La scelta giusta, nel piccolo e nel grande
Lc 16,1-13 (1-15)
Astuzia cristiana: senso del dovere e del “padrone” giusto
(Lc 16,1-8)
Ci chiediamo: c’è un altro stile di vita, oltre il vezzo di farsi valere in qualsiasi circostanza? Cosa genera tanti attriti senza posa né criterio, anche in tempi di sottomissione? Qual è la soluzione per edificare una casa comune? E il primo passo concreto per il futuro?
Lc parla molto chiaro, cesellando una catechesi probabilmente tratta da un’esperienza viva che ha segnato l’ambiente dei credenti.
«Chi [è] fedele in una cosa minima è fedele anche in una cosa grande, e [chi] è ingiusto in una cosa minima è ingiusto anche in una cosa grande» (Lc 16,10).
In «La morte di Peregrino» [De morte Peregrini, 13] l’irriverente Luciano di Samosata, polemista del II sec. - così si esprime nei confronti dei cristiani:
«Il loro primo Legislatore li persuade che sono tutti fratelli tra loro e, come si convertono, rinnegando gli dei greci, adorano quel sapiente Crocifisso, e vivono secondo le sue leggi. Per la qualcosa disprezzano tutti i beni egualmente e li credono comuni e non se ne curano quando li hanno. Perciò se tra loro sorgesse un accorto impostore che sapesse ben maneggiarli, immediatamente diventerebbe ricco, canzonando questa gente credulona e sciocca».
Ipotizziamo la situazione, probabilmente da riferire a un veterano della cerchia giudeo cristiana [considerata nei Vangeli quella dei “farisei” di ritorno nelle assemblee dei primi tempi] (cf. Lc 16,14).
Un responsabile, leader di comunità [cf. v.14], viene accusato di profittare della posizione di amministratore dei beni di Dio e della chiesa.
La Torah, le normative specifiche e tutto il costume ufficiale dell’Oriente antico vietavano di chiedere interessi sulle forniture (o prestiti) di derrate alimentari.
Ma di fatto e sottobanco i possidenti facevano leva sul ricatto. Trattenendo compensi indebiti e lauti, sulle transazioni.
La percentuale di scremature dipendeva dalla capacità di scrutare i bisogni e alzare il tasso d’interesse - persino sul frumento, l’olio e il cibo base.
Anche il coordinatore di chiesa si era lasciato sedurre dal malcostume corrente, per un facile guadagno (sulla fame della gente).
Avendo fatto a lungo orecchie da mercante, lo scandalo emerge (fra dirigenti e gruppi che si fregiano del nome Cristiano!).
L’uomo di spicco viene messo alle strette per un rendiconto trasparente.
Allora il “pizzicato” sceglie di ricalcolare e allineare la contabilità - rinunciando all’illecito introito che aveva accarezzato di godersi in prima persona.
Tutto avrebbe dovuto essere messo a disposizione dei fedeli e del bene comune, senza intrallazzi (privi di controllo - soliti).
Sebbene abituato ad andare a testa alta in società, il tizio sceglie finalmente di non proseguire cocciutamente nell’inguaribile imbroglio delle quote in aggiunta che non gli spettavano.
I tesori (di Dio) sono da condividere, senza ricarico privato - quindi evita di arrampicarsi sugli specchi, piroettare, cercare l’appoggio di complici o di cordate [cf. v.14] e gruppi di ammanicati.
Coglie l’occasione che si presenta sulla sua strada. Questo il punto che Lc sottolinea. E decide prontamente di non continuare a corrompere se stesso e gli altri: opzione valida.
Le cose sono evidenti e non accampa quel genere di spiegazioni - come purtroppo capita - che cronicizzano e degenerano la situazione.
Viene dunque lodato (v.8) perché invece di tornare ad alimentare se stesso e il suo codazzo… si accorge di un’altra possibilità.
C’è un Altrove da percepire, qui; con previdente tensione interiore ed equa “scaltrezza”, stavolta non aleatoria.
