Argentino Quintavalle

Argentino Quintavalle

Argentino Quintavalle è studioso biblico ed esperto in Protestantesimo e Giudaismo. Autore del libro “Apocalisse - commento esegetico” (disponibile su Amazon) e specializzato in catechesi per protestanti che desiderano tornare nella Chiesa Cattolica.

(Gv 6,1-15)

Giovanni 6:3 Gesù salì sulla montagna e là si pose a sedere con i suoi discepoli.

Giovanni 6:4 Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei.

Giovanni 6:5 Alzati quindi gli occhi, Gesù vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?».

Giovanni 6:6 Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva bene quello che stava per fare.

Giovanni 6:7 Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo».

Giovanni 6:8 Gli disse allora uno dei discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro:

Giovanni 6:9 «C'è qui un ragazzo che ha cinque pani d'orzo e due pesci; ma che cos'è questo per tanta gente?».

Giovanni 6:10 Rispose Gesù: «Fateli sedere». C'era molta erba in quel luogo. Si sedettero dunque ed erano circa cinquemila uomini.

Giovanni 6:11 Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li distribuì a quelli che si erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, finché ne vollero.

Giovanni 6:12 E quando furono saziati, disse ai discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto».

 

“Gesù salì sulla montagna”. Il monte nell'antichità era considerato la dimora della divinità e della manifestazione della sua gloria. Gesù quindi che “salì” sul monte indica il suo essere salito alla gloria divina. Ma il Gesù salito sul monte viene colto in una posizione particolare: “e là si pose a sedere con i suoi discepoli”. Il sedersi con i discepoli indica l'atteggiamento proprio del maestro che impartisce i suoi insegnamenti. Questa scena richiama da vicino anche un'altra scena, quella del monte Sinai dove Yahweh dimorava nella sua terrificante e gloriosa presenza, impartendo a Mosè e al popolo i suoi insegnamenti (Es 19,16-21). Il v. 3 presenta quindi un Gesù glorificato che dal monte della sua gloria ammaestra i suoi discepoli.

Il v. 4 introduce il miracolo dei pani e dei pesci incorniciandolo all'interno della Pasqua, che funge da chiave di lettura non solo di questo miracolo, ma anche dell'intero cap. 6. All'interno di questa cornice viene riletta e reinterpretata l'antica esperienza pasquale di Israele, che qui diviene figura di una nuova pasqua. Ma quando si parla di feste, Giovanni non fa mai mancare la sua nota polemica squalificante: la pasqua è definita con l'appellativo “la festa dei Giudei”, espressione questa che ricorre ogniqualvolta compare una festa al cui interno è posta l'attività di Gesù, sottolineando l'estraneità dell'antico culto, dal quale si doveva definitivamente staccare quello nuovo cristiano. Il tono qui non è soltanto di distacco, ma nel contempo anche squalificante. Il nome “Giudei”, infatti, nel Vangelo di Giovanni acquista sempre una connotazione fortemente negativa, divenendo sinonimo di chiusura e di incredulità.

Il v. 5 è scandito in due parti: nella prima Gesù, alzati gli occhi, vede venire verso di sé una grande folla; nella seconda pone una domanda a Filippo. Gesù è attratto dalla folla che “veniva da lui”; ma il suo è un vedere perplesso, che esprime dei dubbi. Infatti, il verbo greco usato per indicare il vedere di Gesù è “theasámenos, che esprime un vedere che riflette e si interroga, un vedere dubbioso. Questa incertezza di Gesù troverà la sua conferma nei vv. 14-15, dove la folla comprenderà Gesù come il profeta messianico venuto a risollevare le sorti di Israele - e pertanto vogliono farlo re. Un interesse del tutto estraneo a ciò che Gesù intendeva significare con quel miracolo. Già quindi fin dall'inizio Giovanni indica come il miracolo dei pani si muove all'interno di una cornice di diffidenza (quella di Gesù), e di interpretazione distorta (quella della folla).

La scena, quasi all'improvviso, cambia completamente; l'attenzione di Gesù passa dalla folla ai discepoli: “disse a Filippo: Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?”. La questione che qui viene posta è fondamentale: “DOVE possiamo comprare il pane PERCHé costoro abbiano da mangiare?”; si pone infatti l'interrogativo sull'origine del pane, il cui fine è nutrire le folle. Il v. 5 quindi introduce il lettore nel dramma che si sta rappresentando: tra diffidenze, dubbi, incertezze si colloca il grande mistero dell'origine divina di un pane destinato a nutrire le folle di uomini.

Il v. 7 riporta la risposta scontata di Filippo: “Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo”. Si tratta di una risposta logica, indotta da quel “Dove possiamo comprare il pane” di Gesù. È lui dunque che ha suggerito la risposta a Filippo, lui lo ha indotto in qualche modo in errore, indicandogli la strada commerciale, quella del denaro come soluzione del problema. Ma chi legge sa, perché informato dal v. 6, che si tratta di una prova a cui Gesù sottopone i suoi discepoli. Duecento denari non bastano. Si tratta dunque di un pane che non può essere acquistato.

I vv. 8-9 allargano il giro delle proposte risolutive all'interrogativo di Gesù, e accanto a Filippo  interviene Andrea. Questi se ne esce con la proposta dei cinque pani d'orzo e di due pesci. Già si comprende che questa idea non è una soluzione. Da soli essi sono insufficienti a dare un'adeguata risposta alla moltitudine delle folle.

I vv. 10-11, costituiscono il cuore del racconto. I due versetti presentano due scene, l'una (v. 10) preparatoria dell'altra (v. 11) che nel loro insieme creano il contesto di un banchetto conviviale. Gesù dà il comando ai discepoli di far coricare gli uomini; il comando porta in se stesso una sorta di implicita missione: quella di far sedere gli uomini attorno al banchetto del pane della vita. Gesù dunque affida in qualche modo ai discepoli il mistero di questo banchetto, attorno al quale si siede una numerosa folla, indicata in numero di cinquemila uomini, facendo risaltare la sproporzione enorme e incolmabile con i cinque pani. Il pane dell'uomo dunque non è in grado di sfamare le folle che Gesù ha affidato ai suoi.

Ma è significativo come tra il comando di far sedere la folla e il suo sedersi, Giovanni sottolinea che “c'era molta erba in quel luogo”. Legare il comando di Gesù ad un luogo erboso, richiama da vicino il Sal 22,1-2: “Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla; sui pascoli erbosi mi fa riposare...”. Il richiamo all'erba allude dunque a Gesù quale pastore della nuova comunità credente, che fa sedere in pascoli erbosi. La “molta erba” è un riferimento all'abbondanza propria dei tempi messianici.

Il v. 11 è caratterizzato da tre movimenti di Gesù: “prese i pani”, “rese grazie”, “li distribuì”; tre movimenti che ritroviamo in tutti i racconti sinottici dell'ultima cena.

Il v. 12 si apre rimarcando il tema dell'abbondanza: “E quando furono saziati, disse ai discepoli”. Gesù, prima di rivolgersi ai suoi discepoli, attende che tutti si siano saziati. Egli infatti è venuto perché tutti abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza. Ma una volta che questa sua missione si è compiuta, si rende necessario che altri ne colgano l'eredità: “Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto”. Molto denso il significato del verbo greco “synagágete” (raccogliete). Esso significa raccogliere, ma anche radunare, mettere insieme, convocare. Tutti significati che attengono alla missione propria della Chiesa nascente, che consiste nel radunare le genti intorno all'unica Parola, convocandole all'unica mensa del vero Pane disceso dal cielo. Compito quindi dei discepoli è quello di raccogliere “i pezzi avanzati”. Non si tratta di raccogliere gli avanzi del cibo, ma di ricevere e di accogliere l'eredità lasciata da Gesù: la sovrabbondanza della sua vita divina, che si è fatta Pane per le genti, e che ora lascia in eredità ai suoi perché continuino ad offrire questo dono alle genti. Una missione quindi finalizzata alle genti, ma che è sottesa da un unico scopo: “perché nulla vada perduto”.

 

 

 

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Questo non è un lavoro fatto per antipatia verso il protestantesimo, o per rancori verso gli evangelici, ma per difendere la vera fede, senza aspirazioni belliche. Ho passato molto tempo della mia vita nel mondo protestante, e in tarda età ho scoperto che non conoscevo affatto quella Chiesa cattolica che criticavo, ed è questa ignoranza che porta molti cattolici a lasciarsi convincere o influenzare dai protestanti.  

Questi sono divisi in una miriade di denominazioni, alcune delle quali non  gradiscono essere chiamate "protestanti", ma vorrebbero essere indicate solamente come "cristiane". Sappiamo anche che per i protestanti, i cattolici non sono cristiani, ma idolatri e pagani; ne consegue che gli evangelici nel loro voler essere chiamati solamente "cristiani" aspirano all'implicito riconoscimento di essere i soli "veri cristiani".

Il problema è che solo pochissimi protestanti conosco la storia della Chiesa; moltissimi accusano solo per sentito dire, ma non hanno mai aperto un libro riguardante la storia cristiana nei secoli. È sufficiente quello che dice il pastore di turno, qualche opuscolo, e internet per formare la loro "cultura" anti-cattolica.

Moltissimi protestanti e/o evangelici, piuttosto che vergognarsi per la propria ignoranza sul cristianesimo, ne vanno fieri, dicendo la classica frase "a me interessa solo la Bibbia", frase che è già tutto un programma. L'ignoranza storico-biblica delle persone è fondamentale per poterle pilotare. Un protestante serio che si mettesse a studiare la storia del cristianesimo, avrebbe buone probabilità di smettere di essere protestante. 

In tutto il protestantesimo vige una fede fai da te! Lo Spirito Santo ci guida a capire bene la Bibbia, è vero, ma nel mondo protestante si usa questo pretesto per coprire una presunzione senza freni e per certi versi arrogante, che porta ogni pastore a diventare una sorta di "papa" infallibile nel dare insegnamenti alle persone.

Presunzione e arroganza non si vedono subito - nessuno mostra questi difetti tanto facilmente. Sembrano tutti timorati di Dio, osservanti della Parola e pieni d'amore per il prossimo. Peccato che il loro prossimo nella maggior parte dei casi è chi ascolta passivamente e non contrasta i loro insegnamenti biblici. Chi si permette di dissentire, allora non viene più amato, spesso non viene più salutato, e alcune volte diffamato. 

Per lungo tempo, grazie a Lutero, il papa è stato considerato l'anticristo, quindi odiato e accusato, e così tutti i vescovi e i preti cattolici. In questo clima rientrano anche i singoli cattolici osservanti. 

I protestanti criticano l'infallibilità papale, ma di fatto si comportano come infallibili; ognuno nella propria comunità, liberi di inventarsi quello che vogliono, tirando la giacca allo Spirito Santo, a garanzia delle loro dottrine! Il risultato? Una miriade di denominazioni con dottrine che spesso si contrastano pesantemente tra loro.  

Il problema sta nella grande ignoranza mista a presunzione, che moltissimi protestanti e/o evangelici hanno. I cattolici sono meno ignoranti? No, la maggior parte dei cattolici, purtroppo, è assai ignorante in materia biblica, ma almeno essi non si mettono a fare i maestri verso chiunque gli capiti a tiro. Il cattolico medio è cosciente della propria ignoranza, il protestante medio invece è assai presuntuoso in campo biblico.

Un protestante che amasse veramente, come dice, la verità, andrebbe a verificare di persona cosa scrivevano e come vivevano i primi cristiani, nostri antenati nella fede, per capire se e come la Chiesa cattolica sbaglia, oppure dove sbagliano i protestanti a interpretare la Bibbia.    

Per logica, piuttosto che fidarsi di un pastore che spiega la Bibbia a 2000 anni di distanza, sarebbe meglio fidarsi dei primi padri, che appresero direttamente dalla voce degli apostoli l'insegnamento cristiano. Purtroppo molti protestanti non fanno uso della logica, ma solo di ideologie anti-cattoliche, coltivando un'antipatia viscerale verso tutto ciò che è cattolico, perché scartano a priori le prove di come vivevano i primissimi cristiani, vissuti dopo gli apostoli ma prima di Costantino.  

La fede cristiana è una, perché lo Spirito di Dio è uno! Quindi molti sbagliano strada, e abbiamo il dovere di capire chi è in quella giusta e chi in quella sbagliata. L'unità è la coesione degli elementi, delle parti che compongono un ente (per esempio, la coesione tra le parti di un'automobile come la carrozzeria, le ruote, il motore, ecc.) come già diceva Plotino; se viene meno l'unità viene meno anche quell'ente e ne possono risultare altri, ma non più quello di prima [se viene meno la coesione della carrozzeria, ruote e motore, non c’è più l'ente auto, bensì gli enti carrozzeria, ruote, motore]. Ecco, il protestantesimo somiglia tanto al mucchio di lamiere che una volta era una macchina. Si critica tanto la Chiesa cattolica, ma quanti sanno, per esempio, che Bultmann, celebre teologo ed esegeta protestante luterano, ridusse la risurrezione a un simbolo teologico? Non riteneva infatti possibile che fisicamente Gesù fosse risorto. Per confrontare le diverse interpretazioni bibliche bisogna avere il più possibile la mente sgombra da ideologie e preconcetti. Bisogna essere aperti a qualsiasi ipotesi se correttamente motivata e dimostrata. Se ci basiamo su pregiudizi ideologici che ci legano alle nostre convinzioni dottrinali, possiamo fare a meno di leggere o ascoltare qualsiasi testo o persona; tanto è inutile. Il nostro orgoglio ci impedirà di apprendere verità diverse dalla "nostra". Spesso difendiamo il nostro errore biblico con un guscio impenetrabile, ci teniamo la nostra verità, rifiutando qualsiasi altra, che sbatte sul guscio e scivola via. Appena si tocca il piano religioso/spirituale, stranamente è come se molti staccassero l'interruttore dalla propria mente, o almeno ad una parte di essa. Quando i protestanti dialogano con un cattolico, per esempio, non ricevono alcuna informazione, solo suoni che scivolano sui loro timpani, ma non arrivano al cervello. Non ascoltano.   

La storia del cristianesimo per loro non conta nulla, non riveste alcuna importanza, se non nelle vicende da rinfacciare - vedi crociate, inquisizioni ecc. - senza conoscere la vera storia di questi fatti, e senza sapere che anche i protestanti hanno avuto le loro guerre, e hanno pure fatto le loro inquisizioni, assai più sanguinose di quelle cattoliche.

Dicono di essere guidati dallo Spirito Santo, ma stranamente ci sono molti gruppi che ricevono informazioni diverse e contraddittorie dal medesimo Spirito Santo, perdendo inesorabilmente di credibilità. 

Mi rendo conto che la Chiesa cattolica ha trascurato il problema del proselitismo protestante. Gli evangelici hanno riscosso successo non perché hanno ragione, ma semplicemente perché trovano il popolo cattolico molto ignorante in  materia biblica, incapace di difendere in maniera opportuna la propria fede, rifugiandosi dietro al classico "non ho tempo da perdere"; magari poi perdono pure la fede… il tempo però non si tocca.   

