don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Ago 31, 2024

Altra guancia e Perdono

Pubblicato in il Mistero

L’alternativa “vittoria-o-sconfitta” è falsa: bisogna uscirne. Vuoi passare avanti? Accomodati

 

(Lc 6,27-38)

 

Non opporsi al malvagio consente di sperimentare le Beatitudini (Lc 6,20-26) - antidoto ai rapporti unilaterali; ma ciò è impossibile, se non lasciamo si sviluppi una Energia innata.

Dice il Tao: «Se vuoi che ti sia dato tutto, molla tutto». Nel contraccambio infinitamente ripetuto non c’è saggezza che legge dentro; nel rovesciamento, sì.

Il testo greco di Lc non parla di “meriti” (cf. traduzione CEI 1974) e neppure di “gratitudine” (traduzione CEI 2008), bensì di «Gratuità» (vv.31.33-34)!

Certo, non è semplice capire il senso del Dono, del Gratis: ma il Maestro non vuole che diventiamo solo più capaci di ringraziare e ben educati.

Gesù in noi non si occupa semplicemente di cambiare la situazione e ingentilirla: vuole rimpiazzare l’intero sistema delle cose spurie e delle relazioni artificiose, di maniera.

Altrimenti nulla verrebbe modificato, niente s’invertirebbe radicalmente; tutt’altro: nel buonismo di circostanza le sovrastrutture che ci alienano si rafforzerebbero.

La nuova esperienza di Dio è quella d’un Amore creativo genuino, che senza posa butta all’aria, introduce nuove potenze, e incredibilmente capovolge tutto.

 

C’è una Giustizia più grande: vivere nella nuova posizione che la marea della vita e la Provvidenza cesellano per ciascuno di noi.

Non sarà lo sforzo che ci farà stare dove la Vocazione (davvero perfetta) vuole che dimoriamo, ma una lenta corrispondenza - anche nelle altalene.

Fuori e dentro di noi esiste un altro territorio, dove l’affinità dell’Attesa incontra il Disegno di Dio: ciò dopo un tempo di Silenzio che vive intensamente l’oggi cogliendone la profondità, intuendolo come radice imprevedibile del domani.

C’è un diverso Regno, dove l’accondiscendenza incontra nuove spinte, cosmiche e acutamente personali; Profilo del Vivente.

In tal guisa, eccoci senza precipitazione: dopo una energia di pausa, virtù che si fa radice e linfa del futuro più esclusivo.

 

La spirale del restituire l’offesa può occupare tutto il nostro spazio e tempo. Così smorza la capacità di corrispondere al tintinnio nuovo della Chiamata.

Ci toglie percezione, l’intero Ascolto della Novità di Dio che è agli albori.

Il Primo Testamento riconosceva il principio di giustizia ‘uno vale uno’ nel diritto di vendetta.

In tal guisa arginando nel limite della parità il volume della ritorsione e lo strapotere dei forti [la loro eventuale violenza cieca a seguito d’inezie] sui deboli.

Ma non basta questo a non pervertire le relazioni e consentire al Padre di proporci una speciale realizzazione-configurazione, la quale impone ‘Sospensioni’ dalla spirale omologante.

Generando confusioni tutte nostre, impallidisce proprio quella storia di salvezza che sta viceversa creando un inedito: la si taglia in radice.

 

Per questo motivo il Signore ordina di sovvertire le consuetudini della religiosità antica, del suo stesso impeto; delle divisioni interessate [accettabile o meno, amici o nemici, vicini o lontani, puro e impuro, sacro e profano, etc.].

Il Regno divino parte dal Seme, non dalla gestualità esteriore o dalle forme; né usa edulcoranti conformisti, che lasciano intatti i ruoli.

Per cogliere il ritmo stesso di Dio (che sapientemente crea) le anime devono prendere il passo delle cose, le quali maturano in termini lineari sino a che rovesciano o moltiplicano - in modo non già “stampato”, bensì personale.

Gli accadimenti stessi rigenerano in modo spontaneo, fuori e persino dentro di noi; inutile forzare.

La crescita e destinazione permane anche grazie alla molla di beffe e costrizioni esterne.

Nel Tao Tê Ching si legge: «Se vuoi ottenere qualcosa, devi prima permettere che sia dato ad altri». La fioritura sarà senza forzature.

Allora, la fermezza nella tribolazione, nell’accettazione e nella sopportazione di profittatori, superficiali e vanitosi diventa scaturigine di un nuovo figlio, d’una Genesi impensata che sta appena intrecciando le sue prime radici proprio con quel terreno paludoso.

 

Dai lingotti non nasce nulla, dagli ostinati nascono le solite cose, dai precipitosi l’esatto contrario; dal letame nascono i fiori nuovi, che neanche abbiamo piantato.

La sospensione vissuta nel Mistero apre il nostro destino di stoltezze già decretate alla fiducia in un nuovo Atto d’Essere, irripetibile.

Spalanca il Senso che non t’aspetti, in un clima d’inventiva che sorvola l’istinto azione-reazione - affinché la catena delle normalità non prenda il sopravvento sul prodigio dell’Identità vocazionale, del nostro carattere e realizzazione.

La non-violenza non è dunque una norma di sola squisitezza d’animo, bensì una Freccia superiore, che indica una direzione di Ricerca non meccanica, la quale avanza di scoperta in scoperta.

La vita davvero esemplare è sempre di altro genere, fuori dal comune.

Lasciare che tutti, anche gli opportunisti [e gli attori della santità] passino avanti, non ci mette subito in sella o in vetrina, ma infine neppure ci farà pagare troppo di persona.

Crea il giusto distacco perché quando saremo pronti giunga il tempo in cui ci accorgeremo che la nostra mortificazione era un crocevia: ci ha aperto il destino a una speranza meno corta, dilatando la vita.

Dice il Tao: «I nuovi inizi sono spesso camuffati da dolorose perdite [ma] ciò ch’è cedevole sopraffà ciò ch’è duro. Il lento sorpassa il veloce».

Se gli altri non sono come abbiamo sognato, è una fortuna: le porte sbattute in faccia e il loro pungolo ci mettono in contatto con le nostre virtù profonde, e con le risorse cui non abbiamo ancora dato spazio.

 

Tradimenti, soprusi, dispetti, vendette, oltraggi, mortificazioni… che vorrebbero renderci inquieti e avvilirci… stanno preparando il nostro sviluppo, e ben altre gioie.

 

L’avventura della Fede estrema è per una Bellezza che ferisce e una Felicità anormale, prominente. Ma solo chi sa attendere trova la sua Via.

 

 

Perdono avanti: non segnare confini

 

Incontro esemplare e Vita al culmine sconosciuto

(Lc 6,36-38)

 

È possibile mettere il Vangelo sotto «Misura» esemplare - ad es. di Legge (retributiva) o di Primo Testamento e Tradizione?

No, non si costruirebbe Famiglia. E il culmine di questo genere di esperienza sarebbe appannaggio etnico o élitario.

Configurazione e proposta che partorirebbe ovunque un mondo grigio, pedissequo, fragile; incapace di dialogo e scoperte sconosciute.

 

Dopo essersi sentiti separati da una qualità di vita umanizzante e divina, solo la consapevolezza di riconciliazione può trasformare ambienti e persone.

Tale il Gesù vivo e attuato in comunità.

