Teresa Girolami è laureata in Materie letterarie e Teologia. Ha pubblicato vari testi, fra cui: "Pellegrinaggio del cuore" (Ed. Piemme); "I Fiammiferi di Maria - La Madre di Dio in prosa e poesia"; "Tenerezza Scalza - Natura di donna"; co-autrice di "Dialogo e Solstizio".
Gesù distingue tra la pace che dà il mondo e quella che viene da Lui.
Egli è il Principe della Pace, tutte le cose buone che vengono dal Cielo.
Francesco d’Assisi era appunto l’uomo della pace, colui che ovunque andava l’augurava a tutti.
La Leggenda maggiore recita in merito:
"In ogni sua predica, all’esordio del discorso, salutava il popolo con l’augurio di Pace, dicendo:
«Il Signore vi dia Pace!».
Aveva imparato questa forma di saluto per rivelazione del Signore, come egli stesso più tardi affermò.
Fu così che, mosso anch’egli dallo spirito dei profeti, come i profeti annunciava la pace, predicava la salvezza e, con le sue ammonizioni salutari, riconciliava in un saldo patto di vera amicizia moltissimi, che prima, in discordia con Cristo, si trovavano lontani dalla salvezza" (FF 1052).
E ancora, nella Leggenda dei tre compagni troviamo Francesco che esorta i suoi frati ad essere persone che vivono e trasmettono Pace.
«La pace che annunziate con la bocca, abbiatela ancor più copiosa nei vostri cuori.
Non provocate nessuno all’ira o allo scandalo, ma tutti siano attirati alla pace, alla bontà, alla concordia dalla vostra mitezza […]» (FF 1469).
Francesco si nutriva di questo bene nella preghiera, ed esortava i suoi frati ad essere figli della Pace, come attesta la bella benedizione rivolta a frate Leone e scritta dal Poverello di suo pugno [come lo stesso frate Leone confermò].
«Il Signore ti benedica* e ti custodisca, mostri a te il suo volto e abbia misericordia di te.
Rivolga verso di te il suo sguardo e ti dia Pace.
Il Signore benedica te, frate Leone» (FF 262).
Anche Chiara, fra le mura di San Damiano, visse e insegnò alle sue sorelle la ricerca della Pace, pienezza di beni.
"E come la sua meravigliosa virtù venisse perfezionata nella malattia, da ciò è provato: che in ventotto anni di continua sfinitezza, non si ode una mormorazione, non un lamento, ma sempre dalla sua bocca proviene un santo conversare, sempre il ringraziamento […]" (FF 3236).
Nelle lettere scritte alle sue figlie spirituali augurava la Pace e, nel momento del suo trapasso, rivolta alla sua anima così si esprime:
«Va’ sicura - le dice - perché hai buona scorta, nel viaggio.
Va’, perché Colui che t’ha creata, ti ha santificata e sempre guardandoti come una madre suo figlio, ti ha amata con tenero amore» (FF 3252).
Francesco e Chiara restano figure di spessore riguardo il tema della Pace, cercata nel profondo del loro cuore e nella relazione con Dio; testimoniata con le opere nella fraternità e con tutte le creature.
Non per niente il Cantico di frate Sole è l’inno all’armonia e alla pace con tutto il creato, dove l’uomo nuovo, pacificato, vive ogni situazione in sintonia con il Vangelo.
"Laudato si’, mi’ Signore, per Sora nostra Madre Terra, /la quale ne sustenta et governa, /et produce diversi frutti con coloriti fiori et herba […] Laudato si’ mi’ Signore, per quelli che perdonano / per lo tuo amore […]» (FF 263).
* È la formula di benedizione che, per ordine del Signore, Mosè ed Aronne pronunciavano sui figli d’Israele. L’invocazione finale è propria di Francesco.
Martedì della 5.a sett. di Pasqua (Gv 14,27-31a)
Gesù nel Vangelo odierno sottolinea che la Trinità abita chi osserva la sua Parola.
Accenna, poi, alla venuta dello Spirito Santo, che insegnerà loro ogni cosa e sarà la "Memoria" dei discepoli.
Guardando Francesco e Chiara ci accorgiamo come lo Spirito del Signore guidò in modo capillare la loro vita e ne fu Consigliere.
