don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Set 14, 2025

Luce che incontra

Pubblicato in Angolo dell'apripista

Gesù utilizza le metafore del sale e della luce e le sue parole sono dirette ai discepoli di ogni tempo, quindi anche a noi.

Gesù ci invita ad essere un riflesso della sua luce, attraverso la testimonianza delle opere buone. E dice: «Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,16). Queste parole sottolineano che noi siamo riconoscibili come veri discepoli di Colui che è la Luce del mondo, non nelle parole, ma dalle nostre opere. Infatti, è soprattutto il nostro comportamento che – nel bene e nel male – lascia un segno negli altri. Abbiamo quindi un compito e una responsabilità per il dono ricevuto: la luce della fede, che è in noi per mezzo di Cristo e dell’azione dello Spirito Santo, non dobbiamo trattenerla come se fosse nostra proprietà. Siamo invece chiamati a farla risplendere nel mondo, a donarla agli altri mediante le opere buone. E quanto ha bisogno il mondo della luce del Vangelo che trasforma, guarisce e garantisce la salvezza a chi lo accoglie! Questa luce noi dobbiamo portarla con le nostre opere buone.

La luce della nostra fede, donandosi, non si spegne ma si rafforza. Invece può venir meno se non la alimentiamo con l’amore e con le opere di carità. Così l’immagine della luce s’incontra con quella del sale.

Ognuno di noi è chiamato ad essere luce e sale nel proprio ambiente di vita quotidiana, perseverando nel compito di rigenerare la realtà umana nello spirito del Vangelo e nella prospettiva del regno di Dio. Ci sia sempre di aiuto la protezione di Maria Santissima, prima discepola di Gesù e modello dei credenti che vivono ogni giorno nella storia la loro vocazione e missione. La nostra Madre ci aiuti a lasciarci sempre purificare e illuminare dal Signore, per diventare a nostra volta “sale della terra” e “luce del mondo”.

[Papa Francesco, Angelus 5 febbraio 2017]

Astuzia cristiana: senso del dovere e del “padrone” giusto

(Lc 16,1-13)

 

In «La morte di Peregrino» [De morte Peregrini, 13] l’irriverente Luciano di Samosata, polemista del II sec. - così si esprime nei confronti dei cristiani:

«Il loro primo Legislatore li persuade che sono tutti fratelli tra loro e, come si convertono, rinnegando gli dei greci, adorano quel sapiente Crocifisso, e vivono secondo le sue leggi. Per la qualcosa disprezzano tutti i beni egualmente e li credono comuni e non se ne curano quando li hanno. Perciò se tra loro sorgesse un accorto impostore che sapesse ben maneggiarli, immediatamente diventerebbe ricco, canzonando questa gente credulona e sciocca».

 

A maggior ragione dei privati, la società ecclesiale gestisce beni per se stessi comuni, sacri, non esclusivi.

Ma un responsabile, leader di comunità [cf. v.14], viene accusato di approfittare della sua posizione di amministratore dei beni di Dio e della chiesa.

La Torah, le normative specifiche e tutto il costume ufficiale dell’Oriente antico vietavano di chiedere interessi sulle forniture (o prestiti) di derrate alimentari.

Malgrado ciò, di fatto e sottobanco i possidenti facevano leva sul ricatto. Trattenendo compensi indebiti e lauti, sulle transazioni.

Allora il “pizzicato” mette in campo la valutazione giusta: ricalcola e allinea la contabilità - rinunciando all’illecito introito che aveva accarezzato di godersi in prima persona.

Sebbene abituato ad andare a testa alta in società, il tizio sceglie finalmente di non proseguire cocciutamente nell’imbroglio delle quote in aggiunta, che non gli spettavano.

Coglie l’occasione che si presenta sulla sua strada. Questo il punto che Lc sottolinea. E decide prontamente di non continuare a corrompere se stesso e gli altri: opzione valida.

Viene dunque lodato (v.8) perché si accorge di un’altra possibilità. E lo fa con equa ‘scaltrezza’, stavolta non aleatoria.

 

La Via spirituale ha un crocevia crudo: chiedersi se ricominciare nello stile d’accumulo-e-trattenere, o puntare sulla qualità dei rapporti.

Opera eccellente della Fede nell’esperienza ecclesiale - e soglia della gioia - è trasformare le risorse in Vita e Relazione.

Insomma, non basta uno spiritualismo di carattere sentimentale. Bisogna sanare i bilanci ed evitare le cordate [cf. v.14].

Giustizia e destinazione universale dei beni non sono semplici aggiunte, di cui si possa sfumare il senso.

Ristabilita la verità, ecco un bel metodo per «purificare» anche la ricchezza iniqua: usarla per i destinatari.

 

Malgrado gli errori che si possono commettere - sempre possiamo dare una svolta decisiva.

Insomma, la pienezza del Regno di Dio si realizza attraverso l’Incontro, e i beni hanno senso come possibilità di sviluppo umano (vv.9-13).

Pertanto le guide spirituali devono essere i primi testimoni di detta funzione sociale, umanizzante e divina.

Essi sono chiamati a disporre delle risorse comuni in modo non allegro né spensierato, bensì con spiccato senso di responsabilità - senza ombra alcuna.

 

 

[25.a Domenica T.O. (anno C), 21 settembre 2025]

La scelta giusta, nel piccolo e nel grande

Lc 16,1-13 (1-15)

 

Astuzia cristiana: senso del dovere e del “padrone” giusto

(Lc 16,1-8)

 

Ci chiediamo: c’è un altro stile di vita, oltre il vezzo di farsi valere in qualsiasi circostanza? Cosa genera tanti attriti senza posa né criterio, anche in tempi di sottomissione? Qual è la soluzione per edificare una casa comune? E il primo passo concreto per il futuro?

Lc parla molto chiaro, cesellando una catechesi probabilmente tratta da un’esperienza viva che ha segnato l’ambiente dei credenti.

 

«Chi [è] fedele in una cosa minima è fedele anche in una cosa grande, e [chi] è ingiusto in una cosa minima è ingiusto anche in una cosa grande» (Lc 16,10).

In «La morte di Peregrino» [De morte Peregrini, 13] l’irriverente Luciano di Samosata, polemista del II sec. - così si esprime nei confronti dei cristiani:

«Il loro primo Legislatore li persuade che sono tutti fratelli tra loro e, come si convertono, rinnegando gli dei greci, adorano quel sapiente Crocifisso, e vivono secondo le sue leggi. Per la qualcosa disprezzano tutti i beni egualmente e li credono comuni e non se ne curano quando li hanno. Perciò se tra loro sorgesse un accorto impostore che sapesse ben maneggiarli, immediatamente diventerebbe ricco, canzonando questa gente credulona e sciocca».

 

Ipotizziamo la situazione, probabilmente da riferire a un veterano della cerchia giudeo cristiana [considerata nei Vangeli quella dei “farisei” di ritorno nelle assemblee dei primi tempi] (cf. Lc 16,14).

Un responsabile, leader di comunità [cf. v.14], viene accusato di profittare della posizione di amministratore dei beni di Dio e della chiesa.