Egli immette i suoi intimi in un’esperienza nuova di comprensione fluida, priva di orgoglio - malgrado “devoto”.

Senza appunto assumere atteggiamenti leziosi o ricalcati a fotocopia.

È allora che l'umiltà c’inonda senza sforzo, portando in vetta la Carità: nell'assetto celeste del Gratis che sposta lo sguardo.

 

Sopprimendo sopprimendo, gli artifici chiudono inesorabilmente la gioia di vivere.

La imbrigliano nei modi, nell’accentuazione senza fine degli sforzi - contro se stessi, e avversando il mondo altrui.

Convenzioni, doveri standard e reazioni, mai contengono le energie benevolenti, incisive, della crescita.

Nella vita dei Santi lo vediamo: ascoltarsi a fondo, lasciare che sia... e il Perdono, centuplicano l’amore.

Esso diviene sorgente di gesti incredibili in favore del prossimo; nell’accorgersi accentuato, nella cura, nell'ospitalità gratuita, nel dono totale e a fondo perduto.

 

C’è sempre stato bisogno dell’apporto di energie e situazioni - anche intime - nuove, delle loro sorprese.

Non scartare le ingenuità altrui significa aver imparato ad accogliere le nostre stesse fragilità e opposizioni.

Il mondo inizia a cambiare quando ci si accetta, nell’esperienza della stima del Dio-Con-noi.

Così impariamo a percepire Bellezza, invece che aridità e distacco: ciò che fa diventare la vita più intensa e insieme scorrevole.

 

Anche la conoscenza di Dio non è un bene di confisca o una scienza acquisita, già interiormente ed esteriormente pignorata.

Muove da un’azione e un’altra, incessantemente; si realizza in un Incontro sempre vivo, che non blocca né dissolve la personalità di ciascuno.

 

Il criterio di accoglienza (pur di beni variegati per l'anima), il principio di remissione, coesistenza, comunione (anche di risorse molteplici, persino materiali) sono stati i principali catalizzatori della crescita.

Fin nelle prime chiese, il vettore della Misericordia anche sommaria, in cose spicciole, è stato la scaturigine e il senso di tutte le formule, di tutti i segni della stessa Liturgia nascente.

Il centro esistenziale e spirituale cui convergere.

 

Ecco la conciliazione degli attriti fra consuetudini e concezioni meno chiuse, fra campanili e tribù interne, tradizionalisti e avanguardisti; così via.

Nello Spirito di Provvidenza, ogni composizione non si configura come semplice opera di magnanimità propria di chi cerca di guardare sempre avanti.

È inizio del mondo futuro; principio di un’avventura imprevedibile e indicibile, anche da scapicollo.

E noi in tale Regno, d’improvviso, rifatti ex novo. Rinati; come scaturiti dall’umanità nuova, condizione dei figli autentici.

Generati ancora dal Padre, che accorda tutto e tutti: perché venuti a un franco contatto, nella Persona del Cristo.

 

Insomma, il Perdono cristiano non è il comune “guardare positivo”. Né ha a che fare con il cosiddetto “pensiero positivo”.

La tolleranza dei figli non è un semplicistico “andare oltre” in senso artificioso. Come facendo finta di nulla e chiudendo un occhio [in modo spicciolo, talora intimamente sprezzante].

Lo spirito di comprensione cui siamo chiamati non deriva da paternalismo buonista, che salva solo le maniere.

È Novità di Dio che crea un ambiente di Grazia - con possibilità enormi, che sprizzano da energie difformi.

Inedito che irrompe per sgretolare primati, equilibri stagnanti.

Lo fa mediante un’impossibile apertura di credito - con una signoria di qualità e prospettive.

Scenari che rigenerano e riattivano persone, famiglie, fraternità; il mondo intero.

Tutto affinché veniamo gratuitamente collocati nella posizione e reciprocità che mette in grado di rivelare il senso nascosto - sbalorditivo - dell’essere e della vocazione.

Il motivo stesso per cui siamo nati.

 

Per-dono è una restituzione in sovraggiunta di tutta la dignità perduta. Anzi, ben oltre.

Non solo ci rimette in piedi; non solo ricupera. Migliora e potenzia i lati spenti.

Trasforma i mediocri o coloro che si accostano pur avendo una differente sensibilità, un pesante bagaglio, e i senza voce... in battistrada e geniali inventori.

Perché ciò che ieri era impensato, domani sarà di chiarificazione e traino.

Sulla scia di visioni o attese differenti, le confusioni acquisteranno un senso.

Il diradarsi delle nebbie non si otterrà grazie ai cuori normali e arruolati, sempre indulgenti verso se stessi ma severissimi quando qualcuno tocca i loro interessi e automatismi abitudinari.

L’opera di guarigione, di recupero dell’essere disperso - la terapia dei problemi veri - scaturirà bensì per l’opera dei disprezzati e intrusi.

Scartati, disprezzati, eccentrici, malfermi - fuori d’ogni giro e prevedibilità.

Pasta lievitata. Non autoreferenziale.

 

Ecco gli autentici virtuosi. Principio della Cattolicità, intesa come campo largo.

Le Perle della nuova Pastorale: coloro che aiutano a non segnare troppi confini ideali.

 

«C’è una felice formula di San Vincenzo di Lérins che, mettendo a confronto l’essere umano in crescita e la Tradizione che si trasmette da una generazione all’altra, afferma che non si può conservare il “deposito della fede” senza farlo progredire: «consolidandosi con gli anni, sviluppandosi col tempo, approfondendosi con l’età» (Commonitorium primum, 23,9) – “ut annis consolideturdilatetur temporesublimetur aetate”. Questo è lo stile del nostro cammino: le realtà, se non camminano, sono come le acque. Le realtà teologiche sono come l’acqua: se l’acqua non scorre ed è stantia è la prima a entrare in putrefazione. Una Chiesa stantia incomincia a essere putrefatta [...]

E qui vorrei precisare che anche sul concetto di “popolo di Dio” ci possono essere ermeneutiche rigide e antagoniste, rimanendo intrappolati nell’idea di una esclusività, di un privilegio, come accadde per l’interpretazione del concetto di “elezione” che i profeti hanno corretto, indicando come dovesse essere rettamente inteso. Non si tratta di un privilegio – essere popolo di Dio –, ma di un dono che qualcuno riceve … per sé? No: per tutti, il dono è per donarlo: questa è la vocazione […]

Perché vi dico queste cose? Perché nel cammino sinodale, l’ascolto deve tener conto del sensus fidei, ma non deve trascurare tutti quei “presentimenti” incarnati dove non ce l’aspetteremmo: ci può essere un “fiuto senza cittadinanza”, ma non meno efficace.

Lo Spirito Santo nella sua libertà non conosce confini, e non si lascia nemmeno limitare dalle appartenenze. Se la parrocchia è la casa di tutti nel quartiere, non un club esclusivo, mi raccomando: lasciate aperte porte e finestre, non vi limitate a prendere in considerazione solo chi frequenta o la pensa come voi – che saranno il 3, 4 o 5%, non di più. Permettete a tutti di entrare… Permettete a voi stessi di andare incontro e lasciarsi interrogare, che le loro domande siano le vostre domande, permettete di camminare insieme: lo Spirito vi condurrà, abbiate fiducia nello Spirito. Non abbiate paura di entrare in dialogo e lasciatevi sconvolgere dal dialogo: è il dialogo della salvezza».