Molti cattolici dicono di aver fede in Gesù Cristo, ma questa loro fede si vede solo nei momenti di bisogno: quando tutto scorre liscio Gesù viene dimenticato, e la Bibbia non interessa a nessuno leggerla. In contesti come questi gli evangelici trovano un popolo che deve veramente essere evangelizzato, da loro. Molti cattolici non oppongono resistenza a questo proselitismo perché non hanno risposte bibliche da dare, ma solo ignoranza da nascondere. In terreni simili la conquista protestante è facile, ed è come se affrontassero un esercito disarmato.   

Ma chi studia la Bibbia e si impegna ad approfondire il significato della parola di Dio, si rende conto che in realtà i protestanti non sono affatto quei maestri biblici che sembrano, ma sono dei profondi ignoranti storici e biblici, plagiati dalla loro setta di appartenenza. Chiamandoli ignoranti non voglio offenderli, perché altrimenti li chiamerei "falsi e bugiardi". Chiamandoli ignoranti gli riconosco la buona fede, credono in alcune dottrine sbagliate, non accorgendosi di sbagliare.  

Il punto è che lo Spirito Santo non può contraddire se stesso, e quindi certamente le interpretazioni contrastanti delle diverse denominazioni non possono essere tutte vere, né tutte ispirate. È evidente che non è possibile che lo stesso Spirito suggerisca a ciascuno dottrine diverse. In questo modo si creano dei compartimenti stagni, ogni gruppo protestante crede di essere nella verità più degli altri, isolandosi e predicando un vangelo personalizzato. Per esempio, secondo gli Avventisti tutte le altre chiese cristiane hanno abolito il comandamento del sabato, celebrando il culto alla domenica, e quindi tranne loro tutti sono destinati all'inferno se non aboliscono la domenica come giorno del Signore. Ovviamente essi motivano queste loro accuse con alcuni versetti biblici, interpretandoli a modo proprio. Ecco, è questo il punto che sfugge a tutti i protestanti, classici e moderni: la Bibbia non può essere interpretata soggettivamente, perché la Verità non è affatto soggettiva.

Ma essendo divisi in compartimenti stagni, non comunicanti gli uni con gli altri, è difficile che qualcuno di loro si accorga delle differenze dottrinali con gli altri protestanti. Se qualcuno se ne accorge, fa finta di niente, o non  gli dà il giusto peso, tanto, basta credere in Gesù come nostro personale salvatore. Le loro attenzioni vengono rivolte solo verso la Chiesa cattolica, il nemico da sconfiggere! È fin troppo comodo affermare orgogliosamente che "Io capisco quello che c'è scritto nella Bibbia perché lo Spirito Santo mi guida. Dio ha nascosto la verità ai sapienti e l'ha rivelata agli umili". Ecco, ogni buon protestante usa frasi del genere per rifiutare l'autorità interpretativa dei padri e dei dottori della Chiesa.  

In questo contesto si assiste a scene nelle quali qualsiasi protestante, di qualsiasi grado di cultura, schernisce gli scritti di Ireneo, Agostino, Tommaso d'Aquino, e lo fa in maniera disinvolta, perché nell'interpretare la Bibbia si sente tanto umile da essere guidato direttamente da Dio, ma allo stesso tempo è abbastanza cieco da non accorgersi che troppi "umili" protestanti professano poi dottrine assai diverse tra loro. Disprezzano il cattolico ma eleggono un "fai-da-te" che inorgoglisce e dice: "Non ho bisogno di leggere gli scritti dei padri della Chiesa, mi basta la sola Bibbia", quindi i maestri di cui parla l'apostolo Paolo non servirebbero a nulla: "È lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri" (Ef 4,11). 

Basterebbe leggere la storia delle eresie che hanno colpito il cristianesimo lungo i secoli, per rendersi conto che gli eretici basavano e basano sempre le loro tesi sulla Bibbia, spiegandola a modo loro. Difficilmente le persone andranno a spulciare intrecciate questioni dottrinali e teologiche. È più facile trovare un prete che abbia commesso qualche errore umano e sceglierlo come bersaglio, al fine di avvalorare le tesi anticattoliche e considerare la Chiesa cattolica nemica del cristianesimo e della verità, alleata con satana per sviare le anime e portarle all'inferno. Nemmeno l'arcangelo Michele ostentava una tale sicurezza nel bollare o  giudicare il diavolo, eppure si trattava del diavolo (Gd 1,9):  

 

L'arcangelo Michele quando, in contesa con il diavolo, disputava per il corpo di Mosè, non osò accusarlo con parole offensive, ma disse: Ti condanni il Signore!

 

La verità è che l'accusatore per eccellenza è proprio Satana, i santi non accusano nessuno, non per rispetto, ma perché si rimettono al giudizio di Dio. Per un protestante invece è normale dire che i cattolici vanno all'inferno perché sono idolatri. Si ergono a giudici, credendo di conoscere i cuori, e fraintendono il concetto di adorazione. Qualsiasi cristiano si dovrebbe porre delle domande, a verifica di ciò in cui crede, e dovrebbe saper discernere se le proprie convinzioni in materia di fede sono solo frutto di autosuggestione, fantasie indotte, oppure se trovano conferma nella storia del cristianesimo e nella Bibbia.   

 

Argentino Quintavalle

 

 

 autore dei libri 

 

- Apocalisse commento esegetico 

- L'Apostolo Paolo e i giudaizzanti – Legge o Vangelo?

  • Gesù Cristo vero Dio e vero Uomo nel mistero trinitario
  • Il discorso profetico di Gesù (Matteo 24-25)
  • Tutte le generazioni mi chiameranno beata
  • Cattolici e Protestanti a confronto – In difesa della fede

 

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Sal 22 (23)

 

Salmi 22:1 Salmo. Di Davide.

Il Signore è il mio pastore:

non manco di nulla;

 

Il Salmo 23 è un salmo di ringraziamento (Todah in ebraico). Ma il ringraziamento è solo parte di qualcosa di più grande: la lode, e la lode consiste nel riconoscere Dio come la fonte di ogni bene che possiamo avere nella vita.

Viviamo in un mondo in cui la maggior parte delle persone hanno paure e ansie. Molti hanno paura del futuro e sono in ansia per quello che deve accadere. Ma si può aver paura anche del passato ed essere preoccupati per quello che è successo. Si può aver paura anche del presente, quando l'ansia non ci permette più di immaginare come poter far fronte alle difficili circostanze della vita. Quanti, ogni giorno, si svegliano con dei pesi enormi da portare e devono fare i conti con la propria ansia?

La questione allora è: "Come devo reagire alle ansie della mia vita?". La Scrittura ci dà una risposta, e ce la dà attraverso un salmo di Davide, il salmo 22(23). Ci dice che dobbiamo confidare in Dio perché è buono, è un Pastore fedele e dobbiamo gioire nella sua grazia. Se reagiamo come ha fatto Davide, Dio ci convincerà che è Lui che guida la nostra vita, è Lui che ha il controllo di tutte le circostanze. È solo questo che ci porterà ad avere la pace.

Ma è così bello questo salmo, che c'è il pericolo di rovinarlo commentandolo. Davide era un uomo come noi. Tante volte si è afflitto nella sua vita, e una delle tante afflizioni è quando Saul cercava di ucciderlo. Davide compose questo salmo proprio mentre fuggiva dal re Saul, e quindi è stato scritto innanzitutto in riferimento a se stesso. Davide vinse la sua preoccupazione confidando in Dio, e il salmo diventa un modello da seguire nella vita, per rispondere alle difficoltà e alle preoccupazioni che incontriamo nel nostro cammino.

Il salmo ha solo 6 versi, e si divide in due parti. I primi quattro versi si concentrano su Dio come pastore fedele e buono del suo popolo. Ci chiama a fidarci di Lui. La seconda parte - gli ultimi due versi – ci descrive Dio come un padrone di casa che prepara un banchetto per gli ospiti, e che ha per conseguenza la nostra gioia. Così il salmo ricorre a due immagini molto semplici per esprimere la fiducia del credente nel suo Dio: l’immagine del pastore con il suo gregge, e l’immagine della mensa. Il Signore è presentato come pastore che guida il suo gregge, ed è presentato come colui che ospita alla sua tavola il credente.

Nella tradizione ebraica si usa recitare questo salmo prima della benedizione del pasto, in particolare nel terzo pasto dello shabbat. Il cabalista Isaac Luria spiegò il collegamento tra il salmo 22 e il pasto dicendo che il salmo contiene 57 parole, che è il valore numerico della parola ebraica "hazanah" (alimentazione). Si usa recitarlo anche nei funerali.

Il salmo si apre con l’immagine famosissima: “Il Signore è il mio pastore”, che in realtà potremmo tradurre anche in un altro modo perché qui non abbiamo un sostantivo ma un participio, potremmo tradurre: Il Signore è il mio pascente, cioè colui che mi pasce. Qui dobbiamo liberare la testa da tante sovrastrutture, e fare lo sforzo di riappropriarci di un’immagine che non ci è così vicina, così immediata, soprattutto a chi è sempre vissuto in città.

Per Israele era un’immagine molto consueta. Israele era un popolo con molti pastori, Davide era un pastore, e non a caso la prima volta che compare nella Bibbia è quando torna a casa dai campi dove era andato a pascolare il gregge. È un’immagine che nella Bibbia compare tantissime volte, in particolare per descrivere Dio come pastore e il popolo come gregge.

Dobbiamo purificare la nostra mente anche da un’altra cosa, e cioè dall’idea di gregge come degli esseri tutti uguali e uniformati. Il gregge va inteso come persone di cui Dio si prende cura. Dio è come un pastore che provvede e si prende cura di noi. Senza la sua benevolenza saremmo deboli e indifesi come pecore.

L’originalità di questo salmo è che ci si riferisce a Dio al singolare. Generalmente si definisce Dio come “nostro” pastore, qui invece si dice il “mio” pastore. E siccome il Signore è il mio pastore – e non un altro – “non manco di nulla”: Siccome Dio è il mio pastore, dice Davide, allora nulla mi mancherà nella strada che sto percorrendo. Come le pecore non sono ansiose poiché il pastore provvede alle loro esigenze, così noi esprimiamo la nostra consapevolezza che Dio non ci negherà nulla di quanto ci occorre.

In ebraico questo primo versetto è composto da sole quattro parole: «Yhwh  rō‘î  lō’  ’eḥsār». È di una brevità eccezionale, minimalista, che contrasta con il concetto che esprime: non manco di nulla.

Ma chi di noi può dire “non manco di nulla”? È un’utopia. Una cosa almeno ci manca sempre. Al giovane ricco che chiede cosa fare per avere la vita eterna, Gesù dice: una cosa ti manca. Nel giardino dell’Eden Dio dice all’uomo che può mangiare di tutti gli alberi ma di uno no. C’è sempre nella nostra vita qualcosa che manca. Eppure il credente può dire a Dio, nello slancio del suo amore: non manco di nulla! È l’espressione tipica dell’innamorato, colmo di amore!   

 

 

 

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Questo non è un lavoro fatto per antipatia verso il protestantesimo, o per rancori verso gli evangelici, ma per difendere la vera fede, senza aspirazioni belliche. Ho passato molto tempo della mia vita nel mondo protestante, e in tarda età ho scoperto che non conoscevo affatto quella Chiesa cattolica che criticavo, ed è questa ignoranza che porta molti cattolici a lasciarsi convincere o influenzare dai protestanti.  

Questi sono divisi in una miriade di denominazioni, alcune delle quali non  gradiscono essere chiamate "protestanti", ma vorrebbero essere indicate solamente come "cristiane". Sappiamo anche che per i protestanti, i cattolici non sono cristiani, ma idolatri e pagani; ne consegue che gli evangelici nel loro voler essere chiamati solamente "cristiani" aspirano all'implicito riconoscimento di essere i soli "veri cristiani".

Il problema è che solo pochissimi protestanti conosco la storia della Chiesa; moltissimi accusano solo per sentito dire, ma non hanno mai aperto un libro riguardante la storia cristiana nei secoli. È sufficiente quello che dice il pastore di turno, qualche opuscolo, e internet per formare la loro "cultura" anti-cattolica.

Moltissimi protestanti e/o evangelici, piuttosto che vergognarsi per la propria ignoranza sul cristianesimo, ne vanno fieri, dicendo la classica frase "a me interessa solo la Bibbia", frase che è già tutto un programma. L'ignoranza storico-biblica delle persone è fondamentale per poterle pilotare. Un protestante serio che si mettesse a studiare la storia del cristianesimo, avrebbe buone probabilità di smettere di essere protestante. 

In tutto il protestantesimo vige una fede fai da te! Lo Spirito Santo ci guida a capire bene la Bibbia, è vero, ma nel mondo protestante si usa questo pretesto per coprire una presunzione senza freni e per certi versi arrogante, che porta ogni pastore a diventare una sorta di "papa" infallibile nel dare insegnamenti alle persone.

Presunzione e arroganza non si vedono subito - nessuno mostra questi difetti tanto facilmente. Sembrano tutti timorati di Dio, osservanti della Parola e pieni d'amore per il prossimo. Peccato che il loro prossimo nella maggior parte dei casi è chi ascolta passivamente e non contrasta i loro insegnamenti biblici. Chi si permette di dissentire, allora non viene più amato, spesso non viene più salutato, e alcune volte diffamato. 

Per lungo tempo, grazie a Lutero, il papa è stato considerato l'anticristo, quindi odiato e accusato, e così tutti i vescovi e i preti cattolici. In questo clima rientrano anche i singoli cattolici osservanti. 

I protestanti criticano l'infallibilità papale, ma di fatto si comportano come infallibili; ognuno nella propria comunità, liberi di inventarsi quello che vogliono, tirando la giacca allo Spirito Santo, a garanzia delle loro dottrine! Il risultato? Una miriade di denominazioni con dottrine che spesso si contrastano pesantemente tra loro.  

Il problema sta nella grande ignoranza mista a presunzione, che moltissimi protestanti e/o evangelici hanno. I cattolici sono meno ignoranti? No, la maggior parte dei cattolici, purtroppo, è assai ignorante in materia biblica, ma almeno essi non si mettono a fare i maestri verso chiunque gli capiti a tiro. Il cattolico medio è cosciente della propria ignoranza, il protestante medio invece è assai presuntuoso in campo biblico.

Un protestante che amasse veramente, come dice, la verità, andrebbe a verificare di persona cosa scrivevano e come vivevano i primi cristiani, nostri antenati nella fede, per capire se e come la Chiesa cattolica sbaglia, oppure dove sbagliano i protestanti a interpretare la Bibbia.    

Per logica, piuttosto che fidarsi di un pastore che spiega la Bibbia a 2000 anni di distanza, sarebbe meglio fidarsi dei primi padri, che appresero direttamente dalla voce degli apostoli l'insegnamento cristiano. Purtroppo molti protestanti non fanno uso della logica, ma solo di ideologie anti-cattoliche, coltivando un'antipatia viscerale verso tutto ciò che è cattolico, perché scartano a priori le prove di come vivevano i primissimi cristiani, vissuti dopo gli apostoli ma prima di Costantino.  