La Torah, le normative specifiche e tutto il costume ufficiale dell’Oriente antico vietavano di chiedere interessi sulle forniture (o prestiti) di derrate alimentari.

Ma di fatto e sottobanco i possidenti facevano leva sul ricatto. Trattenendo compensi indebiti e lauti, sulle transazioni.

La percentuale di scremature dipendeva dalla capacità di scrutare i bisogni e alzare il tasso d’interesse - persino sul frumento, l’olio e il cibo base.

Anche il coordinatore di chiesa si era lasciato sedurre dal malcostume corrente, per un facile guadagno (sulla fame della gente).

Avendo fatto a lungo orecchie da mercante, lo scandalo emerge (fra dirigenti e gruppi che si fregiano del nome Cristiano!).

L’uomo di spicco viene messo alle strette per un rendiconto trasparente.

Allora il “pizzicato” sceglie di ricalcolare e allineare la contabilità - rinunciando all’illecito introito che aveva accarezzato di godersi in prima persona.

Tutto avrebbe dovuto essere messo a disposizione dei fedeli e del bene comune, senza intrallazzi (privi di controllo - soliti).

Sebbene abituato ad andare a testa alta in società, il tizio sceglie finalmente di non proseguire cocciutamente nell’inguaribile imbroglio delle quote in aggiunta che non gli spettavano.

I tesori (di Dio) sono da condividere, senza ricarico privato - quindi evita di arrampicarsi sugli specchi, piroettare, cercare l’appoggio di complici o di cordate [cf. v.14] e gruppi di ammanicati.

Coglie l’occasione che si presenta sulla sua strada. Questo il punto che Lc sottolinea. E decide prontamente di non continuare a corrompere se stesso e gli altri: opzione valida.

Le cose sono evidenti e non accampa quel genere di spiegazioni - come purtroppo capita - che cronicizzano e degenerano la situazione.

Viene dunque lodato (v.8) perché invece di tornare ad alimentare se stesso e il suo codazzo… si accorge di un’altra possibilità.

C’è un Altrove da percepire, qui; con previdente tensione interiore ed equa “scaltrezza”, stavolta non aleatoria.

La Via spirituale ha un crocevia crudo: chiedersi se ricominciare nello stile d’accumulo-e-trattenere, o puntare sulla qualità dei rapporti.

Non più intimidazioni del tipo: «Tu non sai chi sono io»; «Voi non sapete chi e quanti siamo noi» - e tentativi appiccicati al tornaconto.

Non più imbrogli da celare e sotterfugi distruttivi, per un’allegra gestione amministrativa: meglio sfigurare personalmente che essere complici attivi e omertosi di un altro “dio” (quello che dà ordini opposti ai consigli del Padre).

Opera eccellente della Fede nell’esperienza ecclesiale - e soglia della gioia - è trasformare le risorse in Vita e Relazione.

Ecco la nostra Guida per il domani e la felicità, sempre.

Giustizia e destinazione universale dei beni non sono semplici aggiunte all’andare devoto, di cui si possa sfumare il senso - anche laddove le pertinenze comunitarie fossero appannaggio di chi ha mani e piedi dappertutto: cricche dalle buone maniere e pessime abitudini.

Esiste un’altra proficuità e funzionalità degli antichi profitti disinvolti: non quelli dell’economia liberale e della proprietà privata, ma dell’Amicizia libera, che non trattiene - capacità di ricreare equilibri dove non sono; coltivare uguaglianza e trasparenza, felicità e vita diffusa.

 

Non basta uno spiritualismo di carattere sentimentale. Bisogna sanare i bilanci.

Ristabilita la verità e senza guardare in faccia a nessun primattore, né a “compagni di merende” o gruppi di pressione, ecco un bel metodo per «purificare» anche la ricchezza iniqua: usarla per i destinatari.

È l’unica valutazione giusta, che annienta il malcostume e le stranissime competizioni fra poveracci senza dote e a testa in giù, che paiono destinati solo a friggere.

Siamo chiamati a usare le “nostre” energie e risorse per dilatare l’esistere di tutti, invece di continuare a beccarsi e papparci per far vedere chi comanda.

Questo è - malgrado gli errori che si possono commettere - dare la svolta decisiva, per una vita bella.

Insomma, la pienezza del Regno di Dio si realizza attraverso l’incontro, e i beni hanno senso come possibilità di sviluppo umano (cf. vv.9-13).

 

Nell’enciclica Fratelli Tutti leggiamo al n.120:

«la tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto o intoccabile il diritto alla proprietà privata, e ha messo in risalto la funzione sociale di qualunque forma di proprietà privata. Il principio dell’uso comune dei beni creati per tutti è il primo principio di tutto l’ordinamento etico-sociale, è un diritto naturale, originario e prioritario. Tutti gli altri diritti sui beni necessari alla realizzazione integrale delle persone, inclusi quello della proprietà privata e qualunque altro, non devono quindi intralciare, bensì, al contrario, facilitarne la realizzazione [...] Il diritto alla proprietà privata si può considerare solo come un diritto naturale secondario e derivato dal principio della destinazione universale dei beni creati, e ciò ha conseguenze molto concrete, che devono riflettersi sul funzionamento della società. Accade però frequentemente che i diritti secondari si pongono al di sopra di quelli prioritari e originari, privandoli di rilevanza pratica».

 

Tale diritto-base è senza frontiere, e altrettanto vale per il funzionamento della società ecclesiale - non cooptata, né occulta.

A maggior ragione dei privati, essa deve rendere conto senza trucchi: gestisce infatti beni per se stessi comuni, variegati, sacri e non esclusivi.

I responsabili di Chiesa sono i primi chiamati a vincere l’unilateralità del ruolo e delle risorse, tantomeno da gestire come fossero di proprietà selettiva o di club riservati.

Pertanto le guide spirituali devono essere i primi testimoni di detta funzione sociale, umanizzante e divina.

Essi sono chiamati a disporre delle risorse da “spezzare” in modo non allegro e spensierato, bensì con spiccato senso di responsabilità - senza ombra alcuna.

 

«Renzo abbracciò molto volentieri questo parere; Lucia l'approvò; e Agnese, superba d'averlo dato, levò, a una a una, le povere bestie dalla stìa, riunì le loro otto gambe, come se facesse un mazzetto di fiori, le avvolse e le strinse con uno spago, e le consegnò in mano a Renzo; il quale, date e ricevute parole di speranza, uscì dalla parte dell'orto, per non esser veduto da' ragazzi, che gli correrebber dietro, gridando: lo sposo! lo sposo! Così, attraversando i campi o, come dicon colà, i luoghi, se n'andò per viottole, fremendo, ripensando alla sua disgrazia, e ruminando il discorso da fare al dottor Azzecca-garbugli. Lascio poi pensare al lettore, come dovessero stare in viaggio quelle povere bestie, così legate e tenute per le zampe, a capo all'in giù, nella mano d'un uomo il quale, agitato da tante passioni, accompagnava col gesto i pensieri che gli passavan a tumulto per la mente. Ora stendeva il braccio per collera, ora l'alzava per disperazione, ora lo dibatteva in aria, come per minaccia, e, in tutti i modi, dava loro di fiere scosse, e faceva balzare quelle quattro teste spenzolate; le quali intanto s'ingegnavano a beccarsi l'una con l'altra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura» [I Promessi Sposi, cap.3].