La Leggenda maggiore di San Bonaventura attesta come Francesco si lasciasse condurre e ammaestrare dallo Spirito nel compilare la Regola non bollata (1221).
"Perciò, guidato dallo Spirito Santo, salì su un monte con due compagni e là, digiunando a pane ed acqua, dettò la Regola, secondo quanto gli suggeriva lo Spirito divino durante la preghiera.
Disceso dal monte, l’affidò da custodire al suo vicario. Ma siccome questi, pochi giorni dopo, gli disse che l’aveva perduta per trascuratezza, il Santo tornò di nuovo nella solitudine e subito la rifece in tutto uguale alla precedente, come se ricevesse le parole dalla bocca di Dio.
Ottenne, poi, che venisse confermata, come aveva desiderato, dal sopraddetto papa Onorio, nell’ottavo anno del suo pontificato.
Per stimolare i frati ad osservarla con fervore, diceva che lui non ci aveva messo niente di proprio, ma tutto aveva fatto scrivere così come gli era stato rivelato da Dio" (FF 1084).
Considerava lo Spirito Santo Ministro generale dell’Ordine ed era convinto che parlasse a tutti, specie ai semplici.
Nella Vita seconda del Celano leggiamo:
"Quando Francesco si faceva la tonsura, spesso ripeteva a chi gli tagliava i capelli:
«Bada di non farmi una corona troppo larga! Perché voglio che i miei frati semplici abbiamo parte nel mio capo».
Voleva appunto che l’Ordine fosse aperto allo stesso modo ai poveri e illetterati, e non soltanto ai ricchi e sapienti.
«Presso Dio - diceva - non vi è preferenza di persone e lo Spirito Santo, Ministro generale dell’Ordine, si posa egualmente sul povero ed il semplice» " (FF 779).
La sua singolare unità con lo Spirito la testimoniò in vita e in morte.
"Nell’anno ventesimo della sua conversione, chiese che lo portassero a Santa Maria della Porziuncola, per rendere a Dio lo spirito della vita là dove aveva ricevuto lo spirito della grazia.
Quando vi fu condotto, per dimostrare che, sul modello di Cristo-Verità, egli non aveva nulla in comune con il mondo, durante quella malattia così grave che pose fine al suo penare, si prostrò in fervore di spirito, tutto nudo sulla nuda terra: così, in quell’ora estrema nella quale il nemico poteva ancora scatenare la sua ira, avrebbe potuto lottare nudo con lui nudo.
Così disteso sulla terra, dopo aver deposto la veste di sacco, sollevò la faccia al cielo, secondo la sua abitudine, totalmente intento a quella gloria celeste, mentre con la mano sinistra copriva la ferita del fianco destro, che non si vedesse.
E disse ai frati:
«Io ho fatto la mia parte; la vostra, Cristo ve la insegni» (FF 1239).
E Chiara, avvinta dallo Spirito del Signore, così si esprimeva nella seconda lettera rivolta ad Agnese di Boemia:
«E non credere, e non lasciarti sedurre da nessuno che tentasse sviarti da questo proposito o metterti degli ostacoli su questa via, per impedirti di riportare all’Altissimo le tue promesse con quella perfezione alla quale ti invitò lo Spirito del Signore» (FF 2876).
«Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà tutte le cose e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14,26)
Lunedì della 5.a sett. di Pasqua (Gv 14,21-26)
Francesco aveva cara quell’espressione del Vangelo:
«Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35).
Teneva molto alla testimonianza trasparente, semplice e convincente della sua fraternità, che avrebbe così predicato il Vangelo con la vita.
Nelle Fonti, nella Leggenda dei tre compagni, leggiamo:
"Profondamente umili e maturi nella carità, ognuno nutriva per il fratello i sentimenti che si hanno verso un padre e signore.
Quelli che, per l’incarico che ricoprivano o per qualità personali, avevano nella fraternità un ruolo preminente, si facevano più umili e piccoli di tutti. E ognuno era disposto alla obbedienza più generosa, sempre disponibile al volere del superiore, senza cercare se l’ordine ricevuto fosse giusto o no, perché convinto che qualsiasi comando era conforme alle disposizioni del Signore. In tal modo, riusciva agevole e dolce eseguire qualunque precetto.
Stavano attenti a non cadere vittime di desideri sregolati. Erano giudici implacabili di se stessi, preoccupati di non nuocersi l’un l’altro in nessuna maniera" (FF 1448).