La Via spirituale ha un crocevia crudo: chiedersi se ricominciare nello stile d’accumulo-e-trattenere, o puntare sulla qualità dei rapporti.
Non più intimidazioni del tipo: «Tu non sai chi sono io»; «Voi non sapete chi e quanti siamo noi» - e tentativi appiccicati al tornaconto.
Non più imbrogli da celare e sotterfugi distruttivi, per un’allegra gestione amministrativa: meglio sfigurare personalmente che essere complici attivi e omertosi di un altro “dio” (quello che dà ordini opposti ai consigli del Padre).
Opera eccellente della Fede nell’esperienza ecclesiale - e soglia della gioia - è trasformare le risorse in Vita e Relazione.
Ecco la nostra Guida per il domani e la felicità, sempre.
Giustizia e destinazione universale dei beni non sono semplici aggiunte all’andare devoto, di cui si possa sfumare il senso - anche laddove le pertinenze comunitarie fossero appannaggio di chi ha mani e piedi dappertutto: cricche dalle buone maniere e pessime abitudini.
Esiste un’altra proficuità e funzionalità degli antichi profitti disinvolti: non quelli dell’economia liberale e della proprietà privata, ma dell’Amicizia libera, che non trattiene - capacità di ricreare equilibri dove non sono; coltivare uguaglianza e trasparenza, felicità e vita diffusa.
Non basta uno spiritualismo di carattere sentimentale. Bisogna sanare i bilanci.
Ristabilita la verità e senza guardare in faccia a nessun primattore, né a “compagni di merende” o gruppi di pressione, ecco un bel metodo per «purificare» anche la ricchezza iniqua: usarla per i destinatari.
È l’unica valutazione giusta, che annienta il malcostume e le stranissime competizioni fra poveracci senza dote e a testa in giù, che paiono destinati solo a friggere.
Siamo chiamati a usare le “nostre” energie e risorse per dilatare l’esistere di tutti, invece di continuare a beccarsi e papparci per far vedere chi comanda.
Questo è - malgrado gli errori che si possono commettere - dare la svolta decisiva, per una vita bella.
Insomma, la pienezza del Regno di Dio si realizza attraverso l’incontro, e i beni hanno senso come possibilità di sviluppo umano (cf. vv.9-13).
Nell’enciclica Fratelli Tutti leggiamo al n.120:
«la tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto o intoccabile il diritto alla proprietà privata, e ha messo in risalto la funzione sociale di qualunque forma di proprietà privata. Il principio dell’uso comune dei beni creati per tutti è il primo principio di tutto l’ordinamento etico-sociale, è un diritto naturale, originario e prioritario. Tutti gli altri diritti sui beni necessari alla realizzazione integrale delle persone, inclusi quello della proprietà privata e qualunque altro, non devono quindi intralciare, bensì, al contrario, facilitarne la realizzazione [...] Il diritto alla proprietà privata si può considerare solo come un diritto naturale secondario e derivato dal principio della destinazione universale dei beni creati, e ciò ha conseguenze molto concrete, che devono riflettersi sul funzionamento della società. Accade però frequentemente che i diritti secondari si pongono al di sopra di quelli prioritari e originari, privandoli di rilevanza pratica».
Tale diritto-base è senza frontiere, e altrettanto vale per il funzionamento della società ecclesiale - non cooptata, né occulta.
A maggior ragione dei privati, essa deve rendere conto senza trucchi: gestisce infatti beni per se stessi comuni, variegati, sacri e non esclusivi.
I responsabili di Chiesa sono i primi chiamati a vincere l’unilateralità del ruolo e delle risorse, tantomeno da gestire come fossero di proprietà selettiva o di club riservati.
Pertanto le guide spirituali devono essere i primi testimoni di detta funzione sociale, umanizzante e divina.
Essi sono chiamati a disporre delle risorse da “spezzare” in modo non allegro e spensierato, bensì con spiccato senso di responsabilità - senza ombra alcuna.