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Nella tua comunità l’amministrazione dei beni è pubblica, regolare e trasparente o cronico appannaggio d’individui e gruppi senza controllo?

 

 

Amministratori onesti - a vario livello - e Casa comune

 

Mammona nel piccolo e nel grande

(Lc 16,9-15)

 

«In definitiva, dice Gesù, occorre decidersi: “Non potete servire a Dio e a mammona” (Lc 16,13). Mammona è un termine di origine fenicia che evoca sicurezza economica e successo negli affari; potremmo dire che nella ricchezza viene indicato l’idolo a cui si sacrifica tutto pur di raggiungere il proprio successo materiale e così questo successo economico diventa il vero dio di una persona. È necessaria quindi una decisione fondamentale» [papa Benedetto, omelia a Velletri 23 settembre 2007].

Il responsabile di chiesa “pizzicato” ad approfittarsi dei beni della comunità (vv.1-8) sapeva fare grandi discorsi - forse strumentali - sulla solidarietà necessaria, ma non viveva la fraternità concreta.

Ecco dunque una catechesi di Lc sulla fedeltà nel piccolo e nel grande: insegnamento attualissimo. Anche oggi infatti non mancano corifei dai grandi proclami... assai diffusi, però anche solo per darsi tono.

Sovvenire nel concreto e giocarsi la vita - mettendosi una mano sulla coscienza e una nel portafoglio - resta cosa purtroppo ancora faticosa e rara.

Molti non trovano di meglio che girare la testa dall’altra parte e svicolare, delegando colpe e responsabilità al “sistema”, alla crisi contingente, etc. - non senza appigli o ragioni concrete.

Invece, come sottolinea l'enciclica sociale di Papa Francesco, il mondo più giusto è opera «laboriosa, artigianale» (FT n.217).

«E io vi dico, fatevi amici dal mammona ingiusto affinché quando verrà a mancare vi accolgano nelle tende eterne.

Chi fedele in una cosa minima, è fedele anche in una cosa grande, e chi ingiusto in una cosa minima, è ingiusto anche in una cosa grande.

Se dunque non siete stati fedeli con il mammona ingiusto, chi vi affiderà la [ricchezza] vera?

E se non siete stati fedeli con la [ricchezza] altrui, chi vi darà la vostra?» (Lc 16,9-12).

 

 

Nell’intento dell’evangelista la vicenda particolare cui si allude nei vv. precedenti doveva servire a formare in modo concreto le sue piccole comunità sull’uso dei beni materiali.

Dopo un errore che anche i capi possono commettere, persino la ricchezza ingiusta può essere ben usata in favore di tutti - per creare già sulla terra quel clima di vitalità serena indistruttibile che è tratto e attributo della condizione divina.

Nella Chiesa autentica il misero - oppresso, ribassato, impoverito e reso pitocco dalla società competitiva - ritrova stima, speranza, voglia di vivere; col semplice aiuto di fratelli altrettanto bisognosi.

In origine (infatti) tutte le comunità sorsero tra indigenti. Poco a poco iniziarono ad affacciarsi anche benestanti.

Sembrava una grande apertura al futuro di Dio; invece, man mano che il tempo passava, ci si accorgeva della crescita d’insensibilità e chiusura del cuore, nei nuovi ceti abbienti e nelle chiese.

L’ingresso dei ricchi - inizialmente ben visto - recò nel tempo non pochi problemi, anche di gestione interna delle risorse collettive.

I beni comuni diventarono talora appannaggio esclusivo di dirigenti che sembravano non avere più idee chiare sul ruolo sociale del denaro.

 

I primi cristiani avevano compreso che la fede nella risurrezione è incompatibile con l’attaccamento all’effimero. Ma si trattava di condizione rischiosa.

A tale riguardo è significativa la testimonianza indiretta di Luciano di Samosata (125-192) autore di satire contro superstizioni e credulonerie tra le quali annovera anche il cristianesimo.

Con linguaggio scanzonato, egli descrive in «La morte di Peregrino» [De morte Peregrini, 13] l’impatto che la Fede esercitava sulla vita dei cristiani del suo tempo, e con fermezza non convenzionale:

«Il loro primo legislatore li persuade che sono tutti fratelli tra loro e, come si convertono, rinnegando gli dei greci, adorano quel sapiente crocifisso e vivono secondo le sue leggi. Per la qualcosa disprezzano tutti i beni egualmente e li credono comuni e non se ne curano quando li hanno. Perciò se tra loro sorgesse un accorto impostore che sapesse ben maneggiarli, immediatamente diventerebbe ricco, canzonando questa gente credulona e sciocca».

 

La Liberazione dagli idoli del patrimonio privato che Gesù propone stimolava le anime anche più svelte e affermate ad apprezzare la trasformazione delle proprietà in relazione e possibilità di vita altrui.

Ovviamente per introdurre tale modello di condivisione e incontrare il mondo esterno, la scelta doveva iniziare da vicino a sé: non si poteva opprimere sorelle e fratelli di credo, e predicare giustizia al mondo.

L’emancipazione inizia nel piccolo della propria famiglia, dei conoscenti e amici; nello spicciolo dei rapporti interni e giornalieri.

Il fatto è che Dio e il denaro danno ordini opposti. Uno distoglie l'altro.

Quindi prima o poi anche chi è motivato da ottime intenzioni può giungere a disprezzare il Padre, la Comunione, gli ideali vissuti anche nel sommario - e affezionarsi a scorciatoie banali.

I leaders religiosi ufficiali, tutti congregati nella difesa dei lauti guadagni assicurati dal mondo antico - che (avidamente) sorreggevano a spada tratta - onoravano sì l’Eterno nei segni, ma... cedevano alla tentazione.

Privi ormai sia di scelte di fondo che di dettaglio, i direttori se la ridevano alle spalle di Gesù, tramando di nascosto e di concerto. Ancora oggi purtroppo trattandolo come un ingenuo sognatore da strapazzo (vv.14-15).

Eppure il Maestro continua a sgolarsi, affinché anche noi entriamo nella sua nuova Economia «proattiva» [come forse la definirebbero i vescovi del Sudafrica, e la recente enciclica sociale].

Economia della gratuità che non depaupera - per una «maggior ricchezza possibile» che spegne il «desiderio di dominare», ma fa «stare insieme come esseri umani» (FT n.229).

 

Qui l’esiguo diventa rilevante. La sfida è aperta.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Sei genericamente solidale o... fraterno nel conquibus?

Hai provato l’esperienza del dono che non depaupera, bensì arricchisce?

In ambito ecclesiale, ti sei sentito deprivato, o viceversa umanizzato?

