Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
2. La mentalità contemporanea, forse più di quella dell'uomo del passato, sembra opporsi al Dio di misericordia e tende altresì ad emarginare dalla vita e a distogliere dal cuore umano l'idea stessa della misericordia.
15. Eleviamo le nostre suppliche, guidati dalla fede, dalla speranza, dalla carità che Cristo ha innestato nei nostri cuori. Questo atteggiamento è parimenti amore verso Dio, che l'uomo contemporaneo a volte ha molto allontanato da sé, reso estraneo a se stesso, proclamando in vari modi che gli è «superfluo». Questo è quindi amore verso Dio, la cui offesa ripulsa da parte dell'uomo contemporaneo sentiamo profondamente, pronti a gridare con Cristo in croce: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno». Questo è, al tempo stesso, amore verso gli uomini, verso tutti gli uomini senza eccezione e divisione alcuna: senza differenza di razza, di cultura, di lingua, di concezione del mondo, senza distinzione tra amici e nemici. Questo è amore verso gli uomini - e desidera ogni vero bene per ciascuno di essi e per ogni comunità umana, per ogni famiglia, ogni nazione, ogni gruppo sociale, per i giovani, gli adulti, i genitori, gli anziani, gli ammalati - verso tutti senza eccezione. Questo è amore, ossia premurosa sollecitudine per garantire a ciascuno ogni autentico bene ed allontanare e scongiurare qualsiasi male.
[Papa Giovanni Paolo II, Dives in Misericordia]
«Guardatevi dal praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro» (Mt 6,1). Gesù, nel Vangelo di oggi, rilegge le tre opere fondamentali di pietà previste dalla legge mosaica. L’elemosina, la preghiera e il digiuno caratterizzano l’ebreo osservante della legge. Nel corso del tempo, queste prescrizioni erano state intaccate dalla ruggine del formalismo esteriore, o addirittura si erano mutate in un segno di superiorità. Gesù mette in evidenza in queste tre opere di pietà una tentazione comune. Quando si compie qualcosa di buono, quasi istintivamente nasce il desiderio di essere stimati e ammirati per la buona azione, di avere cioè una soddisfazione. E questo, da una parte rinchiude in se stessi, dall’altra porta fuori da se stessi, perché si vive proiettati verso quello che gli altri pensano di noi e ammirano in noi. Nel riproporre queste prescrizioni, il Signore Gesù non chiede un rispetto formale ad una legge estranea all'uomo, imposta da un legislatore severo come fardello pesante, ma invita a riscoprire queste tre opere di pietà vivendole in modo più profondo, non per amore proprio, ma per amore di Dio, come mezzi nel cammino di conversione a Lui. Elemosina, preghiera e digiuno: è il tracciato della pedagogia divina che ci accompagna, non solo in Quaresima, verso l’incontro con il Signore Risorto; un tracciato da percorrere senza ostentazione, nella certezza che il Padre celeste sa leggere e vedere anche nel segreto del nostro cuore.
[Papa Benedetto, omelia delle Ceneri 9 marzo 2011]
Quando, di qualcuno, si dice che è una persona dalla doppia vita, non è per farle un complimento. Anzi. Sono quelle persone che irritano, fanno indignare, o che spesso anche causano disgusto con comportamenti che contraddicono le cose che, invece, sostengono a parole. Che si tratti di un politico o di un vicino di casa fa poca differenza: scoprire, per così dire, una “doppia vita”, è un qualcosa che fa sempre male. E non parliamo della disillusione che può generare, soprattutto nei giovani.
Ma se il predicare bene e il razzolare male è sempre una cosa irritante, quando a farlo è un prete la cosa è ancora più intollerabile. Perché c'è in ballo qualche cosa di più. Papa Francesco l'ha detto molto chiaramente, e come sempre con uno stile molto diretto ed efficace, qualche giorno fa. Quando, nella omelia della Messa mattutina a Santa Marta, ha sottolineato come «è brutto vedere pastori di doppia vita», anzi è una vera e propria «ferita nella Chiesa». Per il Papa sono «pastori ammalati, che hanno perso l'autorità e vanno avanti in questa doppia vita»; e, ha aggiunto, «ci sono tanti modi di portare avanti la doppia vita: ma è doppia ... E Gesù è molto forte con loro. Non solo dice alla gente di non ascoltarli ma di non fare quello che fanno, ma a loro cosa dice? “Voi siete sepolcri imbiancati”: bellissimi nella dottrina, da fuori. Ma dentro, putredine. Questa è la fine del pastore che non ha vicinanza con Dio nella preghiera e con la gente nella compassione».
