nel loro pellegrinaggio - si erano fatti pellegrini in cerca della giustizia che aspettavano da Dio, per potersi mettere al servizio di essa.

Anche se gli altri uomini, quelli rimasti a casa, li ritenevano forse utopisti e sognatori - essi invece erano persone con i piedi sulla terra, e sapevano che per cambiare il mondo bisogna disporre del potere. Per questo non potevano cercare il bambino della promessa se non nel palazzo del Re. Ora però s'inchinano davanti a un bimbo di povera gente, e ben presto vengono a sapere che Erode - quel Re dal quale si erano recati - con il suo potere intendeva insidiarlo, così che alla famiglia non sarebbe restata che la fuga e l'esilio. Il nuovo Re, davanti al quale si erano prostrati in adorazione, si differenziava molto dalla loro attesa. Così dovevano imparare che Dio è diverso da come noi di solito lo immaginiamo. Qui cominciò il loro cammino interiore. Cominciò nello stesso momento in cui si prostrarono davanti a questo bambino e lo riconobbero come il Re promesso. Ma questi gesti gioiosi essi dovevano ancora raggiungerli interiormente.

Dovevano cambiare la loro idea sul potere, su Dio e sull'uomo e, facendo questo, dovevano anche cambiare se stessi. Ora vedevano: il potere di Dio è diverso dal potere dei potenti del mondo. Il modo di agire di Dio è diverso da come noi lo immaginiamo e da come vorremmo imporlo anche a Lui. Dio in questo mondo non entra in concorrenza con le forme terrene del potere. Non contrappone le sue divisioni ad altre divisioni. A Gesù, nell'Orto degli ulivi, Dio non manda dodici legioni di angeli per aiutarlo (cfr Mt 26, 53). Egli contrappone al potere rumoroso e prepotente di questo mondo il potere inerme dell'amore, che sulla Croce - e poi sempre di nuovo nel corso della storia - soccombe, e tuttavia costituisce la cosa nuova, divina che poi si oppone all'ingiustizia e instaura il Regno di Dio. Dio è diverso - è questo che ora riconoscono. E ciò significa che ora essi stessi devono diventare diversi, devono imparare lo stile di Dio.

Erano venuti per mettersi a servizio di questo Re, per modellare la loro regalità sulla sua. Era questo il significato del loro gesto di ossequio, della loro adorazione. Di essa facevano parte anche i regali - oro, incenso e mirra - doni che si offrivano a un Re ritenuto divino. L'adorazione ha un contenuto e comporta anche un dono. Volendo con il gesto dell'adorazione riconoscere questo bambino come il loro Re al cui servizio intendevano mettere il proprio potere e le proprie possibilità, gli uomini provenienti dall'Oriente seguivano senz'altro la traccia giusta. Servendo e seguendo Lui, volevano insieme con Lui servire la causa della giustizia e del bene nel mondo. E in questo avevano ragione. Ora però imparano che ciò non può essere realizzato semplicemente per mezzo di comandi e dall'alto di un trono. Ora imparano che devono donare se stessi - un dono minore di questo non basta per questo Re. Ora imparano che la loro vita deve conformarsi a questo modo divino di esercitare il potere, a questo modo d'essere di Dio stesso. Devono diventare uomini della verità, del diritto, della bontà, del perdono, della misericordia. Non domanderanno più: Questo a che cosa mi serve? Dovranno invece domandare: Con che cosa servo io la presenza di Dio nel mondo? Devono imparare a perdere se stessi e proprio così a trovare se stessi. Andando via da Gerusalemme, devono rimanere sulle orme del vero Re, al seguito di Gesù.

Cari amici, ci domandiamo che cosa tutto questo significhi per noi. Poiché quello che abbiamo appena detto sulla natura diversa di Dio, che deve orientare la nostra vita, suona bello, ma resta piuttosto sfumato e vago. Per questo Dio ci ha donato degli esempi. I Magi provenienti dall'Oriente sono soltanto i primi di una lunga processione di uomini e donne che nella loro vita hanno costantemente cercato con lo sguardo la stella di Dio, che hanno cercato quel Dio che a noi, esseri umani, è vicino e ci indica la strada. È la grande schiera dei santi - noti o sconosciuti - mediante i quali il Signore, lungo la storia, ha aperto davanti a noi il Vangelo e ne ha sfogliato le pagine; questo, Egli sta facendo tuttora. Nelle loro vite, come in un grande libro illustrato, si svela la ricchezza del Vangelo. Essi sono la scia luminosa di Dio che Egli stesso lungo la storia ha tracciato e traccia ancora. Il mio venerato predecessore Papa Giovanni Paolo II, che è con noi in questo momento, ha beatificato e canonizzato una grande schiera di persone di epoche lontane e vicine. In queste figure ha voluto dimostrarci come si fa ad essere cristiani; come si fa a svolgere la propria vita in modo giusto - a vivere secondo il modo di Dio. I beati e i santi sono stati persone che non hanno cercato ostinatamente la propria felicità, ma semplicemente hanno voluto donarsi, perché sono state raggiunte dalla luce di Cristo. Essi ci indicano così la strada per diventare felici, ci mostrano come si riesce ad essere persone veramente umane. Nelle vicende della storia sono stati essi i veri riformatori che tante volte l'hanno risollevata dalle valli oscure nelle quali è sempre nuovamente in pericolo di sprofondare; essi l'hanno sempre nuovamente illuminata quanto era necessario per dare la possibilità di accettare - magari nel dolore - la parola pronunciata da Dio al termine dell'opera della creazione: "È cosa buona". Basta pensare a figure come San Benedetto, San Francesco d'Assisi, Santa Teresa d'Avila, Sant'Ignazio di Loyola, San Carlo Borromeo, ai fondatori degli Ordini religiosi dell'Ottocento che hanno animato e orientato il movimento sociale, o ai santi del nostro tempo - Massimiliano Kolbe, Edith Stein, Madre Teresa, Padre Pio. Contemplando queste figure impariamo che cosa significa "adorare", e che cosa vuol dire vivere secondo la misura del bambino di Betlemme, secondo la misura di Gesù Cristo e di Dio stesso.

I santi, abbiamo detto, sono i veri riformatori. Ora vorrei esprimerlo in modo ancora più radicale: Solo dai santi, solo da Dio viene la vera rivoluzione, il cambiamento decisivo del mondo. Nel secolo appena passato abbiamo vissuto le rivoluzioni, il cui programma comune era di non attendere più l'intervento di Dio, ma di prendere totalmente nelle proprie mani il destino del mondo. E abbiamo visto che, con ciò, sempre un punto di vista umano e parziale veniva preso come misura assoluta d'orientamento. L'assolutizzazione di ciò che non è assoluto ma relativo si chiama totalitarismo. Non libera l'uomo, ma gli toglie la sua dignità e lo schiavizza. Non sono le ideologie che salvano il mondo, ma soltanto il volgersi al Dio vivente, che è il nostro creatore, il garante della nostra libertà, il garante di ciò che è veramente buono e vero. La rivoluzione vera consiste unicamente nel volgersi senza riserve a Dio che è la misura di ciò che è giusto e allo stesso tempo è l'amore eterno. E che cosa mai potrebbe salvarci se non l'amore?

Cari amici! Permettetemi di aggiungere soltanto due brevi pensieri. Sono molti coloro che parlano di Dio; nel nome di Dio si predica anche l'odio e si esercita la violenza. Perciò è importante scoprire il vero volto di Dio. I Magi dell'Oriente l'hanno trovato, quando si sono prostrati davanti al bambino di Betlemme. "Chi ha visto me ha visto il Padre", diceva Gesù a Filippo (Gv 14, 9). In Gesù Cristo, che per noi ha permesso che si trafiggesse il suo cuore, in Lui è comparso il vero volto di Dio. Lo seguiremo insieme con la grande schiera di coloro che ci hanno preceduto. Allora cammineremo sulla via giusta.

Questo significa che non ci costruiamo un Dio privato, non ci costruiamo un Gesù privato, ma che crediamo e ci prostriamo davanti a quel Gesù che ci viene mostrato dalle Sacre Scritture e che nella grande processione dei fedeli chiamata Chiesa si rivela vivente, sempre con noi e al tempo stesso sempre davanti a noi. Si può criticare molto la Chiesa. Noi lo sappiamo, e il Signore stesso ce l'ha detto: essa è una rete con dei pesci buoni e dei pesci cattivi, un campo con il grano e la zizzania. Papa Giovanni Paolo II, che nei tanti beati e santi ci ha mostrato il volto vero della Chiesa, ha anche chiesto perdono per ciò che nel corso della storia, a motivo dell'agire e del parlare di uomini di Chiesa, è avvenuto di male. In tal modo fa vedere anche a noi la nostra vera immagine e ci esorta ad entrare con tutti i nostri difetti e debolezze nella processione dei santi, che con i Magi dell'Oriente ha preso il suo inizio. In fondo, è consolante il fatto che esista la zizzania nella Chiesa. Così, con tutti i nostri difetti possiamo tuttavia sperare di trovarci ancora nella sequela di Gesù, che ha chiamato proprio i peccatori. La Chiesa è come una famiglia umana, ma è anche allo stesso tempo la grande famiglia di Dio, mediante la quale Egli forma uno spazio di comunione e di unità attraverso tutti i continenti, le culture e le nazioni. Perciò siamo lieti di appartenere a questa grande famiglia che vediamo qui; siamo lieti di avere fratelli e amici in tutto il mondo. Lo sperimentiamo proprio qui a Colonia quanto sia bello appartenere ad una famiglia vasta come il mondo, che comprende il cielo e la terra, il passato, il presente e il futuro e tutte le parti della terra. In questa grande comitiva di pellegrini camminiamo insieme con Cristo, camminiamo con la stella che illumina la storia.