E ancora:
"I frati s’impegnavano a scacciare qualunque rancore e incompatibilità, e a conservare intatto l’amore scambievole.
Facevano il possibile per sostituire a ogni vizio la virtù corrispondente, ispirati e coadiuvati in questo dalla Grazia di Gesù Cristo" (FF 1449).
Ecco un altro passo, che descrive meravigliosamente il loro amarsi nel Signore:
"Nessuna cosa ritenevano proprietà privata, ma libri e altro erano messi a disposizione di tutti, secondo la direttiva trasmessa e osservata dagli Apostoli.
Sebbene fossero in stato di vera indigenza, erano spontaneamente generosi di tutto quello che venisse loro offerto in nome di Dio.
Donavano con gioia, per amore di Lui, le elemosine raccolte, a quanti ne facessero richiesta, massime ai poveri" (FF 1450).
Era amore vero, perché concreto.
Francesco aveva insegnato ai suoi frati che il denaro non valeva più dello sterco d’asino, custodendoli così dai pericoli.
E le Fonti informano:
"Erano felici nel Signore, sempre, non avendo dentro di sé o tra di loro nulla che potesse in qualche modo contristarli.
Quanto più erano separati dal mondo, tanto più si tenevano avvinti a Dio.
Avanzavano sulla via della croce e sui sentieri della giustizia; toglievano dal cammino stretto della penitenza e dell’osservanza evangelica ogni ostacolo, onde lasciare a quelli che li avrebbero seguiti una strada spianata e sicura" (FF 1454).
E Chiara d’Assisi, nel suo stupendo Testamento, rivolta alle sorelle, dice:
«Avendoci, dunque, Egli scelte per un compito tanto elevato, quale è questo, che in noi si possano specchiare tutte coloro che chiama ad essere esempio e specchio degli altri, siamo estremamente tenute a benedire e a lodare il Signore, ed a crescere ogni giorno più nel bene.
Perciò, se vivremo secondo la predetta forma di vita, lasceremo alle altre un nobile esempio e, attraverso una fatica di brevissima durata, ci guadagneremo il pallio della beatitudine eterna» (FF 2830).
L’amore vicendevole oltrepassava le mura, purificando e profumando di carità ogni aria inquinata, offrendo specchi luminosi di vita fraterna.
Ritenendola riflesso della gloria di Dio, premura di Francesco era la ricerca delle cose celesti da parte di tutta la fraternità.
Diceva, infatti, rivolto ai frati di tutto l’Ordine:
«La grande assemblea è il nostro Ordine, quasi un sinodo generale che si raccoglie da ogni parte del mondo sotto una sola norma di vita. In questo i sapienti traggono a loro vantaggio le qualità proprie dei semplici, perché vedono persone senza cultura cercare con ardore le cose celesti e, pur senza istruzione umana, raggiungere per mezzo dello Spirito la conoscenza delle realtà spirituali.
In questo Ordine anche i semplici traggono profitto da ciò che è proprio dei sapienti, quando vedono umiliarsi con loro allo stesso modo uomini illustri, che potrebbero vivere carichi di onori in questo mondo.
Da qui risalta la bellezza di questa beata famiglia, che per le sue molteplici qualità forma la gioia del Padre di famiglia» (FF 778).
Questa speciale consapevolezza e intuizione dei segreti divini rendeva il Santo e la Fraternità singolare immagine della Gloria di Dio, avendone ricevuto la sua libertà.
Domenica 5.a di Pasqua C (Gv 13,31-33a.34-35)
La Liturgia odierna riprende il capitolo quattordici del Vangelo di Giovanni, ricco di tematiche impegnative.
Alla domanda di Filippo:«Mostraci il Padre» (Gv 14,8-9) Gesù risponde chiedendo la fede nella profonda unità del Figlio con il Padre, e viceversa; almeno per le opere stesse che lo attestano ampiamente.
Nelle Fonti Francescane questo grido il Poverello lo traduce in vita reale, poiché non temeva come figlio di rendersi impuro frequentando le periferie culturali ed esistenziali.
Per il Povero Assisano la domanda del discepolo a Gesù trova la sua riposta più esaustiva, contemplandone la Presenza nei diseredati e scartati dalla società.
Nei dimenticati e messi ai margini, ivi il Padre era mostrato, e il Figlio con Lui.