[Papa Francesco, Discorso alla Diocesi di Roma 18 settembre 2021]

 

Dice il Tao Tê Ching (LIX):

«Quando nessuno conosce il suo culmine, egli può possedere il regno».

 

Vita di pura Fede nello Spirito.

È il “meccanismo” paradossale e inedito che fa valutare i crocevia della storia, scioglie i nodi delle vere questioni.

Non solo supera, piuttosto soppianta i momenti difficili - riportandoci al vero percorso.

E orienta la realtà al bene concreto; poliedrico, non unilaterale.

Facendo volare la stessa realtà nello stupore dello Spirito, che si scatena in modo più importante del solito - verso se stessa.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Nella tua comunità vedi che qualcuno pretende di requisire il dato di Fede, trasformandolo in dovere misurato, prevedibile?

Secondo te, quale descrizione dell’opera di Dio trasmette?

Viceversa, quale effetto inimmaginabile e fuori scala per normali propositi ha prodotto un tuo pur primo o minimo coinvolgimento nella vita di Fede-amore personale?

 

 

Perdono e Fede: Incontro vivo

 

Gratis eccentrico, in avanti: Sacramento dell’umanità come tale

(Lc 17,1-6)

 

La conoscenza di Dio non è un bene di confisca o una scienza acquisita e già pignorata: muove da un’azione e un’altra, incessantemente; si realizza in un Incontro sempre vivo, che non ci blocca né dissolve.

Tipica, l’esperienza dei «piccoli» [mikròi v.2]. Sin dalle prime comunità di fede, essi sono stati coloro cui mancavano sicurezze ed energie; instabili e senz’appoggio.

Da sempre, «Piccoli» sono gli incipienti; i nuovi, che hanno sentito parlare di fraternità cristiana, ma che talora sono costretti a mettersi in fila, da parte, o rinunciare al cammino.

Ma il criterio di accoglienza, tolleranza, comunione anche di beni materiali, è stato il primo e principale catalizzatore della crescita delle assemblee.

Addirittura la scaturigine e il senso di tutte le formule e segni della liturgia.

Il centro esistenziale e ideale cui convergere. Per una Fede proattiva e in se stessa trasformativa.

 

Nello Spirito del Maestro, anche per noi la conciliazione degli attriti non si configura come semplice opera di magnanimità.

È inizio del mondo futuro. Principio di un’avventura imprevedibile e indicibile. E noi con esso d’improvviso rinati: venuti a un franco contatto nel Cristo. Colui che non ci spegne affatto.

Di qui il Perdono cristiano dei figli, che non è… “guardare positivo”, e “chiudere un occhio”: piuttosto, Novità di Dio che crea un ambiente di Grazia, propulsivo, con possibilità enormi.

Forza che irrompe e lascia incontrare paradossalmente i poli oscuri, invece di scuoterli di dosso. Eliminando in modo genuino paragoni, parole e zavorre inutili, che bloccano l’Esodo trasparente.

Dinamica che guida all’indispensabile e imprescindibile: onde spostare lo sguardo. Insegnando ad accorgersi dei propri isterismi, conoscersi, affrontare l’ansia, il suo motivo; a gestire situazioni e momenti di crisi.

Virtù plasmabile che pone in ascolto intimo dell’essenza personale.

Quindi Empatia solida, larga, che introduce nuove energie; fa incontrare i propri stati profondi, perfino la vita standard… suscitando altri saperi, diverse prospettive, relazioni inattese.

Così senza troppa lotta ci rinnova, e argina la perdita di veracità [tipica, quella in favore delle maniere di circostanza]. Accentua capacità e gli orizzonti della Pace - sgretolando primati, equilibri paludosi.

La scoperta di nuovi versanti dell’essere che siamo, trasmette un senso di migliore completezza, quindi spontaneamente argina influssi esterni, scioglie pregiudizi, non fa agire su base emotiva, impulsiva.

Colloca piuttosto nella posizione che mette in grado di rivelare il senso nascosto e sbalorditivo dell’essere. Dispiegando l’orizzonte cruciale.

 

Attivare «Perdono» è gratuitamente una restituzione in sovraggiunta del proprio ventaglio caratteriale, di tutta la dignità perduta, e ben oltre.

Deponendo le sentenze, l’arte della tolleranza dilata lo sguardo [anche intimo]. Migliora e potenzia i lati spenti; quelli che noi stessi avevamo detestato.

In tal guisa eccentrica trasforma i considerati lontani o mediocri [mikroi] in battistrada, e geniali inventori. Perché ciò che ieri era impensato, domani sarà di chiarificazione e traino.

Le confusioni acquisteranno un senso - proprio grazie al pensiero delle menti in crisi, e per l’azione dei disprezzati, intrusi, fuori d’ogni giro e prevedibilità.

Vita di pura Fede nello Spirito: ossia, la fantasia dei “fiacchi”… al potere.

Perché è il meccanismo paradossale che fa valutare i crocevia della storia, attiva le passioni, crea condivisione, risolve i veri problemi.

E dunque soppianta in avanti i momenti difficili (riportandoci al vero percorso) orientando la realtà al bene concreto.

Facendola volare verso se stessa.

 

L’alternativa “vittoria-o-sconfitta” è falsa: bisogna uscirne. È in tale “vuoto” e Silenzio che Dio si fa strada.

Mistero della Presenza, che trabocca. Nuova Alleanza.

 

 

Accrescere la fede: vita noiosa, intimidita, o la porta della speranza

 

Forse anche a noi è stato inculcato che la fede bisogna chiederla, così Dio ce l’aumenta. Invece abbiamo voce in capitolo, ma non nel senso d’una avance da rivolgere al Cielo.

La Fede è dono, però nel senso di proposta e iniziativa relazionale, faccia a faccia; che chiede percezione accogliente. Quindi non cresce per caduta d’un pacchetto - come a precipizio, o per infusione dall’alto. Addirittura forzandola, e convincendo il Padre.

Non è neppure un semplice assenso legato al carattere bonario. Non è un bagaglio di nozioni che qualcuno ha e dimostra in modo giusto; altri meno, o affatto.

Nell’innamoramento si può essere più o meno coinvolti!

Fede non è credere che Dio esista, ma l’aderire a un suggerimento sorgivo che (senza imposizioni) ci guida a trascurare la reputazione.

La persona di Fede non bada a spese o rischi, anche per la vita altrui. Tiene in sospeso le costumanze particolari; non anteporre gli affetti di cerchia. Perdona senza limiti.

Spesso siamo d’accordo solo in parte e accettiamo qualcosina - magari fino a che l’amore non vada sino in fondo, o ci rimetta in discussione.

Così la testa, i vezzi, la concatenazione dei valori, e il piccolo mondo cui siamo legati.

 

Accrescere la Fede? Il Dono non è un regalo, ma un Appello.

Perciò Gesù neppure risponde a una richiesta tanto ridicola - ciononostante fa riflettere sui risultati dell’eventuale adesione.

Basterebbe un minimo coinvolgimento e nel mondo si produrrebbero risultati straordinari (v.6); in comunità, nelle famiglie e nella vita personale.

Realizzeremmo l’impossibile e importante. Si risolverebbero i veri problemi. Si trasformerebbero anche le azioni più semplici.