Perché è questo appunto che fa la differenza. Francesco lo ribadisce con fermezza: «Quello che a un pastore dà autorità o risveglia l'autorità che è data dal Padre, è la vicinanza: vicinanza a Dio nella preghiera e la vicinanza alla gente. Il pastore staccato dalla gente non arriva alla gente con il messaggio. Vicinanza, questa doppia vicinanza. Questa è l'unzione del pastore che si commuove davanti al dono di Dio nella preghiera, e si può commuovere davanti ai peccati, al problema, alle malattie della gente: lascia commuovere il pastore. Gli scribi... avevano perso la “capacità” di commuoversi proprio perché “non erano vicini né alla gente né a Dio”". E senza questa vicinanza, o quando per qualsivoglia motivo la si perde, «il pastore finisce nell'incoerenza di vita».
Sembra di rileggere le parole che Giovanni Paolo II, nella lettera del giovedì santo indirizzata ai sacerdoti di tutto il mondo nel 1986, dedicò al Santo curato d'Ars tornando a indicarlo, nel secondo centenario della nascita, come esempio per tutti i preti. «Non si tratta certo di dimenticare – ha scritto a sua volta Benedetto XVI, sempre a proposito di San Giovanni Maria Vianney, nella lettera di indizione dell'Anno sacerdotale del 2009 – che l'efficacia sostanziale del ministero resta indipendente dalla santità del ministro; ma non si può neppure trascurare la straordinaria fruttuosità generata dall'incontro tra la santità oggettiva del ministero e quella soggettiva del ministro. Il Curato d'Ars iniziò subito quest'umile e paziente lavoro di armonizzazione tra la sua vita di ministro e la santità del ministero a lui affidato, decidendo di “abitare” perfino materialmente nella sua chiesa parrocchiale: “Appena arrivato egli scelse la chiesa a sua dimora... Entrava in chiesa prima dell'aurora e non ne usciva che dopo l'Angelus della sera. Là si doveva cercarlo quando si aveva bisogno di lui”, si legge nella prima biografia». Coerenza, dunque. Non doppiezza. Perché di tutto il popolo di Dio ha bisogno, tranne che di sepolcri imbiancati.
[Papa Francesco, s. Marta; Salvatore Mazza in Avvenire 13 gennaio 2018]
Fede e senso religioso
(Lc 11,37-41)
Le abluzioni prima del pasto (v.38) erano un obbligo religioso imposto.
Ma il banchetto eucaristico [che si legge in filigrana] non celebra distacchi, né risente d’idolatrie puriste.
Lo spirito severo, da “tintoria” - come direbbe Papa Francesco - ancora oggi dà una mano di calce bianca alla realtà del Padre.
Invero l’impurità non procede da carenze di forma (come nella religiosità di facciata), ma dal comportamento che denuncia un vuoto sostanziale.
Ciò che macchia è tutto dentro, e cova malgrado le belle petizioni di principio, o le buone maniere - le quali coprono pessime abitudini.
Insomma, è puro ciò che viene offerto; impuro quel che si trattiene (v.41).
In ottica spirituale, sono senza macchia solo colei e colui che si donano; impuri quanti pensano unicamente a se stessi in modo banale, o si rivolgono al prossimo per manipolarlo.
Così, spesso le norme esterne o le idee degli uomini non vanno sino alla radice: fossilizzano.
Non strappano né integrano dal di dentro i contenuti maligni, i desideri iniqui - i veri obbiettivi.
Non di rado le osservanze stesse creano competizione spirituale.
In tal guisa esse annientano lo spirito di carità e ospitalità - compendio della Legge - da cui quegli stessi antichi segni sono nati, nelle prime assemblee di fede.
Certo, la Giustizia ha un ruolo decisivo, ma è un impegno esistenziale.
La ‘giusta posizione’ è per la vita, non per rimettere le cose “a posto” [cose morte, o sofisticate e astratte che siano].
Per i Vangeli, non bisogna confondere Dio coi precetti o con le ideologie di futuro, se schematiche e disincarnate.
Il Signore vuole entrare nella nostra esistenza concreta - e l’eccesso di minuzie o fantasie può farci smarrire l’orientamento fondamentale della sua Chiamata, corrompendo la sensibilità ai segnali in cui si Rivela.
Il legalismo, l’abitudine, o le mode astruse e d’importazione, possono renderci incapaci di corrispondere alla Vocazione missionaria.
Essi diventano cappe che impediscono di servire le singole libertà dei malfermi.
Ci rendono impacciati nell’accompagnare le persone, affinché incrementino la loro capacità di vita e carattere.
Qui Gesù invita i farisei di ritorno nella sua Chiesa a capire la libertà di Dio e non trasformare la Fede in un credo devoto, astuto, o astratto (senza spina dorsale) qualsiasi.