La fede cristiana è una, perché lo Spirito di Dio è uno! Quindi molti sbagliano strada, e abbiamo il dovere di capire chi è in quella giusta e chi in quella sbagliata. L'unità è la coesione degli elementi, delle parti che compongono un ente (per esempio, la coesione tra le parti di un'automobile come la carrozzeria, le ruote, il motore, ecc.) come già diceva Plotino; se viene meno l'unità viene meno anche quell'ente e ne possono risultare altri, ma non più quello di prima [se viene meno la coesione della carrozzeria, ruote e motore, non c’è più l'ente auto, bensì gli enti carrozzeria, ruote, motore]. Ecco, il protestantesimo somiglia tanto al mucchio di lamiere che una volta era una macchina. Si critica tanto la Chiesa cattolica, ma quanti sanno, per esempio, che Bultmann, celebre teologo ed esegeta protestante luterano, ridusse la risurrezione a un simbolo teologico? Non riteneva infatti possibile che fisicamente Gesù fosse risorto. Per confrontare le diverse interpretazioni bibliche bisogna avere il più possibile la mente sgombra da ideologie e preconcetti. Bisogna essere aperti a qualsiasi ipotesi se correttamente motivata e dimostrata. Se ci basiamo su pregiudizi ideologici che ci legano alle nostre convinzioni dottrinali, possiamo fare a meno di leggere o ascoltare qualsiasi testo o persona; tanto è inutile. Il nostro orgoglio ci impedirà di apprendere verità diverse dalla "nostra". Spesso difendiamo il nostro errore biblico con un guscio impenetrabile, ci teniamo la nostra verità, rifiutando qualsiasi altra, che sbatte sul guscio e scivola via. Appena si tocca il piano religioso/spirituale, stranamente è come se molti staccassero l'interruttore dalla propria mente, o almeno ad una parte di essa. Quando i protestanti dialogano con un cattolico, per esempio, non ricevono alcuna informazione, solo suoni che scivolano sui loro timpani, ma non arrivano al cervello. Non ascoltano.   

La storia del cristianesimo per loro non conta nulla, non riveste alcuna importanza, se non nelle vicende da rinfacciare - vedi crociate, inquisizioni ecc. - senza conoscere la vera storia di questi fatti, e senza sapere che anche i protestanti hanno avuto le loro guerre, e hanno pure fatto le loro inquisizioni, assai più sanguinose di quelle cattoliche.

Dicono di essere guidati dallo Spirito Santo, ma stranamente ci sono molti gruppi che ricevono informazioni diverse e contraddittorie dal medesimo Spirito Santo, perdendo inesorabilmente di credibilità. 

Mi rendo conto che la Chiesa cattolica ha trascurato il problema del proselitismo protestante. Gli evangelici hanno riscosso successo non perché hanno ragione, ma semplicemente perché trovano il popolo cattolico molto ignorante in  materia biblica, incapace di difendere in maniera opportuna la propria fede, rifugiandosi dietro al classico "non ho tempo da perdere"; magari poi perdono pure la fede… il tempo però non si tocca.   

Molti cattolici dicono di aver fede in Gesù Cristo, ma questa loro fede si vede solo nei momenti di bisogno: quando tutto scorre liscio Gesù viene dimenticato, e la Bibbia non interessa a nessuno leggerla. In contesti come questi gli evangelici trovano un popolo che deve veramente essere evangelizzato, da loro. Molti cattolici non oppongono resistenza a questo proselitismo perché non hanno risposte bibliche da dare, ma solo ignoranza da nascondere. In terreni simili la conquista protestante è facile, ed è come se affrontassero un esercito disarmato.   

Ma chi studia la Bibbia e si impegna ad approfondire il significato della parola di Dio, si rende conto che in realtà i protestanti non sono affatto quei maestri biblici che sembrano, ma sono dei profondi ignoranti storici e biblici, plagiati dalla loro setta di appartenenza. Chiamandoli ignoranti non voglio offenderli, perché altrimenti li chiamerei "falsi e bugiardi". Chiamandoli ignoranti gli riconosco la buona fede, credono in alcune dottrine sbagliate, non accorgendosi di sbagliare.  

Il punto è che lo Spirito Santo non può contraddire se stesso, e quindi certamente le interpretazioni contrastanti delle diverse denominazioni non possono essere tutte vere, né tutte ispirate. È evidente che non è possibile che lo stesso Spirito suggerisca a ciascuno dottrine diverse. In questo modo si creano dei compartimenti stagni, ogni gruppo protestante crede di essere nella verità più degli altri, isolandosi e predicando un vangelo personalizzato. Per esempio, secondo gli Avventisti tutte le altre chiese cristiane hanno abolito il comandamento del sabato, celebrando il culto alla domenica, e quindi tranne loro tutti sono destinati all'inferno se non aboliscono la domenica come giorno del Signore. Ovviamente essi motivano queste loro accuse con alcuni versetti biblici, interpretandoli a modo proprio. Ecco, è questo il punto che sfugge a tutti i protestanti, classici e moderni: la Bibbia non può essere interpretata soggettivamente, perché la Verità non è affatto soggettiva.

Ma essendo divisi in compartimenti stagni, non comunicanti gli uni con gli altri, è difficile che qualcuno di loro si accorga delle differenze dottrinali con gli altri protestanti. Se qualcuno se ne accorge, fa finta di niente, o non  gli dà il giusto peso, tanto, basta credere in Gesù come nostro personale salvatore. Le loro attenzioni vengono rivolte solo verso la Chiesa cattolica, il nemico da sconfiggere! È fin troppo comodo affermare orgogliosamente che "Io capisco quello che c'è scritto nella Bibbia perché lo Spirito Santo mi guida. Dio ha nascosto la verità ai sapienti e l'ha rivelata agli umili". Ecco, ogni buon protestante usa frasi del genere per rifiutare l'autorità interpretativa dei padri e dei dottori della Chiesa.  

In questo contesto si assiste a scene nelle quali qualsiasi protestante, di qualsiasi grado di cultura, schernisce gli scritti di Ireneo, Agostino, Tommaso d'Aquino, e lo fa in maniera disinvolta, perché nell'interpretare la Bibbia si sente tanto umile da essere guidato direttamente da Dio, ma allo stesso tempo è abbastanza cieco da non accorgersi che troppi "umili" protestanti professano poi dottrine assai diverse tra loro. Disprezzano il cattolico ma eleggono un "fai-da-te" che inorgoglisce e dice: "Non ho bisogno di leggere gli scritti dei padri della Chiesa, mi basta la sola Bibbia", quindi i maestri di cui parla l'apostolo Paolo non servirebbero a nulla: "È lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri" (Ef 4,11). 

Basterebbe leggere la storia delle eresie che hanno colpito il cristianesimo lungo i secoli, per rendersi conto che gli eretici basavano e basano sempre le loro tesi sulla Bibbia, spiegandola a modo loro. Difficilmente le persone andranno a spulciare intrecciate questioni dottrinali e teologiche. È più facile trovare un prete che abbia commesso qualche errore umano e sceglierlo come bersaglio, al fine di avvalorare le tesi anticattoliche e considerare la Chiesa cattolica nemica del cristianesimo e della verità, alleata con satana per sviare le anime e portarle all'inferno. Nemmeno l'arcangelo Michele ostentava una tale sicurezza nel bollare o  giudicare il diavolo, eppure si trattava del diavolo (Gd 1,9):  

 

L'arcangelo Michele quando, in contesa con il diavolo, disputava per il corpo di Mosè, non osò accusarlo con parole offensive, ma disse: Ti condanni il Signore!

 

La verità è che l'accusatore per eccellenza è proprio Satana, i santi non accusano nessuno, non per rispetto, ma perché si rimettono al giudizio di Dio. Per un protestante invece è normale dire che i cattolici vanno all'inferno perché sono idolatri. Si ergono a giudici, credendo di conoscere i cuori, e fraintendono il concetto di adorazione. Qualsiasi cristiano si dovrebbe porre delle domande, a verifica di ciò in cui crede, e dovrebbe saper discernere se le proprie convinzioni in materia di fede sono solo frutto di autosuggestione, fantasie indotte, oppure se trovano conferma nella storia del cristianesimo e nella Bibbia.   

 

Argentino Quintavalle

 

 

 autore dei libri 

 

- Apocalisse commento esegetico 

- L'Apostolo Paolo e i giudaizzanti – Legge o Vangelo?

  • Gesù Cristo vero Dio e vero Uomo nel mistero trinitario
  • Il discorso profetico di Gesù (Matteo 24-25)
  • Tutte le generazioni mi chiameranno beata
  • Cattolici e Protestanti a confronto – In difesa della fede

 

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(Mc 6,7-13)

Marco 6:7 Allora chiamò i Dodici, ed incominciò a mandarli a due a due e diede loro potere sugli spiriti immondi.

Marco 6:8 E ordinò loro che, oltre al bastone, non prendessero nulla per il viaggio: né pane, né bisaccia, né denaro nella borsa;

Marco 6:9 ma, calzati solo i sandali, non indossassero due tuniche.

Marco 6:10 E diceva loro: «Entrati in una casa, rimanetevi fino a che ve ne andiate da quel luogo.

Marco 6:11 Se in qualche luogo non vi riceveranno e non vi ascolteranno, andandovene, scuotete la polvere di sotto ai vostri piedi, a testimonianza per loro».

Marco 6:12 E partiti, predicavano che la gente si convertisse,

Marco 6:13 scacciavano molti demòni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano.

 

Significativo quel “incominciò a mandarli”. Ci saremmo aspettati che dopo la chiamata dei Dodici, Marco dicesse “e li mandò” e non “incominciò a mandarli”. Ma quel “incominciò a mandarli” lascia intendere che questo invio non fu l'unico, ma ve ne furono altri ancora. Non è escluso che che qui Marco stesse pensando al tempo post-pasquale e, in particolar modo, alle comunità credenti che dal proprio interno inviavano predicatori missionari ad annunciare la Parola di Dio. Invii, quindi, che incominciarono con Gesù ed ora proseguono con loro. Non va dimenticato, infatti, che i Vangeli risentono sempre della situazione in atto delle comunità credenti.

La precisazione dell'invio di “due a due”, se storicamente indica il reciproco sostegno nella difficile missione dell'annuncio, da un punto di vista teologico l'invio in coppia si rifà a Dt 19,15 dove si attesta che “Un solo testimonio non avrà valore contro alcuno, per qualsiasi colpa e per qualsiasi peccato; qualunque peccato questi abbia commesso, il fatto dovrà essere stabilito sulla parola di due o di tre testimoni”. Il contesto di Dt 19,15 è giuridico ed ha a che vedere con il giudizio in atto, così che il riferimento a tale passo lascia in qualche modo intravedere come questa predicazione assuma anche una valenza escatologica. Ci si trova, dunque, di fronte all'ultimo appello alla conversione che Dio lancia agli uomini, elemento quest'ultimo che verrà richiamato al v. 12, lasciando intendere che questo è il tempo in cui l'ascoltatore è chiamato a prendere posizione di fronte a tale annuncio e sarà lui stesso, in base alla scelta dell'accoglienza o del rifiuto, a determinare i destini della propria salvezza o meno.

L'invio in missione dei Dodici è associato al potere che Gesù assegna loro sugli spiriti immondi.  Un aspetto importante questo della missione, il cui senso e finalità sono quelli di liberare l'uomo dal potere del satana e ricondurlo a Dio, da cui era drammaticamente uscito nei primordi dell'umanità. In altri termini, Dio è venuto a riprendersi ciò che gli appartiene ed è venuto in e con Gesù a riaffermare il suo potere in mezzo agli uomini, cioè a ricostituire tra loro il Regno di Dio.

La prima regola della missione è “non prendere nulla per il viaggio”, e la parola che Paolo usa è “hodon”, il cui significato letterale è “via, strada, sentiero”. Viene qui definito il luogo di lavoro e di annuncio: la strada, qualificando il predicatore come un itinerante, un viaggiatore che si muove di continuo, poiché con lui si muove e cammina per le strade dell'impero la Parola di Dio. In questo modo e in nessun altro essa si diffondeva. Il “viaggio” del missionario deve essere privo di ogni conforto materiale, poiché le sue sicurezze devono riposare in Dio e non in se stesso. Niente bisacce, niente pane, niente denaro, poiché se l'operaio ha diritto alla sua mercede, questa gli deve venire dal suo Padrone, che certo non gliela farà mancare.

La seconda regola concede di calzare i sandali a difesa del piede del predicatore itinerante, in quanto il sandalo diviene in un certo qual modo uno strumento necessario di lavoro. Si fa divieto di “indossare” due tuniche, che probabilmente venivano indossate contemporaneamente. Una testimonianza in tal senso ci viene da Giuseppe Flavio, in Antichità Giudaiche XVII,136. Quale fosse il senso dell'indossare contemporaneamente due tuniche non ci è dato di sapere. Tuttavia, seguendo quanto attestato da Giuseppe Flavio, sembra che la doppia tunica servisse per nascondere qualche documento o un qualche oggetto che doveva essere riservato o segreto; considerando, poi, che il vestito nel linguaggio biblico è metafora dell'essenza o delle qualità proprie della persona che lo indossa, allora la doppia tunica indossata potrebbe alludere alla doppiezza della persona e, quindi, alla sua insincerità o alla sua tendenza a mentire. Quindi il divieto di indossare le due tuniche sembra voler dire di non avere doppiezze di linguaggio o di comportamenti.

La terza regola attestata dal v. 10 riguarda l'alloggio: “Entrati in una casa, rimanetevi fino a che ve ne andiate da quel luogo”. L'intento è quello di evitare sia che l'apostolo itinerante abusi dell'ospitalità della comunità, andando un po' qua e un po' là; sia che si perda in chiacchiere e gozzoviglie. L'apostolo itinerante deve mantenersi concentrato sul suo impegno primario, che è quello dell'annuncio e della fondazione di nuove comunità.

Tuttavia, la rigidità di queste norme, più che stile di vita imposto agli apostoli e predicatori itineranti, sembrano costituire un parametro di valutazione e di distinzione tra il vero apostolo e chi del proprio apostolato ha fatto un mestiere da cui trarre benefici personali. Il credente, pertanto, nel ricevere un apostolo o un predicatore deve guardare il suo stile di vita e i suoi interessi.

L'ultima regola (v. 11) riguarda il comportamento da tenere in caso di rifiuto dell'apostolo e con lui del suo annuncio: “Se in qualche luogo non vi riceveranno e non vi ascolteranno, andandovene, scuotete la polvere di sotto ai vostri piedi, a testimonianza per loro”. Lo scuotere la polvere dai piedi richiama un comportamento caratteristico del giudeo, che provenendo da un territorio pagano, ritenuto impuro, prima di entrare nella propria terra, considerata santa, scuoteva la polvere dai propri calzari e dai propri piedi al fine di evitare ogni inquinamento. L'apostolo o predicatore itinerante deve fare similmente. Qui tuttavia cambia di significato, poiché non si tratta di scuotersi di dosso delle impurità, ma di un segno di rifiuto. In altri termini: chiunque rifiuta Dio è da Dio rifiutato. Lo scuotere la polvere dai propri piedi, è fatto a testimonianza contro di loro. L'apostolo, pertanto, diverrà testimone nel giudizio divino contro questo rifiuto.

 


 

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Questo non è un lavoro fatto per antipatia verso il protestantesimo, o per rancori verso gli evangelici, ma per difendere la vera fede, senza aspirazioni belliche. Ho passato molto tempo della mia vita nel mondo protestante, e in tarda età ho scoperto che non conoscevo affatto quella Chiesa cattolica che criticavo, ed è questa ignoranza che porta molti cattolici a lasciarsi convincere o influenzare dai protestanti.  