[…]  ho avuto modo di soffermarmi a riflettere sul retto uso dei beni terreni, un tema che in queste domeniche l’evangelista Luca, in vari modi, ha riproposto alla nostra attenzione. Raccontando la parabola di un amministratore disonesto ma assai scaltro, Cristo insegna ai suoi discepoli quale è il modo migliore di utilizzare il denaro e le ricchezze materiali, e cioè condividerli con i poveri procurandosi così la loro amicizia, in vista del Regno dei cieli. "Procuratevi amici con la disonesta ricchezza – dice Gesù – perché quando essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne" (Lc 16,9). Il denaro non è "disonesto" in se stesso, ma più di ogni altra cosa può chiudere l’uomo in un cieco egoismo. Si tratta dunque di operare una sorta di "conversione" dei beni economici: invece di usarli solo per interesse proprio, occorre pensare anche alle necessità dei poveri, imitando Cristo stesso, il quale – scrive san Paolo – "da ricco che era si fece povero per arricchire noi con la sua povertà" (2 Cor 8,9). Sembra un paradosso: Cristo non ci ha arricchiti con la sua ricchezza, ma con la sua povertà, cioè con il suo amore che lo ha spinto a darsi totalmente a noi.

Qui potrebbe aprirsi un vasto e complesso campo di riflessione sul tema della ricchezza e della povertà, anche su scala mondiale, in cui si confrontano due logiche economiche: la logica del profitto e quella della equa distribuzione dei beni, che non sono in contraddizione l’una con l’altra, purché il loro rapporto sia bene ordinato. La dottrina sociale cattolica ha sempre sostenuto che l’equa distribuzione dei beni è prioritaria. Il profitto è naturalmente legittimo e, nella giusta misura, necessario allo sviluppo economico. Giovanni Paolo II così scrisse nell’Enciclica Centesimus annus: "la moderna economia d’impresa comporta aspetti positivi, la cui radice è la libertà della persona, che si esprime in campo economico come in tanti altri campi" (n. 32). Tuttavia, egli aggiunse, il capitalismo non va considerato come l’unico modello valido di organizzazione economica (cfr ivi, 35). L’emergenza della fame e quella ecologica stanno a denunciare, con crescente evidenza, che la logica del profitto, se prevalente, incrementa la sproporzione tra ricchi e poveri e un rovinoso sfruttamento del pianeta. Quando invece prevale la logica della condivisione e della solidarietà, è possibile correggere la rotta e orientarla verso uno sviluppo equo e sostenibile.

Maria Santissima, che nel Magnificat proclama: il Signore "ha ricolmato di beni gli affamati, / ha rimandato i ricchi a mani vuote" (Lc 1,53), aiuti i cristiani ad usare con saggezza evangelica, cioè con generosa solidarietà, i beni terreni, ed ispiri ai governanti e agli economisti strategie lungimiranti che favoriscano l’autentico progresso di tutti i popoli.

[Papa Benedetto, Angelus 23 settembre 2007]

2. Vengono da lontano, si potrebbero quasi definire endemici, i problemi e le sfide che si presentano all’attività pastorale del Nordest brasiliano, ponendo ai pastori della Chiesa l’inquietante interrogativo: come evangelizzare così immense e povere popolazioni e condividere le angustie nate dalla loro povertà che riveste, nella vita reale, aspetti concretissimi, nei quali dovremmo riconoscere le sembianze sofferenti di Cristo? Come edificare la Chiesa, con la caratteristica che la distingue di “segnale e salvaguardia della dimensione trascendente della persona umana” e promotrice della sua dignità integrale, con queste “pietre vive”, quando la loro povertà non è, molte volte, solamente una tappa casuale di situazioni ineluttabili di fattori naturali, ma anche prodotto di determinate strutture economiche, sociali e politiche?

3. Non si può non ricordare con gratitudine in questa circostanza, per lo meno globalmente le pleiadi di missionari e pastori abnegati, virtuosi e devoti che vi hanno preceduto e che debbono essere considerati come i fondatori della Chiesa di Dio (cf. Ef 2, 20) nelle vostre attuali diocesi, o, per usare l’espressione patristica, “hanno lì generato” Chiese e non senza sofferenza. A loro tempo, essi si saranno sicuramente chiesti quale fosse il piano di Dio sulla vocazione di ciascun uomo nella costruzione della società, per renderla sempre più umana, giusta e fraterna, e come si potesse attuare la priorità delle priorità nell’evangelizzazione: cercare innanzitutto il regno di Dio e la sua giustizia.

5. I popoli e i gruppi umani, in generale, per poter progredire, gradualmente ed efficacemente e non solo soddisfare le immediate necessità vitali, hanno bisogno di solidarietà, per giungere all’indispensabile e permanente trasformazione delle strutture della vita economica. Ma non si presenta facile procedere lungo lo scosceso sentiero di questa trasformazione, se non interviene una vera conversione delle menti, della volontà e dei cuori, che faccia scomparire la confusione della libertà con l’istinto dell’interesse individuale e collettivo, o ancora con l’istinto di lotta e di predominio, qualunque siano i colori ideologici di cui essi si rivestono (cf. Giovanni Paolo II, Redemptor hominis, 16).

[Papa Giovanni Paolo II, Discorso ai Vescovi Brasiliani 16 settembre 1985]

La parabola contenuta nel Vangelo di questa domenica (cfr Lc 16,1-13) ha come protagonista un amministratore furbo e disonesto che, accusato di aver dilapidato i beni del padrone, sta per essere licenziato. In questa situazione difficile, egli non recrimina, non cerca giustificazioni né si lascia scoraggiare, ma escogita una via d’uscita per assicurarsi un futuro tranquillo. Reagisce dapprima con lucidità, riconoscendo i propri limiti: «Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno» (v. 3); poi agisce con astuzia, derubando per l’ultima volta il suo padrone. Infatti, chiama i debitori e riduce i debiti che hanno nei confronti del padrone, per farseli amici ed essere poi da loro ricompensato. Questo è farsi amici con la corruzione e ottenere gratitudine con la corruzione, come purtroppo è consuetudine oggi.

Gesù presenta questo esempio non certo per esortare alla disonestà, ma alla scaltrezza. Infatti sottolinea: «Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza» (v. 8), cioè con quel misto di intelligenza e furbizia, che ti permette di superare situazioni difficili. La chiave di lettura di questo racconto sta nell’invito di Gesù alla fine della parabola: «Fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne» (v. 9). Sembra un po’ confuso, questo, ma non lo è: la “ricchezza disonesta” è il denaro – detto anche “sterco del diavolo” – e in generale i beni materiali.

La ricchezza può spingere a erigere muri, creare divisioni e discriminazioni. Gesù, al contrario, invita i suoi discepoli ad invertire la rotta: “Fatevi degli amici con la ricchezza”. È un invito a saper trasformare beni e ricchezze in relazioni, perché le persone valgono più delle cose e contano più delle ricchezze possedute. Nella vita, infatti, porta frutto non chi ha tante ricchezze, ma chi crea e mantiene vivi tanti legami, tante relazioni, tante amicizie attraverso le diverse “ricchezze”, cioè i diversi doni di cui Dio l’ha dotato. Ma Gesù indica anche la finalità ultima della sua esortazione: “Fatevi degli amici con la ricchezza, perché essi vi accolgano nelle dimore eterne”. Ad accoglierci in Paradiso, se saremo capaci di trasformare le ricchezze in strumenti di fraternità e di solidarietà, non ci sarà soltanto Dio, ma anche coloro con i quali abbiamo condiviso, amministrandolo bene, quanto il Signore ha messo nelle nostre mani.