Non è la supposta incontaminatezza o il “pensiero giusto” che abilita al suo cospetto e che ci fa procedere su vie sterminate.
Lo sperimentiamo, nella crisi globale.
È incontrarLo che consacra e rende adeguati, puri, realizzati, già completi.
‘Perfetti’ - per il tipo di Seme che siamo chiamati a piantare nel mondo.
Basta preoccupazioni in aggiunta, che lasciano tutti nel tarlo, nel tormento, e senza via d’uscita.
Come se anche nel Popolo dei figli fosse lecito imporre e vedere ovunque gabbie, corsie, visioni del mondo obbligate, e lucchetti.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Qual è stato il momento chiave in cui ti sei sentito perdonato e puro? Copiando qualcuno?
[Martedì 28.a sett. T.O. 15 ottobre 2024]
L’interno e la società dell’esterno
(Lc 11,37-41)
«Adesso voi farisei pulite l’esterno del bicchiere e del vassoio, ma il vostro interno è pieno di rapina e di malvagità» (Lc 11,39).
Le abluzioni prima del pasto (v.38) erano un obbligo religioso imposto.
Ma il banchetto eucaristico [che si legge in filigrana] non celebra distacchi, né risente d’idolatrie puriste.
Lo spirito severo, da “tintoria” - come direbbe Papa Francesco - ancora oggi dà una mano di calce bianca alla realtà del Padre [a quel tempo, serviva anche per tutelare lo spirito di rapina dei veterani: v.39].
Invero l’impurità non procede da carenze di forma (come nella religiosità di facciata), ma dal comportamento che denuncia un vuoto sostanziale.
Ciò che macchia è tutto dentro, e cova malgrado le belle petizioni di principio, o le buone maniere - le quali coprono pessime abitudini.
Insomma, è puro ciò che viene offerto; impuro quel che si trattiene (v.41).
In ottica spirituale, sono senza macchia solo colei e colui che si donano; impuri quanti pensano unicamente a se stessi in modo banale, o si rivolgono al prossimo per manipolarlo.
Così, spesso le norme esterne o le idee degli uomini non vanno sino alla radice: fossilizzano.
Non strappano né integrano dal di dentro i contenuti maligni, i desideri iniqui - i veri obbiettivi.
Le disposizioni prive d’intimo convincimento costruiscono al massimo persone apparentemente ineccepibili, nonché un mondo ritualista che (guarda caso) volge alla corruzione più degradante.
Lo si denota in tutti i centri di potere - anche qui - tutti ben coperti da forme teatrali fatue, e passerelle esagerate.
Insomma, per non interrompere il nostro filo di vita non possiamo più stare lì su regole studiate e ben pensate, credendo di aver risolto.
Il maquillage non coglie il Nucleo.
Infatti anche la giurisdizione impeccabile, o la ragione e l’intelligenza, non preservano dall’avvilimento, dall’umiliazione, dalla solitudine - da ciò che è autentico e continuamente affiora.
Quelle forme di contratto - così subdole o appariscenti - non ristabiliscono un sano equilibrio, né raggiungono la vita della gente normale.
Sembrava fosse pedagogia, ma non lo è: lo vediamo.
La religione comune stessa vive talora di segni esteriori - spesso quasi indecifrabili o in sé privi di significato, quando ostentano, mascherando piramidi, e ormai sempre più palesi ipocrisie.
Non di rado le osservanze stesse creano competizione spirituale.
In tal guisa esse annientano lo spirito di carità e ospitalità - compendio della Legge - da cui quegli stessi antichi segni sono nati, nelle prime assemblee di fede.
Certo, la Giustizia ha un ruolo decisivo, ma è un impegno esistenziale, non cultuale o scenografico.
La “giusta posizione” è per la vita, non per rimettere le cose a posto [cose morte, o sofisticate e astratte che siano].
Per i Vangeli, non bisogna confondere Dio coi precetti o con le ideologie di futuro, se schematiche e disincarnate.
Il Signore vuole entrare nella nostra esistenza concreta - e l’eccesso di minuzie o fantasie può farci smarrire l’orientamento fondamentale della sua Chiamata, corrompendo la sensibilità ai segnali in cui si Rivela.
Il legalismo, l’abitudine, o le mode astruse e d’importazione, possono renderci incapaci di corrispondere alla Vocazione missionaria.
Essi diventano cappe che impediscono di servire le singole libertà dei malfermi.
Ci rendono impacciati nell’accompagnare le persone, affinché incrementino la loro capacità di vita e carattere.
Perché la vittoria del Cristo è il suo Popolo?
