Fratelli e figli carissimi!
Mi è caro, anche quest’oggi, rivolgermi a voi, che siete qui convenuti per la preghiera dell’Angelus nel clima così tipico ed intimo del santo Natale. Oggi, infatti, il Natale continua la sua salutare e tonificante atmosfera, ed in essa ancora respirano le nostre anime per il senso di perdurante meraviglia e stupore dinanzi al grande evento che si è verificato e che, inesauribile nella sua efficacia, si proietta nell’intero corso del tempo. Intendo l’evento o, più esattamente, il mistero del Figlio di Dio che nasce a Betlemme come Figlio dell’uomo, per farsi a noi fratello e per noi salvatore.
Tanto augusto ed insondabile è un tale mistero, che noi non lo mediteremo mai abbastanza. Per questo, la Chiesa nella sua sapienza liturgica e catechetica ce lo ripropone ogni anno, per una commemorazione che si prolunga per non pochi giorni e si articola in uno speciale ciclo che chiamiamo “ciclo liturgico natalizio”.
2. E desidero venerare insieme con voi santo Stefano, primo martire cristiano, così come lo fa la Chiesa il giorno dopo la solennità del Natale.
“Ieri abbiamo celebrato la nascita temporale dell’eterno nostro re; oggi celebriamo la passione gloriosa di un suo soldato. Difatti, ieri il nostro re, rivestito della nobile veste della sua carne, uscendo dalla reggia del seno verginale, si è degnato di far visita al mondo; oggi un suo soldato, lasciando la tenda del corpo, è salito da trionfatore nel cielo”. Sono queste le suggestive espressioni di un santo della Chiesa antica, san Fulgenzio (S. Fulgenzio, Sermo 3, 1), ed esse conservano intatto il loro significato perché enucleano un rapporto non soltanto di continuità liturgica tra la festa di Natale e quella del protomartire, ma anche soprattutto di intrinseco collegamento nell’ordine della santità e della grazia. Cristo, re della storia e redentore dell’uomo, si pone al centro di quell’itinerario verso la perfezione, a cui chiama l’uomo, ogni uomo.
Mentre veneriamo santo Stefano e l’invitto suo esempio di testimone di Cristo, quale egli si dimostrò con la parola animosa, con la premura nel servizio dei poveri, con la sua costanza durante il processo e, soprattutto, con la sua morte eroica, noi vediamo che la sua figura s’illumina e s’ingigantisce nella luce del suo Signore e maestro, che volle seguire nel sacrificio supremo. È il Signore Gesù che solo dà il soccorso ed il conforto necessario alle anime per esser fedeli fino alla morte.
Da ciò deriva una preziosa lezione per noi: guardando a Stefano nella prospettiva del Natale, noi dobbiamo raccogliere il suo esempio ed il suo insegnamento, i quali univocamente ci riportano a Cristo che, nato nella grotta di Betlemme, è già incamminato - nell’intenzione finalistica dell’opera redentiva - verso il colle del Calvario. Fatti da lui figli di Dio, chiamati a vivere da figli di Dio, saremo anche noi coronati come Stefano lassù, nella patria, se saremo fedeli.
[Papa Giovanni Paolo II, Angelus 26 dicembre 1980]