Ci sono poi grandi eventi piantati nel cuore di ogni uomo, che forse consideriamo irrealizzabili: ad es. la fratellanza universale, la vittoria sulla fame, una vita dignitosa e bella per tutti, un mondo e una Chiesa senza personaggi volatili, corrotti e vanitosi.

Siccome le consideriamo situazioni impossibili, neppure iniziamo a edificarle - subito ci lasciamo cadere le braccia.

Ma la maturazione è frutto contromano di lati segreti, non di armature mentali impermeabili.

Come diceva un premio Nobel: «Gli innocenti non sapevano che il loro progetto era impossibile, per questo lo realizzarono».

E non è che dopo una vita impiegata nel servizio - agli ordini del Principale - nell’aldilà finalmente comanderemo, sulla base del rango conquistato [sebbene anche questo forse ci sia stato trasmesso].

Uno dei prodigi che compie in noi la Fede in Cristo - qui e ora - è farci prendere coscienza della bellezza e della gioia di avere libertà di scendere dai piedistalli già identificati, per favorire la vita piena (di tutti).

E a “fine mese” - alla “resa dei conti” o alla “paga” - non diventeremo finalmente dei boss - almeno in cielo!

Perché Dio è Comunione, convivialità delle differenze; e non accetta lo schema servo-padrone, addirittura come premio.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

Nella tua comunità vedi che qualcuno pretende di requisire il dato di Fede, trasformandolo in dovere misurato, prevedibile? Secondo te, quale descrizione dell’opera di Dio trasmette? Viceversa, quale effetto inimmaginabile e fuori scala per normali propositi ha prodotto un tuo pur primo o minimo coinvolgimento nella vita di Fede-amore personale?

Mosè chiede allora a Dio di rivelarsi, di fargli vedere il suo volto. Ma Dio non mostra il volto, rivela piuttosto il suo essere pieno di bontà con queste parole: «Il Signore, Il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà» (Es 34,8). E questo è il Volto di Dio. Questa auto-definizione di Dio manifesta il suo amore misericordioso: un amore che vince il peccato, lo copre, lo elimina. E possiamo essere sempre sicuri di questa bontà che non ci lascia. Non ci può essere rivelazione più chiara. Noi abbiamo un Dio che rinuncia a distruggere il peccatore e che vuole manifestare il suo amore in maniera ancora più profonda e sorprendente proprio davanti al peccatore per offrire sempre la possibilità della conversione e del perdono.

Nel mondo c’è il male, c’è egoismo, c’è cattiveria e Dio potrebbe venire per giudicare questo mondo, per distruggere il male, per castigare coloro che operano nelle tenebre. Invece Egli mostra di amare il mondo, di amare l’uomo, nonostante il suo peccato, e invia ciò che ha di più prezioso: il suo Figlio unigenito. E non solo Lo invia, ma ne fa dono al mondo. Gesù è il Figlio di Dio che è nato per noi, che è vissuto per noi, che ha guarito i malati, perdonato i peccati, accolto tutti. Rispondendo all’amore che viene dal Padre, il Figlio ha dato la sua stessa vita per noi: sulla croce l’amore misericordioso di Dio giunge al culmine. Ed è sulla croce che il Figlio di Dio ci ottiene la partecipazione alla vita eterna, che ci viene comunicata con il dono dello Spirito Santo.

[Papa Benedetto, omelia s. Marino 19 giugno 2011]

2. Queste divisioni si manifestano nei rapporti fra le persone e fra i gruppi, ma anche a livello delle più vaste collettività: nazioni contro nazioni, e blocchi di paesi contrapposti, in un'affannosa ricerca di egemonia. Alla radice delle rotture non è difficile individuare conflitti che, anziché risolversi mediante il dialogo, si acuiscono nel confronto e nel contrasto.

Indagando sugli elementi generatori di divisione, attenti osservatori ne riscontrano i più svariati: dalla crescente sperequazione tra gruppi, classi sociali e paesi agli antagonismi ideologici tutt'altro che spenti; dalla contrapposizione degli interessi economici alle polarizzazioni politiche; dalle divergenze tribali alle discriminazioni per motivi socio-religiosi. Del resto, alcune realtà che sono sotto gli occhi di tutti costituiscono come il volto pietoso della divisione, di cui sono frutto, e ne fanno rilevare la gravità con inconfutabile concretezza. Si possono ricordare, fra tanti altri dolorosi fenomeni sociali del nostro tempo: 1) il calpestamento dei diritti fondamentali della persona umana, primo fra essi il diritto alla vita e a una degna qualità di vita; 2) il che è tanto più scandaloso, in quanto coesiste con una retorica non mai prima conosciuta circa gli stessi diritti; 3) le insidie e pressioni contro la libertà dei singoli e delle collettività, non esclusa, anzi più offesa e minacciata, la libertà di avere, di professare e di praticare la propria fede; 4) le varie forme di discriminazione: razziale, culturale, religiosa ecc.; 5) la violenza e il terrorismo; 6) l'uso della tortura e le forme ingiuste e illegittime di repressione; 7) l'accumulo delle armi convenzionali o atomiche, la corsa agli armamenti, con spese belliche che potrebbero servire a sollevare l'immeritata miseria di popoli socialmente ed economicamente depressi; 8) l'iniqua distribuzione delle risorse del mondo e dei beni della civiltà, che tocca il suo vertice in un tipo di organizzazione sociale, per cui la distanza fra le condizioni umane dei ricchi e dei poveri si accresce sempre di più. La potenza travolgente di questa divisione fa del mondo, in cui viviamo, un mondo frantumato fin nelle sue fondamenta.

D'altra parte, poiché la Chiesa, senza identificarsi col mondo né essere del mondo, è inserita nel mondo ed è in dialogo col mondo, non è da meravigliarsi se si avvertono nella sua stessa compagine ripercussioni e segni della divisione che ferisce l'umana società. Oltre alle scissioni tra le comunioni cristiane che la affliggono da secoli, la Chiesa sperimenta oggi qua e là nel suo seno divisioni fra le sue stesse componenti, causate dalla diversità di vedute e di scelte nel campo dottrinale e pastorale. Anche queste divisioni possono a volte sembrare inguaribili.

Per quanto tali lacerazioni già ad un primo sguardo appaiano impressionanti, soltanto osservando in profondità si riesce a individuare la loro radice: questa si trova in una ferita nell'intimo dell'uomo. Alla luce della fede noi la chiamiamo il peccato: cominciando dal peccato originale, che ciascuno porta dalla nascita come un'eredità ricevuta dai progenitori, fino al peccato che ciascuno commette, abusando della propria libertà.

3. Eppure, lo stesso sguardo indagatore, se è sufficientemente acuto, coglie nel vivo della divisione un inconfondibile desiderio da parte degli uomini di buona volontà e dei veri cristiani di ricomporre le fratture, di rimarginare le lacerazioni, di instaurare, a tutti i livelli, un'essenziale unità. Tale desiderio comporta in molti una vera nostalgia di riconciliazione, pur se questa parola non è usata.

Per taluni si tratta quasi di un'utopia, che potrebbe diventare la leva ideale per un vero mutamento della società; per altri, invece, è oggetto di un'ardua conquista e, quindi, un traguardo da raggiungere con un serio impegno di riflessione e di azione. In ogni caso, l'aspirazione a una riconciliazione sincera e consistente è, senza ombra di dubbio, un motivo fondamentale della nostra società, quasi riflesso di un'incoercibile volontà di pace; lo è - anche se ciò è paradossale - tanto vigorosamente, quanto pericolosi sono gli stessi fattori di divisione.