Solo lo spirito di ospitalità dei Figli in rapporto di cura vicendevole, sensibile, in grado di percepire, crea l’ambiente vivo che consente di mettere in migliore comunicazione la nostra anima e il Mistero del Re nascosto, il grande Senso dei nostri desideri e delle Sue “intenzioni”.
Qui Gesù invita i farisei di ritorno nella sua Chiesa a capire la libertà di Dio e non trasformare la Fede in un credo devoto, astuto, o astratto (senza spina dorsale) qualsiasi.
Non è la supposta incontaminatezza o il pensiero “giusto” che abilita al suo cospetto e che ci fa procedere su vie sterminate.
Lo sperimentiamo, nella crisi globale.
È incontrarLo che consacra e rende adeguati, puri, realizzati, già completi.
“Perfetti” - per il tipo di Seme che siamo chiamati a piantare nel mondo.
Basta preoccupazioni in aggiunta, che lasciano tutti nel tarlo, nel tormento, e senza via d’uscita.
Come se anche nel Popolo dei figli fosse lecito imporre e vedere ovunque gabbie, corsie, visioni del mondo obbligate, e lucchetti.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Qual è stato il momento chiave in cui ti sei sentito perdonato e puro? Copiando qualcuno?
In un’occasione in cui hai sperimentato totale gratuità, o te lo sei meritato?
In un’occasione in cui sei stato vero con te stesso, o tutto proiettato sull’esterno?
Santità travisate: non vi è sacro e profano in sé
Tradizioni ipocrite e ordine ideale: purezza dell’avvantaggiare
(Mc 7,1-8.14-15.21-23)
Sotto la dinastia degli Erode il senso del clan e della comunità si stavano sgretolando.
Causa problemi di sopravvivenza, le famiglie erano costrette a chiudersi in se stesse, allentare i legami, pensare a proprie necessità.
Tale chiusura era rafforzata dalla religione dell’epoca sotto ogni aspetto. Ai vv.10-12 ne vediamo un esempio incredibile: chi dedicava la propria eredità al Tempio poteva lasciare i genitori privi d’aiuto!
Offesa e offerta: ingiustizia e comportamento normativo - strano legame, nell’apparente forma dall’accento esemplare.
L’osservanza delle norme di purità era fattore di ordinaria emarginazione per molte persone.
Proprio i miseri venivano considerati in specie ignoranti e maledetti, perché impossibilitati agli adempimenti; di conseguenza manchevoli a ricevere la consolante benedizione promessa ad Abramo.
Uno stillicidio quotidiano che minava il significato profondo dell’esistere assieme.
In particolare, le abluzioni erano una sorta di rito durante il quale si celebrava un’appagante divaricazione tra sacro e profano - nel distacco da persone e situazioni considerate impure.
Stando fuori dalle supposte sozzure, mai nessuno dei malfermi poteva essere risollevato.
Quindi le norme non erano fonte di pace, ma di schiavitù. Porgere una mano caritatevole sarebbe stato perfino sacrilego.
Insomma, si anteponevano inezie disumane alla stessa Legge, vanificandone lo spirito comprensivo (fraternità che avrebbe avvantaggiato l’entusiasmo di esistere).
Gesù non sopporta che il mondo chiuso della religiosità conformista venga piegato e usato per appurare l’esistenza altrui con giudizio, dividere e discriminare - annientare i rapporti.
Per questo al controllo dei farisei si oppone la libertà dei discepoli (v.2), che rifiutano di obbedire a ciò che non ha senso per la vita concreta - dove passa l’amore visibile che alimenta l’amore ideale.
Nelle culture antiche la visione religiosa e mitica del mondo portava la gente ad apprezzare qualsiasi realtà partendo dalla categoria della santità come distacco e separatezza, persino inaccessibilità.
Le leggi sulla purezza indicavano le condizioni necessarie per mettersi davanti a Dio.
All’epoca di Mc alcuni giudei convertiti ritenevano di poter abbandonare gli antichi costumi e avvicinarsi ai pagani; altri erano di opinione opposta: effettivamente, sarebbe stato come rigettare parti consistenti della Torah (es: Lv 11-16 e 17ss).
Infatti il Vangelo sottolinea che il problema è «in Casa» (v.17 testo greco: «dentro casa») ossia nella Chiesa e fra i suoi membri.
Cristo deve insistere nell’insegnamento, ora non rivolto a degli estranei, ma proprio agli habitué, incapaci - al contrario delle folle - di «comprendere» (v.14) l’abc delle cose spirituali.
Non vi è sacro e profano in sé.