Questi sono divisi in una miriade di denominazioni, alcune delle quali non  gradiscono essere chiamate "protestanti", ma vorrebbero essere indicate solamente come "cristiane". Sappiamo anche che per i protestanti, i cattolici non sono cristiani, ma idolatri e pagani; ne consegue che gli evangelici nel loro voler essere chiamati solamente "cristiani" aspirano all'implicito riconoscimento di essere i soli "veri cristiani".

Il problema è che solo pochissimi protestanti conosco la storia della Chiesa; moltissimi accusano solo per sentito dire, ma non hanno mai aperto un libro riguardante la storia cristiana nei secoli. È sufficiente quello che dice il pastore di turno, qualche opuscolo, e internet per formare la loro "cultura" anti-cattolica.

Moltissimi protestanti e/o evangelici, piuttosto che vergognarsi per la propria ignoranza sul cristianesimo, ne vanno fieri, dicendo la classica frase "a me interessa solo la Bibbia", frase che è già tutto un programma. L'ignoranza storico-biblica delle persone è fondamentale per poterle pilotare. Un protestante serio che si mettesse a studiare la storia del cristianesimo, avrebbe buone probabilità di smettere di essere protestante. 

In tutto il protestantesimo vige una fede fai da te! Lo Spirito Santo ci guida a capire bene la Bibbia, è vero, ma nel mondo protestante si usa questo pretesto per coprire una presunzione senza freni e per certi versi arrogante, che porta ogni pastore a diventare una sorta di "papa" infallibile nel dare insegnamenti alle persone.

Presunzione e arroganza non si vedono subito - nessuno mostra questi difetti tanto facilmente. Sembrano tutti timorati di Dio, osservanti della Parola e pieni d'amore per il prossimo. Peccato che il loro prossimo nella maggior parte dei casi è chi ascolta passivamente e non contrasta i loro insegnamenti biblici. Chi si permette di dissentire, allora non viene più amato, spesso non viene più salutato, e alcune volte diffamato. 

Per lungo tempo, grazie a Lutero, il papa è stato considerato l'anticristo, quindi odiato e accusato, e così tutti i vescovi e i preti cattolici. In questo clima rientrano anche i singoli cattolici osservanti. 

I protestanti criticano l'infallibilità papale, ma di fatto si comportano come infallibili; ognuno nella propria comunità, liberi di inventarsi quello che vogliono, tirando la giacca allo Spirito Santo, a garanzia delle loro dottrine! Il risultato? Una miriade di denominazioni con dottrine che spesso si contrastano pesantemente tra loro.  

Il problema sta nella grande ignoranza mista a presunzione, che moltissimi protestanti e/o evangelici hanno. I cattolici sono meno ignoranti? No, la maggior parte dei cattolici, purtroppo, è assai ignorante in materia biblica, ma almeno essi non si mettono a fare i maestri verso chiunque gli capiti a tiro. Il cattolico medio è cosciente della propria ignoranza, il protestante medio invece è assai presuntuoso in campo biblico.

Un protestante che amasse veramente, come dice, la verità, andrebbe a verificare di persona cosa scrivevano e come vivevano i primi cristiani, nostri antenati nella fede, per capire se e come la Chiesa cattolica sbaglia, oppure dove sbagliano i protestanti a interpretare la Bibbia.    

Per logica, piuttosto che fidarsi di un pastore che spiega la Bibbia a 2000 anni di distanza, sarebbe meglio fidarsi dei primi padri, che appresero direttamente dalla voce degli apostoli l'insegnamento cristiano. Purtroppo molti protestanti non fanno uso della logica, ma solo di ideologie anti-cattoliche, coltivando un'antipatia viscerale verso tutto ciò che è cattolico, perché scartano a priori le prove di come vivevano i primissimi cristiani, vissuti dopo gli apostoli ma prima di Costantino.  

La fede cristiana è una, perché lo Spirito di Dio è uno! Quindi molti sbagliano strada, e abbiamo il dovere di capire chi è in quella giusta e chi in quella sbagliata. L'unità è la coesione degli elementi, delle parti che compongono un ente (per esempio, la coesione tra le parti di un'automobile come la carrozzeria, le ruote, il motore, ecc.) come già diceva Plotino; se viene meno l'unità viene meno anche quell'ente e ne possono risultare altri, ma non più quello di prima [se viene meno la coesione della carrozzeria, ruote e motore, non c’è più l'ente auto, bensì gli enti carrozzeria, ruote, motore]. Ecco, il protestantesimo somiglia tanto al mucchio di lamiere che una volta era una macchina. Si critica tanto la Chiesa cattolica, ma quanti sanno, per esempio, che Bultmann, celebre teologo ed esegeta protestante luterano, ridusse la risurrezione a un simbolo teologico? Non riteneva infatti possibile che fisicamente Gesù fosse risorto. Per confrontare le diverse interpretazioni bibliche bisogna avere il più possibile la mente sgombra da ideologie e preconcetti. Bisogna essere aperti a qualsiasi ipotesi se correttamente motivata e dimostrata. Se ci basiamo su pregiudizi ideologici che ci legano alle nostre convinzioni dottrinali, possiamo fare a meno di leggere o ascoltare qualsiasi testo o persona; tanto è inutile. Il nostro orgoglio ci impedirà di apprendere verità diverse dalla "nostra". Spesso difendiamo il nostro errore biblico con un guscio impenetrabile, ci teniamo la nostra verità, rifiutando qualsiasi altra, che sbatte sul guscio e scivola via. Appena si tocca il piano religioso/spirituale, stranamente è come se molti staccassero l'interruttore dalla propria mente, o almeno ad una parte di essa. Quando i protestanti dialogano con un cattolico, per esempio, non ricevono alcuna informazione, solo suoni che scivolano sui loro timpani, ma non arrivano al cervello. Non ascoltano.   

La storia del cristianesimo per loro non conta nulla, non riveste alcuna importanza, se non nelle vicende da rinfacciare - vedi crociate, inquisizioni ecc. - senza conoscere la vera storia di questi fatti, e senza sapere che anche i protestanti hanno avuto le loro guerre, e hanno pure fatto le loro inquisizioni, assai più sanguinose di quelle cattoliche.

Dicono di essere guidati dallo Spirito Santo, ma stranamente ci sono molti gruppi che ricevono informazioni diverse e contraddittorie dal medesimo Spirito Santo, perdendo inesorabilmente di credibilità. 

Mi rendo conto che la Chiesa cattolica ha trascurato il problema del proselitismo protestante. Gli evangelici hanno riscosso successo non perché hanno ragione, ma semplicemente perché trovano il popolo cattolico molto ignorante in  materia biblica, incapace di difendere in maniera opportuna la propria fede, rifugiandosi dietro al classico "non ho tempo da perdere"; magari poi perdono pure la fede… il tempo però non si tocca.   

Molti cattolici dicono di aver fede in Gesù Cristo, ma questa loro fede si vede solo nei momenti di bisogno: quando tutto scorre liscio Gesù viene dimenticato, e la Bibbia non interessa a nessuno leggerla. In contesti come questi gli evangelici trovano un popolo che deve veramente essere evangelizzato, da loro. Molti cattolici non oppongono resistenza a questo proselitismo perché non hanno risposte bibliche da dare, ma solo ignoranza da nascondere. In terreni simili la conquista protestante è facile, ed è come se affrontassero un esercito disarmato.   

Ma chi studia la Bibbia e si impegna ad approfondire il significato della parola di Dio, si rende conto che in realtà i protestanti non sono affatto quei maestri biblici che sembrano, ma sono dei profondi ignoranti storici e biblici, plagiati dalla loro setta di appartenenza. Chiamandoli ignoranti non voglio offenderli, perché altrimenti li chiamerei "falsi e bugiardi". Chiamandoli ignoranti gli riconosco la buona fede, credono in alcune dottrine sbagliate, non accorgendosi di sbagliare.  

Il punto è che lo Spirito Santo non può contraddire se stesso, e quindi certamente le interpretazioni contrastanti delle diverse denominazioni non possono essere tutte vere, né tutte ispirate. È evidente che non è possibile che lo stesso Spirito suggerisca a ciascuno dottrine diverse. In questo modo si creano dei compartimenti stagni, ogni gruppo protestante crede di essere nella verità più degli altri, isolandosi e predicando un vangelo personalizzato. Per esempio, secondo gli Avventisti tutte le altre chiese cristiane hanno abolito il comandamento del sabato, celebrando il culto alla domenica, e quindi tranne loro tutti sono destinati all'inferno se non aboliscono la domenica come giorno del Signore. Ovviamente essi motivano queste loro accuse con alcuni versetti biblici, interpretandoli a modo proprio. Ecco, è questo il punto che sfugge a tutti i protestanti, classici e moderni: la Bibbia non può essere interpretata soggettivamente, perché la Verità non è affatto soggettiva.

Ma essendo divisi in compartimenti stagni, non comunicanti gli uni con gli altri, è difficile che qualcuno di loro si accorga delle differenze dottrinali con gli altri protestanti. Se qualcuno se ne accorge, fa finta di niente, o non  gli dà il giusto peso, tanto, basta credere in Gesù come nostro personale salvatore. Le loro attenzioni vengono rivolte solo verso la Chiesa cattolica, il nemico da sconfiggere! È fin troppo comodo affermare orgogliosamente che "Io capisco quello che c'è scritto nella Bibbia perché lo Spirito Santo mi guida. Dio ha nascosto la verità ai sapienti e l'ha rivelata agli umili". Ecco, ogni buon protestante usa frasi del genere per rifiutare l'autorità interpretativa dei padri e dei dottori della Chiesa.  

In questo contesto si assiste a scene nelle quali qualsiasi protestante, di qualsiasi grado di cultura, schernisce gli scritti di Ireneo, Agostino, Tommaso d'Aquino, e lo fa in maniera disinvolta, perché nell'interpretare la Bibbia si sente tanto umile da essere guidato direttamente da Dio, ma allo stesso tempo è abbastanza cieco da non accorgersi che troppi "umili" protestanti professano poi dottrine assai diverse tra loro. Disprezzano il cattolico ma eleggono un "fai-da-te" che inorgoglisce e dice: "Non ho bisogno di leggere gli scritti dei padri della Chiesa, mi basta la sola Bibbia", quindi i maestri di cui parla l'apostolo Paolo non servirebbero a nulla: "È lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri" (Ef 4,11). 

Basterebbe leggere la storia delle eresie che hanno colpito il cristianesimo lungo i secoli, per rendersi conto che gli eretici basavano e basano sempre le loro tesi sulla Bibbia, spiegandola a modo loro. Difficilmente le persone andranno a spulciare intrecciate questioni dottrinali e teologiche. È più facile trovare un prete che abbia commesso qualche errore umano e sceglierlo come bersaglio, al fine di avvalorare le tesi anticattoliche e considerare la Chiesa cattolica nemica del cristianesimo e della verità, alleata con satana per sviare le anime e portarle all'inferno. Nemmeno l'arcangelo Michele ostentava una tale sicurezza nel bollare o  giudicare il diavolo, eppure si trattava del diavolo (Gd 1,9):  

 

L'arcangelo Michele quando, in contesa con il diavolo, disputava per il corpo di Mosè, non osò accusarlo con parole offensive, ma disse: Ti condanni il Signore!

 

La verità è che l'accusatore per eccellenza è proprio Satana, i santi non accusano nessuno, non per rispetto, ma perché si rimettono al giudizio di Dio. Per un protestante invece è normale dire che i cattolici vanno all'inferno perché sono idolatri. Si ergono a giudici, credendo di conoscere i cuori, e fraintendono il concetto di adorazione. Qualsiasi cristiano si dovrebbe porre delle domande, a verifica di ciò in cui crede, e dovrebbe saper discernere se le proprie convinzioni in materia di fede sono solo frutto di autosuggestione, fantasie indotte, oppure se trovano conferma nella storia del cristianesimo e nella Bibbia.   

 

Argentino Quintavalle

 

 

 autore dei libri 

 

- Apocalisse commento esegetico 

- L'Apostolo Paolo e i giudaizzanti – Legge o Vangelo?

  • Gesù Cristo vero Dio e vero Uomo nel mistero trinitario
  • Il discorso profetico di Gesù (Matteo 24-25)
  • Tutte le generazioni mi chiameranno beata
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(2Cor 12,7-10)

2Corinzi 12:7 Perché non montassi in superbia per la grandezza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne, un inviato di satana incaricato di schiaffeggiarmi, perché io non vada in superbia.

 

È sempre facile che un uomo si insuperbisca per tutto ciò che il Signore opera in lui di grande, ma un uomo di Dio non può mai insuperbirsi, cesserebbe di essere uomo di Dio.

Paolo usa la parola “apokalypsōn” (= “rivelazioni”). Date le grandi rivelazioni, Paolo rischiava di diventare superbo. Occorre che ci sia una debolezza nella sua carne altrettanto grande che bilanci questa grandezza. Grandezza divina e umiliazione umana devono andare insieme; più grande è la manifestazione di Dio, più grande ancora dovrà essere l’umiliazione degli uomini. Questa è la regola. Così, perché non cadesse nel rischio di insuperbire, all’Apostolo è stata messa una spina nella carne. La spina nella carne è una metafora, è un modo per parlare di una sua difficoltà. Sappiamo quale fastidio dia una spina nella carne, anche quando è solo una piccola spina; punge e si sente sempre e, naturalmente, il primo desiderio che si ha è quello di toglierla - è logico.

Qui però non si parla di una spina materiale, ma di un inviato di Satana, un “angelos Satana” dice letteralmente il testo. Su questa difficile problematica sono stati versati fiumi di inchiostro. Si è pensato a una malattia fisica di Paolo, o ad una tentazione di natura sessuale, o ad una vessazione demoniaca. Un’altra ipotesi identifica la spina nella carne con uno o più avversari dell’Apostolo. In questo caso il gesto dello schiaffeggiare richiamerebbe gli oltraggi ricevuti da Paolo dagli avversari. Ma sono tutte illazioni. Di certo, le due metafore della spina e dell'inviato di Satana significano la stessa cosa, e l'ipotesi più probabile rimane quella di una qualche malattia che doveva essere ben nota ai Corinzi.

Non possiamo andare oltre questi dati, perché Paolo lascia nell’indefinito la dura prova da cui il Signore non lo ha liberato. Ciò che Paolo vuole che resti velato, deve restare velato. Se avesse voluto essere più chiaro, lo sarebbe stato. Perché non lo è stato? Perché questa è una cosa personale, appartiene al rapporto dell’uomo con il Signore, non appartiene al rapporto dell’uomo con l’uomo. Le vie dell’umiliazione non sono oggetto di rivelazione. Si rivela e si manifesta la regola che governa il rapporto dell’uomo con Dio, che è quella di non insuperbirsi, ma non si svela e non si rivela il come concretamente questo avviene.

Anche nelle biografie dei santi dobbiamo avere sempre quel timore sacro, reverenziale, di non aggiungere e di non svelare cose che appartengono strettamente all’anima. Anche di Cristo si dicono alcune cose, altre cose vengono taciute. Ciò che è oggetto di rivelazione e che è utile alla salvezza del mondo, lo si è detto; ciò che appartiene alla sua relazione personale con il Padre, o con alcune persone come la Madre sua, o San Giuseppe, sono taciute. Si pensi che di Cristo si conosce solo la vita pubblica. Gli altri anni sono avvolti dal mistero e dal segreto. Ecco allora che vale la regola di Paolo: ognuno deve giudicare l’altro per quel che vede e per quel che sente, ma non per quello che immagina o suppone.