"Entrati nella casa, videro il bambino e Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono" (Mt 2, 11). Cari amici, questa non è una storia lontana, avvenuta tanto tempo fa. Questa è presenza. Qui nell'Ostia sacra Egli è davanti a noi e in mezzo a noi. Come allora, si vela misteriosamente in un santo silenzio e, come allora, proprio così svela il vero volto di Dio. Egli per noi si è fatto chicco di grano che cade in terra e muore e porta frutto fino alla fine del mondo (cfr Gv 12, 24). Egli è presente come allora in Betlemme. Ci invita a quel pellegrinaggio interiore che si chiama adorazione. Mettiamoci ora in cammino per questo pellegrinaggio e chiediamo a Lui di guidarci. Amen.

[Papa Benedetto, veglia GMG Colonia 20 agosto 2005]

Cari giovani!

Nel nostro pellegrinaggio con i misteriosi Magi dell'Oriente siamo giunti a quel momento che san Matteo nel suo Vangelo ci descrive così: "Entrati nella casa (sulla quale la stella si era fermata), videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono" (Mt 2, 11). Il cammino esteriore di quegli uomini era finito. Erano giunti alla meta. Ma a questo punto per loro comincia un nuovo cammino, un pellegrinaggio interiore che cambia tutta la loro vita. Poiché sicuramente avevano immaginato questo Re neonato in modo diverso. Si erano appunto fermati a Gerusalemme per raccogliere presso il Re locale notizie sul promesso Re che era nato. Sapevano che il mondo era in disordine, e per questo il loro cuore era inquieto. Erano certi che Dio esisteva e che era un Dio giusto e benigno. E forse avevano anche sentito parlare delle grandi profezie in cui i profeti d'Israele annunciavano un Re che sarebbe stato in intima armonia con Dio, e che a nome e per conto di Lui avrebbe ristabilito il mondo nel suo ordine. Per cercare questo Re si erano messi in cammino: dal profondo del loro intimo erano alla ricerca del diritto, della giustizia che doveva venire da Dio, e volevano servire quel Re, prostrarsi ai suoi piedi e così servire essi stessi al rinnovamento del mondo. Appartenevano a quel genere di persone "che hanno fame e sete della giustizia" (Mt 5, 6). Questa fame e questa sete avevano seguito nel loro pellegrinaggio - si erano fatti pellegrini in cerca della giustizia che aspettavano da Dio, per potersi mettere al servizio di essa.

Anche se gli altri uomini, quelli rimasti a casa, li ritenevano forse utopisti e sognatori - essi invece erano persone con i piedi sulla terra, e sapevano che per cambiare il mondo bisogna disporre del potere. Per questo non potevano cercare il bambino della promessa se non nel palazzo del Re. Ora però s'inchinano davanti a un bimbo di povera gente, e ben presto vengono a sapere che Erode - quel Re dal quale si erano recati - con il suo potere intendeva insidiarlo, così che alla famiglia non sarebbe restata che la fuga e l'esilio. Il nuovo Re, davanti al quale si erano prostrati in adorazione, si differenziava molto dalla loro attesa. Così dovevano imparare che Dio è diverso da come noi di solito lo immaginiamo. Qui cominciò il loro cammino interiore. Cominciò nello stesso momento in cui si prostrarono davanti a questo bambino e lo riconobbero come il Re promesso. Ma questi gesti gioiosi essi dovevano ancora raggiungerli interiormente.

Dovevano cambiare la loro idea sul potere, su Dio e sull'uomo e, facendo questo, dovevano anche cambiare se stessi. Ora vedevano: il potere di Dio è diverso dal potere dei potenti del mondo. Il modo di agire di Dio è diverso da come noi lo immaginiamo e da come vorremmo imporlo anche a Lui. Dio in questo mondo non entra in concorrenza con le forme terrene del potere. Non contrappone le sue divisioni ad altre divisioni. A Gesù, nell'Orto degli ulivi, Dio non manda dodici legioni di angeli per aiutarlo (cfr Mt 26, 53). Egli contrappone al potere rumoroso e prepotente di questo mondo il potere inerme dell'amore, che sulla Croce - e poi sempre di nuovo nel corso della storia - soccombe, e tuttavia costituisce la cosa nuova, divina che poi si oppone all'ingiustizia e instaura il Regno di Dio. Dio è diverso - è questo che ora riconoscono. E ciò significa che ora essi stessi devono diventare diversi, devono imparare lo stile di Dio.

Erano venuti per mettersi a servizio di questo Re, per modellare la loro regalità sulla sua. Era questo il significato del loro gesto di ossequio, della loro adorazione. Di essa facevano parte anche i regali - oro, incenso e mirra - doni che si offrivano a un Re ritenuto divino. L'adorazione ha un contenuto e comporta anche un dono. Volendo con il gesto dell'adorazione riconoscere questo bambino come il loro Re al cui servizio intendevano mettere il proprio potere e le proprie possibilità, gli uomini provenienti dall'Oriente seguivano senz'altro la traccia giusta. Servendo e seguendo Lui, volevano insieme con Lui servire la causa della giustizia e del bene nel mondo. E in questo avevano ragione. Ora però imparano che ciò non può essere realizzato semplicemente per mezzo di comandi e dall'alto di un trono. Ora imparano che devono donare se stessi - un dono minore di questo non basta per questo Re. Ora imparano che la loro vita deve conformarsi a questo modo divino di esercitare il potere, a questo modo d'essere di Dio stesso. Devono diventare uomini della verità, del diritto, della bontà, del perdono, della misericordia. Non domanderanno più: Questo a che cosa mi serve? Dovranno invece domandare: Con che cosa servo io la presenza di Dio nel mondo? Devono imparare a perdere se stessi e proprio così a trovare se stessi. Andando via da Gerusalemme, devono rimanere sulle orme del vero Re, al seguito di Gesù.

Cari amici, ci domandiamo che cosa tutto questo significhi per noi. Poiché quello che abbiamo appena detto sulla natura diversa di Dio, che deve orientare la nostra vita, suona bello, ma resta piuttosto sfumato e vago. Per questo Dio ci ha donato degli esempi. I Magi provenienti dall'Oriente sono soltanto i primi di una lunga processione di uomini e donne che nella loro vita hanno costantemente cercato con lo sguardo la stella di Dio, che hanno cercato quel Dio che a noi, esseri umani, è vicino e ci indica la strada. È la grande schiera dei santi - noti o sconosciuti - mediante i quali il Signore, lungo la storia, ha aperto davanti a noi il Vangelo e ne ha sfogliato le pagine; questo, Egli sta facendo tuttora. Nelle loro vite, come in un grande libro illustrato, si svela la ricchezza del Vangelo. Essi sono la scia luminosa di Dio che Egli stesso lungo la storia ha tracciato e traccia ancora. Il mio venerato predecessore Papa Giovanni Paolo II, che è con noi in questo momento, ha beatificato e canonizzato una grande schiera di persone di epoche lontane e vicine. In queste figure ha voluto dimostrarci come si fa ad essere cristiani; come si fa a svolgere la propria vita in modo giusto - a vivere secondo il modo di Dio. I beati e i santi sono stati persone che non hanno cercato ostinatamente la propria felicità, ma semplicemente hanno voluto donarsi, perché sono state raggiunte dalla luce di Cristo. Essi ci indicano così la strada per diventare felici, ci mostrano come si riesce ad essere persone veramente umane. Nelle vicende della storia sono stati essi i veri riformatori che tante volte l'hanno risollevata dalle valli oscure nelle quali è sempre nuovamente in pericolo di sprofondare; essi l'hanno sempre nuovamente illuminata quanto era necessario per dare la possibilità di accettare - magari nel dolore - la parola pronunciata da Dio al termine dell'opera della creazione: "È cosa buona". Basta pensare a figure come San Benedetto, San Francesco d'Assisi, Santa Teresa d'Avila, Sant'Ignazio di Loyola, San Carlo Borromeo, ai fondatori degli Ordini religiosi dell'Ottocento che hanno animato e orientato il movimento sociale, o ai santi del nostro tempo - Massimiliano Kolbe, Edith Stein, Madre Teresa, Padre Pio. Contemplando queste figure impariamo che cosa significa "adorare", e che cosa vuol dire vivere secondo la misura del bambino di Betlemme, secondo la misura di Gesù Cristo e di Dio stesso.

I santi, abbiamo detto, sono i veri riformatori. Ora vorrei esprimerlo in modo ancora più radicale: Solo dai santi, solo da Dio viene la vera rivoluzione, il cambiamento decisivo del mondo. Nel secolo appena passato abbiamo vissuto le rivoluzioni, il cui programma comune era di non attendere più l'intervento di Dio, ma di prendere totalmente nelle proprie mani il destino del mondo. E abbiamo visto che, con ciò, sempre un punto di vista umano e parziale veniva preso come misura assoluta d'orientamento. L'assolutizzazione di ciò che non è assoluto ma relativo si chiama totalitarismo. Non libera l'uomo, ma gli toglie la sua dignità e lo schiavizza. Non sono le ideologie che salvano il mondo, ma soltanto il volgersi al Dio vivente, che è il nostro creatore, il garante della nostra libertà, il garante di ciò che è veramente buono e vero. La rivoluzione vera consiste unicamente nel volgersi senza riserve a Dio che è la misura di ciò che è giusto e allo stesso tempo è l'amore eterno. E che cosa mai potrebbe salvarci se non l'amore?