Per educare i testardi ancora «privi d’intelletto» (v.18) che si ritengono maestri, il Signore non si dirige in una dimora qualsiasi - bensì nel posto dove purtroppo si coltivano aspettative lontane dal popolo (vv.14.17).
Insomma, solo Gesù in Persona libera la folla dei senza voce e smarriti dall’ossessione di tormenti e timori, dallo stare sempre sulla difensiva.
E anche se qualche dirigente accusa, impariamo a non provare sgomento per il fatto che non siamo religiosamente “riusciti” - bensì Primizia!
4. Invitandoci a considerare l’elemosina con uno sguardo più profondo, che trascenda la dimensione puramente materiale, la Scrittura ci insegna che c’è più gioia nel dare che nel ricevere (cfr At 20,35). Quando agiamo con amore esprimiamo la verità del nostro essere: siamo stati infatti creati non per noi stessi, ma per Dio e per i fratelli (cfr 2 Cor 5,15). Ogni volta che per amore di Dio condividiamo i nostri beni con il prossimo bisognoso, sperimentiamo che la pienezza di vita viene dall’amore e tutto ci ritorna come benedizione in forma di pace, di interiore soddisfazione e di gioia. Il Padre celeste ricompensa le nostre elemosine con la sua gioia. E c’è di più: san Pietro cita tra i frutti spirituali dell’elemosina il perdono dei peccati. “La carità - egli scrive - copre una moltitudine di peccati” (1 Pt 4,8). Come spesso ripete la liturgia quaresimale, Iddio offre a noi peccatori la possibilità di essere perdonati. Il fatto di condividere con i poveri ciò che possediamo ci dispone a ricevere tale dono. Penso, in questo momento, a quanti avvertono il peso del male compiuto e, proprio per questo, si sentono lontani da Dio, timorosi e quasi incapaci di ricorrere a Lui. L’elemosina, avvicinandoci agli altri, ci avvicina a Dio e può diventare strumento di autentica conversione e riconciliazione con Lui e con i fratelli.
5. L’elemosina educa alla generosità dell’amore. San Giuseppe Benedetto Cottolengo soleva raccomandare: “Non contate mai le monete che date, perché io dico sempre così: se nel fare l’elemosina la mano sinistra non ha da sapere ciò che fa la destra, anche la destra non ha da sapere ciò che fa essa medesima” (Detti e pensieri, Edilibri, n. 201). Al riguardo, è quanto mai significativo l’episodio evangelico della vedova che, nella sua miseria, getta nel tesoro del tempio “tutto quanto aveva per vivere” (Mc 12,44). La sua piccola e insignificante moneta diviene un simbolo eloquente: questa vedova dona a Dio non del suo superfluo, non tanto ciò che ha, ma quello che è. Tutta se stessa.
Questo episodio commovente si trova inserito nella descrizione dei giorni che precedono immediatamente la passione e morte di Gesù, il quale, come nota san Paolo, si è fatto povero per arricchirci della sua povertà (cfr 2 Cor 8,9); ha dato tutto se stesso per noi. La Quaresima, anche attraverso la pratica dell’elemosina ci spinge a seguire il suo esempio. Alla sua scuola possiamo imparare a fare della nostra vita un dono totale; imitandolo riusciamo a renderci disponibili, non tanto a dare qualcosa di ciò che possediamo, bensì noi stessi. L’intero Vangelo non si riassume forse nell’unico comandamento della carità? La pratica quaresimale dell’elemosina diviene pertanto un mezzo per approfondire la nostra vocazione cristiana. Quando gratuitamente offre se stesso, il cristiano testimonia che non è la ricchezza materiale a dettare le leggi dell’esistenza, ma l’amore. Ciò che dà valore all’elemosina è dunque l’amore, che ispira forme diverse di dono, secondo le possibilità e le condizioni di ciascuno.
[Papa Benedetto, Messaggio per la Quaresima 2008]
Nell’ascoltare la parola “elemosina”, la vostra sensibilità di giovani amanti della giustizia e desiderosi di un’equa distribuzione della ricchezza potrebbe sentirsi ferita e offesa. Mi sembra di poterlo intuire. D’altra parte, non crediate di essere soli nell’avvertire una simile reazione interiore; essa è in sintonia con l’innata fame e sete di giustizia che ogni uomo reca con sé. Anche i profeti dell’Antico Testamento, quando rivolgono al Popolo d’Israele l’invito alla conversione ed alla vera religione indicano la riparazione delle ingiustizie verso i deboli e gli indifesi, quale via maestra per il ripristino di un genuino rapporto con Dio (cf. Is 58,6-7). Eppure la pratica dell’elemosina viene raccomandata in tutto il testo sacro, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento: dal Pentateuco ai Libri Sapienziali, dal libro degli Atti alle Lettere Apostoliche. Ebbene, attraverso uno studio dell’evoluzione semantica della parola, sulla quale si sono formate incrostazioni meno genuine, noi dobbiamo ritrovare il significato vero dell’elemosina e soprattutto la volontà e la gioia di fare l’elemosina.