Infatti le Fonti evidenziano tutto questo nell’esperienza scarna di Francesco.
"Poi, amante di ogni forma d’umiltà, si trasferì presso i lebbrosi, restando con loro e servendo a loro tutti con somma cura.
Lavava loro i piedi, fasciava le piaghe, toglieva dalle piaghe la marcia e le ripuliva dalla purulenza.
Baciava anche, spinto da ammirevole devozione, le loro piaghe incancrenite, lui che sarebbe ben presto diventato il Buon Samaritano del Vangelo" (FF 1045).
Il Minimo vedeva e abbracciava il Volto di Dio nell’Epifania dei lebbrosi!
Donaci Signore il tuo Santo Spirito per recuperare l’itinerario di ciascuno, nella pienezza d’essere senza confini. Amen!
«Credetemi: io nel Padre e il Padre in me. Se no, credete per le opere stesse» (Gv14,11)
Sabato 4.a sett. di Pasqua A .C (Gv 14,7-14)
Nel brano di oggi Gesù rivolgendosi ai suoi discepoli li esorta ad avere fede, a non turbarsi, poiché Lui va a preparare loro "un posto".
A Tommaso, che chiede la via, il Signore risponde dicendo che Lui è la via, la verità e la vita del Padre.
Sempre nel suo cammino, Francesco aveva esortato i suoi alla fede, a non lasciarsi prendere dal turbamento nei momenti difficili.
Ammirava ed esaltava la fede dei credenti e la solida testimonianza da qualunque parte giungesse.
Nelle Fonti ci sono vari passaggi al riguardo.
Nella Regola non bollata:
"Manteniamoci dunque fedeli alle parole, alla vita, alla dottrina e al santo Vangelo di colui che si è degnato pregare per noi il Padre suo e manifestarci il nome di Lui, dicendo:
«Padre glorifica il tuo nome […] Rendili gloriosi nella verità. La tua parola è verità […]» " (FF 62).
E Francesco ammirava la fede di donna Jacopa dei Settesogli*, nobile donna affezionata a lui e a tutta la fraternità.
Le Fonti raccontano:
"Un giorno Francesco fece chiamare i suoi compagni e disse:
«Voi sapete come donna Jacopa dei Settesogli fu ed è molto fedele e affezionata a me e alla nostra fraternità. Io credo che, se la informerete del mio stato di salute, riterrà ciò come una grazia grande e consolazione.
Fatele sapere […] che vi mandi, per confezionare una tonaca, del panno grezzo […] E insieme invii un po’ di quel dolce che era solita prepararmi quando soggiornavo a Roma».
Si tratta del dolce che i romani chiamano mostacciolo, ed è fatto con mandorle, zucchero o miele ed altri ingredienti.
Jacopa era una donna spirituale, vedova, devota a Dio, una delle più nobili e ricche signore di Roma.
Per i meriti e la predicazione di Francesco ella aveva avuto da Dio tanta grazia da sembrare quasi una seconda Maddalena, teneramente devota fino alle lacrime" (FF 1657).
I frati avevano scritto una lettera da inviare a Donna Jacopa, ma sentirono bussare alla porta ed era proprio lei, venuta in fretta per visitare Francesco.
Siccome era stato stabilito, fin dai primi tempi, che nessuna donna entrasse in clausura per salvaguardare l’onorabilità e il raccoglimento della casa religiosa, un frate disse a Francesco:
" «Padre che facciamo? Dobbiamo lasciarla entrare e accostarsi a te?».
Rispose Francesco:
«Il divieto non è applicabile a questa signora, che una tale fede e devozione ha fatto accorrere da così lontano».
Jacopa entrò dunque da Francesco e al vederlo si mise a piangere…
Donna Jacopa si rivolse loro e spiegò:
«Fratelli, mentre stavo pregando, mi fu detto in spirito:
Va’ e visita il tuo padre Francesco. Affrettati, non indugiare, poiché se tu tardi non lo troverai vivo […]» " (FF 1657- Leggenda Perugina).
Così Francesco, ormai prossimo al trapasso, ebbe la gioia della testimonianza di una grande fede da parte di questa nobile donna.
E vicino alla sua Pasqua parve quasi dire ai suoi:
«Non si turbi il vostro cuore. Credete in Dio e credete in me» (Gv 14,1).