Cari amici! Permettetemi di aggiungere soltanto due brevi pensieri. Sono molti coloro che parlano di Dio; nel nome di Dio si predica anche l'odio e si esercita la violenza. Perciò è importante scoprire il vero volto di Dio. I Magi dell'Oriente l'hanno trovato, quando si sono prostrati davanti al bambino di Betlemme. "Chi ha visto me ha visto il Padre", diceva Gesù a Filippo (Gv 14, 9). In Gesù Cristo, che per noi ha permesso che si trafiggesse il suo cuore, in Lui è comparso il vero volto di Dio. Lo seguiremo insieme con la grande schiera di coloro che ci hanno preceduto. Allora cammineremo sulla via giusta.

Questo significa che non ci costruiamo un Dio privato, non ci costruiamo un Gesù privato, ma che crediamo e ci prostriamo davanti a quel Gesù che ci viene mostrato dalle Sacre Scritture e che nella grande processione dei fedeli chiamata Chiesa si rivela vivente, sempre con noi e al tempo stesso sempre davanti a noi. Si può criticare molto la Chiesa. Noi lo sappiamo, e il Signore stesso ce l'ha detto: essa è una rete con dei pesci buoni e dei pesci cattivi, un campo con il grano e la zizzania. Papa Giovanni Paolo II, che nei tanti beati e santi ci ha mostrato il volto vero della Chiesa, ha anche chiesto perdono per ciò che nel corso della storia, a motivo dell'agire e del parlare di uomini di Chiesa, è avvenuto di male. In tal modo fa vedere anche a noi la nostra vera immagine e ci esorta ad entrare con tutti i nostri difetti e debolezze nella processione dei santi, che con i Magi dell'Oriente ha preso il suo inizio. In fondo, è consolante il fatto che esista la zizzania nella Chiesa. Così, con tutti i nostri difetti possiamo tuttavia sperare di trovarci ancora nella sequela di Gesù, che ha chiamato proprio i peccatori. La Chiesa è come una famiglia umana, ma è anche allo stesso tempo la grande famiglia di Dio, mediante la quale Egli forma uno spazio di comunione e di unità attraverso tutti i continenti, le culture e le nazioni. Perciò siamo lieti di appartenere a questa grande famiglia che vediamo qui; siamo lieti di avere fratelli e amici in tutto il mondo. Lo sperimentiamo proprio qui a Colonia quanto sia bello appartenere ad una famiglia vasta come il mondo, che comprende il cielo e la terra, il passato, il presente e il futuro e tutte le parti della terra. In questa grande comitiva di pellegrini camminiamo insieme con Cristo, camminiamo con la stella che illumina la storia.

"Entrati nella casa, videro il bambino e Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono" (Mt 2, 11). Cari amici, questa non è una storia lontana, avvenuta tanto tempo fa. Questa è presenza. Qui nell'Ostia sacra Egli è davanti a noi e in mezzo a noi. Come allora, si vela misteriosamente in un santo silenzio e, come allora, proprio così svela il vero volto di Dio. Egli per noi si è fatto chicco di grano che cade in terra e muore e porta frutto fino alla fine del mondo (cfr Gv 12, 24). Egli è presente come allora in Betlemme. Ci invita a quel pellegrinaggio interiore che si chiama adorazione. Mettiamoci ora in cammino per questo pellegrinaggio e chiediamo a Lui di guidarci. Amen.

[Papa Benedetto, veglia Giornata Mondiale della Gioventù Colonia 20 agosto 2005]

Martedì, 31 Dicembre 2024 04:37

«Alzati, rivestiti di luce»

1. "Alzati, [Gerusalemme], rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te" (Is 60,1).

Il profeta Isaia volge lo sguardo verso il futuro. Non è tanto il futuro profano, quello che egli contempla. Illuminato dallo Spirito, egli spinge il suo sguardo verso la pienezza dei tempi, verso il compiersi del disegno di Dio nel tempo messianico.

L'oracolo che il profeta pronuncia riguarda la Città santa, che egli vede splendente di luce: "Ecco, le tenebre ricoprono la terra, nebbia fitta avvolge le nazioni; ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te" (Is 60,2). Proprio questo è avvenuto con l'incarnazione del Verbo di Dio. Con lui "è venuta nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo" (Gv 1,9). Ormai il destino di ciascuno si decide in base all'accettazione o al rifiuto di questa luce: in essa, infatti, risiede la vita degli uomini (cfr Gv 1,4).

2. La luce apparsa nel Natale allarga oggi l'ampiezza del suo raggio: è la luce dell'epifania di Dio. Ormai non sono più solo i pastori di Betlemme a vederla e a seguirla; sono anche i Magi, che, partiti dall'Oriente, sono giunti a Gerusalemme per adorare il Re che è nato (cfr Mt 2,1-2). Con i Magi sono le nazioni, che iniziano il loro cammino verso la Luce divina.

Oggi la Chiesa celebra questa Epifania salvifica, ascoltandone la descrizione contenuta nel Vangelo di Matteo. Il celebre racconto dei Magi, venuti dall'Oriente in cerca di Colui che doveva nascere, ha ispirato da sempre anche la pietà popolare, diventando un elemento tradizionale del presepe.

L'Epifania è un evento e, al tempo stesso, un simbolo. L'evento è descritto in maniera dettagliata dall'Evangelista. Il significato simbolico è stato invece scoperto gradualmente, man mano che l'avvenimento diventava oggetto di meditazione e di celebrazione liturgica da parte della Chiesa […]

5. L'odierna Liturgia ci esorta alla gioia. Ce n'è motivo: la luce, che brillò con la stella di Natale per condurre fino a Betlemme i Magi d'Oriente, continua a orientare sullo stesso cammino i popoli e le nazioni del mondo intero.

Rendiamo grazie per gli uomini e le donne che hanno percorso questo cammino di fede lungo i passati duemila anni. Lodiamo Cristo, Lumen gentium, che li ha guidati e continua a guidare i Popoli in cammino nella storia!

A Lui, Signore del tempo, Dio da Dio, Luce da Luce, rivolgiamo fiduciosi la nostra supplica. Non cessi la sua stella, la stella dell'Epifania, di brillare nei nostri cuori, indicando nel terzo millennio agli uomini ed ai popoli la via della verità, dell'amore e della pace. Amen.

[Papa Giovanni Paolo II, omelia per l’ordinazione dei vescovi 6 gennaio 2000]

Martedì, 31 Dicembre 2024 04:26

Ricercano la Luce, seguendo una luce

«Lumen requirunt lumine». Questa suggestiva espressione di un inno liturgico dell’Epifania si riferisce all’esperienza dei Magi: seguendo una luce essi ricercano la Luce. La stella apparsa in cielo accende nella loro mente e nel loro cuore una luce che li muove alla ricerca della grande Luce di Cristo. I Magi seguono fedelmente quella luce che li pervade interiormente, e incontrano il Signore.

In questo percorso dei Magi d’Oriente è simboleggiato il destino di ogni uomo: la nostra vita è un camminare, illuminati dalle luci che rischiarano la strada, per trovare la pienezza della verità e dell’amore, che noi cristiani riconosciamo in Gesù, Luce del mondo. E ogni uomo, come i Magi, ha a disposizione due grandi “libri” da cui trarre i segni per orientarsi nel pellegrinaggio: il libro della creazione e il libro delle Sacre Scritture. L’importante è essere attenti, vigilare, ascoltare Dio che ci parla, sempre ci parla. Come dice il Salmo, riferendosi alla Legge del Signore: «Lampada per i miei passi la tua parola, / luce sul mio cammino» (Sal 119,105). Specialmente ascoltare il Vangelo, leggerlo, meditarlo e farlo nostro nutrimento spirituale ci consente di incontrare Gesù vivo, di fare esperienza di Lui e del suo amore.

La prima Lettura fa risuonare, per bocca del profeta Isaia, l’appello di Dio a Gerusalemme: «Alzati, rivestiti di luce!» (60,1). Gerusalemme è chiamata ad essere la città della luce, che riflette sul mondo la luce di Dio e aiuta gli uomini a camminare nelle sue vie. Questa è la vocazione e la missione del Popolo di Dio nel mondo. Ma Gerusalemme può venire meno a questa chiamata del Signore. Ci dice il Vangelo che i Magi, quando giunsero a Gerusalemme, persero per un po’ la vista della stella. Non la vedevano più. In particolare, la sua luce è assente nel palazzo del re Erode: quella dimora è tenebrosa, vi regnano il buio, la diffidenza, la paura, l’invidia. Erode, infatti, si mostra sospettoso e preoccupato per la nascita di un fragile Bambino che egli sente come un rivale. In realtà Gesù non è venuto ad abbattere lui, misero fantoccio, ma il Principe di questo mondo! Tuttavia il re e i suoi consiglieri sentono scricchiolare le impalcature del loro potere, temono che vengano capovolte le regole del gioco, smascherate le apparenze. Tutto un mondo edificato sul dominio, sul successo sull’avere, sulla corruzione è messo in crisi da un Bambino! Ed Erode arriva fino a uccidere i bambini. «Tu uccidi i bambini nella carne perché la paura ti uccide nel cuore» - scrive san Quodvultdeus (Disc. 2 sul Simbolo: PL 40, 655). E’ così: aveva paura, e per questa paura è impazzito.

I Magi seppero superare quel pericoloso momento di oscurità presso Erode, perché credettero alle Scritture, alla parola dei profeti che indicava in Betlemme il luogo della nascita del Messia. Così sfuggirono al torpore della notte del mondo, ripresero la strada verso Betlemme e là videro nuovamente la stella, e il Vangelo dice che provarono «una gioia grandissima» (Mt 2,10). Quella stella che non si vedeva nel buio della mondanità di quel palazzo.