Tuttavia, la riconciliazione non può essere meno profonda di quanto non sia la divisione. La nostalgia della riconciliazione e la riconciliazione stessa saranno piene ed efficaci nella misura in cui giungeranno - per guarirla - a quella lacerazione primigenia, che è radice di tutte le altre ed è il peccato.

26. Ora, se la Chiesa è «colonna e sostegno della verità» (1Tm 3,15) ed è posta nel mondo come madre e maestra, come potrebbe tralasciare il compito di insegnare la verità che costituisce un cammino di vita?

Dai pastori della Chiesa si attende, prima di tutto, una catechesi sulla riconciliazione. Questa non può non fondarsi sull'insegnamento biblico, specialmente quello neo-testamentario, circa la necessità di ricostituire l'alleanza con Dio in Cristo redentore e riconciliatore e, alla luce e come espansione di questa nuova comunione e amicizia, circa la necessità di riconciliarsi col fratello, a costo di dover interrompere l'offerta del sacrificio. Su questo tema della riconciliazione fraterna Gesù insiste molto: ad esempio, quando invita a porgere l'altra guancia a chi ci ha percosso e a lasciare anche il mantello a chi ci ha preso la tunica, o quando inculca la legge del perdono: perdono che ciascuno riceve nella misura in cui sa perdonare, perdono da offrire anche ai nemici, perdono da concedere settanta volte sette, cioè, in pratica, senza alcuna limitazione. A queste condizioni, realizzabili solo in un clima genuinamente evangelico, è possibile una vera riconciliazione sia fra gli individui, sia fra le famiglie, le comunità, le nazioni e i popoli.

[Papa Giovanni Paolo II, esortazione Reconciliatio et Paenitentia, nn,2-3.26]

Nel Vangelo della Liturgia odierna Gesù dà ai discepoli alcune indicazioni fondamentali di vita. Il Signore si riferisce alle situazioni più difficili, quelle che costituiscono per noi il banco di prova, quelle che ci mettono di fronte a chi ci è nemico e ostile, a chi cerca sempre di farci del male. In questi casi il discepolo di Gesù è chiamato a non cedere all’istinto e all’odio, ma ad andare oltre, molto oltre. Andare oltre l’istinto, andare oltre l’odio. Gesù dice: «Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano» (Lc 6,27). E ancora più concreto: «A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra» (v. 29). Quando noi sentiamo questo, ci sembra che il Signore chieda l’impossibile. E poi, perché amare i nemici? Se non si reagisce ai prepotenti, ogni sopruso ha via libera, e questo non è giusto. Ma è proprio così? Davvero il Signore ci chiede cose impossibili, anzi ingiuste? È  così?

Consideriamo anzitutto quel senso di ingiustizia che avvertiamo nel “porgi l’altra guancia”. E pensiamo a Gesù. Durante la passione, nel suo ingiusto processo davanti al sommo sacerdote, a un certo punto riceve uno schiaffo da una delle guardie. E Lui come si comporta? Non lo insulta, no, dice alla guardia: «Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?» (Gv 18,23). Chiede conto del male ricevuto. Porgere l’altra guancia non significa subire in silenzio, cedere all’ingiustizia. Gesù con la sua domanda denuncia ciò che è ingiusto. Però lo fa senza ira, senza violenza, anzi con gentilezza. Non vuole innescare una discussione, ma disinnescare il rancore, questo è importante: spegnere insieme l’odio e l’ingiustizia, cercando di recuperare il fratello colpevole. Non è facile questo, ma Gesù lo ha fatto e ci dice di farlo anche noi. Questo è porgere l’altra guancia: la mitezza di Gesù è una risposta più forte della percossa che ha ricevuto. Porgere l’altra guancia non è il ripiego del perdente, ma l’azione di chi ha una forza interiore più grande. Porgere l’altra guancia è vincere il male con il bene, che apre una breccia nel cuore del nemico, smascherando l’assurdità del suo odio. E questo atteggiamento, questo porgere l’altra guancia, non è dettato dal calcolo o dall’odio, ma dall’amore. Cari fratelli e sorelle, è l’amore gratuito e immeritato che riceviamo da Gesù a generare nel cuore un modo di fare simile al suo, che rifiuta ogni vendetta. Noi siamo abituati alle vendette: “Mi hai fatto questo, io ti farò quell’altro”, o a custodire nel cuore questo rancore, rancore che fa male, distrugge la persona.

Veniamo all’altra obiezione: è possibile che una persona giunga ad amare i propri nemici? Se dipendesse solo da noi, sarebbe impossibile. Ma ricordiamoci che, quando il Signore chiede qualcosa, vuole donarla. Mai il Signore ci chiede qualcosa che Lui non ci dà prima. Quando mi dice di amare i nemici, vuole darmi la capacità di farlo. Senza quella capacità noi non potremmo, ma Lui ti dice “ama il nemico” e ti dà la capacità di amare. Sant’Agostino pregava così – ascoltate che bella preghiera questa –: Signore, «dammi ciò che chiedi e chiedimi ciò che vuoi» (Confessioni, X, 29.40), perché me lo hai dato prima. Che cosa chiedergli? Che cosa Dio è contento di donarci? La forza di amare, che non è una cosa, ma è lo Spirito Santo. La forza di amare è lo Spirito Santo, e con lo Spirito di Gesù possiamo rispondere al male con il bene, possiamo amare chi ci fa del male. Così fanno i cristiani. Com’è triste, quando persone e popoli fieri di essere cristiani vedono gli altri come nemici e pensano a farsi guerra! È molto triste.

E noi, proviamo a vivere gli inviti di Gesù? Pensiamo a una persona che ci ha fatto del male. Ognuno pensi a una persona. È comune che abbiamo subito il male da qualcuno, pensiamo a quella persona. Forse c’è del rancore dentro di noi. Allora, a questo rancore affianchiamo l’immagine di Gesù, mite, durante il processo, dopo lo schiaffo. E poi chiediamo allo Spirito Santo di agire nel nostro cuore. Infine preghiamo per quella persona: pregare per chi ci ha fatto del male (cfr Lc 6,28). Noi, quando ci hanno fatto qualcosa di male, andiamo subito a raccontare agli altri e ci sentiamo vittime. Fermiamoci, e preghiamo il Signore per quella persona, che l’aiuti, e così viene meno questo sentimento di rancore. Pregare per chi ci ha trattato male è la prima cosa per trasformare il male in bene. La preghiera. La Vergine Maria ci aiuti a essere operatori di pace verso tutti, soprattutto verso chi ci è ostile e non ci piace.

[Papa Francesco, Angelus 20 febbraio 2022]

Fede e religione. Turnover nella Chiesa

(Lc 6,20-26)

 

Gesù giudica la configurazione del mondo in cui la sua Chiesa nello Spirito si trova a vivere: ricchi e indigenti [malfermi in molti sensi], personaggi di spicco e invisibili.

Situazione che non ricalca condizioni di pienezza di vita; piuttosto - anche oggi - rende il sangue amaro a molti.

Una realtà falsata e non definitiva, esasperante, che assolutamente denuncia di non gradire fra i suoi: quella di dominatori lodati (malgrado l’abuso egoistico dei beni e delle posizioni) e insignificanti sottoposti.