«Renzo abbracciò molto volentieri questo parere; Lucia l'approvò; e Agnese, superba d'averlo dato, levò, a una a una, le povere bestie dalla stìa, riunì le loro otto gambe, come se facesse un mazzetto di fiori, le avvolse e le strinse con uno spago, e le consegnò in mano a Renzo; il quale, date e ricevute parole di speranza, uscì dalla parte dell'orto, per non esser veduto da' ragazzi, che gli correrebber dietro, gridando: lo sposo! lo sposo! Così, attraversando i campi o, come dicon colà, i luoghi, se n'andò per viottole, fremendo, ripensando alla sua disgrazia, e ruminando il discorso da fare al dottor Azzecca-garbugli. Lascio poi pensare al lettore, come dovessero stare in viaggio quelle povere bestie, così legate e tenute per le zampe, a capo all'in giù, nella mano d'un uomo il quale, agitato da tante passioni, accompagnava col gesto i pensieri che gli passavan a tumulto per la mente. Ora stendeva il braccio per collera, ora l'alzava per disperazione, ora lo dibatteva in aria, come per minaccia, e, in tutti i modi, dava loro di fiere scosse, e faceva balzare quelle quattro teste spenzolate; le quali intanto s'ingegnavano a beccarsi l'una con l'altra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura» [I Promessi Sposi, cap.3].
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Nella tua comunità l’amministrazione dei beni è pubblica, regolare e trasparente o cronico appannaggio d’individui e gruppi senza controllo?
Amministratori onesti - a vario livello - e Casa comune
Mammona nel piccolo e nel grande
(Lc 16,9-15)
«In definitiva, dice Gesù, occorre decidersi: “Non potete servire a Dio e a mammona” (Lc 16,13). Mammona è un termine di origine fenicia che evoca sicurezza economica e successo negli affari; potremmo dire che nella ricchezza viene indicato l’idolo a cui si sacrifica tutto pur di raggiungere il proprio successo materiale e così questo successo economico diventa il vero dio di una persona. È necessaria quindi una decisione fondamentale» [papa Benedetto, omelia a Velletri 23 settembre 2007].
Il responsabile di chiesa “pizzicato” ad approfittarsi dei beni della comunità (vv.1-8) sapeva fare grandi discorsi - forse strumentali - sulla solidarietà necessaria, ma non viveva la fraternità concreta.
Ecco dunque una catechesi di Lc sulla fedeltà nel piccolo e nel grande: insegnamento attualissimo. Anche oggi infatti non mancano corifei dai grandi proclami... assai diffusi, però anche solo per darsi tono.
Sovvenire nel concreto e giocarsi la vita - mettendosi una mano sulla coscienza e una nel portafoglio - resta cosa purtroppo ancora faticosa e rara.
Molti non trovano di meglio che girare la testa dall’altra parte e svicolare, delegando colpe e responsabilità al “sistema”, alla crisi contingente, etc. - non senza appigli o ragioni concrete.
Invece, come sottolinea l'enciclica sociale di Papa Francesco, il mondo più giusto è opera «laboriosa, artigianale» (FT n.217).
«E io vi dico, fatevi amici dal mammona ingiusto affinché quando verrà a mancare vi accolgano nelle tende eterne.
Chi fedele in una cosa minima, è fedele anche in una cosa grande, e chi ingiusto in una cosa minima, è ingiusto anche in una cosa grande.
Se dunque non siete stati fedeli con il mammona ingiusto, chi vi affiderà la [ricchezza] vera?
E se non siete stati fedeli con la [ricchezza] altrui, chi vi darà la vostra?» (Lc 16,9-12).
Nell’intento dell’evangelista la vicenda particolare cui si allude nei vv. precedenti doveva servire a formare in modo concreto le sue piccole comunità sull’uso dei beni materiali.
Dopo un errore che anche i capi possono commettere, persino la ricchezza ingiusta può essere ben usata in favore di tutti - per creare già sulla terra quel clima di vitalità serena indistruttibile che è tratto e attributo della condizione divina.