Un aspetto della luce che ci guida nel cammino della fede è anche la santa “furbizia”. E’ una anche virtù questa, la santa “furbizia”. Si tratta di quella scaltrezza spirituale che ci consente di riconoscere i pericoli ed evitarli. I Magi seppero usare questa luce di “furbizia” quando, sulla via del ritorno, decisero di non passare dal palazzo tenebroso di Erode, ma di percorrere un’altra strada. Questi saggi venuti da Oriente ci insegnano come non cadere nelle insidie delle tenebre e come difenderci dall’oscurità che cerca di avvolgere la nostra vita. Loro, con questa santa “furbizia” hanno custodito la fede. E anche noi dobbiamo custodire la fede. Custodirla da quel buio. Ma, anche, tante volte, un buio travestito di luce! Perché il demonio, dice san Paolo, si veste da angelo di luce, alcune volte. E qui è necessaria la santa “furbizia”, per custodire la fede, custodirla dai canti delle Sirene, che ti dicono: “Guarda, oggi dobbiamo fare questo, quello...” Ma la fede è una grazia, è un dono. A noi tocca custodirla con questa santa “furbizia”, con la preghiera, con l’amore, con la carità. Occorre accogliere nel nostro cuore la luce di Dio e, nello stesso tempo, coltivare quella furbizia spirituale che sa coniugare semplicità ed astuzia, come chiede Gesù ai discepoli: «Siate prudenti come i serpenti e semplici come le colombe» (Mt 10,16).

Nella festa dell’Epifania, in cui ricordiamo la manifestazione di Gesù all’umanità nel volto di un Bambino, sentiamo accanto a noi i Magi, come saggi compagni di strada. Il loro esempio ci aiuta ad alzare lo sguardo verso la stella e a seguire i grandi desideri del nostro cuore. Ci insegnano a non accontentarci di una vita mediocre, del “piccolo cabotaggio”, ma a lasciarci sempre affascinare da ciò che è buono, vero, bello… da Dio, che tutto questo lo è in modo sempre più grande! E ci insegnano a non lasciarci ingannare dalle apparenze, da ciò che per il mondo è grande, sapiente, potente. Non bisogna fermarsi lì. E’ necessario custodire la fede. In questo tempo è tanto importante questo: custodire la fede. Bisogna andare oltre, oltre il buio, oltre il fascino delle Sirene, oltre la mondanità, oltre tante modernità che oggi ci sono, andare verso Betlemme, là dove, nella semplicità di una casa di periferia, tra una mamma e un papà pieni d’amore e di fede, risplende il Sole sorto dall’alto, il Re dell’universo. Sull’esempio dei Magi, con le nostre piccole luci, cerchiamo la Luce e custodiamo la fede. Così sia!

[Papa Francesco, Epifania 2014]

Incarnazione: la vita grezza è colma di potenze

 

(Gv 1,1-18)

 

Secondo le culture antiche, Logos-Sarx è un accostamento ardito e impossibile. Eppure segna la differenza tra religiosità e Fede.

Incarnazione: la vita grezza è colma di potenze.

Il nostro lato eterno - che ha piantato tenda in noi - manda le cose affinché percependo, accogliendo, diventando consapevoli, possiamo preparare lo sviluppo dell’anima, della nostra Casa.

Sarebbe impossibile imboccare la strada della Felicità piena se non raggranellassimo e assumessimo ogni briciola del nostro essere sparso nel mondo e nel tempo, rendendo significativi e divini ogni attesa, qualsiasi istante, tutte le oscillazioni anche infrante.

Il Logos ha innumerevoli Semi già piantati in noi: sono tutte polarità energetiche plasmabili, non cristalline: punti di tensione.

Molti di essi apparentemente malfermi, ma che riavviano alla destinazione della completezza.

[Ogni conversione ha la sua radice nella percezione del difetto d’essere: è l’insoddisfazione che ci spinge a partire].

Provvisorietà chiamate a divenire punti fermi - poi di nuovo traballanti, perché solo attraverso processi di fluttuazione s’innescano le dinamiche che guideranno alla crescita totale (con altri momenti di Esodo).

Come suggerisce un aforisma Zen [raccolto in Ts’ai Ken T’an]: «L’acqua troppo pura non ha pesci».

Già qui e ora prosperiamo sulla terra d’una preziosa semente del Verbo. La sua Tenda autentica è ‘in-noi’ e in tutti i moventi.

Dunque la «Luce degli uomini» (v.4) non sarà più - secondo i convincimenti del tempo - l’arida normativa della Legge, bensì la «Vita» nella sua completa pienezza. Spontanea, reale e poco rifinita: cruda, perciò colma di potenze.

«E la Luce splende nella tenebra» (v.5)!

Proprio come una pianta, che non attecchisce né espande in ambiente distillato.

Per accogliere il sempre nuovo e spumeggiante, bisogna consentire l’accesso a tutti i nostri “ospiti” dell’anima - che ci faranno incontrare noi stessi; persino le nevrosi.

Colui che Vive propone un Esodo profondo, per diventare sempre rinati. L’andare dell’uomo non è sottomesso a un Padrone unilaterale.

Non più ‘alture’ precisamente denominate; luoghi inaccessibili e lontani dove andare - pena l’esclusione - bensì Immagini e Somiglianza di un Dio che giunge a trovarci in Casa, lì dove siamo.

Saranno le stesse marginalità incontrate dentro - ormai senza isterismi - a indicarci infallibilmente le periferie esistenziali altrui, che siamo chiamati a frequentare, rigenerare, sublimare, spostare, far risorgere.

La nuova relazione con Dio non è più fondata sulla purità discrepante e sull’obbedienza, profusa verso precetti rigidi e tradizioni o mode indiscutibili.

Piuttosto, nelle vicende personali e nella convivialità delle differenze, ecco subentrare la Somiglianza con il Verbo.

È il Sogno di ciascuno e tutti - in Cristo già introdotti nel Seno dell’Eterno convincente e amabile perché ‘comprensivo’ dell’Essere; non nel modo di paternalismi alla fine bonariamente elargiti.

 

Abbiamo in comune lo ‘Spostamento’. «Parola» Fine sull’univocità.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Come inizi le giornate? Accogli i tuoi ospiti (perfino il vuoto)? O li affronti con eccesso di giudizio?

 

 

[2.a Domenica di Natale, 5 gennaio 2025]

Lunedì, 30 Dicembre 2024 07:20

Incarnazione: ricca Dimora dei poveri Semi

La potenza della vita grezza

(Gv 1,1-18)

 

Gialal al-Din Rumi, mistico e lirico persiano del XIII sec. (fondatore della confraternita sufi dei dervisci) scrive nel suo componimento «La Locanda»:

 

L’essere umano è una locanda,

ogni mattina arriva qualcuno di nuovo.

 

Una gioia, una depressione, una meschinità,

qualche momento di consapevolezza arriva di tanto in tanto,

come un visitatore inatteso.

 

Dài il benvenuto a tutti, intrattienili tutti!

Anche se c’è una folla di dispiaceri

che devasta violenta la casa

spogliandola di tutto il mobilio,

 

lo stesso, tratta ogni ospite con onore:

potrebbe darsi che ti stia liberando

in vista di nuovi piaceri.

 

Ai pensieri tetri, alla vergogna, alla malizia,

vai incontro sulla porta ridendo,

e invitali a entrare.

 

Sii grato per tutto quel che arriva,

perché ogni cosa è stata mandata

come guida dell’aldilà.

 

 

Riconosciamo in questa poesia-emblema alcune chiavi di volta del discernimento, sottese ai paradossi esistenziali della teologia dell’Incarnazione.

Un mistico sufi aiuta a comprendere le colonne portanti del nostro Cammino, assai meglio di tante dottrine evasive a senso unico.

Sono identiche leggi dell’anima già espresse nel celebre Prologo del quarto Vangelo: la vita grezza è colma di potenze.

Sintesi di tematiche di fondo che specificano la Vita nello Spirito a paragone dell’esperienza religiosa comune.

Incarnazione: i nostri fulcri più intimi distinguono l’avventura della Fede dall’esistenza unilaterale del credente in Dio.

Svegliandoci al mattino, ecco nel nostro “albergo” spuntare un nuovo arrivo - non sempre palesemente edificante.

Ma nella reception di locanda a molte stanze dev’esserci accoglienza, affinché l’incontro non programmato possa aprirci, divenire un aspetto, o motivo e motore dell’Incontro decisivo - forse anch’esso inatteso.

Accadimenti, situazioni, intuizioni, consigli, relazioni, emozioni anche strampalate, nuove consapevolezze, altri progetti che non avevamo prima immaginato o semplicemente inespressi, vengono a trovarci e ci lasciano stupiti.

Gli ospiti vanno accolti, hanno la loro dignità e tutti esprimono lati di noi stessi: siamo tenuti a dare a ciascuno di loro un benvenuto; persino alle rabbie, alle tristezze, alle paure.

I missionari sanno bene che i dubbi sono più fecondi delle certezze, e che l’insicurezza è più sicura di tutte le “sicurezze“.

La folla degli ospiti può rimettere in discussione quanto c’è nella nostra dimora o locanda, e spazzare via tutto o in parte - persino le fondamenta.

Avendo pazienza di onorare ogni inquilino - fossero ricordi antichi o utopie da scapicollo - prepareremo l'anima a un’esperienza di pienezza di essere, lanciata dai nostri stessi bassifondi (letame divenuto territorio di germogli).