Privo di titoli altisonanti, il giovane Rabbi si rivolge dal basso in alto (v.20) a coloro che hanno liberamente scelto la sua proposta di esistenza fraterna e condivisione delle proprietà [in Mt «poveri “per” lo Spirito (d’amore)»].

Egli si compiace [«Beati»] della scelta dei suoi, che fa godere l’esperienza della sintonia col Maestro. Una diversa Visione, e la reciprocità, ossia la medesima qualità di vita intima di Dio.

Già qui sulla terra i profeti critici testimoniano la possibilità di una differente percezione delle cose, nonché il Sogno d’una società fondata sulla convivenza - nello scambio dei benefici.

Un germoglio di mondo ospitale - che Lc vuole incoraggiare - dove non c’è il sopra e il sotto o il davanti e dietro: solo rivolgimenti umanizzanti (come appunto l’inversione dei ruoli) che rinsaldano il tessuto concorde.

Anche nella sua Casa dovrà esserci rotazione e capovolgimento di figure e mansioni di spicco. Il ricambio è cifra del Regno che Viene; in grado di acuire le sensibilità alla Comunione.

Nei documenti dell’antica letteratura si parla poco di miseri, senza voce e affamati. L’attenzione si concentrava sui ricchi, sugli eroi, i sovrani e i generali. Il rovesciamento di sorte era inimmaginabile.

I nuovi potenti del Regno di Dio sono viceversa coloro che sentono il Figlio presente, che pulsa in cuore, Risorto in loro.

Essi non trattengono per sé, ma trasformano beni, traguardi, titoli e ministeri in Vita e Relazione.

Ciò che risulta decisivo e conclusivo è la costruzione di questo tipo di Chiesa [Regno] inusuale.

Germe che si discosta dall’unilateralità dei rapporti. Con arricchimento e avvicendamento dove tutti si sentano adeguati, non più additati.

Nell’avventura di Fede-Amore vige sempre un riconoscimento reciproco. 

Si alternano incessantemente gli uffici.

Infatti, i rapporti di soggezione eccessivamente centrati annientano i Doni viventi di Dio; producono ferite profonde, paralizzanti.

Riducono al silenzio Creatore e creatura: una paradossale autocondanna.

Ma Cristo distingue bene ciò che rende Beati - completi, non unilaterali - e quanto non appartiene e non assomiglia all’opera piena del Padre.

Lo fa non semplicemente ammonendo, bensì per riunire, e dilatare il nostro Nucleo; per lubrificare le intime, migliori essenze di tutti.

Proclamando le Beatitudini, Gesù Risorto vuole comunicare [in specie nelle sue Chiese, che gli sembra ne abbiano tanto bisogno] un’energia meno accentrata e parziale, più permeabile e confluente; un ritmo inclusivo.

E a tutti il permesso pieno di vivere.

 

 

[Mercoledì 23.a sett. T.O.  11 settembre 2024]

Fede e religione. Turnover nella Chiesa

(Lc 6,20-26)

 

In Mt le Beatitudini tracciano un programma per le fraternità di origine giudaica.

In Lc il sermone sembra di carattere più radicale ed è indirizzato alle comunità ellenistiche, con forte accento sociale.

Gesù giudica la configurazione del mondo in cui la sua Chiesa nello Spirito si trova a vivere: ricchi e indigenti [malfermi in molti sensi], personaggi di spicco e invisibili.

Situazione che non ricalca condizioni di pienezza di vita; piuttosto - anche oggi - rende il sangue amaro a molti.

Una realtà falsata e non definitiva, esasperante, che assolutamente denuncia di non gradire fra i suoi: quella di dominatori lodati (malgrado l’abuso egoistico dei beni e delle posizioni) e insignificanti sottoposti.

Privo di titoli altisonanti, il giovane Rabbi si rivolge dal basso in alto (v.20) a coloro che hanno liberamente scelto la sua proposta di esistenza fraterna e condivisione delle proprietà [in Mt «poveri “per” lo Spirito (d’amore)»].

 

Il Maestro si compiace in modo esplicito [«Beati»] della scelta dei suoi, estranea all’egoismo.

Egli loda quell’esperienza di sintonia: nella medesima qualità di vita intima di Dio, uniti e promossi a una diversa Visione e reciprocità.

Già qui sulla terra gl’intimi testimoniano infatti una possibilità di percezione differente delle cose: con lo sguardo dal basso.

In aggiunta, il Sogno d’una società alternativa, fondata sulla convivenza armonica, senza discriminazioni. Una cosa da capogiro - nello scambio dei benefici.

Un germoglio di mondo ospitale - che Lc vuole incoraggiare - dove non c’è il sopra e il sotto o il davanti e dietro: solo rivolgimenti umanizzanti (come appunto l’inversione dei ruoli) che rinsaldano il tessuto concorde.

Anche nella sua Casa dovrà esserci rotazione e capovolgimento di figure e mansioni di spicco - segni del Regno che Viene.

Il ricambio è cifra del Regno che Viene; in grado di acuire le sensibilità alla Comunione.

Non installazione (addirittura, a vita) e fissità.

 

Nei documenti dell’antica letteratura si parla poco di miseri, senza voce e affamati. L’attenzione si concentrava sui ricchi, sugli eroi, i sovrani e i generali.

Il rovesciamento di sorte era inimmaginabile, sebbene qua e là [in specie nel mondo delle donne, del tutto soffocato] lo si percepisse quale desiderio profondo e ben più autentico.

I potenti del nuovo mondo umanizzante sono appunto il viceversa di quanto previsto: coloro che sentono il Figlio presente, che pulsa in cuore, Risorto in loro.

Essi non trattengono per sé, ma trasformano beni, traguardi, titoli e ministeri in Vita e Relazione.

Dinamismo che a nessuno farà più mancare la terra sotto i piedi.

 

Né per difendersi ci sarà bisogno di toni alti.

Se ancora non si riesce a distinguersi e riconoscersi, nella reciprocità si potrà diventare meno rumorosi.

Poi, quanto ora si sperimenta - e soffre per amore - è transitorio, non definitivo.

Ciò che viceversa risulta decisivo e conclusivo è la costruzione di questo tipo di Chiesa [Regno] inusuale.

Germe che si discosta dall’unilateralità dei rapporti.

Seme e Nido - con arricchimento e avvicendamento - dove tutti si sentano adeguati, non più additati.

In ogni caso, indipendenti dall’opinione conformista o piramidale, interessate a perpetuarsi.

In tal guisa le persecuzioni che poi recano patimento devono essere messe in conto - non come rantolo di morte, bensì lieta notizia: dolore di parto, emblema e fonte di Speranza larga.

 

Il mondo competitivo antico tira le cuoia e si difende con ogni mezzo, ma il futuro annunciato sta giungendo.

Le fraternità che operano scelte risolutive vanno per il cammino giusto, sensato, vitale, che non solo attutisce ma insegna a vivere le disavventure come occasione di Novità e diversa Armonia.

Coloro cui tutto fila liscio e sono incensati - e si permettono di ritagliarsi posizioni di rilievo fisse, nelle assemblee di Fede ridotte a regno dell’uomo - non fanno che ribadire le divergenze che già marcavano la struttura dell’Impero.

Nulla hanno in comune col disegno del Padre.