Essendo la prova qualcosa di personale, potremmo essere indotti nell’errore di giudicarci superiori o inferiori all’altro in ragione della diversità della prova che subisce o patisce.

Paolo è autocritico, si rende conto dei propri limiti, del proprio carattere e anche dei propri difetti, e sta ragionando che forse quella situazione dove è stato umiliato e schiaffeggiato gli ha fatto bene. Quello che fa male, in qualche modo può fare anche bene. E Paolo ha la capacità di capirlo. È necessario che ognuno lo capisca per sé, perché nessuno può andare a dirlo a un altro. Lo si può anche dire, ma difficilmente si ha successo. Quando uno si trova in una situazione di dolore, o di ingiustizia, il fatto che un altro vada a dirgli: “vedrai che anche questo ti può servire”, non fa piacere. Non è qualcuno che dall'esterno può convincere: ciascuno deve arrivare personalmente a capire che, nella propria situazione, Dio continua a operare, nonostante tutto, nonostante le apparenze contrarie.

Ecco perché Paolo si rende conto che quella sua situazione non è sfuggita al controllo di Dio e, in questa sua polemica, riesce ad essere autocritico, e dire implicitamente che quella sua situazione gli ha fatto bene perché non insuperbisse. 

 

 

 

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Questo non è un lavoro fatto per antipatia verso il protestantesimo, o per rancori verso gli evangelici, ma per difendere la vera fede, senza aspirazioni belliche. Ho passato molto tempo della mia vita nel mondo protestante, e in tarda età ho scoperto che non conoscevo affatto quella Chiesa cattolica che criticavo, ed è questa ignoranza che porta molti cattolici a lasciarsi convincere o influenzare dai protestanti.  

Questi sono divisi in una miriade di denominazioni, alcune delle quali non  gradiscono essere chiamate "protestanti", ma vorrebbero essere indicate solamente come "cristiane". Sappiamo anche che per i protestanti, i cattolici non sono cristiani, ma idolatri e pagani; ne consegue che gli evangelici nel loro voler essere chiamati solamente "cristiani" aspirano all'implicito riconoscimento di essere i soli "veri cristiani".

Il problema è che solo pochissimi protestanti conosco la storia della Chiesa; moltissimi accusano solo per sentito dire, ma non hanno mai aperto un libro riguardante la storia cristiana nei secoli. È sufficiente quello che dice il pastore di turno, qualche opuscolo, e internet per formare la loro "cultura" anti-cattolica.

Moltissimi protestanti e/o evangelici, piuttosto che vergognarsi per la propria ignoranza sul cristianesimo, ne vanno fieri, dicendo la classica frase "a me interessa solo la Bibbia", frase che è già tutto un programma. L'ignoranza storico-biblica delle persone è fondamentale per poterle pilotare. Un protestante serio che si mettesse a studiare la storia del cristianesimo, avrebbe buone probabilità di smettere di essere protestante. 

In tutto il protestantesimo vige una fede fai da te! Lo Spirito Santo ci guida a capire bene la Bibbia, è vero, ma nel mondo protestante si usa questo pretesto per coprire una presunzione senza freni e per certi versi arrogante, che porta ogni pastore a diventare una sorta di "papa" infallibile nel dare insegnamenti alle persone.

Presunzione e arroganza non si vedono subito - nessuno mostra questi difetti tanto facilmente. Sembrano tutti timorati di Dio, osservanti della Parola e pieni d'amore per il prossimo. Peccato che il loro prossimo nella maggior parte dei casi è chi ascolta passivamente e non contrasta i loro insegnamenti biblici. Chi si permette di dissentire, allora non viene più amato, spesso non viene più salutato, e alcune volte diffamato. 

Per lungo tempo, grazie a Lutero, il papa è stato considerato l'anticristo, quindi odiato e accusato, e così tutti i vescovi e i preti cattolici. In questo clima rientrano anche i singoli cattolici osservanti. 

I protestanti criticano l'infallibilità papale, ma di fatto si comportano come infallibili; ognuno nella propria comunità, liberi di inventarsi quello che vogliono, tirando la giacca allo Spirito Santo, a garanzia delle loro dottrine! Il risultato? Una miriade di denominazioni con dottrine che spesso si contrastano pesantemente tra loro.  

Il problema sta nella grande ignoranza mista a presunzione, che moltissimi protestanti e/o evangelici hanno. I cattolici sono meno ignoranti? No, la maggior parte dei cattolici, purtroppo, è assai ignorante in materia biblica, ma almeno essi non si mettono a fare i maestri verso chiunque gli capiti a tiro. Il cattolico medio è cosciente della propria ignoranza, il protestante medio invece è assai presuntuoso in campo biblico.

Un protestante che amasse veramente, come dice, la verità, andrebbe a verificare di persona cosa scrivevano e come vivevano i primi cristiani, nostri antenati nella fede, per capire se e come la Chiesa cattolica sbaglia, oppure dove sbagliano i protestanti a interpretare la Bibbia.    

Per logica, piuttosto che fidarsi di un pastore che spiega la Bibbia a 2000 anni di distanza, sarebbe meglio fidarsi dei primi padri, che appresero direttamente dalla voce degli apostoli l'insegnamento cristiano. Purtroppo molti protestanti non fanno uso della logica, ma solo di ideologie anti-cattoliche, coltivando un'antipatia viscerale verso tutto ciò che è cattolico, perché scartano a priori le prove di come vivevano i primissimi cristiani, vissuti dopo gli apostoli ma prima di Costantino.  

La fede cristiana è una, perché lo Spirito di Dio è uno! Quindi molti sbagliano strada, e abbiamo il dovere di capire chi è in quella giusta e chi in quella sbagliata. L'unità è la coesione degli elementi, delle parti che compongono un ente (per esempio, la coesione tra le parti di un'automobile come la carrozzeria, le ruote, il motore, ecc.) come già diceva Plotino; se viene meno l'unità viene meno anche quell'ente e ne possono risultare altri, ma non più quello di prima [se viene meno la coesione della carrozzeria, ruote e motore, non c’è più l'ente auto, bensì gli enti carrozzeria, ruote, motore]. Ecco, il protestantesimo somiglia tanto al mucchio di lamiere che una volta era una macchina. Si critica tanto la Chiesa cattolica, ma quanti sanno, per esempio, che Bultmann, celebre teologo ed esegeta protestante luterano, ridusse la risurrezione a un simbolo teologico? Non riteneva infatti possibile che fisicamente Gesù fosse risorto. Per confrontare le diverse interpretazioni bibliche bisogna avere il più possibile la mente sgombra da ideologie e preconcetti. Bisogna essere aperti a qualsiasi ipotesi se correttamente motivata e dimostrata. Se ci basiamo su pregiudizi ideologici che ci legano alle nostre convinzioni dottrinali, possiamo fare a meno di leggere o ascoltare qualsiasi testo o persona; tanto è inutile. Il nostro orgoglio ci impedirà di apprendere verità diverse dalla "nostra". Spesso difendiamo il nostro errore biblico con un guscio impenetrabile, ci teniamo la nostra verità, rifiutando qualsiasi altra, che sbatte sul guscio e scivola via. Appena si tocca il piano religioso/spirituale, stranamente è come se molti staccassero l'interruttore dalla propria mente, o almeno ad una parte di essa. Quando i protestanti dialogano con un cattolico, per esempio, non ricevono alcuna informazione, solo suoni che scivolano sui loro timpani, ma non arrivano al cervello. Non ascoltano.   

La storia del cristianesimo per loro non conta nulla, non riveste alcuna importanza, se non nelle vicende da rinfacciare - vedi crociate, inquisizioni ecc. - senza conoscere la vera storia di questi fatti, e senza sapere che anche i protestanti hanno avuto le loro guerre, e hanno pure fatto le loro inquisizioni, assai più sanguinose di quelle cattoliche.

Dicono di essere guidati dallo Spirito Santo, ma stranamente ci sono molti gruppi che ricevono informazioni diverse e contraddittorie dal medesimo Spirito Santo, perdendo inesorabilmente di credibilità. 

Mi rendo conto che la Chiesa cattolica ha trascurato il problema del proselitismo protestante. Gli evangelici hanno riscosso successo non perché hanno ragione, ma semplicemente perché trovano il popolo cattolico molto ignorante in  materia biblica, incapace di difendere in maniera opportuna la propria fede, rifugiandosi dietro al classico "non ho tempo da perdere"; magari poi perdono pure la fede… il tempo però non si tocca.   

Molti cattolici dicono di aver fede in Gesù Cristo, ma questa loro fede si vede solo nei momenti di bisogno: quando tutto scorre liscio Gesù viene dimenticato, e la Bibbia non interessa a nessuno leggerla. In contesti come questi gli evangelici trovano un popolo che deve veramente essere evangelizzato, da loro. Molti cattolici non oppongono resistenza a questo proselitismo perché non hanno risposte bibliche da dare, ma solo ignoranza da nascondere. In terreni simili la conquista protestante è facile, ed è come se affrontassero un esercito disarmato.   

Ma chi studia la Bibbia e si impegna ad approfondire il significato della parola di Dio, si rende conto che in realtà i protestanti non sono affatto quei maestri biblici che sembrano, ma sono dei profondi ignoranti storici e biblici, plagiati dalla loro setta di appartenenza. Chiamandoli ignoranti non voglio offenderli, perché altrimenti li chiamerei "falsi e bugiardi". Chiamandoli ignoranti gli riconosco la buona fede, credono in alcune dottrine sbagliate, non accorgendosi di sbagliare.  

Il punto è che lo Spirito Santo non può contraddire se stesso, e quindi certamente le interpretazioni contrastanti delle diverse denominazioni non possono essere tutte vere, né tutte ispirate. È evidente che non è possibile che lo stesso Spirito suggerisca a ciascuno dottrine diverse. In questo modo si creano dei compartimenti stagni, ogni gruppo protestante crede di essere nella verità più degli altri, isolandosi e predicando un vangelo personalizzato. Per esempio, secondo gli Avventisti tutte le altre chiese cristiane hanno abolito il comandamento del sabato, celebrando il culto alla domenica, e quindi tranne loro tutti sono destinati all'inferno se non aboliscono la domenica come giorno del Signore. Ovviamente essi motivano queste loro accuse con alcuni versetti biblici, interpretandoli a modo proprio. Ecco, è questo il punto che sfugge a tutti i protestanti, classici e moderni: la Bibbia non può essere interpretata soggettivamente, perché la Verità non è affatto soggettiva.

Ma essendo divisi in compartimenti stagni, non comunicanti gli uni con gli altri, è difficile che qualcuno di loro si accorga delle differenze dottrinali con gli altri protestanti. Se qualcuno se ne accorge, fa finta di niente, o non  gli dà il giusto peso, tanto, basta credere in Gesù come nostro personale salvatore. Le loro attenzioni vengono rivolte solo verso la Chiesa cattolica, il nemico da sconfiggere! È fin troppo comodo affermare orgogliosamente che "Io capisco quello che c'è scritto nella Bibbia perché lo Spirito Santo mi guida. Dio ha nascosto la verità ai sapienti e l'ha rivelata agli umili". Ecco, ogni buon protestante usa frasi del genere per rifiutare l'autorità interpretativa dei padri e dei dottori della Chiesa.  

In questo contesto si assiste a scene nelle quali qualsiasi protestante, di qualsiasi grado di cultura, schernisce gli scritti di Ireneo, Agostino, Tommaso d'Aquino, e lo fa in maniera disinvolta, perché nell'interpretare la Bibbia si sente tanto umile da essere guidato direttamente da Dio, ma allo stesso tempo è abbastanza cieco da non accorgersi che troppi "umili" protestanti professano poi dottrine assai diverse tra loro. Disprezzano il cattolico ma eleggono un "fai-da-te" che inorgoglisce e dice: "Non ho bisogno di leggere gli scritti dei padri della Chiesa, mi basta la sola Bibbia", quindi i maestri di cui parla l'apostolo Paolo non servirebbero a nulla: "È lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri" (Ef 4,11). 

Basterebbe leggere la storia delle eresie che hanno colpito il cristianesimo lungo i secoli, per rendersi conto che gli eretici basavano e basano sempre le loro tesi sulla Bibbia, spiegandola a modo loro. Difficilmente le persone andranno a spulciare intrecciate questioni dottrinali e teologiche. È più facile trovare un prete che abbia commesso qualche errore umano e sceglierlo come bersaglio, al fine di avvalorare le tesi anticattoliche e considerare la Chiesa cattolica nemica del cristianesimo e della verità, alleata con satana per sviare le anime e portarle all'inferno. Nemmeno l'arcangelo Michele ostentava una tale sicurezza nel bollare o  giudicare il diavolo, eppure si trattava del diavolo (Gd 1,9):  

 

L'arcangelo Michele quando, in contesa con il diavolo, disputava per il corpo di Mosè, non osò accusarlo con parole offensive, ma disse: Ti condanni il Signore!

 

La verità è che l'accusatore per eccellenza è proprio Satana, i santi non accusano nessuno, non per rispetto, ma perché si rimettono al giudizio di Dio. Per un protestante invece è normale dire che i cattolici vanno all'inferno perché sono idolatri. Si ergono a giudici, credendo di conoscere i cuori, e fraintendono il concetto di adorazione. Qualsiasi cristiano si dovrebbe porre delle domande, a verifica di ciò in cui crede, e dovrebbe saper discernere se le proprie convinzioni in materia di fede sono solo frutto di autosuggestione, fantasie indotte, oppure se trovano conferma nella storia del cristianesimo e nella Bibbia.   

 

Argentino Quintavalle

 

 

 autore dei libri 

 

- Apocalisse commento esegetico 

- L'Apostolo Paolo e i giudaizzanti – Legge o Vangelo?

  • Gesù Cristo vero Dio e vero Uomo nel mistero trinitario
  • Il discorso profetico di Gesù (Matteo 24-25)
  • Tutte le generazioni mi chiameranno beata
  • Cattolici e Protestanti a confronto – In difesa della fede

 

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(2Cor 8,7.9.13-15)

 2Corinzi 8:7 E come vi segnalate in ogni cosa, nella fede, nella parola, nella scienza, in ogni zelo e nella carità che vi abbiamo insegnato, così distinguetevi anche in quest'opera generosa.

2Corinzi 8:9 Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà.

2Corinzi 8:13 Qui non si tratta infatti di mettere in ristrettezza voi per sollevare gli altri, ma di fare uguaglianza.

2Corinzi 8:14 Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza, come sta scritto:

2Corinzi 8:15 Colui che raccolse molto non abbondò,

e colui che raccolse poco non ebbe di meno.

 

Paolo fa i complimenti ai Corinzi riconoscendo che è una comunità ricca di tanti doni. I Corinzi hanno una vita che è fondata sulla parola, nella fede, nella scienza, nello zelo, nella carità. Cosa manca ancora ai Corinzi? Sembra che Paolo stia dicendo: visto che le cose le sapete, adesso avete l’occasione di metterle in pratica. Queste virtù elencate da Paolo, o si alimentano attraverso una nostra costante crescita, o a poco a poco ci dimentichiamo di esse e si ritorna nel nostro vecchio mondo. Sulla nostra crescita è giusto che costantemente ci interroghiamo, anche attraverso il quotidiano esame di coscienza.