A partire dal rispetto dei nostri confini diversi e a motivo di essi, ogni presenza nuova o che si riaffaccia ci concentra sull’ascolto di tutto il marasma che siamo - caos che prepara le delizie che ci appartengono, e solo così coinvolgono.

Il nostro lato eterno - che ha piantato tenda in noi - manda le cose affinché percependo, accogliendo, diventando consapevoli, possiamo preparare lo sviluppo dell’anima, della nostra Casa.

Evoluzione i cui principi [e occasioni di scatto in avanti verso il completamento della nostra personalità piena e divina] semplicemente troviamo innati, dentro, e non in adesioni estrinseche - tipiche della civiltà dell’esterno e di non poche espressioni di fede ridotta a religione.

 

Il Prologo di Gv non fa che ribadire i pilastri eterni di una Sapienza rivelata ma naturale, alla portata di tutti perché narra l’amore, anche nel cammino interiore; difficile da capire solo per chi si lascia influenzare da opinioni e catechismi a codice, abbreviati.

Il Vangelo rassicura: è Notizia a nostro favore, perché dona coscienza che i “signori” che sopraggiungono sono Doni che ripuliscono la dimora, e se la buttano all’aria è solo per rinforzare la nostra essenza, cesellando una irripetibile Vocazione: quella in grado di recuperare ogni brandello della nostra storia e farne un capolavoro.

Sarebbe impossibile imboccare la strada della Felicità piena se non raggranellassimo e assumessimo ogni briciola del nostro essere sparso nel mondo e nel tempo, rendendo significativi e divini ogni attesa, qualsiasi istante, tutte le oscillazioni anche infrante.

Il Logos ha innumerevoli Semi già piantati in noi: sono tutte polarità energetiche plasmabili; non cristalline. Punti di tensione. Molti di essi apparentemente malfermi, ma che riavviano alla destinazione della completezza.

Provvisorietà chiamate a divenire punti fermi - poi di nuovo traballanti, perché solo attraverso processi di fluttuazione s’innescano le dinamiche che guideranno alla crescita totale - con altri momenti di Esodo.

 

Come suggerisce un aforisma Zen [raccolto in Ts’ai Ken T’an]: «L’acqua troppo pura non ha pesci».

Gv non scrive che il Logos divenne “uomo”, bensì «carne» nell’accezione semitica di un essere pieno di limiti, incompiuto; per questo votato alla ricerca incessante di senso, parziale sino alla morte.

La debolezza di donne e uomini non è redenta ammirando un modello eroico e imitandolo fuori scala, ma in un processo di recupero di tutto l’essere e della nostra storia.

Non esistono Doni dello Spirito che non passino per la dimensione umana.

Già qui e ora prosperiamo sulla terra d’una preziosa semente del Verbo. La sua Tenda autentica è in-noi e in tutti i moventi.

Più riusciamo a portare al massimo la nostra realtà creaturale e umanizzante, più saremo sul cammino verso la condizione divina. Radicati sulla terra dell’inestimabile stirpe generata dal Logos.

Per farci coscienti e dilatare la vita, l’Eterno chiede che ospitiamo le proposte con cui irrompe, all’unico scopo non di condizionare ma di completarci, e incrementare l’autostima con cui affrontiamo il presente e attiviamo futuro, faccia a faccia.

Non lo faremo diventando vincenti, ma accogliendo quel che viene dalla Provvidenza, dalle persone e dalle emozioni (perfino dai disagi) senza pregiudizio - neppure quello del sembrare sempre accompagnati da molta gente, facendosi vedere all’esterno sicuri, forti, performanti.

Sceneggiate che invadono la vita e tolgono la Percezione essenziale dell’essere presenti agli atti minimi e alle relazioni, al guardare dentro e fuori. Coscienza nitida di sé, dell’umano, del mondo che guida verso la nostra direzione e la nostra vera natura.

 

Non le Dieci Parole - tipica categoria semitica - ma l’Unica Parola inclusiva, Sogno e Senso della Creazione, sono a fondamento dell’Opera del Padre.

Il Logos che attecchisce è qualitativo, non parziale, né incentrato su un unico nome: Uno perché Unitario.

 

La vicenda di Gesù di Nazaret suggerisce che il peccato è stato stracciato, ossia: l’imperfezione non è un ostacolo alla comunione col Cielo, bensì una molla.

I malesseri non ci rendono inadeguati: mettono in cammino.

Il Signore ha annientato il senso d’insufficienza della condizione carnale e l’umiliazione delle distanze incolmabili.

Il progetto “iniziale” del Creatore è di partecipare la sua stessa Vita a tutta l'umanità. In tal guisa, il Signore s’introduce nel mondo con fiducia, senza timore di contaminarsi, né tagli e separazioni - pregiudizio tipico della mentalità arcaica.

Il Disegno di Salvezza si concretizza e ha la sua vetta nella difesa, promozione, espansione della nostra qualità di vita relazionale.

Dunque: «Luce degli uomini» (v.4) non sarà più - secondo i convincimenti del tempo - l’arida normativa della Legge, bensì la «Vita» nella sua completa pienezza. Spontanea, reale e poco rifinita: cruda, perciò colma di potenze.

 

Scrive il Tao Tê Ching (xix), che reputa esteriori le più celebrate virtù: «Insegna che v’è altro cui attenersi: mostrati semplice e mantieniti grezzo».

Commenta il maestro Wang Pi: «Le qualità formali sono del tutto insufficienti».

E il maestro Ho-shang Kung aggiunge: «Tralascia il regolare e il creare dei santi; torna a quel che era al Principio».

 

Così nei percorsi di Fede non sarà più l’esteriorità o la convenzione a dettare il cammino e il senno, nel discernimento degli spiriti.

Ciascuno ha il suo desiderio innato di realizzazione e totalità di espressione: questo l’unico criterio del nostro sentiero.

Tale resterà la Luce intima che guida i nostri passi; questa la Parola dell’Amico invisibile che ci conduce e fa da canone.

 

«E la Luce splende nella tenebra» (v.5)!

Proprio come una pianta, che non attecchisce né espande in ambiente distillato.

Dunque ciò che non ha o limita la vita non procede da Dio, il Vivente, promotore di tutto quanto esprime e dispiega esuberanza.

Nostra Vocazione è porsi al fianco della vita integrale, coi suoi lati opposti che fanno Alleanza.

 

Le religioni non accolgono tutti gli ospiti [essi si riveleranno assai più fertili di come immaginiamo] che bussano all’albergo interiore.

Ma non è coi parametri del pensiero consolidato che si può capire o scoprire cosa è Vita completa, perché la vita è sempre espansiva, rigogliosa e nuova, colma di sfaccettature.

Ecco la necessità di un cambio continuo, dall’antico.

Insomma, Principio unico non negoziabile è il bene reale dell’uomo concreto; il resto sfugge alle nostre previsioni.

Rischio classico è che: nel nome di un Dio del passato [dottrina, vezzi, discipline, consuetudini, modi di pensare e fare] non ci si accorga e non si riconosca l’invito, l’energia empatica; la virtù divina che sporge Presente.

 

Per accogliere il sempre nuovo e spumeggiante, bisogna consentire l’accesso a tutti i nostri “ospiti” dell’anima - che ci faranno incontrare noi stessi; persino le nevrosi.

Colui che Vive propone un Esodo profondo, per diventare sempre rinati. L’andare dell’uomo non è sottomesso a un Padrone, neppure celeste.

Non esistiamo “per” Dio, come si crede e predica nelle vetuste devozioni. Esse c’intasano di forme esterne o intimiste; bloccano lo sviluppo della personalità.

Non lasciano attingere alle “nostre” stesse forze.

 

Il Padre chiede di essere accolto, non obbedito. Così vivremo di Lui, e con Lui e come Lui andremo a incontrare i fratelli, riuscendo a farci anche Alimento in favore del prossimo - senza forzature irrequiete che spersonalizzano.

Ecco all’opera i nuovi Santuari di carne e sangue che hanno sostituito, soppiantato, quello di pietra.

Presenze, Luoghi d’incontro fra storia, gioia e vertigine; tra natura umana e divina. Centri d’irradiazione dell’Amore senza condizioni - né riduzioni.

Non più alture precisamente denominate, luoghi inaccessibili e lontani dove andare - pena l’esclusione - bensì immagini e somiglianza di un Dio che giunge a trovarci in Casa, lì dove siamo.

Saranno le stesse marginalità incontrate dentro - ormai senza isterismi - a indicarci infallibilmente le periferie esistenziali altrui, che siamo chiamati a frequentare, rigenerare, sublimare, spostare, far risorgere.

La nuova relazione con Dio non è più fondata sulla purità discrepante e sull’obbedienza, profusa verso precetti rigidi e conformismi indiscutibili.

Piuttosto, nelle vicende personali e nella convivialità delle differenze subentrerà la Somiglianza al Verbo.

 

Confessava il patriarca Atenagora:

«Noi abbiamo bisogno del Cristo, senza di lui non siamo niente. Ma lui ha bisogno di noi per agire nella storia. L’intera storia dell’umanità dalla risurrezione in poi, e persino dalle origini in poi, costituisce una sorta di pan-cristianesimo. L’antica alleanza comporta tutta una serie di alleanze che ancor oggi sussistono l’una a fianco dell’altra. E così l’alleanza di Adamo, o meglio di Noè, sussiste nelle religioni arcaiche, quelle dell’India in special modo, con il loro simbolismo cosmico [...]