Pertanto Gesù non si compiace della loro presenza, piuttosto se ne lamenta.

Non ritiene che la sperequazione sociale sia frutto di fatalità, bensì d’ingiustizia - insopportabile per coloro che si dicono discepoli e fratelli.

 

In un clima di reale condivisione di risorse e convivialità delle differenze ci si aiuta anche a comprendere il rapporto di Amicizia in senso forte - fra noi membri di Chiesa, e con Dio.

In clima di vita beata il nucleo interiore viene finalmente ascoltato, e smuove situazioni cristallizzate. Fa vedere la vita da altri punti di vista. Quindi non si esagera nei controlli; non si attuano forzature.

Tra credenti, qualsivoglia esigenza trova spazio - senza più copione - e tutto si discosta dalla parzialità dei rapporti esterni.

 

In una relazione Padre-figlio religiosa e verticista (già concatenata, volontarista) priva di Fede, è sempre l’Onnipotente che sovrasta, e la creatura obbedisce.

Dio è in primo piano e sentenzia; l’uomo lo segue, vive in funzione del “padrone” e dei suoi “rappresentanti” - addirittura in posizioni vitalizie - come se tutti gli altri avessero un’identità insipida e decentrata.

Invece nella comunità che riflette il divino non c’è mai qualcuno che sta sempre in secondo piano e i soliti che prevalgono e decidono - mentre altri seguono e fanno da spettatori.

Altrimenti qualcuno finirà per covare l’abbandono o rivalse, e reagire [unica strada] per non annientarsi.

Nessuno può vivere senza esprimere la propria personalità e irripetibile Vocazione: nelle micro e macro relazioni comunitarie, nella Chiesa attiva nell’apostolato laicale - se infaticabile.

Ciò vale anche con Dio.

 

Lo stesso ideale di armonizzazione s’impone con le Tradizioni o i cosiddetti Carismi - i quali non dovrebbero sovraccaricare le anime.

Basta con visioni del mondo cesellate secondo un’altra taglia: altrui, o già datata, che non ci appartiene più. Sebbene possa in vari casi proporre un mondo di saperi in cui ci si può e deve riconoscere…

Se viceversa il rapporto si riempie di strapotere - come nelle devozioni o nelle ideologie, nelle cordate d’affari ovvero nelle sette - l’inclinazione non potrà generare unità [se non di facciata] bensì ogni sorta di tradimento e abbandono.

Ma qui la defezione si rende paradossalmente necessaria, per ritrovarsi.

Resta un momento di tensione e forse su due piedi una fuga, ma da una situazione opprimente - come quella del figlio prodigo (al cap.15) che scappa di casa perché vessato dall’atteggiamento del “figlio maggiore”.

 

Nell’avventura di Fede-Amore vige sempre un riconoscimento reciproco.  Dunque si alternano incessantemente gli uffici.

Si rovesciano incessantemente i ruoli fra soggetto e “oggetto” (reso a sua volta protagonista) dello scambio di risorse e del sovvenire in omaggio.

I rapporti di soggezione eccessivamente centrati annientano i Doni viventi di Dio; producono ferite profonde, paralizzanti.

Riducono al silenzio Creatore e creatura: una paradossale autocondanna.

Nel Regno delle “santità” poliedriche persiste al contrario l’inversione tra colui che propone, chi accoglie e coloro che dilatano.

In ogni situazione valutando se il fratello è nella letizia. [In tal senso si fa davvero opportuno il cammino sinodale].

Poi nel tempo si cresce e si cambia anche parere - ad es. circa persone o vicende che consideravamo lontane, inconcludenti.

E invece ci parlavano di missione, o del nostro ritmo segreto verso un altro traguardo e destino.

 

Il Cristo presente in ogni fedele e nel suo corpo mistico che vive le Beatitudini, supera ogni opinione normalizzata.

Dio non è monocromatico: sorvola disparità di comportamenti, divisione di ceto, malumori - e questo non è un discorso lontano da noi.

Ad es. sino a poco fa nel Battesimo sbrigavamo una formalità.

Non ci si rendeva conto di quanto accadeva fra Dio e la creatura introdotta nella Chiesa - né della differenza tra pia cerimonia e orientamento della vita.

Ma sostare con noi stessi e il nostro Senso, insieme, avrebbe qualificato il modo di comprenderci; capire gli altri, stare in campo.

Spontaneamente avremmo abbandonato il nostro “personaggio”, ruolo e primato (che accentrano, ma fanno da palla al piede alle migliori energie).

Insomma, con l’aiuto di una Casa comune qualitativamente ricca, viva e impegnata nello spirito di gratuità, saremmo già qui nella condizione divina.

Avremmo riattivato noi stessi e le nostre capacità a tutto tondo - senza prima aggiustare posizioni su modelli omologati e senza vigore, che ci sottomettono a relazioni rancorose, soffocanti, parziali, equivoche.

 

Nelle contrapposizioni ai vv.24-26 il Signore distingue bene ciò che rende Beati - completi, non unilaterali - e quanto non appartiene né assomiglia all’opera del Padre.

Ma lo fa non semplicemente ammonendo, bensì per riunire, e dilatare il nostro Nucleo; per lubrificare le intime, migliori essenze di tutti.

Proclamando lo spirito di Beatitudini - dentro ciascuno di noi - anche nel tempo della pandemia e della crisi globale non intende farci rodere il fegato e sentire dei traditori, incoerenti e fuori strada.

Tale Parola vuole comunicare [in specie alle stesse assemblee, che al Risorto sembra ne abbiano tanto bisogno] un’energia meno accentrata e parziale, più permeabile e confluente; un ritmo inclusivo.

E a tutti il permesso pieno di vivere.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Qual è il tuo ideale di felicità?

Conosci nella Chiesa uomini Beati, o soprattutto uomini di terra e che accentrano le relazioni, le mansioni, la gestione dei programmi pastorali e altro (...) pur propagandando “unità”?

Qual è il tuo grido di rabbia che non lasci uscire, per paura di essere escluso? Non credi che ti stia parlando profondamente delle scelte umane discriminanti, della Vocazione personale ed ecclesiale?

Credi che le Beatitudini siano un freno alla realizzazione personale e sociale, o viceversa una possibilità di affermarsi, e con determinazione?

 

 

Paradossi per una condivisione

 

Fra’ Egidio, compagno di San Francesco, riassume l’insegnamento del suo Fondatore così:

«Vuoi sentire bene? Diventa sordo. Vuoi parlare bene? Sta’ zitto. Vuoi camminare bene? Tagliati le gambe. Vuoi lavorare bene? Tagliati le mani. Vuoi amare davvero? Odiati. Vuoi vivere bene? Mortificati. Vuoi guadagnare? Impara a perdere. Vuoi arricchirti? Sii povero. Vuoi esser consolato? Piangi. Vuoi vivere nella sicurezza? Abbi sempre timore. Vuoi salire in alto? Umiliati. Vuoi essere stimato? Disprezza te stesso e stima quelli che ti disprezzano. Vuoi avere il bene? Sopporta il male. Vuoi essere in pace? Fatica. Vuoi che ti benedicano? Spera che ti maledicano».