Nella Chiesa autentica il misero - oppresso, ribassato, impoverito e reso pitocco dalla società competitiva - ritrova stima, speranza, voglia di vivere; col semplice aiuto di fratelli altrettanto bisognosi.
In origine (infatti) tutte le comunità sorsero tra indigenti. Poco a poco iniziarono ad affacciarsi anche benestanti.
Sembrava una grande apertura al futuro di Dio; invece, man mano che il tempo passava, ci si accorgeva della crescita d’insensibilità e chiusura del cuore, nei nuovi ceti abbienti e nelle chiese.
L’ingresso dei ricchi - inizialmente ben visto - recò nel tempo non pochi problemi, anche di gestione interna delle risorse collettive.
I beni comuni diventarono talora appannaggio esclusivo di dirigenti che sembravano non avere più idee chiare sul ruolo sociale del denaro.
I primi cristiani avevano compreso che la fede nella risurrezione è incompatibile con l’attaccamento all’effimero. Ma si trattava di condizione rischiosa.
A tale riguardo è significativa la testimonianza indiretta di Luciano di Samosata (125-192) autore di satire contro superstizioni e credulonerie tra le quali annovera anche il cristianesimo.
Con linguaggio scanzonato, egli descrive in «La morte di Peregrino» [De morte Peregrini, 13] l’impatto che la Fede esercitava sulla vita dei cristiani del suo tempo, e con fermezza non convenzionale:
«Il loro primo legislatore li persuade che sono tutti fratelli tra loro e, come si convertono, rinnegando gli dei greci, adorano quel sapiente crocifisso e vivono secondo le sue leggi. Per la qualcosa disprezzano tutti i beni egualmente e li credono comuni e non se ne curano quando li hanno. Perciò se tra loro sorgesse un accorto impostore che sapesse ben maneggiarli, immediatamente diventerebbe ricco, canzonando questa gente credulona e sciocca».
La Liberazione dagli idoli del patrimonio privato che Gesù propone stimolava le anime anche più svelte e affermate ad apprezzare la trasformazione delle proprietà in relazione e possibilità di vita altrui.
Ovviamente per introdurre tale modello di condivisione e incontrare il mondo esterno, la scelta doveva iniziare da vicino a sé: non si poteva opprimere sorelle e fratelli di credo, e predicare giustizia al mondo.
L’emancipazione inizia nel piccolo della propria famiglia, dei conoscenti e amici; nello spicciolo dei rapporti interni e giornalieri.
Il fatto è che Dio e il denaro danno ordini opposti. Uno distoglie l'altro.
Quindi prima o poi anche chi è motivato da ottime intenzioni può giungere a disprezzare il Padre, la Comunione, gli ideali vissuti anche nel sommario - e affezionarsi a scorciatoie banali.
I leaders religiosi ufficiali, tutti congregati nella difesa dei lauti guadagni assicurati dal mondo antico - che (avidamente) sorreggevano a spada tratta - onoravano sì l’Eterno nei segni, ma... cedevano alla tentazione.
Privi ormai sia di scelte di fondo che di dettaglio, i direttori se la ridevano alle spalle di Gesù, tramando di nascosto e di concerto. Ancora oggi purtroppo trattandolo come un ingenuo sognatore da strapazzo (vv.14-15).
Eppure il Maestro continua a sgolarsi, affinché anche noi entriamo nella sua nuova Economia «proattiva» [come forse la definirebbero i vescovi del Sudafrica, e la recente enciclica sociale].
Economia della gratuità che non depaupera - per una «maggior ricchezza possibile» che spegne il «desiderio di dominare», ma fa «stare insieme come esseri umani» (FT n.229).
Qui l’esiguo diventa rilevante. La sfida è aperta.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Sei genericamente solidale o... fraterno nel conquibus?
Hai provato l’esperienza del dono che non depaupera, bensì arricchisce?
In ambito ecclesiale, ti sei sentito deprivato, o viceversa umanizzato?