Fratelli e sorelle, questa pagina evangelica fa risuonare in noi l’interrogativo dell’amministratore disonesto, cacciato dal padrone: «Che cosa farò, ora?» (v. 3). Di fronte alle nostre mancanze, ai nostri fallimenti, Gesù ci assicura che siamo sempre in tempo per sanare con il bene il male compiuto. Chi ha causato lacrime, renda felice qualcuno; chi ha sottratto indebitamente, doni a chi è nel bisogno. Facendo così, saremo lodati dal Signore “perché abbiamo agito con scaltrezza”, cioè con la saggezza di chi si riconosce figlio di Dio e mette in gioco sé stesso per il Regno dei cieli.

La Vergine Santa ci aiuti ad essere scaltri nell’assicurarci non il successo mondano, ma la vita eterna, affinché al momento del giudizio finale le persone bisognose che abbiamo aiutato possano testimoniare che in loro abbiamo visto e servito il Signore.

[Papa Francesco, Angelus 22 settembre 2019]

Nella differenza tra religiosità comune e Fede personale

(Lc 8,4-15)

 

Le parabole pongono a confronto la realtà vissuta e il mondo dello Spirito:

«E un’altra parte cadde sulla terra quella bella, e germogliata fece frutto al centuplo» (v.8).

Il terreno sassoso e il clima rovente della Palestina non rendevano facile la vita dei lavoratori che vivevano di agricoltura.

La scarsità di piogge e l’intrusione nei campi di chi voleva abbreviare il cammino distruggeva le piante.

Un’azione faticosa e pochi risultati tangibili.

Malgrado le enormi difficoltà, ogni anno il contadino gettava chicchi a spaglio, generosamente - e arava, animato dalla fiducia nella forza vitale interna del seme e nella munificenza della natura.

L’aratura era successiva alla seminagione, per evitare che le zolle di terreno rivoltato seccassero immediatamente sotto la potente calura, e non consentissero ai grani di attecchire grazie a un minimo di umidità. 

Quindi il seminatore non selezionava anzitempo i diversi tipi di terreno.

 

Il Seme già opera: il nuovo “Regno che Viene” non è glorioso, ma qua e là alligna e produce - anche dove non t’aspetti.

A norma di mentalità religiosa antica sembra una follia, ma il divino Agricoltore non sceglie il tipo di “terreno”, né lo discrimina sulla base della percentuale produttiva - che pur sembrerebbe facile prevedere.

Il Seminatore accetta persino che il suo ‘chicco’ caduto sul terreno «bello» frutti in maniera diversa: il cento, il sessanta, il trenta per uno [Mt 13,8.23; Mc 4,8.20; il testo di Lc non parla di percentuali].

Con il termine «bello» (in senso orientale) s’intende il terreno pieno e fecondo [l’anima e l’opera dei discepoli più intimi, anche anonimi].

 

Il Signore vuol dire che l’opera di evangelizzazione non è misurabile con pignoleria.

La sua Parola permane come Inizio gettato nel cuore umano da Colui che non è taccagno, né esclusivo - bensì magnanimo.

In tal guisa, la Chiesa suo Popolo nuovo è un piccolo mondo alternativo sia all’Impero che alle religioni selettive.

Il nuovo Rabbi non aveva intenzione di ritagliarsi discepoli migliori di altri - isolati dalla realtà della famiglia umana.

Proponeva un nuovo stile di vita, convivente.

Insomma, Dio non forza la crescita del “granello” in ciascuno di noi, in modo astratto; ma attende con pazienza.

Accetta perfino che nasca male o che non spunti affatto. Conosce dove andare.

 

Visto che sparge in modo trabocchevole su tutti i generi di cuori (anche sull’asfalto), sa che verrà tacciato di essere poco accorto.

Ma Egli non si preoccupa della quantità, né dei frutti esteriori immediati della sua ‘semente’.

Non si cura che il lavoro risulti “efficace in partenza”!

Tale la amabile, umanizzante e divina, genitoriale Tolleranza che salva. Essa che non ci sequestra ogni attimo, a pianificare.

Gl’interessa piuttosto farci capire che non è un Dio calcolatore e avaro, esteriore, taccagno e prevenuto; bensì Padre munifico e conciliante.

Signore del Regno che non attende prima le nostre piccole ‘perfezioni’.

 

La metafora che segue la parabola iniziale vuole sottolineare che l’eventuale scarsità di risultato non è da attribuire alla mancanza di vitalità del Seme, né all’Opera divina, bensì alla libertà dell’uomo; alla sua condizione di limite o incoerenza.

 

Purtroppo, fin dalle prime generazioni di credenti, il richiamo positivo di Gesù è stato reinterpretato un po’ al contrario: con venature moraliste e individualiste (vv.11-15) che ne hanno intaccato la genuinità.

In tal guisa, la iniziale proposta di Fede personale si è contaminata con la consuetudinaria ottica purista e di ripiego [colpevolizzante] tipica delle filosofie e religioni circostanti, come del pensiero comune.

Alcune configurazioni di ordine ecclesiale hanno di seguito normalizzato la stessa potenza eccezionale del Messaggio; così inedito. In particolare, il nuovo senso di adeguatezza, fiducia e autostima che il Figlio di Dio intendeva comunicare ai suoi amici, e al mondo dei piccoli.

 

 

[Sabato 24.a sett. T.O. 20 settembre 2025]

Nella differenza tra religiosità comune e Fede personale

(Lc 8,4-15)

 

Il terreno sassoso e il clima rovente della Palestina non rendevano facile la vita degli agricoltori. La scarsità di piogge e l’intrusione nei campi di chi voleva abbreviare il cammino distruggeva le piante. Un’azione faticosa e pochi risultati tangibili.

Malgrado le enormi difficoltà, ogni anno il contadino gettava il seme a spaglio, generosamente - e arava, animato dalla fiducia nella forza vitale interna del seme e nella munificenza della natura.

L’aratura era successiva alla seminagione, per evitare che le zolle di terreno rivoltato seccassero immediatamente sotto la potente calura e non consentissero al seme di attecchire grazie a un minimo di umidità. Quindi il seminatore non selezionava anzitempo i diversi tipi di terreno.

La parabola (vv.5-8) che precede l’allegoria (vv.11-15) pone a confronto la realtà vissuta e il mondo dello Spirito. Il seme già opera: il nuovo ‘Regno che Viene’ non è glorioso, ma qua e là attecchisce e produce - anche dove non t’aspetti.

A norma di mentalità perbene sembra una follia, ma il divino “agricoltore” non sceglie il tipo di “terreno”, né lo discrimina sulla base della percentuale produttiva - che pur sembrerebbe facile prevedere.