Noi sappiamo che la luce irradia da un volto. Ci voleva l’alleanza di Abramo, ed era necessario che si rinnovasse nell’Islam. Quella di Mosè sussiste nel giudaismo [...]

Ma il Cristo ha ricapitolato tutto. Il Logos che si è fatto carne è colui che crea l’universo e vi si manifesta, ed è pure la Parola che guida la storia attraverso i profeti [...]

Per questo io considero il cristianesimo la religione delle religioni, e mi capita di dire che appartengo a tutte le religioni».

 

È il Sogno di ciascuno e tutti, in Cristo già introdotti nel Seno dell’Eterno convincente e amabile, perché Comprensivo [non nel senso del paternalismo alla fine bonariamente elargito, ma dell’Essere].

Come ha sottolineato Papa Francesco:

«Nella vita porta frutto non chi ha tante ricchezze, ma chi crea e mantiene vivi tanti legami, tante relazioni, tante amicizie attraverso le diverse “ricchezze”, cioè i diversi Doni di cui Dio l’ha dotato».

Solo così diverremo - noi tutti nel Figlio - speciali Eventi del Verbo-carne: pesci piccoli, ma con pieno diritto alla sopreminenza del Logos... corifei di recuperi impossibili.

 

Abbiamo in comune lo spostamento. «Parola» Fine sull’univocità.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Come inizi le giornate? Accogli i tuoi ospiti (perfino il vuoto)? O li affronti con eccesso di giudizio?

 

 

Luce e Tesoro

 

Scintilla di bellezza e umanesimo, o senza futuro

(Gv 8,12-20)

 

In tutte le religioni il termine Luce viene usato come metafora delle forze del bene.

Sulla bocca di Gesù [presente nei suoi intimi] il medesimo vocabolo sta a indicare un compimento dell'umanità (persino dell’istituzione religiosa) secondo il progetto divino, riconoscibile nella sua stessa Persona.

La distinzione fra Luce e tenebra in Cristo non è in qualche modo paragonabile al binomio dualista più convenzionale - circa il bene e il male. L'attività del Creatore è poliedrica.

Il termine evangelico dunque non designa alcuna staticità di giudizio fisso su quanto viene usualmente valutato come “fiaccola” oppure “ombra”, “corretto” o “sbagliato” e così via.

C’è spazio per nuove percezioni e rielaborazioni. Né siamo chiamati sempre a lottare contro tutto il resto, e le passioni.

Le classiche valutazioni morali, devote o religiose generali vanno superate, perché restano in superficie e non colgono il nocciolo dell’essere e del divenire umanizzante.

Non di rado le cose più preziose sorgono proprio da ciò che disturba il pensiero omologato.

La stessa mente che crede di stare solo nella luce è una mente unilaterale, parziale, malata; legata a un’idea, quindi scadente.

Dio sa che sono le incompletezze a lanciare l’Esodo, possono essere le insicurezze a non farci sbattere contro i modelli… i quali ci fanno perdere ciò che siamo.

Le energie che investono la realtà creata hanno infatti una radice potenziale del tutto positiva.

I tramonti preparano altri percorsi, le ambivalenze danno il “la” a recuperi e crescite impossibili.

 

«Luce» era nel giudaismo il termine che designava il cammino retto dell'umanità secondo Legge, senza eccentricità né declino.

Ma con Gesù non è più la Torah che fa da guida, bensì la vita stessa [Gv 1,4: «La Vita era la Luce degli uomini»] che si caratterizza per la sua difforme complessità.

Così, anche il «mondo» - ossia (in Gv) anzitutto il complesso dell’istituzione (tanto pia e devota) ormai installata e corrotta: essa deve tornare a una Guida più sapiente, che rischiari l’esistenza reale.

 

L’appello che la Scrittura ci rivolge è molto pratico e concreto.

Ma nei contesti dotati di una forte struttura di mediazione fra Dio e l’uomo, la spiritualità spesso inclina al legalismo degli adempimenti consueti.

Gesù non è per le grandi parate, né per soluzioni che ammantino la vita della gente di misticismo, fughe, riti o astinenze.

Tutto questo è stato forse anche il tessuto di buona parte della spiritualità medievale - e quella assidua, rituale e beghina dei tempi andati.

Ma nella Bibbia i servitori di Dio non hanno l’aureola. Sono donne e uomini inseriti normalmente nella società, persone che conoscono i problemi del quotidiano: il lavoro, la famiglia, l’educazione dei figli...

I professionisti del sacro invece cercano di mettere un bel vestitino a cose assai poco nobili - talora a menti astute e cuori perversi. Coltivati dietro il magnificente perbenismo dei paraventi e degli incensi.

Per fare ciò, Gesù capisce di dover cacciare fuori sia mercanti che clienti (Gv 2,13-25) e soppiantare i bagliori fatui del grande Santuario.

 

Durante la festa delle Capanne, nei cortili del Tempio di Gerusalemme si accendevano enormi lampioni.

Uno dei riti principali consisteva nell’allestire una mirabile processione notturna con le faci accese - e nel far rifulgere le grandi lampade (esse sopravanzavano le mura e illuminavano tutta Gerusalemme).

Era il contesto adeguato per proclamare la Persona stessa del Cristo quale autentica Parola sacra e umanizzante, luogo dell’incontro con Dio e fiaccola della vita. Nulla di esterno e retorico-tutto-apparenza.

Ma in quel “mondo santo” segnato dall’intreccio fra epopea, religione, potere e interesse, il Maestro si staglia - con evidenza contraria - proprio nel luogo del Tesoro (baricentro reale del Tempio, v.20) come vero e unico Punto estremo che squarcia le tenebre.

Il Signore invita a fare nostro il suo stesso cammino acutamente missionario: dal sacrario di pietra al cuore di carne, gratuito come quello del Padre.

Appello limpido e Domanda intima che mai si spegne: la sentiamo ardere viva senza consumarsi.

Non c’è da temere: l’Inviato non è solo. Non testimonia se stesso, né le proprie manie o squilibri utopici: la sua Chiamata per Nome si fa Presenza divina - Origine, Cammino, “Ritorno” autentico.

 

Sembriamo dei pellegrini ed esiliati che non sanno stare al “mondo”? Ma ciascuno di noi è (nella Fede) come Lui-e-il-Padre: Maggioranza schiacciante.

Per Fede, nella Luce autentica: Aurora, Sostegno, Amicizia e balzo inequivocabile, invincibile, che squarcia le caligini.

Sprizza dal nucleo, assumendo le stesse ombre e rinascendo; portando i nostri lati oscuri accanto alle radici.

Luogo intimo e tempo (fuori di ogni età) da cui scatta la Chiesa in uscita: eccola dai monili e dalle sagrestie, alle periferie... Scintilla di bellezzza e umanesimo, o senza futuro

E dalla società sacrale dell’esterno, alla Perla nascosta che genuinamente connette il presente col “senza tempo” del Gratis - anche se qua e là mette in crisi tanta teologia dal significato precettistico, avido e furbetto, non plurale né trasparente.

In fondo, tutto semplice: il benessere pieno e l’integrità dell’uomo sono più importanti del “bene” unilaterale della dottrina e dell’istituzione - che la propugna senza neanche crederci.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

In quali situazioni mi considero “Testimone”?

Cosa è fiaccola ai miei passi? Chi è la mia Luce Presente?

 

 

Mistica della Coversione-Luce: gli spazi inediti della crescita

 

Attendere e accogliere (il gusto di Dio, nella Rinascita)

(Gv 12,44-50)

 

«Chi disprezza me e non riceve le mie parole, ha chi lo giudica: la Parola che ho detto, quella lo giudicherà nell’ultimo giorno» (v.48).

«E conosco che il suo Comandamento è Vita dell’Eterno. Le cose dunque che io annuncio, come mi ha dette il Padre, così annuncio» (v.50).

Siamo al termine del Libro dei Segni (Gv 2-12) cui segue il tempo cosiddetto de l’Ora.

Il passo di Vangelo particolare di Gv 12 fa come da inclusione al Prologo, e introduce al dramma finale di Cristo - con tutto il peso dell’incredulità già percepita.

Ma è un’impronta primordiale, anche per noi, generati alla vita dall’animazione nello Spirito del Figlio, per essere inviati all’Annuncio (della somiglianza, non dell’obbedienza).

Come Lui siamo in Dio, e insieme... per le donne e gli uomini di ogni tempo e cultura.

Dunque il «grido» di Gesù (v.44) è un «clamore» privilegiato, di autopresentazione decisiva, nonché d’inaudita rivelazione della stessa Vita dell’Eterno già qui presente (v.50) dentro noi stessi.

Colui che agisce in nome dell’Amore sorgivo, fa trapelare la Novella lieta di risurrezione e liberazione, e l’approvazione definitiva del Padre.

Non siamo più al mondo in funzione di Dio (come nelle religioni) bensì viviamo con Lui e di Lui - per il Messaggio e la Missione: completa umanizzazione, emancipazione, redenzione degli uomini.

Padre e Figlio sono Uno. Gesù riflette Dio, lo avvicina a noi; ce lo svela e comunica, senza divario.

Così per noi «Vedere» Cristo significa credergli, ossia cogliere l’esito glorioso di una vita che sembrava destinata all’insignificanza.

La Luce imprescindibile del Signore non solo dirada le tenebre, ma le scopre, le incontra e trasforma dal di dentro. E l’incredulità diventa Fede - come un Grembo di gestazioni, doni di nuova Creazione.

La nostra sorte e qualità di vita credente si decide in modo serrato nel confronto tra due moti: vita pia, o Visione-Fede. Quest’ultima in grado di sprigionare dilatazioni e imperativi ministeriali.