Infatti Paolo li esorta ad aggiungere al loro cammino spirituale, già buono, anche ciò che lui definisce “quest'opera generosa” (v.7). Devono portare a compimento la colletta in favore della chiesa di Gerusalemme, ma  devono compierla non alla leggera, alla buona, donando quel poco solo per dire di aver partecipato. Paolo vuole che in quest’opera essi si distinguano e la distinzione avviene solo nell’abbondanza dei frutti, in una partecipazione sentita.

Non si tratta di prova della fede, bensì di esame vero e proprio sulla consistenza del loro cristianesimo. Il cristianesimo non è la pratica di una dottrina, non è neanche una morale più o meno eccellente. Il cristianesimo è prima di ogni altra cosa sequela di Cristo nell’imitazione di Lui. Chi vuole essere cristiano non solo deve camminare dietro Cristo, deve anche imitarlo, poiché è nell’imitazione di Lui che si raggiunge l'eccellenza morale.

Chi è Gesù Cristo? Paolo sceglie di definire Gesù come un ricco che si è fatto povero. «Da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà». Questa è una frase eccezionale. La comunità cristiana può diventare ricca grazie alla povertà di Cristo. Gesù era ricco come Dio, quindi onnipotente. Rinunciando a questa condizione che gli era propria per natura divina, si è fatto obbediente, si è fatto debole, si è fatto sottomesso - e da questo atteggiamento, che Paolo chiama la “povertà di Cristo”, noi abbiamo la possibilità di diventare ricchi, di assumere la qualità dell'essere divino. Portando questo esempio di Cristo, Paolo dice che i Corinzi sono chiamati a imitare Cristo, quindi a spogliarsi di sé; sono invitati alla rinuncia, sono messi nella condizione di rinunciare volontariamente a qualche cosa, perché qualche altro fratello bisognoso possa usufruire della loro ricchezza.

«Qui non si tratta infatti di mettere in ristrettezza voi per sollevare gli altri, ma di fare uguaglianza». Paolo esce qui dalla regola della carità, ed entra in quella della giustizia. Quando si esce dalla carità e si entra nella giustizia, allora non c’è più la buona volontà che regola e determina l’opera, c’è una regola molto più oggettiva che è quella del dare e dell’avere. Quando c’è una giustizia da compiere, uno non guarda se è povero o se è ricco, guarda che c’è un obbligo che bisogna assolvere e non si è giusti finché non è stato assolto. Questa regola di giustizia, questo fare uguaglianza, chiede che non si guardi l’opera della colletta solo come un libero dono, ma la si guardi come l'assolvimento di un debito contratto nei riguardi della chiesa di Gerusalemme.

Questo non si può comprendere se non si parte dalla comunione reale che regna nella chiesa. La chiesa di Gerusalemme ha dato ai Corinzi i beni spirituali, la verità e la grazia di nostro Signore Gesù Cristo, è ben giusto che la comunità dei Corinzi doni alla chiesa di Gerusalemme quanto può perché sopravviva in un momento di grave bisogno.

La chiesa di Gerusalemme è nell’abbondanza spirituale e questa abbondanza viene riversata sull’indigenza spirituale che accompagna la comunità di Corinto. La comunità di Corinto invece è nell’abbondanza dei beni materiali e deve sostenere l’indigenza materiale in cui sono venuti a trovarsi i fratelli di Gerusalemme. È questa l’uguaglianza che Paolo chiede, ed è secondo questa uguaglianza che bisogna agire. Fare uguaglianza non è opera di carità, è opera di giustizia: dovere verso coloro che ci hanno arricchiti.

Questo principio di fede deve andare al di là della situazione storica del tempo di Paolo. Esso è legge perenne nella chiesa di Dio. Questo principio di fede vuole infatti che colui che riceve dei beni spirituali, contraccambi con dei beni materiali.

«Colui che raccolse molto non abbondò, e colui che raccolse poco non ebbe di meno». L'obiettivo dell'uguaglianza è un principio preso dal libro dell'Esodo capitolo 16, a proposito della manna. La regola della manna era di raccoglierla tutti i giorni e nella misura che serviva per mangiare. Ognuno doveva raccogliere la quantità di manna che serviva per mangiare quel giorno; l'indomani, di manna ce ne sarebbe stata nuovamente e nuovamente sarebbe stata raccolta. Il versetto serve a Paolo come un principio teologico e applica queste parole ai cristiani, mostrando che la carità deve produrre fra loro una certa uguaglianza in modo che tutti abbiano ciò che è necessario. Sia nelle cose spirituali come nelle temporali, essi devono quindi aiutarsi scambievolmente.

È giusto che se uno un giorno ha raccolto di più, aiuti con questo ‘di più’ colui che in quel giorno ha raccolto meno. È questa l’uguaglianza che Paolo intende che venga vissuta nella Chiesa tra i cristiani.

Solo per fede e solo nella fede si può vivere questo insegnamento. 

 

 

 

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Questo non è un lavoro fatto per antipatia verso il protestantesimo, o per rancori verso gli evangelici, ma per difendere la vera fede, senza aspirazioni belliche. Ho passato molto tempo della mia vita nel mondo protestante, e in tarda età ho scoperto che non conoscevo affatto quella Chiesa cattolica che criticavo, ed è questa ignoranza che porta molti cattolici a lasciarsi convincere o influenzare dai protestanti.  

Questi sono divisi in una miriade di denominazioni, alcune delle quali non  gradiscono essere chiamate "protestanti", ma vorrebbero essere indicate solamente come "cristiane". Sappiamo anche che per i protestanti, i cattolici non sono cristiani, ma idolatri e pagani; ne consegue che gli evangelici nel loro voler essere chiamati solamente "cristiani" aspirano all'implicito riconoscimento di essere i soli "veri cristiani".

Il problema è che solo pochissimi protestanti conosco la storia della Chiesa; moltissimi accusano solo per sentito dire, ma non hanno mai aperto un libro riguardante la storia cristiana nei secoli. È sufficiente quello che dice il pastore di turno, qualche opuscolo, e internet per formare la loro "cultura" anti-cattolica.

Moltissimi protestanti e/o evangelici, piuttosto che vergognarsi per la propria ignoranza sul cristianesimo, ne vanno fieri, dicendo la classica frase "a me interessa solo la Bibbia", frase che è già tutto un programma. L'ignoranza storico-biblica delle persone è fondamentale per poterle pilotare. Un protestante serio che si mettesse a studiare la storia del cristianesimo, avrebbe buone probabilità di smettere di essere protestante. 

In tutto il protestantesimo vige una fede fai da te! Lo Spirito Santo ci guida a capire bene la Bibbia, è vero, ma nel mondo protestante si usa questo pretesto per coprire una presunzione senza freni e per certi versi arrogante, che porta ogni pastore a diventare una sorta di "papa" infallibile nel dare insegnamenti alle persone.

Presunzione e arroganza non si vedono subito - nessuno mostra questi difetti tanto facilmente. Sembrano tutti timorati di Dio, osservanti della Parola e pieni d'amore per il prossimo. Peccato che il loro prossimo nella maggior parte dei casi è chi ascolta passivamente e non contrasta i loro insegnamenti biblici. Chi si permette di dissentire, allora non viene più amato, spesso non viene più salutato, e alcune volte diffamato. 

Per lungo tempo, grazie a Lutero, il papa è stato considerato l'anticristo, quindi odiato e accusato, e così tutti i vescovi e i preti cattolici. In questo clima rientrano anche i singoli cattolici osservanti. 

I protestanti criticano l'infallibilità papale, ma di fatto si comportano come infallibili; ognuno nella propria comunità, liberi di inventarsi quello che vogliono, tirando la giacca allo Spirito Santo, a garanzia delle loro dottrine! Il risultato? Una miriade di denominazioni con dottrine che spesso si contrastano pesantemente tra loro.  

Il problema sta nella grande ignoranza mista a presunzione, che moltissimi protestanti e/o evangelici hanno. I cattolici sono meno ignoranti? No, la maggior parte dei cattolici, purtroppo, è assai ignorante in materia biblica, ma almeno essi non si mettono a fare i maestri verso chiunque gli capiti a tiro. Il cattolico medio è cosciente della propria ignoranza, il protestante medio invece è assai presuntuoso in campo biblico.

Un protestante che amasse veramente, come dice, la verità, andrebbe a verificare di persona cosa scrivevano e come vivevano i primi cristiani, nostri antenati nella fede, per capire se e come la Chiesa cattolica sbaglia, oppure dove sbagliano i protestanti a interpretare la Bibbia.    

Per logica, piuttosto che fidarsi di un pastore che spiega la Bibbia a 2000 anni di distanza, sarebbe meglio fidarsi dei primi padri, che appresero direttamente dalla voce degli apostoli l'insegnamento cristiano. Purtroppo molti protestanti non fanno uso della logica, ma solo di ideologie anti-cattoliche, coltivando un'antipatia viscerale verso tutto ciò che è cattolico, perché scartano a priori le prove di come vivevano i primissimi cristiani, vissuti dopo gli apostoli ma prima di Costantino.  

La fede cristiana è una, perché lo Spirito di Dio è uno! Quindi molti sbagliano strada, e abbiamo il dovere di capire chi è in quella giusta e chi in quella sbagliata. L'unità è la coesione degli elementi, delle parti che compongono un ente (per esempio, la coesione tra le parti di un'automobile come la carrozzeria, le ruote, il motore, ecc.) come già diceva Plotino; se viene meno l'unità viene meno anche quell'ente e ne possono risultare altri, ma non più quello di prima [se viene meno la coesione della carrozzeria, ruote e motore, non c’è più l'ente auto, bensì gli enti carrozzeria, ruote, motore]. Ecco, il protestantesimo somiglia tanto al mucchio di lamiere che una volta era una macchina. Si critica tanto la Chiesa cattolica, ma quanti sanno, per esempio, che Bultmann, celebre teologo ed esegeta protestante luterano, ridusse la risurrezione a un simbolo teologico? Non riteneva infatti possibile che fisicamente Gesù fosse risorto. Per confrontare le diverse interpretazioni bibliche bisogna avere il più possibile la mente sgombra da ideologie e preconcetti. Bisogna essere aperti a qualsiasi ipotesi se correttamente motivata e dimostrata. Se ci basiamo su pregiudizi ideologici che ci legano alle nostre convinzioni dottrinali, possiamo fare a meno di leggere o ascoltare qualsiasi testo o persona; tanto è inutile. Il nostro orgoglio ci impedirà di apprendere verità diverse dalla "nostra". Spesso difendiamo il nostro errore biblico con un guscio impenetrabile, ci teniamo la nostra verità, rifiutando qualsiasi altra, che sbatte sul guscio e scivola via. Appena si tocca il piano religioso/spirituale, stranamente è come se molti staccassero l'interruttore dalla propria mente, o almeno ad una parte di essa. Quando i protestanti dialogano con un cattolico, per esempio, non ricevono alcuna informazione, solo suoni che scivolano sui loro timpani, ma non arrivano al cervello. Non ascoltano.   

La storia del cristianesimo per loro non conta nulla, non riveste alcuna importanza, se non nelle vicende da rinfacciare - vedi crociate, inquisizioni ecc. - senza conoscere la vera storia di questi fatti, e senza sapere che anche i protestanti hanno avuto le loro guerre, e hanno pure fatto le loro inquisizioni, assai più sanguinose di quelle cattoliche.

Dicono di essere guidati dallo Spirito Santo, ma stranamente ci sono molti gruppi che ricevono informazioni diverse e contraddittorie dal medesimo Spirito Santo, perdendo inesorabilmente di credibilità. 

Mi rendo conto che la Chiesa cattolica ha trascurato il problema del proselitismo protestante. Gli evangelici hanno riscosso successo non perché hanno ragione, ma semplicemente perché trovano il popolo cattolico molto ignorante in  materia biblica, incapace di difendere in maniera opportuna la propria fede, rifugiandosi dietro al classico "non ho tempo da perdere"; magari poi perdono pure la fede… il tempo però non si tocca.   

Molti cattolici dicono di aver fede in Gesù Cristo, ma questa loro fede si vede solo nei momenti di bisogno: quando tutto scorre liscio Gesù viene dimenticato, e la Bibbia non interessa a nessuno leggerla. In contesti come questi gli evangelici trovano un popolo che deve veramente essere evangelizzato, da loro. Molti cattolici non oppongono resistenza a questo proselitismo perché non hanno risposte bibliche da dare, ma solo ignoranza da nascondere. In terreni simili la conquista protestante è facile, ed è come se affrontassero un esercito disarmato.   

Ma chi studia la Bibbia e si impegna ad approfondire il significato della parola di Dio, si rende conto che in realtà i protestanti non sono affatto quei maestri biblici che sembrano, ma sono dei profondi ignoranti storici e biblici, plagiati dalla loro setta di appartenenza. Chiamandoli ignoranti non voglio offenderli, perché altrimenti li chiamerei "falsi e bugiardi". Chiamandoli ignoranti gli riconosco la buona fede, credono in alcune dottrine sbagliate, non accorgendosi di sbagliare.  

Il punto è che lo Spirito Santo non può contraddire se stesso, e quindi certamente le interpretazioni contrastanti delle diverse denominazioni non possono essere tutte vere, né tutte ispirate. È evidente che non è possibile che lo stesso Spirito suggerisca a ciascuno dottrine diverse. In questo modo si creano dei compartimenti stagni, ogni gruppo protestante crede di essere nella verità più degli altri, isolandosi e predicando un vangelo personalizzato. Per esempio, secondo gli Avventisti tutte le altre chiese cristiane hanno abolito il comandamento del sabato, celebrando il culto alla domenica, e quindi tranne loro tutti sono destinati all'inferno se non aboliscono la domenica come giorno del Signore. Ovviamente essi motivano queste loro accuse con alcuni versetti biblici, interpretandoli a modo proprio. Ecco, è questo il punto che sfugge a tutti i protestanti, classici e moderni: la Bibbia non può essere interpretata soggettivamente, perché la Verità non è affatto soggettiva.

Ma essendo divisi in compartimenti stagni, non comunicanti gli uni con gli altri, è difficile che qualcuno di loro si accorga delle differenze dottrinali con gli altri protestanti. Se qualcuno se ne accorge, fa finta di niente, o non  gli dà il giusto peso, tanto, basta credere in Gesù come nostro personale salvatore. Le loro attenzioni vengono rivolte solo verso la Chiesa cattolica, il nemico da sconfiggere! È fin troppo comodo affermare orgogliosamente che "Io capisco quello che c'è scritto nella Bibbia perché lo Spirito Santo mi guida. Dio ha nascosto la verità ai sapienti e l'ha rivelata agli umili". Ecco, ogni buon protestante usa frasi del genere per rifiutare l'autorità interpretativa dei padri e dei dottori della Chiesa.  