Parola greca, elemosina significa etimologicamente compassione e misericordia. Diverse circostanze e influssi di una mentalità riduttiva hanno svisato e sconsacrato in certo modo il suo primigenio significato, riducendolo talvolta a quello di un atto senza spirito e senza amore.
Ma l’elemosina, in se stessa, va intesa essenzialmente come atteggiamento dell’uomo che avverte il bisogno degli altri, che vuol partecipare agli altri il proprio bene. Chi vorrà dire che non ci sarà sempre un altro, che abbia bisogno di aiuto, anzitutto spirituale, di sostegno, di conforto, di fraternità, di amore? Il mondo è sempre troppo povero di amore.
Così definita, l’elemosina è atto di altissimo valore positivo, della cui bontà non è permesso dubitare, e che deve trovare in noi una disponibilità fondamentalmente di cuore e di spirito, senza della quale non esiste vera conversione a Dio.
Anche se non disponiamo di ricchezze e di capacità concrete per sovvenire ai bisogni del prossimo, non possiamo sentirci dispensati dall’aprire il nostro animo alle sue necessità e dall’alleviarle nella misura del possibile. Ricordatevi dell’obolo della vedova, che gettò nel tesoro del tempio solo due spiccioli, ma insieme tutto il suo grande amore: “Essa, infatti, nella sua miseria aveva dato tutto quanto aveva per vivere” (Lc 21,4).
[Papa Giovanni Paolo II, Discorso ai ragazzi 28 marzo 1979]
«Religione dell’apparire» o «strada dell’umiltà»? Nell’omelia della messa celebrata a Santa Marta martedì 11 ottobre, Papa Francesco ha indicato una scelta decisiva per la vita di ogni cristiano: anche nel «fare il bene», infatti, si può incorrere in un pericoloso fraintendimento, che è quello di mettere avanti noi stessi e non «la redenzione che Gesù ci ha dato». L’obiettivo è quello di affermare «la nostra libertà interiore» mostrandoci al mondo come realmente siamo nel nostro cuore, senza facili o furbesche operazioni di «maquillage» esteriore.
La riflessione del Pontefice è partita proprio dal concetto di libertà. Lo spunto è venuto dalla prima lettura del giorno (Galati, 5, 1-6), nella quale l’apostolo Paolo Invita a «stare saldi e non lasciarsi imporre di nuovo il giogo della schiavitù, cioè di essere liberi: liberi nella religione, liberi nell’adorazione a Dio». Ecco il primo insegnamento: «mai perdere la libertà». Ma quale libertà? «La libertà cristiana — ha spiegato il Papa — soltanto viene dalla grazia di Gesù Cristo, non dalle nostre opere, non dalle nostre cosiddette “giustizie”, ma dalla giustizia che il Signore Gesù Cristo ci ha dato e con la quale ci ha ricreato». Una giustizia, ha aggiunto, «che viene proprio dalla Croce».
Su questo argomento insiste anche il passo del Vangelo proposto dalla liturgia (Luca, 11, 37-41). Qui si legge di Gesù che rimprovera un fariseo, un dottore della legge. Lo rimprovera perché, ha ricordato il Papa, «questo fariseo invita Gesù a pranzo e Gesù non fa le abluzioni, cioè non si lava le mani»: non compie dunque quelle pratiche «che erano abitudini nella legge antica». Di fronte a certe rimostranze, il Signore afferma: «Voi farisei pulite l’esterno del bicchiere e del piatto ma il vostro interno è pieno di avidità e di cattiveria». Un concetto, ha fatto notare Francesco, che Gesù «ripete tante volte nel Vangelo» mettendo in guardia certa gente con parole chiare: «Il vostro interno è cattivo, non è giusto, non è libero. Siete schiavi perché non avete accettato la giustizia che viene da Dio». Che è poi «la giustizia che ci ha dato Gesù».
In un altro passo si legge che Gesù, dopo aver esortato alla preghiera, insegna anche come si debba fare: «Nella tua stanza, che nessuno ti veda, così soltanto il tuo Padre ti vede». L’invito, quindi è a «non pregare per apparire», per farsi vedere, come faceva quel fariseo che — narra sempre il Vangelo — davanti all’altare del tempio diceva: «Dio, grazie, Signore, perché non sono peccatore». Quelli che agivano così, ha commentato il Pontefice, erano proprio delle «facce toste» e «non avevano vergogna».