Tale dilemma fa da discrimine: tra vita da salvati fin d’ora, e dubbio sul destino futuro. Interrogativo tipico della spiritualità vuota - o di visioni romantiche che dopo i primi entusiasmi portano a brancolare nel buio, nell’insoddisfazione.

L’adesione originale a Cristo è in stato di Compito, germinato in seno - non progettato a tavolino né preparato in disparte senza i volti, le vie, e con la sola storia nazionale o locale - ovvero i manierismi.

In Cristo non ci teniamo avidamente aggrappati a noi stessi, all’ambiente conforme, ai saperi antichi o alla moda più rassicuranti. Siamo disposti a un itinerario di continui inizi, come sulla scia d’immagini-guida (cangianti, ma che sanno dove andare).

Incontreremo l’Azione di Dio che salva... proprio nei territori inattesi, i quali trasbordano fuori del santuario delle abitudini. E nei modi che sorvolano i nostri vecchi propositi - pur in se stessi confessanti, plausibili, o addirittura nobili.

La Legge zeppa di verdetti cesellati nei minimi dettagli è superata (v.47). Cristo non è venuto per accusare d’inadeguatezza e mettere in castigo: al contrario, per farci diventare inventori di strade - e inaudite Fiaccole.

Criterio di “giudizio” è la Parola e la sua Persona, trasparenza del Padre - coincidenza assoluta, genuina e libera. Egli come l’Eterno viene per la Vita eccedente; e nuova Luce.

Non considerarlo come sigillo d’eccezione, passo e ritmo da reinterpretare, e non dargli spazio come tratto intrinseco, motivo e motore, significa disperdere invano le migliori energie - che ci fanno sì vagare, ma per guidare a pienezza.

 

Il mondo non è tutto qui: c’è un Chiarore (v.46) che fa sentire a casa e può diradare ogni disturbo, chiusura e tenebra.

Questa la grande “conversione”, la mentalità da rinnovare, godendo appieno della Chiamata.

La vita in Cristo non è - come in varie forme religiose arcaiche - ristretta contro se stessi e il mondo.

Essa è far valere l’Azione del Padre (vv.43-44.49-50) il quale ha disposto che persino le eccentricità, le fatiche, i disagi possano veicolarci l’idea, il gusto, d’una diversa realizzazione; aprire spazi di crescita inespressa.

L’Amico interiore conduce misteriosamente a sgretolare l’io orgoglioso che si precipita ad aggiustare secondo opinione convenzionale e altrui - affinché ci lasciamo irraggiare.

È tale Sé eminente e intenso d’unicità che farà cogliere la strabiliante (impossibile) fecondità della vittoria nella sconfitta, del trionfo attraverso la perdita, della vita fra segni di morte.

Smagrendo l’Appello del buio rischiamo di allontanarne la nuova Luce, un’ulteriore genesi di noi stessi, una evoluzione differente dalle solite attese - che davvero ci conforterebbe e realizzerebbe con efficacia.

Smarrendo la percezione delle ferite rischiamo di annientare il processo di guarigione e rinascita dell’anima.

Questa la nuova decisiva Conversione: il vero svuotarsi dei propri piani, idee e gusti, per ispirarsi all’impensabile Opera divina in noi - che non vuole indebolire l’io ma rafforzarlo con altre capacità.

La pienezza di Luce straordinaria è in Cristo un’abnegazione semplice (ma a rovescio): concedere spazio e tempo a quella Totalità che non prende il sopravvento sulla Persona.

Come in Gesù, poi consentirà di donare autenticità e assai più di minime luci vacillanti, prodotti d’un piccolo cervello (che non evolve).

Spicciarsi a lottare coi sintomi finisce per cronicizzarli - con la droga dei rimedi antichi o immediatamente a portata di mano.

Ci farebbe diventare esterni e spegnere la Genesi interiore, che tintinna con l’Opera che Viene.

In Cristo conosciamo il segreto della conversione accogliente: il regno che non vediamo può prendersi cura di noi e del mondo (vv.47-48).

È questo rimando al Mistero (che chiama) quel Seme congenito che realizza l’evoluzione del cosmo e di ciascuno, perché possiede il Senso dell’autenticità sorgiva - ed essa farà il suo Frutto.

 

Nella Fede «favilla, / che si dilata in fiamma poi vivace / e come stella in cielo in me scintilla» (Dante, Paradiso c.XXIV).

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Quale luce prevedevi ti curasse e viceversa ha cronicizzato la tua situazione? Quale stampella esterna ti ha assuefatto e reso zoppo?

Lunedì, 30 Dicembre 2024 07:15

Dopo il frastuono, cogliere l’Impronta

Cari fratelli e sorelle,

la liturgia ripropone oggi alla nostra meditazione lo stesso Vangelo proclamato nel giorno di Natale, cioè il Prologo di San Giovanni. Dopo il frastuono dei giorni scorsi con la corsa all’acquisto dei regali, la Chiesa ci invita nuovamente a contemplare il mistero del Natale di Cristo, per coglierne ancor più il significato profondo e l’importanza per la nostra vita. Si tratta di un testo mirabile, che offre una sintesi vertiginosa di tutta la fede cristiana. Parte dall’alto: "In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio" (Gv 1,1); ed ecco la novità inaudita e umanamente inconcepibile: "Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (Gv 1,14a). Non è una figura retorica, ma un’esperienza vissuta! A riferirla è Giovanni, testimone oculare: "Noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità" (Gv 1,14b). Non è la parola dotta di un rabbino o di un dottore della legge, ma la testimonianza appassionata di un umile pescatore che, attratto giovane da Gesù di Nazareth, nei tre anni di vita comune con Lui e con gli altri apostoli ne sperimentò l’amore – tanto da autodefinirsi "il discepolo che Gesù amava" –, lo vide morire in croce e apparire risorto, e ricevette poi con gli altri il suo Spirito. Da tutta questa esperienza, meditata nel suo cuore, Giovanni trasse un’intima certezza: Gesù è la Sapienza di Dio incarnata, è la sua Parola eterna fattasi uomo mortale.

Per un vero Israelita, che conosce le sacre Scritture, questo non è un controsenso, anzi, è il compimento di tutta l’antica Alleanza: in Gesù Cristo giunge a pienezza il mistero di un Dio che parla agli uomini come ad amici, che si rivela a Mosè nella Legge, ai sapienti e ai profeti. Conoscendo Gesù, stando con Lui, ascoltando la sua predicazione e vedendo i segni che Egli compiva, i discepoli hanno riconosciuto che in Lui si realizzavano tutte le Scritture. Come affermerà poi un autore cristiano: "Tutta la divina Scrittura costituisce un unico libro e quest’unico libro è Cristo, parla di Cristo e trova in Cristo il suo compimento" (Ugo di San Vittore, De arca Noe, 2, 8). Ogni uomo e ogni donna ha bisogno di trovare un senso profondo per la propria esistenza. E per questo non bastano i libri, nemmeno le sacre Scritture. Il Bambino di Betlemme ci rivelar e ci comunica il vero "volto" di Dio buono e fedele, che ci ama e non ci abbandona nemmeno nella morte. "Dio, nessuno lo ha mai visto – conclude il Prologo di Giovanni –: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato" (Gv 1,18).

La prima ad aprire il cuore e a contemplare "il Verbo che si fece carne" è stata Maria, la Madre di Gesù. Un’umile ragazza di Galilea è diventata così la "sede della Sapienza"! Come l’apostolo Giovanni, ognuno di noi è invitato ad "accoglierla con sé" (Gv 19,27), per conoscere profondamente Gesù e sperimentarne l’amore fedele e inesauribile. E’ questo il mio augurio per ognuno di voi, cari fratelli e sorelle, all’inizio di questo nuovo anno.

[Papa Benedetto, Angelus 4 gennaio 2009]

Lunedì, 30 Dicembre 2024 07:10

Logos e Sapienza

1. Nella precedente catechesi abbiamo mostrato, sulla base dei Vangeli sinottici, come la fede nella figliolanza divina di Cristo si vada formando per rivelazione del Padre nella coscienza dei suoi discepoli e ascoltatori, e prima di tutto nella coscienza degli apostoli. A creare la convinzione che Gesù è il Figlio di Dio nel senso stretto e pieno (non metaforico) di questa parola, contribuisce soprattutto la testimonianza dello stesso Padre, che “rivela” in Cristo il suo Figlio (“il Figlio mio”) tramite le teofanie che ebbero luogo al battesimo nel Giordano e poi durante la trasfigurazione sul monte. Abbiamo pure visto come la rivelazione della verità sulla figliolanza divina di Gesù raggiunga per opera del Padre le menti e i cuori degli apostoli, come appare nelle parole di Gesù a Pietro: “Né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli” (Mt 16, 17).

2. Alla luce di questa fede nella divina figliolanza di Cristo, fede che dopo la risurrezione acquistò una forza molto maggiore, bisogna leggere tutto il Vangelo di Giovanni, e particolarmente il suo Prologo (Gv 1, 1-18). Esso è una singolare sintesi che esprime la fede della Chiesa apostolica: di quella prima generazione di discepoli, alla quale era stato dato di avere contatti con Cristo, sia in modo diretto, sia mediante gli apostoli che parlavano di ciò che avevano personalmente ascoltato e visto e in cui scoprivano l’attuazione di tutto ciò che l’Antico Testamento aveva predetto di lui. Ciò che già era stato rivelato precedentemente, ma in un certo senso era coperto con un velo, ora, alla luce dei fatti di Gesù, e specialmente in base agli eventi pasquali, acquistava trasparenza, diventava chiaro e comprensibile.