Anche lui, dietro le orme di Cristo, andava a preparare loro ‘un posto’.
* Jacopa non dei Settesoli, ma sette “sogli”, cioè troni o seggi.
* «Iacopa de Septem soliis».
Venerdì della 4.a sett. di Pasqua (Gv 14,1-6)
«Chi riceve colui che manderò, riceve me; ma chi riceve me, riceve Colui che mi ha mandato» (Gv 13,20).
Gesù, nell’ultima Cena, dopo aver lavato i piedi ai suoi discepoli li invita a fare altrettanto, ricordando loro che un inviato non è più grande di chi lo ha mandato.
Al tempo stesso rammenta che ricevere colui che Dio manda significa ospitare il Signore stesso.
Francesco sapeva, per grazia, che accogliere è l’infinito del verbo disvelare.
Il Signore si manifesta a colui che ospita con amore l’inviato del Padre delle Misericordie.
Il Povero e i suoi figli conobbero l’accoglienza speciale del vescovo assisano, come è narrato nella Leggenda dei tre compagni:
"Arrivati a Roma, vi trovarono il vescovo di Assisi, che li ricevette con grande gioia.
Egli nutriva una stima affettuosa per Francesco e tutti i frati; ma, ignorando il motivo della loro venuta, fu preso da ansietà: temeva che volessero abbandonare Assisi, dove il Signore aveva cominciato per loro mezzo a compiere meraviglie di bene.
Egli era fiero e felice di avere nella sua diocesi uomini così zelanti, sulla cui vita esemplare faceva moltissimo conto.
Quando però seppe lo scopo del viaggio e comprese i loro progetti, ne fu rasserenato e promise di consigliarli e aiutarli" (FF 1456).
Ma c’era anche chi reagiva diversamente con i frati inviati:
"Molti li prendevano per dei ciarlatani o sempliciotti, e non volevano riceverli in casa, per paura che commettessero dei furti.
In diverse località, dopo aver ricevuto un mucchio d’ingiurie, non trovavano dove rifugiarsi, se non sotto i portici delle chiese o delle case.
Un giorno due frati giunsero a Firenze. Girarono mendicando tutta la città, senza però trovare uno che li ospitasse.
Arrivati a una casa che aveva davanti un porticato, sotto il quale c’era il forno, si dissero:
«Potremo riposarci qui».
Pregarono però la padrona di riceverli in casa, ma quella ricusò.
Allora umilmente le proposero che permettesse loro almeno di rifugiarsi quella notte vicino al forno. La donna acconsentì […]
Quella notte dormirono a disagio fino all’alba, presso il forno, scaldati dal solo amore divino e protetti dalla coperta di Madonna Povertà.
Si levarono per andare alla chiesa più vicina, per partecipare alla liturgia del mattino" (FF 1442).
Nel riconoscere colui che Cristo invia è insita la rivelazione dell’incontro autentico e personale con Gesù.
Inoltre, Francesco e i suoi avevano la chiara consapevolezza che se avessero respinto il Maestro la via del discepolo non avrebbe potuto essere dissimile.
Da qui l’accogliere tutto, dimorando nell’Amore.
Le Fonti ricordano che in ciò riposa la Perfetta Letizia, come Francesco insegnò a frate Leone:
" «Ecco, io torno da Perugia e, a notte profonda, giungo qui, ed è un inverno fangoso e così rigido che, all’estremità della tonaca, si formano dei ghiaccioli d’acqua congelata […] giungo alla porta e, dopo aver a lungo picchiato e chiamato, viene un frate e chiede:
«Chi è?».
Io rispondo:
«Frate Francesco» […]
l’altro risponde:
«Vattene, tu sei un semplice ed un idiota, qui non ci puoi venire ormai […]».
E io sempre resto davanti alla porta e dico:
«Per amor di Dio, accoglietemi per questa notte» […]
«Ebbene se io avrò avuto pazienza e non mi sarò conturbato, io ti dico che qui è la vera letizia e qui la vera virtù e la salvezza dell’anima» " (FF 278).
Giovedì della 4.a sett. di Pasqua (Gv 13,16-20)
Il brano proposto oggi dalla Liturgia evidenzia il meraviglioso discorso di Gesù ai suoi sull’Amore.
Inizia dicendo di rimanere nel suo amore; e il versetto conclusivo ribadisce quanto detto poco prima: di amarsi gli uni gli altri.