Il Seminatore accetta persino che il suo ‘chicco’ caduto sul terreno «buono» (v.8) porti frutto nel tempo «con perseveranza» (v.15). A differenza di Mc e Mt, Lc parla unicamente del «frutto al centuplo» (v.8).

Gesù vuol dire che l’opera di evangelizzazione non è misurabile con pignoleria. La sua Parola permane come Inizio gettato nel cuore umano da Colui che non è spilorcio, né esclusivo - bensì magnanimo.

La sua Chiesa è un piccolo mondo alternativo sia all’Impero che alle religioni immediatamente selettive: il Signore non ha intenzione di ritagliarsi discepoli subito migliori di altri e isolati dalla realtà della famiglia umana. Un nuovo stile di vita.

Dio non forza la crescita del ‘granello’ in ciascuno di noi, ma attende con pazienza. Accetta anche che nasca male o che non spunti affatto.

Visto che sparge in modo strabocchevole su tutti i generi di cuori [anche sull’asfalto] sa che verrà tacciato di essere poco accorto: non si preoccupa dei frutti esteriori immediati (!) della sua “semente” - non si cura che il lavoro risulti “efficace in partenza” (!).

Ma gl’interessa farci capire che è un Padre, non il Dio calcolatore delle credenze antiche: avaro, esteriore, taccagno, scostante, prevenuto.

 

La metafora che segue la parabola iniziale vuole sottolineare che l’eventuale scarsità di risultato non è da attribuire alla mancanza di vitalità del Seme, né all’Opera divina, bensì alla libertà dell’uomo; alla sua condizione di limite o incoerenza.

 

Dio è munifico, in modo particolare nell’età della rinascita dalla crisi: anch’esso tempo di generosa seminagione da parte del Padre, “agricoltore” delle sue pianticelle - più avventurose e meno perbene che tradizionaliste.

Ovviamente la Parola del Maestro e Signore mette in guardia da tutto ciò che potrebbe impedire una nuova genesi - anzitutto per il fatto che spesso attendiamo di tornare meccanicamente ai ruoli antichi e al vecchio sistema di cose, assuefatto, esteriore, dirigista.

Siamo forse ancora troppo legati a brame e livelli economici precedenti ormai travolti dalle cose... non accettando l’affacciarsi degli opposti che mai avevamo sperimentato né programmato.

Pensiamo ancora di poter tornare al “tutto uguale a prima”; alla superficialità della società del look non radicato nel convincimento, subito entusiasta e che non fa spostare lo sguardo.

Invece la marea difforme viene affinché impariamo a fissare l’occhio dentro, altrove e oltre - per mettere a fuoco la nostra e altrui figura unica, nella convivialità delle differenze.

È probabile che il sapere o stile di vita che vorremmo ribadire sia ancora legato a vecchi modelli graditi ma ora inadeguati a dare risposte nuove a domande nuove. E forse tutto ciò ha portato troppo a imitare lo squalificato avere-apparire, invece che l’essere prezioso al centro della nostra Chiamata per Nome.

Non è escluso che ci siamo lasciati avvezzare a nomenclature decisionali o alla precipitazione per ansia di prestazioni, le quali non badano al terreno bello del carattere, del dono vocazionale [esso porterebbe a un migliore contatto con le energie disattese della nostra inclinazione vera - annidata fra le inconsistenze].

Eccoci anzi, tutti presi dalle preoccupazioni del ripristino “come sempre” o “come dovremmo essere”... Ciò malgrado i traumi attuali siano espliciti segnali ad allargare le consapevolezze finora soffocate (come da rovi). Appelli eloquenti - questi contemporanei - a lanciare ogni lato verso l’Esodo, per la conquista di rinnovate libertà e territori dell’anima, nell’essenza.

Tutto l’influsso di una spiritualità vuota e formale che ci trasciniamo, inibisce ancora una buona percezione dell’oggi, e snerva, toglie forza intima. Non consente di seguire il proprio impulso in armonia col mondo interno - o le stesse tendenze in ascolto del Richiamo incessante dei Vangeli, che ancora viene disseminato da profeti non omologati, per annunciare la verità e la creazione d’un mondo nuovo.

Ebbene, qualcosa - o l’intera vita - potrebbero risultare frastornate; più che mai non andare dalla parte giusta e sgombra: non renderci speciali come il Seminatore desidererebbe - proprio per i cliché o vuoti emotivi che rubano il Seme, ovvero soffocano la pianta, oppure a motivo della solita presunzione, che vuol tornare a svettare subito e così impedisce di farci mettere radici profonde.

Bisognerà allora deporre i turbinii cerebrali e i parapiglia volitivi unilaterali; lasciare spazio e cedere alla nuova corrente di qualità che ci sta portando. E abbandonarsi alle proposte della marea di chicchi che vengono per guidarci oltre le vecchie contese: all’energia naturale, originale, della Provvidenza, che ne sa più di noi.

Al Vento dello Spirito che dispiega oltre i ‘granellini’ - dove non ti aspetti - neppure importa la immediatezza produttiva - ma la nostra sintonia «buona» (v.8) - che aiuta a rimetterci all’altezza della realtà di lungimiranti mescolanze. Esse riordineranno altrimenti ogni cosa: al di là dei sistemi mentali abitudinari - e ogni risultato sarà più avveduto, in favore delle periferie.

Senza troppa disposizione e calcolo nella scelta del terreno - un tempo pretenziosamente rimosso e sanificato a monte - ci renderemo conto che il Seminatore avrà infine sgretolato tanti piedistalli mondani, non per umiliare qualcuno, ma per donare sorprese di fecondità sbalorditiva, anche per la crescita di ogni credo [tutte le denominazioni].

La sua è ovunque e sempre un’Azione generosa e creatrice unica, messa in campo per rigenerare e dare potenza alle convinzioni - non per farci rifare le solite azioni o liturgie da manuale [o più glamour]. Poi riprendere a giocare con la performance o ristrettezze incatenate di schemi approvati.

Se vogliamo sincronizzare lo stesso movimento del Seminatore, bisogna con Lui e come Lui muoversi verso l’indigenza dei vari terreni [situazioni esistenziali].

Ristrettezza speciale - ancor più acuta, nel tempo dell’emergenza globale - che obbliga a “spostarsi”, divenire itineranti, disseminare ovunque... e non solo raccogliere il cento per uno (vv.8.15) nel solito centro protetto.

 

 

Parabole, e il mistero della cecità: Narrazione e trasmutazione

 

Smarrirsi, per la trasformazione

(Lc 8,9-10.18; cf. Mt 13,10-17; Mc 4,10-12.25)

 

San Paolo esprime il senso del “mistero della cecità” che gli fa contrasto nel cammino con la celebre espressone «spina nel fianco»: dovunque andasse, erano già pronti i nemici; e disaccordi inattesi.

Così anche per noi: eventi funesti, catastrofi, emergenze, disgregazione delle antiche certezze rassicuranti - tutte esterne e paludose; sino a poco prima valutate con senso di permanenza.