In questo modo il Vangelo di Giovanni (che tra i quattro Vangeli è stato scritto per ultimo) costituisce in un certo senso la più completa testimonianza su Cristo come Figlio di Dio - Figlio “consostanziale” al Padre. Lo Spirito Santo, promesso da Gesù agli apostoli, il quale doveva “insegnar loro ogni cosa” (cf. Gv 14, 26), permette davvero all’evangelista “di scrutare le profondità di Dio” (cf. 1 Cor 2, 10) e di esprimerle nel testo ispirato del Prologo.

3. “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste” (Gv 1, 1-3). “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità” (Gv 1, 14) . . . “Egli era nel mondo e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe. Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto” (Gv 1, 10-11). “A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati” (Gv 1, 12-13). “Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato” (Gv 1, 18).

4. Il Prologo di Giovanni è certamente il testo chiave, nel quale la verità sulla divina figliolanza di Cristo trova la sua piena espressione. Colui che nel tempo “si fece carne” cioè uomo, è dall’eternità il Verbo stesso, cioè il Figlio unigenito: il Dio “che è nel seno del Padre”. È il Figlio “della stessa sostanza del Padre”, è “Dio da Dio”. Dal Padre riceve la pienezza della gloria. Egli è il Verbo “per mezzo del quale tutto è stato fatto”. E perciò tutto quello che esiste deve a lui quel “principio”, di cui parla il Libro della Genesi (cf. Gen 1, 1) il principio dell’opera della creazione. Lo stesso eterno Figlio, quando viene nel mondo come “Verbo che si fece carne” porta con sé all’umanità la pienezza “di grazia e di verità”. Porta la pienezza di verità perché istruisce sul Dio vero che “nessuno ha mai visto”. E porta la pienezza di grazia, perché a tutti coloro che lo accolgono, dà la forza di rinascere da Dio: di diventare figli di Dio. Purtroppo, constata l’evangelista, “il mondo non lo riconobbe” e anche se “venne fra la sua gente”, molti “non l’hanno accolto”.

5. La verità contenuta nel Prologo giovanneo è la stessa che troviamo in altri libri del Nuovo Testamento. Così per esempio leggiamo nella Lettera “agli Ebrei” che Dio “in questi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo. Questo Figlio, che è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza e sostiene tutto con la potenza della sua parola, dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, si è assiso alla destra della maestà nell’alto dei cieli” (Eb 1, 2-3).

6. Il Prologo del Vangelo di Giovanni (come per altro verso la Lettera agli Ebrei), esprime dunque sotto forma di allusioni bibliche, il compimento in Cristo di tutto ciò che è stato detto nell’antica alleanza, iniziando dal Libro della Genesi attraverso la legge di Mosè (cf. Gv 1, 17) e i profeti fino ai libri sapienziali. L’espressione “il Verbo” (che “in principio era presso Dio”) corrisponde alla parola ebraica “dabar”. Anche se in greco si trova il termine “logos”, tuttavia la matrice è prima di tutto veterotestamentaria. Dall’Antico Testamento mutua contemporaneamente due dimensioni: quella di “hochma” cioè sapienza, intesa come “disegno” di Dio riguardo alla creazione, e quella di “dabar” (logos), intesa come la realizzazione di tale disegno. La coincidenza con la parola “logos”, assunta dalla filosofia greca, ha facilitato a suo tempo l’avvicinamento di queste verità alle menti formate da quella filosofia.

7. Rimanendo ora nell’ambito dell’Antico Testamento precisamente in Isaia leggiamo: la “parola uscita dalla mia bocca non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata” (Is 55, 11). Donde appare che la biblica “dabar-parola” non è solo “parola” ma anche “realizzazione” (atto). Si può dire che già nei libri dell’antica alleanza appare una qualche personificazione del “Verbo” (dabar, logos), come pure della “Sapienza” (sofia).

Leggiamo infatti nel Libro della Sapienza:

(La Sapienza) “è iniziata alla scienza di Dio e sceglie le opere sue” (Sap 8, 4), e altrove: “Con te è la sapienza che conosce le tue opere, che era presente quando creavi il mondo; essa conosce che cosa è gradito ai tuoi occhi e ciò che è conforme . . . Mandala dai cieli santi, dal tuo trono glorioso, perché mi assista e mi affianchi nella mia fatica e io sappia che cosa ti è gradito” (Sap 9, 9-10).

8. Siamo così assai vicini alle prime parole del Prologo di Giovanni. Ancor più vicini sono quei versetti del Libro della Sapienza che dicono: “Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose, e la notte era a metà del suo corso, la tua parola onnipotente dal cielo, dal tuo trono regale . . . si lanciò in mezzo a quella terra di sterminio, portando come spada affilata il tuo ordine inesorabile” (Sap 18, 14-15). Tuttavia questa “parola” a cui alludono i libri sapienziali, quella sapienza che sin dall’inizio è presso Dio, è considerata in relazione al mondo creato che essa ordina e dirige (cf. Pr 8, 22-27). “Il Verbo” nel Vangelo di Giovanni invece non solo è “in principio”, ma è rivelato come tutto rivolto a Dio (pros ton Theon) ed essendo egli stesso Dio!Il Verbo era Dio”. Egli è l’“unigenito Figlio, che è nel seno del Padre” -cioè Dio-Figlio. È in persona la pura espressione di Dio, l’“irradiazione della sua gloria” (cf. Eb 1, 3), “consustanziale al Padre”.

9. Proprio questo Figlio -il Verbo che si fece carne -è colui al quale dà testimonianza Giovanni sul Giordano. Di Giovanni Battista leggiamo nel Prologo: “Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce . . .” (Gv 1, 6-7). Tale luce è proprio Cristo -come Verbo. Leggiamo ancora nel Prologo: “In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini” (Gv 1, 4). Questa è “la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Gv 1,9). La luce che “splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta” (Gv 1, 5).

Dunque, secondo il Prologo del Vangelo di Giovanni, Gesù Cristo è Dio, perché Figlio unigenito di Dio Padre. Il Verbo. Egli viene nel mondo come fonte di vita e di santità. Veramente qui siamo al punto centrale e decisivo della nostra professione di fede: “Il Verbo si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi”.

[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 3 giugno 1987]

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“Lumen requirunt lumine”. These evocative words from a liturgical hymn for the Epiphany speak of the experience of the Magi: following a light, they were searching for the Light. The star appearing in the sky kindled in their minds and in their hearts a light that moved them to seek the great Light of Christ. The Magi followed faithfully that light which filled their hearts, and they encountered the Lord (Pope Francis)
«Lumen requirunt lumine». Questa suggestiva espressione di un inno liturgico dell’Epifania si riferisce all’esperienza dei Magi: seguendo una luce essi ricercano la Luce. La stella apparsa in cielo accende nella loro mente e nel loro cuore una luce che li muove alla ricerca della grande Luce di Cristo. I Magi seguono fedelmente quella luce che li pervade interiormente, e incontrano il Signore (Papa Francesco)
John's Prologue is certainly the key text, in which the truth about Christ's divine sonship finds its full expression (John Paul II)
Il Prologo di Giovanni è certamente il testo chiave, nel quale la verità sulla divina figliolanza di Cristo trova la sua piena espressione (Giovanni Paolo II)
The lamb is not a ruler but docile, it is not aggressive but peaceful; it shows no claws or teeth in the face of any attack; rather, it bears it and is submissive. And so is Jesus! So is Jesus, like a lamb (Pope Francis)
L’agnello non è un dominatore, ma è docile; non è aggressivo, ma pacifico; non mostra gli artigli o i denti di fronte a qualsiasi attacco, ma sopporta ed è remissivo. E così è Gesù! Così è Gesù, come un agnello (Papa Francesco)
Innocence prepares, invokes, hastens Peace. But are these things of so much value and so precious? The answer is immediate, explicit: they are very precious gifts (Pope Paul VI)
L’innocenza prepara, invoca, affretta la Pace. Ma si tratta di cose di tanto valore e così preziose? La risposta è immediata, esplicita: sono doni preziosissimi (Papa Paolo VI)
We will not find a wall, no. We will find a way out […] Let us not fear the Lord (Pope Francis)
Non troveremo un muro, no, troveremo un’uscita […] Non abbiamo paura del Signore (Papa Francesco)
Motherhood of innate Wisdom, which opens horizons: in the Church is leading us to different Dreams of being. Woman who wants to express herself by humanizing us
Maternità d’innata Sapienza, che apre gli orizzonti: nella Chiesa ci sta conducendo a differenti Sogni dell’essere. Donna che vuole esprimersi umanizzandoci
Raw life is full of powers: «Be grateful for everything that comes, because everything was sent as a guide to the afterlife» [Gialal al-Din Rumi]
La vita grezza è colma di potenze: «Sii grato per tutto quel che arriva, perché ogni cosa è stata mandata come guida dell’aldilà» [Gialal al-Din Rumi]
It is not enough to be a pious and devoted person to become aware of the presence of Christ - to see God himself, brothers and things with the eyes of the Spirit. An uncomfortable vision, which produces conflict with those who do not want to know
Non basta essere persone pie e devote per rendersi conto della presenza di Cristo - per vedere Dio stesso, i fratelli e le cose con gli occhi dello Spirito. Visione scomoda, che produce conflitto con chi non ne vuol sapere)
In the Holy Family, we are invited to "return to Jerusalem". But by observing the autonomy of the young Christ also in the holy city, we will gradually be able to open ourselves to the unprecedented vocation that we carry within

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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