1. Dominus flevit (cf. Lc19, 41).
C’è un luogo a Gerusalemme, sul versante del Monte degli Ulivi, dove secondo la tradizione Cristo pianse sulla città di Gerusalemme. In quelle lacrime del Figlio dell’uomo vi è quasi una lontana eco di un altro pianto, di cui parla la prima lettura tratta dal Libro di Neemia. Dopo il ritorno dalla schiavitù babilonese, gli Israeliti si accinsero a ricostruire il tempio. Prima, però, ascoltarono le parole della Sacra Scrittura, e del sacerdote Esdra, che poi benedisse il popolo con il libro della Legge. Allora tutti scoppiarono in lacrime. Leggiamo infatti che il governatore Neemia e il sacerdote Esdra dissero ai presenti: “Questo giorno è consacrato al Signore vostro Dio; non fate lutto e non piangete! [ . . .] non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza” (Ne8, 9.10).
Ecco, quello degli israeliti era pianto di gioia per il tempio ricuperato, per la libertà riacquistata.
2. Il pianto di Cristo sul versante del Monte degli Ulivi non fu, invece, un pianto di gioia. Egli infatti esclamò: “Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una gallina raccoglie i pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! Ecco: la vostra casa vi sarà lasciata deserta” (Mt 23, 37-38).
Parole simili Gesù dirà poco più tardi sulla via del Calvario, incontrando le donne di Gerusalemme in lacrime.
Nel pianto di Gesù su Gerusalemme trova espressione il suo amore per la Città Santa, assieme al dolore per il suo futuro non lontano, che egli prevede: la Città sarà conquistata e il tempio distrutto, i giovani saranno sottoposti allo stesso suo supplizio, la morte di croce. “Allora cominceranno a dire ai monti: cadete su di noi! e ai colli: copriteci! Perché se trattano così il legno verde, che avverrà del legno secco?” (Lc 23, 30-31).
[Papa Giovanni Paolo II, omelia Siracusa 6 novembre 1994]