Di contro a certi atteggiamenti, c’è il suggerimento dato da Gesù stesso e che il Papa ha così sintetizzato: «Quando fate del bene e date l’elemosina non fatelo per essere ammirati. La tua mano destra non sappia cosa fa la sinistra. Fatelo di nascosto. E quando fate penitenza, digiuno, per favore guardatevi dalla malinconia, non siate malinconici perché tutto il mondo sappia che state facendo penitenza». In sostanza: quello che importa «è la libertà che ci ha dato la redenzione, che ci ha dato l’amore, che ci ha dato la ri-creazione del Padre». È una libertà interiore, che porta a fare «il bene di nascosto, senza far suonare la tromba»: infatti, «la strada della vera religione è la stessa strada di Gesù: l’umiltà, l’umiliazione». Tanto che Gesù — ha ricordato il Pontefice citando la lettera di Paolo ai Filippesi — «umiliò se stesso, svuotò se stesso». E ha aggiunto: «È l’unica strada per togliere da noi l’egoismo, la cupidigia, la superbia, la vanità, la mondanità».
Di fronte a questo modello troviamo invece l’atteggiamento di coloro che Gesù rimprovera: «gente che segue la religione del maquillage: l’apparenza, l’apparire, fare finta di sembrare, ma dentro...». Per loro, ha sottolineato il Papa, Gesù usa «un’immagine molto forte: “Voi siete sepolcri imbiancati, belli al di fuori ma dentro pieni di ossa di morti e marciume”». Al contrario, «Gesù ci chiama, ci invita a fare il bene con umiltà», perché altrimenti si cade in un fraintendimento pericoloso: «Tu puoi fare tutto il bene che vuoi, ma se non lo fai umilmente, come ci insegna Gesù, questo bene non serve, perché un bene che nasce da te stesso, dalla tua sicurezza, non dalla redenzione che Gesù ci ha dato». Una redenzione che, ha detto Francesco, arriva attraverso «la strada dell’umiltà e delle umiliazioni»: infatti «non si arriva mai all’umiltà senza le umiliazioni». Tant’è che «vediamo Gesù umiliato in croce».
Ecco allora l’esortazione che ha concluso l’omelia: «Chiediamo al Signore di non stancarci di andare su questa strada, di non stancarci di respingere questa religione dell’apparire, del sembrare, del fare finta di...». L’impegno dev’essere invece quello di procedere «silenziosamente, facendo il bene, gratuitamente come noi gratuitamente abbiamo ricevuto la nostra libertà interiore».
[Papa Francesco, s. Marta, in L’Osservatore Romano 12/10/2016]
Nulla di esteriore, quello di Dio sulla terra
(Lc 11,29-32)
La corrispondenza umana non cresce col moltiplicarsi dei segnali da capogiro. Dio non costringe i poco convinti, né surclassa con prove; così guadagna un patrimonio d’Amore.
La sua Chiesa autentica, senza strepiti né posizioni persuasive - apparentemente insignificante - è raccolta tutta in intima unità col suo Signore.
La regina del mezzogiorno cercava soluzioni accattivanti a curiosità enigmatiche, ma le poteva conoscere dentro la sua anima e nella vita.
Incarnazione: non ci sono altri segni validi che gli accadimenti e le nuove relazioni con se stessi e gli altri - le quali porgono la Persona stessa e inaudita del Risorto, senza involucri.
L’Eterno non è più la pura trascendenza dei giudei, né la vetta della sapienza del mondo antico: il Segno emozionante di Dio è la vicenda di Gesù vivo in noi.
Confidiamo in Cristo, quindi niente droghe spirituali che c’illudano di felicità.
È il senso della nuova Creazione: abbandono allo Spirito, ma tutto concreto (non di maniera) e che procede trascinando la realtà alternativa.
Egli è Segno unico, che scioglie dai molti surrogati della religione delle paure, delle pastoie, dei ruoli consolidati che vorrebbero imprigionarlo in un “alleato” facitore di miracoli seducenti; immediatamente risolutivi.
Alcuni membri di comunità sembrava volessero inquadrare il Messia nello schema delle normali attese sacrali e scenografiche.
Già se la intendevano e si mostravano stufi...
In questi “veterani” di Lc non c’era cifra alcuna di conversione all’idea del Figlio di Dio come Servitore, fiducioso nei sogni senza prestigio.
In loro? Nessuna traccia d’idea nuova - né cambio di passo che segnasse tramonto della società plateale, disumanizzante, cui erano abituati.
C’è sempre chi rimane legato a una ideologia di potere. Quindi non vuole aprire gli occhi se non per farsi catturare i sensi in modo banale.