In questo contesto si assiste a scene nelle quali qualsiasi protestante, di qualsiasi grado di cultura, schernisce gli scritti di Ireneo, Agostino, Tommaso d'Aquino, e lo fa in maniera disinvolta, perché nell'interpretare la Bibbia si sente tanto umile da essere guidato direttamente da Dio, ma allo stesso tempo è abbastanza cieco da non accorgersi che troppi "umili" protestanti professano poi dottrine assai diverse tra loro. Disprezzano il cattolico ma eleggono un "fai-da-te" che inorgoglisce e dice: "Non ho bisogno di leggere gli scritti dei padri della Chiesa, mi basta la sola Bibbia", quindi i maestri di cui parla l'apostolo Paolo non servirebbero a nulla: "È lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri" (Ef 4,11). 

Basterebbe leggere la storia delle eresie che hanno colpito il cristianesimo lungo i secoli, per rendersi conto che gli eretici basavano e basano sempre le loro tesi sulla Bibbia, spiegandola a modo loro. Difficilmente le persone andranno a spulciare intrecciate questioni dottrinali e teologiche. È più facile trovare un prete che abbia commesso qualche errore umano e sceglierlo come bersaglio, al fine di avvalorare le tesi anticattoliche e considerare la Chiesa cattolica nemica del cristianesimo e della verità, alleata con satana per sviare le anime e portarle all'inferno. Nemmeno l'arcangelo Michele ostentava una tale sicurezza nel bollare o  giudicare il diavolo, eppure si trattava del diavolo (Gd 1,9):  

 

L'arcangelo Michele quando, in contesa con il diavolo, disputava per il corpo di Mosè, non osò accusarlo con parole offensive, ma disse: Ti condanni il Signore!

 

La verità è che l'accusatore per eccellenza è proprio Satana, i santi non accusano nessuno, non per rispetto, ma perché si rimettono al giudizio di Dio. Per un protestante invece è normale dire che i cattolici vanno all'inferno perché sono idolatri. Si ergono a giudici, credendo di conoscere i cuori, e fraintendono il concetto di adorazione. Qualsiasi cristiano si dovrebbe porre delle domande, a verifica di ciò in cui crede, e dovrebbe saper discernere se le proprie convinzioni in materia di fede sono solo frutto di autosuggestione, fantasie indotte, oppure se trovano conferma nella storia del cristianesimo e nella Bibbia.   

 

Argentino Quintavalle

 

 

 autore dei libri 

 

- Apocalisse commento esegetico 

- L'Apostolo Paolo e i giudaizzanti – Legge o Vangelo?

  • Gesù Cristo vero Dio e vero Uomo nel mistero trinitario
  • Il discorso profetico di Gesù (Matteo 24-25)
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Giu 11, 2024

11a Domenica T.O. (anno B)

Pubblicato in Art'working

(2Cor 5,6-10)

2Corinzi 5:6 Così, dunque, siamo sempre pieni di fiducia e sapendo che finché abitiamo nel corpo siamo in esilio lontano dal Signore,

2Corinzi 5:7 camminiamo nella fede e non ancora in visione.

2Corinzi 5:8 Siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo ed abitare presso il Signore.

 

L’uomo è stato creato per vivere in comunione con il Signore. Non si tratta di una comunione solo spirituale, bensì di una comunione di tutto l’uomo, del suo corpo e della sua anima. L’uomo era stato chiamato ad abitare presso Dio, nel suo giardino. A causa del peccato noi siamo come in esilio, siamo lontani dal Signore. Non spiritualmente parlando, poiché spiritualmente questo non può avvenire per un cristiano, essendo tempio dello Spirito Santo. Siamo lontani dal Signore con il corpo. La mente, lo spirito, il cuore, l’anima gustano Dio; lo sentono. I sensi  invece no. Essi sono lontani da Dio, perché non lo vedono, non lo sentono, non lo contemplano; non gustano la sua bellezza.

Questo esilio non è la vocazione dell’uomo; l’esilio è frutto del peccato e sua conseguenza. Questo esilio dovrà finire. La «fiducia» di Paolo nasce dal fatto che l’esilio è momentaneo, passeggero. Dio ci introdurrà nuovamente nella sua dimora eterna e staremo con lui per sempre.

La nostra condizione è che «camminiamo nella fede e non ancora in visione». Dobbiamo attendere la gloria del cielo per fede. L’uomo non deve vedere la gloria del cielo, deve invece credere che essa esiste e che è il suo sommo bene. Ma perché bisogna camminare nella fede e non nella visione? Perché se l’uomo camminasse nella visione non avrebbe relazione con Dio; farebbe una cosa perché la vede; la farebbe perché da se stesso la valuterebbe buona o non buona. Sarebbe lui il principio del discernimento, della verità, del bene e del male, del suo presente e del suo futuro. Dio sarebbe solo come punto di arrivo, come termine di tutto.

Invece Dio vuole essere principio; vuole essere posto all’inizio del cammino tramite una relazione di fede. Dio chiede all’uomo che si fidi di Lui. La relazione con Dio deve fondarsi su un rapporto di trascendenza, di accoglienza di Colui che viene a noi attraverso la Parola. Egli pone la sua Parola all’inizio del nostro cammino e con essa ci indica la via.

Poi Paolo ci dice qualche cosa di enorme. «Siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo»: vuol dire morire! Sappiamo che finché abitiamo nel corpo siamo in esilio lontano dal Signore, e allora Paolo preferisce andare in esilio dal corpo ed essere presso il Signore, anziché vivere in esilio dal Signore ed abitare nel suo corpo.

Questo però non significa che lui consideri il corpo come un qualcosa di poco importante, o una cosa da cui ci possiamo liberare quando vogliamo. Anche l’uscita dell’anima dal corpo è un esilio, quindi una sofferenza, un allontanamento forzato, una costrizione. L’anima è fatta per abitare il corpo e il corpo è fatto per essere abitato dall’anima. Tant’è che si parla di anima incarnata e di corpo animato. Paolo può preferire di andare in esilio dal corpo perché anche questo è un esilio momentaneo, passeggero; si lascia il corpo per un tempo breve e intanto si vive nella gioia eterna del cielo insieme a Dio.

Mentre si gusta la gioia eterna, si attende il ritorno nel corpo, si attende la risurrezione. Se non ci fosse questa fiducia, Paolo, come ogni altro uomo, si sarebbe attaccato alla vita terrena e non l’avrebbe lasciata neanche per un istante.

Quando manca la fiducia nella Parola di Dio, si ha una visione assai triste della morte. O la si vive come un ritorno al nulla, e in questo caso vivere un giorno in più o un giorno in meno non ha valore per l’uomo, specie se questo giorno in più bisogna viverlo nella sofferenza e nel dolore. O la si vive con disperazione, come un qualcosa che viene a rapinarci il bene più caro - quindi si fa di tutto per restare anche un minuto in più su questa terra.

Da questa visione della morte nascono molti atteggiamenti sbagliati dell’uomo e molti peccati. Basti pensare  all’eutanasia.

La vita invece è  amore, dono, comunione, solidarietà, condivisione, servizio, disponibilità. Il valore della vita è questo. Ha valore quella vita che viene sacrificata all’amore; essa viene data a Dio perché ne faccia uno strumento di bene e di servizio al bene. In questa visione di fede c’è però un momento in cui bisogna sciogliere le vele e partire; si parte però nella fede e nella piena fiducia della risurrezione. Si parte nella verità che la morte è per noi un esilio, al quale il Signore porrà termine nell’ultimo giorno.

L’amore per il Signore, il desiderio di stare con lui dona conforto e sollievo in questo esilio; la speranza ce lo fa vivere secondo verità; la verità ce lo fa vivere nella speranza della risurrezione. 

 

 Argentino Quintavalle, autore dei libri 

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(2Cor 4,13 – 5,1)

2Corinzi 4:13 Animati tuttavia da quello stesso spirito di fede di cui sta scritto: Ho creduto, perciò ho parlato, anche noi crediamo e perciò parliamo,

2Corinzi 4:14 convinti che colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui insieme con voi.

2Corinzi 4:15 Tutto infatti è per voi, perché la grazia, ancora più abbondante ad opera di un maggior numero, moltiplichi l'inno di lode alla gloria di Dio.

 

Paolo inizia manifestando cosa lo spinge a parlare. Fa la citazione del Sal 115,10 «Ho creduto anche quando dicevo: Sono troppo infelice». Il salmista sottolinea di aver creduto anche quando si trovava nella situazione di dire: «sono troppo infelice», e va avanti dicendo: «ogni uomo è inganno» (Sal 115,11). Anche in quella situazione in cui ho sperimentato che nessuno mi aiuta, ho creduto. Paolo nel salmo che dice: ho creduto «anche quando» dicevo, lo legge: ho creduto, «perciò» ho parlato.

Nella forma originale dell'ebraico c'è una espressione ambigua che può essere sviluppata come causale o come temporale. Il greco l'ha sviluppata come causale, cioè ho creduto «perciò» ho parlato: «sono troppo infelice». Come dire: «sono troppo infelice proprio perché ho creduto». L'aver confidato in Dio mi ha portato in una situazione di sofferenza. Paolo si mette nei panni dell'antico salmista e dice: mi è capitata la stessa cosa, io vivo in quello spirito di fede, anch'io ho creduto e di conseguenza ho parlato. Mi trovo in una situazione di sofferenza proprio perché ho creduto e ho parlato.

Se Paolo fosse rimasto in silenzio, avrebbe evitato i rischi che il suo ministero comportava, ma fede e parola vanno insieme, perché solo quelli che sono convinti della verità del loro messaggio possono permettersi di farlo conoscere. A Corinto non ci sarebbe stata alcuna chiesa se quando Paolo visitò la città fosse rimasto in silenzio.

Succede abitualmente che, quando uno si impegna a essere sincero e a parlare, gliela fanno pagare. È il prezzo della verità; quando uno cerca di essere vero e sincero e cerca di aiutare gli altri alla verità, gliela fanno pagare. Quando uno parla deve accettare le conseguenze di quello che dice. Ho creduto, perciò ho parlato, e quindi sono troppo infelice.

Siamo convinti che Dio, «che ha risuscitato Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui». Paolo qui dice che proprio come il Cristo risorto è glorificato dal Padre, così sarà per i credenti. È un discorso molto concreto. Paolo è assolutamente fermo nella convinzione che Dio gli darà ragione e soddisfazione ponendolo accanto a Gesù, ma «insieme con voi», non contro di voi. Il Padre che è nei cieli, che ha risuscitato Gesù Cristo, risusciterà anche noi. C’è una sola azione: la risurrezione di Cristo; in questa risurrezione il Padre risusciterà ogni altro uomo, anzi la risurrezione di ogni uomo è la continuazione di quell’unico atto compiuto da Dio sul corpo di Gesù Cristo.

Noi non saremo separati da Cristo, saremo con Cristo. Questa sarà la nostra gioia eterna, il nostro gaudio che non conoscerà mai fine. Paolo altro non attende che questo momento, che sarà il momento della vittoria sulla morte. Vivere per questa fede per Paolo significa spendere la vita perché tutti gli uomini possano venire a conoscenza di questa verità, perché anche loro ne facciano il principio della loro vita e la regola della loro esistenza terrena.

Su questo penso dovremmo impegnarci un po’ di più tutti quanti. Sia a compiere la risurrezione di  Cristo in noi attraverso la santità della vita; sia utilizzando le nostre energie per invitare ogni uomo a lasciarsi anche lui conquistare da questa fede nella risurrezione di Gesù Cristo. Ha valore solo quella vita che è riportata in questo principio.

«Tutto infatti è per voi, perché la grazia, ancora più abbondante ad opera di un maggior numero, moltiplichi l'inno di lode alla gloria di Dio». Tutto è per i  discepoli di Gesù, tutto avviene in loro favore, tutto si compie perché loro possano crescere ed abbondare nella verità della salvezza. Occorre però che il discepolo di Gesù sappia sempre discernere i segni, li sappia leggere e interpretare; sappia scoprire in essi la verità che Dio vi immette. Se colui al quale la grazia viene data, la sa discernere e accogliere, si innalza dal suo cuore un inno di lode per il Signore, un inno che celebra e magnifica la gloria di Dio.

Quello che Paolo vuole farci comprendere è questo: il dovere di innalzare l’inno per la glorificazione del Padre non deve essere di uno solo, deve essere sia di chi è stato strumento per il  dono della grazia, sia di colui che la grazia ha ricevuto. Gli uni e gli altri devono glorificare il Signore, devono benedirlo ed esaltarlo.

Siamo tutti come in un’unica cordata, legati l’uno all’altro, camminanti sull’unica strada che porta alla vita eterna, perché la grazia data agli uni si trasmetta agli altri e cresca il rendimento di grazie alla gloria di Dio.  

 

 Argentino Quintavalle, autore dei libri 

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1Ts 5,16-24

1Tessalonicesi 5:16 State sempre lieti,

1Tessalonicesi 5:17 pregate incessantemente,

1Tessalonicesi 5:18 in ogni cosa rendete grazie; questa è infatti la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi.

1Tessalonicesi 5:19 Non spegnete lo Spirito,

 

«State sempre lieti». Il tema della gioia è il clima spirituale della comunità cristiana. Il cristianesimo è gioia, letizia spirituale, gaudio del cuore, serenità della mente. «Sempre» significa in ogni circostanza. Da un punto di vista esteriore c’era ben poco per cui i credenti a quei tempi potessero rallegrarsi. Ma la gioia è un frutto dello Spirito, non è qualcosa che il cristiano possa procurarsi traendola fuori dalle proprie risorse.

Il cristiano è chiamato ad essere sempre lieto. Questa qualità del suo nuovo essere è possibile ad una sola condizione: che vi sia nel cuore una fede così forte da pensare in ogni momento che tutto ciò che avviene, avviene per un bene più grande per noi. Chi non possiede questa fede, si perde, perché la tribolazione, senza la fede, non genera speranza, ma delusione, tristezza, lacrime e ogni altra sorta di amarezza.

La letizia matura solo sull’albero della fede e chi cade dalla fede cade anche dalla letizia e precipita nella tristezza. Sapendo che il male fisico o morale permesso da Dio deve generare in noi la santificazione, il cristiano lo accoglie nella fede e lo vive nella preghiera.

Infatti l'apostolo aggiunge: «pregate incessantemente». In questa brevissima esortazione è nascosto il segreto della vita del cristiano. La preghiera deve scandire la vita della comunità e dei singoli; un’attitudine continua. Non è la preghierina fatta ogni tanto, ma è una preghiera regolare, fatta secondo un ritmo costante. Se si fa questo possiamo andare anche oltre, e cioè vivere in uno spirito di preghiera, consci della presenza di Dio con noi ovunque siamo.

È perso quel momento che è senza preghiera. È un momento affidato solo alla nostra volontà, razionalità, è un momento perso perché non fatto secondo la volontà di Dio ma secondo la nostra. È perso quell’attimo vissuto, ma non affidato a Dio nella preghiera. È perso quel momento fatto da noi stessi, ma non fatto come un dono di Dio per noi e per gli altri. Questa è la verità della nostra vita.

Poiché oggi non si prega più, o si prega solo per alcuni interessi personali, tanta parte della nostra vita viene sciupata, è persa, non è vissuta né per il nostro bene, né per il bene dei nostri fratelli. Imparare a pregare è la cosa più necessaria per un uomo. Insegnare a farlo è l’opera primaria del sacerdote, o di chi guida la comunità.

«In ogni cosa rendete grazie», è il modo di vivere in un clima gioioso e orante. Abbiamo il verbo eucharistein («rendere grazie»). In ogni situazione rendere grazie, perché anche nelle nostre difficoltà e nelle nostre prove Dio ci insegna lezioni preziose. Non è facile vedere il lato positivo di una prova, ma se Dio è sopra ogni cosa, allora è sovrano anche nella prova.