Forse nell’arco della nostra esistenza, già ci siamo resi conto che le incomprensioni sono state i modi migliori per riattivarci, e introdurre le  energie della Vita rinnovata.

Si tratta di quelle risorse o situazioni che forse mai avremmo immaginato alleate della nostra e altrui realizzazione.

Dice Erich Fromm:

«Vivere significa nascere in ogni istante. La morte si produce quando si cessa di nascere. La nascita non è quindi un atto; è un processo ininterrotto. Lo scopo della vita è di nascere pienamente, ma la tragedia è che la maggior parte di noi muore prima di essere veramente nato».

Infatti, nel clima dei disordini o delle divergenze assurde [che ci obbligano a rigenerare] si affacciano talora le più trascurate virtù intime.

Energie nuove - che cercano spazio - e potenze esterne. Entrambi plasmabili; inconsuete, inimmaginabili, eterodosse.

Ma che trovano le soluzioni, la vera via d’uscita ai nostri problemi; la strada per un futuro che non sia un semplice riassetto della situazione precedente, o di come abbiamo immaginato “si sarebbe dovuti essere e fare”.

Concluso un ciclo, iniziamo una nuova fase; forse con maggiore rettitudine e franchezza - più luminosa e naturale, umanizzante, vicina al ‘divino’.

 

Il contatto autentico e coinvolgente con i nostri stati dell’essere profondi viene generato in modo acuto proprio dai distacchi.

Essi ci portano al dialogo dinamico con le riserve eterne di forze trasmutatrici che ci abitano, e più ci appartengono.

Esperienza primordiale che arriva dritta al cuore.

Dentro di noi tale via “pesca” l’opzione creativa, fluttuante, inedita.

In tal guisa il Signore trasmette e apre la sua proposta servendosi di ‘immagini’.

Freccia di Mistero che va oltre i frammenti della coscienza, della cultura, delle procedure, di ciò che è comune.

Per una conoscenza di se stessi e del mondo che travalica quella della storia e della cronaca; per la consapevolezza attiva di altri contenuti.

Sino a che il travaglio e il caos stesso guidano l’anima e la obbligano a un Altro inizio, a un differente sguardo (tutto spostato), a un’inedita comprensione di noi stessi e del mondo.

Ebbene, la trasformazione dell’universo non può esser frutto di un insegnamento cerebrale o dirigista; piuttosto, di una esplorazione narrativa - che non allontana la gente da se stessa.

E Gesù lo sa.

 

 

Nuova interpretazione dei diversi Terreni

 

Evoluzione dell’Alleanza, nel tempo della crisi: solite pecche, diverse armonizzazioni

(Mt 13,18-23)

 

Dio è munifico, in modo particolare nell’età della rinascita dalla crisi: anch’esso tempo di generosa seminagione da parte del Padre.

Egli permane Agricoltore delle sue pianticelle - più avventurose e meno perbene che tradizionaliste, o alla moda.

Ovviamente la Parola del Maestro e Signore mette in guardia da tutto ciò che potrebbe impedire una nuova Genesi - anzitutto per il fatto che spesso attendiamo di tornare meccanicamente ai ruoli antichi e al vecchio sistema di cose; al modello assuefatto, esteriore, dirigista.

Siamo forse ancora troppo legati a brame e precedenti livelli economici (v.22) ormai travolti dalle cose... non accettando l’affacciarsi degli opposti che mai avevamo sperimentato né programmato (v.19).

Pensiamo ancora di poter tornare al “tutto come prima”; alla superficialità della società del look non radicato nel convincimento; dell’esteriorità subito entusiasta (vv.20-21) e che non fa spostare lo sguardo.

Invece la marea difforme Viene affinché impariamo a fissare l’occhio dentro, altrove, e oltre - per mettere a fuoco la nostra e altrui ‘figura unica’ nella convivialità delle differenze.

È probabile che il sapere o stile di vita che vorremmo ribadire sia ancora legato a standards, graditi, vecchi, o à la page - ora inadeguati a dare risposte nuove a domande nuove.

E forse tutto ciò ci ha portato troppo a ricalcare e imitare lo squalificato “avere-apparire”, invece che l’essere, e quel carattere prezioso al centro della nostra Chiamata per Nome.

Non è escluso che ci siamo lasciati avvezzare a nomenclature decisionali o alla precipitazione per ansia di prestazioni.

Esse non badano al «terreno bello» dell’unicità, del dono vocazionale inedito [porterebbe a un migliore contatto con le energie disattese della nostra inclinazione genuina - annidata fra le inconsistenze].

Eccoci anzi, tutti presi dalle preoccupazioni del ripristino “come prima” o “come dovremmo essere”...

Ciò, malgrado i traumi attuali siano espliciti segnali ad allargare le consapevolezze finora soffocate (come da «rovi»: v.22).

Appelli eloquenti - anche contemporanei - a lanciare ogni lato verso l’Esodo, per la conquista di rinnovate libertà; territori dell’anima, pur reconditi, nel nucleo dell’essenza.

 

Tutto l’influsso di una spiritualità vuota e formale che ci trasciniamo, inibisce ancora una buona percezione dell’oggi, e snerva, toglie forza intima.

Non consente di seguire il proprio impulso in armonia col mondo interno - o le stesse tendenze in ascolto del Richiamo incessante dei Vangeli [che ancora viene disseminato da profeti non omologati, per annunciare la verità e la creazione d’un mondo alternativo].

Ebbene, qualcosa o l’intera vita potrebbero risultare frastornate; più che mai non andare dalla parte giusta e sgombra: non renderci speciali come il Seminatore desidererebbe - proprio per gli stereotipi o i vuoti emotivi che rubano il Seme, ovvero soffocano la pianta, oppure a motivo della solita presunzione che vuol tornare a svettare subito e così impedisce di farci mettere «radici» profonde.

Bisognerà allora deporre i turbinii cerebrali e i parapiglia volitivi unilaterali; lasciare spazio e cedere alla nuova corrente di qualità che ci sta portando.

E abbandonarsi alle proposte della marea di ‘chicchi che vengono’ per guidarci oltre le vecchie contese: all’energia naturale, originale, della Provvidenza, che ne sa più di noi.

Al Vento dello Spirito che dispiega oltre, i granellini - dove non ti aspetti - non importa la percentuale produttiva (v.23b) ma la nostra sintonia «bella» (v.23a testo greco) che aiuta a rimetterci all’altezza della realtà di lungimiranti mescolanze.

Esse riordineranno altrimenti ogni cosa: al di là dei sistemi mentali abitudinari - e ogni risultato sarà più avveduto, in favore delle Periferie.

Senza troppa disposizione e calcolo nella scelta del terreno [un tempo pretenziosamente rimosso e sanificato a monte] ci renderemo conto che il Seminatore avrà infine sgretolato tanti piedistalli mondani; non per umiliare qualcuno, ma per donare sorprese di fecondità sbalorditiva, anche per la crescita di ogni credo (tutte le denominazioni).

La sua è ovunque e sempre un’Azione generosa e creatrice d’eccezione, messa in campo per rigenerare e dare potenza alle convinzioni.