Sia Francesco che Chiara erano divorati dall’amore di Dio, tanto che nelle Fonti troviamo brani di notevole spessore in merito.
La Leggenda maggiore narra:
"Chi potrebbe descrivere degnamente il fervore di carità, che infiammava Francesco, amico dello Sposo? Poiché egli, come un carbone ardente, pareva tutto divorato dalla fiamma dell’amor divino.
Al sentir nominare l’amore del Signore, subito si sentiva stimolato, colpito, infiammato: quel nome era per lui come un plettro, che gli faceva vibrare l’intimo del cuore.
«Offrire, in compenso dell’elemosina, il prezioso patrimonio dell’amor di Dio - così egli affermava - è nobile prodigalità; e stoltissimi sono coloro che lo stimano meno del denaro, poiché soltanto il prezzo inapprezzabile dell’amor divino è capace di comprare il regno dei cieli. E molto si deve amare l’amore di Colui che molto ci ha amati» " (FF 1161).
Parimenti Chiara, nella terza lettera ad Agnese di Praga, si esprimeva così:
" «…è ormai chiaro che l’anima dell’uomo fedele, che è la più degna tra tutte le creature, è resa dalla Grazia di Dio più grande del cielo. Mentre, infatti, i cieli con tutte le altre cose create non possono contenere il Creatore, l’anima fedele invece, ed essa sola, è sua dimora e soggiorno, e ciò soltanto a motivo della carità, di cui gli empi sono privi. È la stessa Verità che lo afferma:
«Colui che mi ama, sarà amato dal Padre mio, e io pure l’amerò; noi verremo a lui e porremo in lui la nostra dimora» " (FF 2892).
E ancora, riguardo l’amore scambievole, nella Leggenda dei tre compagni:
"Occupavano la giornata nell’orazione e lavorando con le loro mani, in maniera da evitare risolutamente l’ozio, nemico dell’anima. A mezzanotte si alzavano per la preghiera, animata da gemiti e lacrime.
Si amavano l’un l’altro con un affetto profondo, e a vicenda si servivano e procuravano il necessario, come farebbe una madre col suo unico figlio teneramente amato. Tale era l’affetto che ardeva loro in cuore, che erano pronti a consegnarsi alla morte senza esitare, non solo per amore di Cristo, ma anche per salvare l’anima o il corpo dei fratelli" (FF 1446).
La fraternità delle origini di Francesco è la più alta e concreta testimonianza di cosa vuol dire rimanere nell’Amore di Dono e riversarlo nelle relazioni con i fratelli.
Fatti eloquenti richiamano all’autenticità dei rapporti, senza usare la verità a proprio tornaconto.
È chiaro, infatti, che «chi fa la verità viene verso la luce, perché siano manifeste le sue opere, poiché sono state operate in Dio» (Gv 3,21).
«Queste cose vi comando: perché vi amiate gli uni gli altri» (Gv 15,17)
San Mattia, 14 maggio (Gv 15,9-17)
Sotto al Portico di Salomone, in Gerusalemme, Gesù fa la sua denuncia ai Giudei: non siete mie pecore, perché non ascoltate la mia voce.
Francesco aveva una grande premura per le pecore del suo gregge, volendo camminare sulle orme del Signore e desiderando altrettanto per esse.
Aveva una predilezione speciale per le pecore e gli agnellini: gli richiamavano alla memoria l’Agnello Immolato per la nostra salvezza.
È commovente come questi mansueti animali lo ascoltassero, riconoscendo la sua voce di pastore vero.
Nelle Fonti troviamo brani significativi in merito. La Leggenda maggiore narra:
"A Santa Maria della Porziuncola portarono in dono all’uomo di Dio una pecora, che egli accettò con gratitudine, perché amava l’innocenza e la semplicità che, per sua natura, la pecora dimostra.
L’uomo di Dio ammoniva la pecorella a lodare Dio e a non infastidire assolutamente i frati. La pecora, a sua volta, quasi sentisse la pietà dell’uomo di Dio, metteva in pratica i suoi ammaestramenti con grande cura.
Quando sentiva i frati cantare in coro, entrava anche lei in chiesa e, senza bisogno di maestro, piegava le ginocchia, emettendo teneri belati davanti all’altare della Vergine, Madre dell’Agnello, come se fosse impaziente di salutarla.