A costoro il Signore non riserva mai conferme impressionanti - che sarebbero la paradossale convalida dei convincimenti antichi.
Unico ‘segnale’ è la sua Chiesa vivente e lo stesso Risorto che pulsa in tutti coloro che lo prendono sul serio; ad es. nei recuperi, risanamenti e rivalutazioni impossibili.
Ma nessun fulmine a scorciatoia.
Guidati dall’Amico invisibile, saremo una sola umanità inventiva ‘nel Maestro’.
La nostra testimonianza libera e vivificante rialimenterà una esperienza di Fede rigeneratrice, singolarmente incisiva.
Assai più dei miracoli, gli appelli della nostra essenza e della realtà faranno riconoscere il richiamo e l’agire di Dio negli uomini e nella trama della storia.
Il Padre vuole che i suoi figli producano ben altri sbalordimenti e prodigi di bontà divino-umana che visioni e sentimentalismi, o magie.
Unico «segno» di salvezza è Cristo in noi, senza cuciture isteriche; immagine e somiglianza dell’umanità nuova.
Per l’autentica ‘conversione’: potenza nativa - e nulla di esteriore.
[Lunedì 28.a sett. T.O. 14 ottobre 2024]
Jesus has forever interrupted the succession of ferocious empires. He turned the values upside down. And he proposes the singular work - truly priestly - of the journey of Faith: the invitation to question oneself. At the end of his earthly life, the Lord is Silent, because he waits for everyone to pronounce, and choose
Gesù ha interrotto per sempre il susseguirsi degli imperi feroci. Ha capovolto i valori. E propone l’opera singolare - davvero sacerdotale - del cammino di Fede: l’invito a interrogarsi. Al termine della sua vicenda terrena il Signore è Silenzioso, perché attende che ciascuno si pronunci, e scelga
The Sadducees, addressing Jesus for a purely theoretical "case", at the same time attack the Pharisees' primitive conception of life after the resurrection of the bodies; they in fact insinuate that faith in the resurrection of the bodies leads to admitting polyandry, contrary to the law of God (Pope John Paul II)
I Sadducei, rivolgendosi a Gesù per un "caso" puramente teorico, attaccano al tempo stesso la primitiva concezione dei Farisei sulla vita dopo la risurrezione dei corpi; insinuano infatti che la fede nella risurrezione dei corpi conduce ad ammettere la poliandria, contrastante con la legge di Dio (Papa Giovanni Paolo II)
Are we disposed to let ourselves be ceaselessly purified by the Lord, letting Him expel from us and the Church all that is contrary to Him? (Pope Benedict)
Siamo disposti a lasciarci sempre di nuovo purificare dal Signore, permettendoGli di cacciare da noi e dalla Chiesa tutto ciò che Gli è contrario? (Papa Benedetto)
Jesus makes memory and remembers the whole history of the people, of his people. And he recalls the rejection of his people to the love of the Father (Pope Francis)
Gesù fa memoria e ricorda tutta la storia del popolo, del suo popolo. E ricorda il rifiuto del suo popolo all’amore del Padre (Papa Francesco)
Today, as yesterday, the Church needs you and turns to you. The Church tells you with our voice: don’t let such a fruitful alliance break! Do not refuse to put your talents at the service of divine truth! Do not close your spirit to the breath of the Holy Spirit! (Pope Paul VI)
Oggi come ieri la Chiesa ha bisogno di voi e si rivolge a voi. Essa vi dice con la nostra voce: non lasciate che si rompa un’alleanza tanto feconda! Non rifiutate di mettere il vostro talento al servizio della verità divina! Non chiudete il vostro spirito al soffio dello Spirito Santo! (Papa Paolo VI)
Sometimes we try to correct or convert a sinner by scolding him, by pointing out his mistakes and wrongful behaviour. Jesus’ attitude toward Zacchaeus shows us another way: that of showing those who err their value, the value that God continues to see in spite of everything (Pope Francis)
A volte noi cerchiamo di correggere o convertire un peccatore rimproverandolo, rinfacciandogli i suoi sbagli e il suo comportamento ingiusto. L’atteggiamento di Gesù con Zaccheo ci indica un’altra strada: quella di mostrare a chi sbaglia il suo valore, quel valore che continua a vedere malgrado tutto (Papa Francesco)
Deus dilexit mundum! God observes the depths of the human heart, which, even under the surface of sin and disorder, still possesses a wonderful richness of love; Jesus with his gaze draws it out, makes it overflow from the oppressed soul. To Jesus, therefore, nothing escapes of what is in men, of their total reality, in which good and evil are (Pope Paul VI)
don Giuseppe Nespeca
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