Non per farci rifare le solite azioni o cliché da manuale [e riprendere a giocare con la performance, o con ristrettezze incatenate di schemi largamente approvati].

Se vogliamo sincronizzare lo stesso movimento del Seminatore, bisogna con Lui e come Lui muoversi verso l’indigenza dei vari terreni (situazioni esistenziali).

Ristrettezza speciale - ancor più acuta, nel tempo dell’emergenza globale - che obbliga a ‘spostarsi’, divenire itineranti, disseminare ovunque.

E non solo raccogliere il «cento» (v.23) nel solito ‘centro’ protetto.

Con abbondanza e gratuità, il Signore getta il seme della Parola di Dio, pur sapendo che esso potrà incontrare un terreno inadeguato, che non gli permetterà di maturare a motivo dell’aridità, o che ne spegnerà la forza vitale soffocandolo tra cespugli spinosi. Tuttavia, il seminatore non si scoraggia, perché sa che una parte di questo seme è destinata a trovare il “terreno buono”, cioè cuori ardenti e capaci di accogliere la Parola con disponibilità, per farla maturare nella perseveranza e ridonarne con generosità il frutto a beneficio di molti.

L’immagine del terreno può evocare la realtà più o meno buona della famiglia; l’ambiente talvolta arido e duro del lavoro; i giorni della sofferenza e delle lacrime. La terra è soprattutto il cuore di ogni uomo, in particolare dei giovani, a cui voi vi rivolgete nel vostro servizio di ascolto e di accompagnamento: un cuore spesso confuso e disorientato, eppure capace di contenere in sé impensate energie di donazione; pronto ad aprirsi nelle gemme di una vita spesa per amore di Gesù, capace di seguirlo con la totalità e la certezza che viene dall’avere trovato il più grande tesoro dell’esistenza. A seminare nel cuore dell’uomo è sempre e solo il Signore. Solo dopo la semina abbondante e generosa della Parola di Dio ci si può inoltrare lungo i sentieri dell’accompagnare e dell’educare, del formare e del discernere. Tutto ciò è legato a quel piccolo seme, dono misterioso della Provvidenza celeste, che sprigiona da sé una forza straordinaria. E’ infatti la Parola di Dio che di per se stessa opera efficacemente quanto dice e desidera.

[Papa Benedetto, ai partecipanti al convegno europeo sulla pastorale vocazionale, 4 luglio 2009]

5. “Ecco, il seminatore uscì a seminare” (Mt 13, 3).

L’Incarnazione del Verbo è la più grande e più vera “semina” del Padre. Alla fine dei tempi avverrà la mietitura: l’uomo sarà allora sottoposto al giudizio di Dio. Avendo ricevuto molto, di molto gli sarà domandato conto.

L’uomo è responsabile non solo di se stesso, ma anche delle altre creature. Lo è in senso globale: a lui infatti è legata la loro sorte nel tempo e al di là del tempo. Se egli obbedisce al disegno del Creatore e ad esso si conforma, conduce nel regno della libertà l’intero creato, così come l’ha trascinato con sé nel regno della corruzione, a causa della disobbedienza originale. Questo ha inteso dirci oggi San Paolo nella seconda Lettura.

Discorso misterioso, il suo, ma affascinante. Accogliendo Cristo, l’umanità è in grado di immettere un flusso di vita nuova nella creazione. Senza Cristo, il cosmo stesso paga le conseguenze del rifiuto umano di aderire liberamente al piano della salvezza divina. Per la speranza nostra e di tutte le creature, Cristo ha seminato nel cuore dell’uomo un germe di vita nuova ed immortale. Germe di salvezza che imprime alla creazione un orientamento nuovo: la gloria del Regno di Dio.

[Papa Giovanni Paolo II, omelia a s. Stefano di Cadore, 11 luglio 1993]

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Those living beside us, who may be scorned and sidelined because they are foreigners, can instead teach us how to walk on the path that the Lord wishes (Pope Francis)
Chi vive accanto a noi, forse disprezzato ed emarginato perché straniero, può insegnarci invece come camminare sulla via che il Signore vuole (Papa Francesco)
Many saints experienced the night of faith and God’s silence — when we knock and God does not respond — and these saints were persevering (Pope Francis)
Tanti santi e sante hanno sperimentato la notte della fede e il silenzio di Dio – quando noi bussiamo e Dio non risponde – e questi santi sono stati perseveranti (Papa Francesco)
In some passages of Scripture it seems to be first and foremost Jesus’ prayer, his intimacy with the Father, that governs everything (Pope Francis)
In qualche pagina della Scrittura sembra essere anzitutto la preghiera di Gesù, la sua intimità con il Padre, a governare tutto (Papa Francesco)
It is necessary to know how to be silent, to create spaces of solitude or, better still, of meeting reserved for intimacy with the Lord. It is necessary to know how to contemplate. Today's man feels a great need not to limit himself to pure material concerns, and instead to supplement his technical culture with superior and detoxifying inputs from the world of the spirit [John Paul II]
Occorre saper fare silenzio, creare spazi di solitudine o, meglio, di incontro riservato ad un’intimità col Signore. Occorre saper contemplare. L’uomo d’oggi sente molto il bisogno di non limitarsi alle pure preoccupazioni materiali, e di integrare invece la propria cultura tecnica con superiori e disintossicanti apporti provenienti dal mondo dello spirito [Giovanni Paolo II]
This can only take place on the basis of an intimate encounter with God, an encounter which has become a communion of will, even affecting my feelings (Pope Benedict)
Questo può realizzarsi solo a partire dall'intimo incontro con Dio, un incontro che è diventato comunione di volontà arrivando fino a toccare il sentimento (Papa Benedetto)
We come to bless him because of what he revealed, eight centuries ago, to a "Little", to the Poor Man of Assisi; - things in heaven and on earth, that philosophers "had not even dreamed"; - things hidden to those who are "wise" only humanly, and only humanly "intelligent"; - these "things" the Father, the Lord of heaven and earth, revealed to Francis and through Francis (Pope John Paul II)
Veniamo per benedirlo a motivo di ciò che egli ha rivelato, otto secoli fa, a un “Piccolo”, al Poverello d’Assisi; – le cose in cielo e sulla terra, che i filosofi “non avevano nemmeno sognato”; – le cose nascoste a coloro che sono “sapienti” soltanto umanamente, e soltanto umanamente “intelligenti”; – queste “cose” il Padre, il Signore del cielo e della terra, ha rivelato a Francesco e mediante Francesco (Papa Giovanni Paolo II)
We are faced with the «drama of the resistance to become saved persons» (Pope Francis)
Siamo davanti al «dramma della resistenza a essere salvati» (Papa Francesco)
That 'always seeing the face of the Father' is the highest manifestation of the worship of God. It can be said to constitute that 'heavenly liturgy', performed on behalf of the whole universe [John Paul II]
Quel “vedere sempre la faccia del Padre” è la manifestazione più alta dell’adorazione di Dio. Si può dire che essa costituisce quella “liturgia celeste”, compiuta a nome di tutto l’universo [Giovanni Paolo II]

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