Durante la celebrazione della Messa, al momento dell’elevazione, si curvava con le ginocchia piegate, quasi volesse, quell’animale devoto, rimproverare agli uomini poco devoti la loro irriverenza e volesse incitare i devoti alla riverenza verso il Sacramento" (FF 1148).
Francesco, pastore mite, era ascoltato e seguito da tutte le creature, che avvertivano in lui la sua unità con il Cristo, il Bel Pastore inviato dal Padre.
I suoi intimi lo ascoltavano con grande ammirazione, poiché la sua vita eloquente parlava per lui.
«Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco e mi seguono» (Gv 10,27)
Martedì della 4.a sett. di Pasqua (Gv 10,22-30)
سَلامي أُعطيكُم – My peace I give to you! (Jn 14:27). This is the true revolution brought by Christ: that of love […] You will come to know inconceivable joy and fulfilment! To answer Christ’s call to each of us: that is the secret of true peace (Pope Benedict)
سَلامي أُعطيكُم [Vi do la mia pace!]. Qui è la vera rivoluzione portata da Cristo, quella dell'amore [...] Conoscerete una gioia ed una pienezza insospettate! Rispondere alla vocazione di Cristo su di sé: qui sta il segreto della vera pace (Papa Benedetto)
Spirit, defined as "another Paraclete" (Jn 14: 16), a Greek word that is equivalent to the Latin "ad-vocatus", an advocate-defender. The first Paraclete is in fact the Incarnate Son who came to defend man (Pope Benedict)
Spirito, definito "un altro Paraclito" (Gv 14,16), termine greco che equivale al latino "ad-vocatus", avvocato difensore. Il primo Paraclito infatti è il Figlio incarnato, venuto per difendere l’uomo (Papa Benedetto)
The Lord gives his disciples a new commandment, as it were a Testament, so that they might continue his presence among them in a new way: […] If we love each other, Jesus will continue to be present in our midst, to be glorified in this world (Pope Benedict)
Quasi come Testamento ai suoi discepoli per continuare in modo nuovo la sua presenza in mezzo a loro, dà ad essi un comandamento: […] Se ci amiamo gli uni gli altri, Gesù continua ad essere presente in mezzo a noi, ad essere glorificato nel mondo (Papa Benedetto)
St Teresa of Avila wrote: “the last thing we should do is to withdraw from our greatest good and blessing, which is the most sacred humanity of Our Lord Jesus Christ” (cf. The Interior Castle, 6, ch. 7) [Pope Benedict]
Santa Teresa d’Avila scrive che «non dobbiamo allontanarci da ciò che costituisce tutto il nostro bene e il nostro rimedio, cioè dalla santissima umanità di nostro Signore Gesù Cristo» (Castello interiore, 7, 6) [Papa Benedetto]
Dear friends, the mission of the Church bears fruit because Christ is truly present among us in a quite special way in the Holy Eucharist. His is a dynamic presence which grasps us in order to make us his, to liken us to him. Christ draws us to himself, he brings us out of ourselves to make us all one with him. In this way he also inserts us into the community of brothers and sisters: communion with the Lord is always also communion with others (Pope Benedict)
Cari amici, la missione della Chiesa porta frutto perché Cristo è realmente presente tra noi, in modo del tutto particolare nella Santa Eucaristia. La sua è una presenza dinamica, che ci afferra per farci suoi, per assimilarci a Sé. Cristo ci attira a Sé, ci fa uscire da noi stessi per fare di noi tutti una cosa sola con Lui. In questo modo Egli ci inserisce anche nella comunità dei fratelli: la comunione con il Signore è sempre anche comunione con gli altri (Papa Benedetto)
Jesus asks us to abide in his love, to dwell in his love, not in our ideas, not in our own self-worship. Those who dwell in self-worship live in the mirror: always looking at themselves. He asks us to overcome the ambition to control and manage others. Not controlling, serving them (Pope Francis)
Gesù ci chiede di rimanere nel suo amore, abitare nel suo amore, non nelle nostre idee, non nel culto di noi stessi. Chi abita nel culto di sé stesso, abita nello specchio: sempre a guardarsi. Ci chiede di uscire dalla pretesa di controllare e gestire gli altri. Non controllare, servirli (Papa Francesco)
don Giuseppe Nespeca
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