Perché di tutto si faccia un rendimento di grazie, occorre che il cuore si rivesta di umiltà. È proprio dell’umiltà riconoscere quanto il Signore ha fatto e fa per noi. Ma è proprio della preghiera innalzare al Signore l’inno per il rendimento di grazie, per la benedizione, per la glorificazione del suo nome che è potente sulla terra e nei cieli.

Chi non rende grazie è un idolatra. Pensa che tutto sia da lui, dalle sue capacità, e quindi si attribuisce ciò che è semplicemente e puramente un dono del Signore. Esempio di come si ringrazi il Signore, lo si benedica, lo si esalti e lo si magnifichi è la Vergine Maria. Il suo Magnificat è quotidianamente recitato dalla Chiesa. Bisogna che non solo venga recitato, quanto imitato, pregato, fatto propria vita.

A chiusura di questa triade di imperativi sulla vita spirituale, si dà una motivazione che abbraccia tutte e tre le esortazioni: «questa è infatti la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi». In questo contesto l’espressione «volontà di Dio» implica uno stile di vita corrispondente al progetto di salvezza rivelato in Gesù Cristo. La volontà di Dio viene fatta conoscere in Cristo, e in Cristo ci viene data la motivazione e la forza per cui ci è possibile fare quella volontà.

 

 Argentino Quintavalle, autore dei libri 

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Mc 1,1-8

Marco 1:1 Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio.

Marco 1:2 Come è scritto nel profeta Isaia:

Ecco, io mando il mio messaggero davanti a te,

egli ti preparerà la strada.

Marco 1:3 Voce di uno che grida nel deserto:

preparate la strada del Signore,

raddrizzate i suoi sentieri,

 

Il racconto di Marco inizia in un modo insolito e apparentemente banale, dicendo al lettore che quello che sta leggendo è l'inizio del vangelo di Gesù. Un'affermazione questa che lascia perplessi, dato che tutti i libri cominciano dal loro inizio e non è il caso che si sprechi un versetto per dirlo. Ma evidentemente quel “archē” (inizio) assume per l'evangelista un significato del tutto particolare. L'inizio di cui si parla non è soltanto l'inizio di un racconto, ma un "arché", cioè un principio da cui tutto discende. Il termine greco "arché" ci riporta alle origini della creazione: "In principio Dio creò il cielo e la terra" (Gen 1,1) e fu proprio in questo principio, assoluto e unico, che risuonò la parola creatrice. Marco, quindi, vede in Gesù l'inizio di una nuova creazione.

L'inizio di cui si parla è quello di un "vangelo", cioè l'inizio di un lieto annuncio, il cui contenuto è Gesù stesso: «di Gesù Cristo, Figlio di Dio», cioè appartiene a Gesù e si origina da lui. Marco fin da subito mette in chiaro chi è l'eroe del suo racconto e, quindi, come va letta e compresa la sua figura e, di conseguenza, la sua missione. Il suo personaggio è innanzitutto chiamato Gesù, dichiarandone, in tal modo, la dimensione storico-umana: egli è un vero uomo, che si muove ed opera in mezzo agli uomini. Gesù, dunque, non è una realtà metafisica, piovuta dal cielo chissà in quale modo, ma ha profonde radici umane ed è, grazie alla sua umanità, incardinato nella storia, che condivide con il resto degli uomini. In ciò Gesù dimostra tutta la sua solidarietà con il genere umano. In tale nome, poi, è racchiuso il senso più vero e profondo della sua missione. In ebraico, infatti, il nome Gesù (Yeshua) significa "Dio salva"; il lettore, pertanto, è invitato a cogliere in questo uomo l'azione salvifica di Dio stesso.

Ed ecco, quindi, che accanto al nome Gesù compare subito l'attributo "Cristo". Il profeta Natan aveva promesso a Davide una discendenza, che avrebbe reso stabile il suo regno. Da quel momento il popolo ebreo attendeva questa "discendenza", questo "Unto del Signore", a lui consacrato. Nell'immaginario del popolo le attese erano rivolte ad una sorta di super uomo, politico, militare e religioso, che avrebbe dato lustro, splendore e stabilità ad Israele sopra tutti gli altri popoli, e che avrebbe fondato sulla terra il regno di Dio. Marco vede in Gesù il realizzarsi di questa antica profezia, che supera, però, le ristrette visioni storiche e terrene del popolo. Certo, Gesù è il vero Messia atteso, ma la sua messianicità non è così come è sempre stata pensata dagli uomini, ma è posta al servizio di Dio e si rivelerà gradualmente nel doloroso cammino verso la croce, che lascerà sbigottiti, increduli e riluttanti i suoi stessi discepoli. Marco, quindi, vede in Gesù l'Unto di Dio, l'uomo che Dio aveva promesso a Davide e che aveva pensato da sempre per il suo popolo e per l'intera umanità.

Capire, quindi, che Gesù è il Cristo atteso è il primo passo per poter accedere all'altra incredibile realtà, presente in lui: egli è anche Figlio di Dio. L'essere "figlio di Dio" era uno dei titoli attribuiti al Messia; era anche il titolo riconosciuto ai re. Ma Gesù nel corso della sua vita ha dimostrato che il suo essere "Figlio di Dio" aveva radici molto profonde, sconosciute fino ad allora, testimoniando una relazione unica, privilegiata ed esclusiva con Dio, che chiamava "Padre" in senso reale e non metaforico, denunciando, in tal modo la sua vera origine e natura.  

Il vangelo di Marco, quindi, diventa un cammino alla scoperta della vera natura e del vero essere di Gesù. Si parte dalla sua umanità, definita e contenuta nel nome Gesù, per accedere alla sua messianicità, condensata nel titolo di «Cristo», per giungere alla scoperta del titolo dei titoli: «Figlio di Dio» e, quindi, Dio lui stesso.

Il racconto di Marco continua poi con un solenne e autorevole “Come è scritto nel profeta Isaia...”. Alla base di tutto, dunque, ecco la Scrittura, la Parola creatrice di Dio, che trova nell'evento Gesù la sua incarnazione e la sua piena manifestazione. Gesù, dunque, è la Parola del Padre che si fa storia e diviene azione redentrice di Dio in mezzo agli uomini.

Il profeta Isaia esortava il popolo d'Israele, prigioniero a Babilonia, ad aprirsi alla speranza e a preparare la via del ritorno in patria come una sorta di secondo esodo, attraverso il deserto, dove il resto d'Israele, quello rimasto fedele a Dio, avrebbe visto la gloria del Signore.

Ed è proprio sulla spinta del profeta Isaia che il “maestro di Giustizia”, l'enigmatica figura della comunità di Qumran, creò la sua comunità in mezzo al deserto, in attesa della venuta del Messia. Una sorta di comunità monacale animata da forti tensioni escatologiche ed apocalittiche.

Il “deserto” è una parola emblematica e molto significativa nella storia di Israele, perché è da lì che è partita la sua storia della salvezza; lì ha ricevuto la sua identità diventando proprietà di Dio; ed è sempre lì, nel deserto, che Israele viene messo alla prova e trova il suo riscatto e la sua rigenerazione spirituale. In tal guisa, è ancora da qui, dal deserto, che parte ora la storia di un nuovo Israele, a cui Marco allude, richiamandosi ai testi profetici. Ecco perché Marco vede la sua opera come un “archē”, come un inizio.

 

 

 

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1Cor 1,3-9

1Corinzi 1:3 grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo.

1Corinzi 1:4 Ringrazio continuamente il mio Dio per voi, a motivo della grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù,

 

Il saluto iniziale di Paolo non è semplice forma, ma un Annuncio, «grazia a voi e pace». Questo binomio è una novità assoluta, non ha precedenti, perché i greci salutavano con «charis» mentre gli ebrei salutavano con «shalom». Paolo mette insieme le due cose, unendo il saluto ebraico a quello greco.

La «grazia» è il dono gratuito della riconciliazione dell'uomo con Dio, con se stesso e con gli altri. La «pace» è quella messianica, portata da Gesù, con tutta la pienezza di vita che ci ha guadagnato attraverso la sua morte e risurrezione; è la calma profonda che riempie il cuore di chi sa e si sente riconciliato con Dio. Questi doni vengono dal Padre e dal Signore Gesù Cristo. Gesù viene considerato, unitamente al Padre, fonte di benedizioni.

Facilmente si dice che la grazia e la pace sono un dono di Dio; difficilmente invece si afferma che esse possono maturare solo nella volontà dell’uomo e nella sua perseveranza, e che sono date a noi sotto forma di granellino di senapa. Se mancano i frutti dell’uomo, il dono ricevuto diviene come un seme che cade sulla strada. Esso è mangiato dagli uccelli del cielo. Questo deve significare per tutti noi una cosa: Dio dona la sua grazia, dona il suo amore, ma è dovere di ogni uomo non solo accogliere questo dono gratuito della misericordia del Padre, quanto di farlo sviluppare nel suo cuore e nella sua vita.

Paolo dice: «rendo del continuo grazie». La comunità di Corinto ha tanti problemi, tanti peccati, tante difficoltà, ma ecco che l'apostolo non va a guardare subito queste cose, guarda per prima cosa il bene che questa comunità ha. È fatta di persone che hanno accettato che Dio è Padre. E Paolo ringrazia: in greco c'è la parola «eucharistō», fare eucarestia, ringraziare. L'atteggiamento fondamentale del credente è sempre un atteggiamento di rendimento di grazie. I numerosi difetti esistenti nella chiesa non nascondono all’occhio dell’apostolo quello che vi è di buono.

Di solito, questo non è il modo normale con il quale noi consideriamo le cose. Invece di star lì sempre nelle proprie angustie e nei patemi del misurarsi con l'altro continuamente, vedere cos'ha, cosa non ha e nell'invidiare quelle due che ha e nel criticarlo per le cinque che non ha, ma dico, perché stiamo al mondo? Per invidiare e criticare? L'atteggiamento costante della vita che c’insegna Paolo è l'eucarestia, cioè il rendere grazie e godere del dono di Dio.

Paolo non ha una concezione della vita ottimistica, ove tutto finisce bene - adesso piove ma dopo verrà sereno... No, Paolo concepisce la vita come un dono. Allora dice grazie! In genere noi abbiamo il carisma della lagna, vediamo sempre quello che manca.

Paolo non solo ringrazia Dio per quanto ha fatto per lui, ma ringrazia Dio continuamente anche per tutti coloro che sono stati arricchiti dalla sua grazia e dalla sua verità. Cristo e la Chiesa sono un corpo unico, non due corpi, non molti corpi. Lutero ha separato Cristo dalla sua Chiesa, Cristo dal suo corpo. Ma se avesse ragione non siamo più in Cristo. Non è veramente in Cristo chi non è veramente nella sua Chiesa; non è veramente nella sua Chiesa, chi non è veramente in Cristo Gesù e si è in Cristo Gesù se si è nella pienezza della sua grazia e della sua verità.

La ragione per cui Paolo ringrazia continuamente Dio si trova in questa unità perfetta tra Cristo e la sua Chiesa. Paolo è corpo di Cristo, e in quanto corpo di Cristo ringrazia Dio. Ringraziando Dio come corpo di Cristo, lo ringrazia per se stesso e per gli altri, ma lo ringrazia dal corpo di Cristo e nel corpo di Cristo, lo ringrazia cioè da santo.

Se noi riuscissimo a capire questa verità che Paolo trasforma in preghiera, faremmo fare alle nostre comunità un salto di qualità veramente notevole nella santità. Cesserebbero gelosie, invidie, dissensi, discrepanze ed ogni altro genere di divisione. Tutti sapremmo che c’è un solo Cristo, un solo corpo di Cristo, una sola Chiesa, e tutti noi siamo quest’unico Cristo, quest’unico corpo, quest’unica Chiesa… E i poteri forti di questo mondo tremerebbero.

 

 

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"His" in a very literal sense: the One whom only the Son knows as Father, and by whom alone He is mutually known. We are now on the same ground, from which the prologue of the Gospel of John will later arise (Pope John Paul II)
“Suo” in senso quanto mai letterale: Colui che solo il Figlio conosce come Padre, e dal quale soltanto è reciprocamente conosciuto. Ci troviamo ormai sullo stesso terreno, dal quale più tardi sorgerà il prologo del Vangelo di Giovanni (Papa Giovanni Paolo II)
We come to bless him because of what he revealed, eight centuries ago, to a "Little", to the Poor Man of Assisi; - things in heaven and on earth, that philosophers "had not even dreamed"; - things hidden to those who are "wise" only humanly, and only humanly "intelligent"; - these "things" the Father, the Lord of heaven and earth, revealed to Francis and through Francis (Pope John Paul II)
Veniamo per benedirlo a motivo di ciò che egli ha rivelato, otto secoli fa, a un “Piccolo”, al Poverello d’Assisi; – le cose in cielo e sulla terra, che i filosofi “non avevano nemmeno sognato”; – le cose nascoste a coloro che sono “sapienti” soltanto umanamente, e soltanto umanamente “intelligenti”; – queste “cose” il Padre, il Signore del cielo e della terra, ha rivelato a Francesco e mediante Francesco (Papa Giovanni Paolo II)
But what moves me even more strongly to proclaim the urgency of missionary evangelization is the fact that it is the primary service which the Church can render to every individual and to all humanity [Redemptoris Missio n.2]
Ma ciò che ancor più mi spinge a proclamare l'urgenza dell'evangelizzazione missionaria è che essa costituisce il primo servizio che la chiesa può rendere a ciascun uomo e all'intera umanità [Redemptoris Missio n.2]
That 'always seeing the face of the Father' is the highest manifestation of the worship of God. It can be said to constitute that 'heavenly liturgy', performed on behalf of the whole universe [John Paul II]
Quel “vedere sempre la faccia del Padre” è la manifestazione più alta dell’adorazione di Dio. Si può dire che essa costituisce quella “liturgia celeste”, compiuta a nome di tutto l’universo [Giovanni Paolo II]
Who is freer than the One who is the Almighty? He did not, however, live his freedom as an arbitrary power or as domination (Pope Benedict)
Chi è libero più di Lui che è l'Onnipotente? Egli però non ha vissuto la sua libertà come arbitrio o come dominio (Papa Benedetto)
The Church with her permanent contradiction: between the ideal and reality, the more annoying contradiction, the more the ideal is affirmed sublime, evangelical, sacred, divine, and the reality is often petty, narrow, defective, sometimes even selfish (Pope Paul VI)
La Chiesa con la sua permanente contraddizione: tra l’ideale e la realtà, tanto più fastidiosa contraddizione, quanto più l’ideale è affermato sublime, evangelico, sacro, divino, e la realtà si presenta spesso meschina, angusta, difettosa, alcune volte perfino egoista (Papa Paolo VI)
St Augustine wrote in this regard: “as, therefore, there is in the Catholic — meaning the Church — something which is not Catholic, so there may be something which is Catholic outside the Catholic Church” [Pope Benedict]
Sant’Agostino scrive a proposito: «Come nella Cattolica – cioè nella Chiesa – si può trovare ciò che non è cattolico, così fuori della Cattolica può esservi qualcosa di cattolico» [Papa Benedetto]

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