Nella Lettera a Diogneto (metà II sec.) leggiamo:

«I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri uomini. Infatti non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono un genere di vita speciale. La loro dottrina non è nella scoperta del pensiero di uomini multiformi, né essi aderiscono a una corrente filosofica umana, come fanno gli altri. Vivendo in città greche e barbare, come a ciascuno è capitato, e adeguandosi ai costumi del luogo nel vestito, nel cibo e nel resto, testimoniano un metodo di vita sociale mirabile e indubbiamente paradossale. Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera. Si sposano come tutti e generano figli, ma non gettano i neonati. Mettono in comune la mensa, ma non il letto. Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. Dimorano nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati. Non sono conosciuti, e vengono condannati. Sono uccisi, e riprendono a vivere. Sono poveri, e fanno ricchi molti; mancano di tutto, e di tutto abbondano. Sono disprezzati, e nei disprezzi hanno gloria. Sono oltraggiati e proclamati giusti. Sono ingiuriati e benedicono; sono maltrattati e onorano. Facendo del bene vengono puniti come malfattori; condannati gioiscono come se ricevessero la vita. Dai giudei sono combattuti come stranieri, e dai greci perseguitati, e coloro che li odiano non saprebbero dire il motivo dell’odio».

«A dirla in breve, come è l’anima nel corpo, così nel mondo sono i cristiani. L’anima è diffusa in tutte le parti del corpo e i cristiani nelle città della terra. L’anima abita nel corpo, ma non è del corpo; i cristiani abitano nel mondo, ma non sono del mondo (...). Dio li ha messi in un posto tale che ad essi non è lecito abbandonare».

 

Il Cristianesimo non è una religione, bensì una Persona e la sua proposta: un Cammino eccezionale di Amicizia e paradosso.

Citando Emmanuel Carrère: «(Gesù) è sempre quello che i suoi seguaci hanno voluto vedere, sentire, toccare, ma non come si aspettavano di vederlo, sentirlo, toccarlo (...). È il primo che passa, è l’ultimo dei mendicanti».

Le estrose scelte di Dio passano per gli indecisi, gli sconfitti, stupidi deboli ignobili derisi.

Non per un vezzo alternativo, ma perché sono queste le persone che - mentre si adoperano per rallegrare la vita altrui - rischiando in proprio fanno esperienza di un Padre che provvede alla loro, nell’unicità.

 

 

Hanno fatto passare la Luce

 

Tutti i Santi, tra senso religioso e Fede

 

Incarnando lo spirito delle Beatitudini, ci chiediamo quale sia la differenza tra “sentire religioso” comune, e “vivere di Fede”.

Nelle devozioni antiche il Santo è l’uomo compos sui, perfetto e distaccato [ma prevedibile]; e il contrario di Santo è «peccatore».

Nella proposta di vita piena nel Signore, il «santo» è persona d’intesa comunicativa e che vive per la convivialità, creandola dove non c’è.

Nel cammino dei figli il Santo è sì l’uomo eccellente, ma nel suo senso compiuto - pieno e dinamico, poliedrico; perfino eccentrico. Non in una accezione unilaterale, moralistica o sentimentale.

Nella lingua latina perfìcere significa condurre a termine, andare sino in fondo.

In tale accezione completa e integrale, “perfetto” diventa un valore incarnato autentico: attributo possibile - d’ogni persona consapevole della propria condizione di vulnerabilità, e non la disprezza.

La donna e l’uomo di Fede valorizzano ogni occasione o emozione che mettono a nudo la condizione di nudità [non colpa] per aprire nuove strade e rinnovarsi.

In ottica di vita nello Spirito il santo [in ebraico Qadosh, attributo divino] è sì l’uomo «distacccato», ma non in senso parziale o fisico, bensì ideale.

Non è la persona che a un certo punto della vita prende le distanze dalla famiglia umana per intraprendere un sentiero di purificazione che la innalzerebbe. Illudendosi di migliorare.

Come sottolinea l'enciclica Fratelli Tutti: «Un essere umano [...] non si realizza, non sviluppa, non può trovare la propria pienezza [... e] non giunge a riconoscere a fondo la propria verità se non nell’incontro con gli altri» (n.87).

Il testimone autentico non è animato dal disprezzo del caos esistenziale - né desideroso di appaltare le difficoltà di gestione della propria libertà consegnandola a un’agenzia alienante, dalla mentalità appartata (che risolva il dramma delle scelte personali).

In Cristo l’uomo è un «disgiunto» dalla mentalità comune, in quanto fedele a se stesso, al proprio Fuoco che non si estingue - alle passioni, alla propria irripetibile unicità e Vocazione.

E insieme, «separato» da criteri competitivi esterni: dell’avere, del potere, dell’apparire. Potenze autodistruttive.

A queste ultime, sostituisce concretamente la fraternità del donare, del servire e dello sminuirsi [dal “personaggio”]. Energie feconde.

Tutto per la Comunione globale, e in Verità anche con il proprio intimo seme caratteriale - evitando proselitismi e il farsi notare nelle passerelle.

Il vero credente conosce il suo limite redento, vede le possibilità dell’imperfezione... Così sostituisce i presupposti del trattenere per sé, del salire sugli altri e del dominarli, con un fondamentale trittico umanizzante: elargire, libertà di “scendere”, collaborare.

Questo l’autentico Distacco, che non fugge le proprie e altrui inclinazioni, né disprezza il tratto complesso della condizione umana.

In tal guisa, il «santo» vive la Beatitudine essenziale dei perseguitati (Mt 5,11-12; Lc 6,22-23) perché ha la libertà di “abbassarsi” per essere in sintonia con la propria essenza; coesistendo nella sua originalità.

In termini di Fede, il Santo non è più dunque un fisicamente «separato», bensì «Unito» a Cristo - e messo al bando come Lui, nei fratelli deboli.

Insomma, il Disegno divino è comporre Famiglia di piccoli e malfermi, non ritagliarsi un gruppo di amici “forti”, e “migliori” degli altri.

Solo quest’orizzonte di Focolare ci spinge a partire.

Di conseguenza, contrario di Santo non è «peccatore», bensì irrealizzato o incompiuto.

 

Vediamone ancora il motivo (vocazionale e per strade personali).

Gesù era amico di pubblicani e pubblici peccatori non perché migliori dei buoni, ma perché in religione i «giusti» risultano non di rado poco spontanei; rendendosi impermeabili, chiusi, refrattari all’azione dello Spirito.

Con sorpresa, il Signore stesso ha fatto ripetuta esperienza che proprio le persone devotamente carenti erano volte a interrogarsi, accorgersi, rielaborare, deviare dall’assuefazione - per l’edificazione di nuovi sentieri, anche procedendo a tastoni.

Non potendo godere del mantello perbenista di paraventi sociali, dopo una presa di coscienza della propria situazione (e nel tempo) - rispetto a coloro che si ritenevano “arrivati” e amici di Dio - da “lontani” diventavano persone più degli “impeccabili” disposte ad amare.

 

Il mettersi in discussione è fondamentale in ottica biblica.

Ad ogni pie’ sospinto la Scrittura ci propone una spiritualità dell’Esodo, ossia una strada di liberazione da pastoie e percorsa come a piedi, passo dopo passo. Quindi che valorizza sentieri di ricerca, esplorazione, scoperta di sé e della Novità di un Dio che non ripete, ma crea.

L’Appello che la Parola rivolge è a intraprendere un itinerario; questo il punto. E da sempre noi siamo «quelli della Via» e che non passano oltre, non girano lo sguardo dall’altra parte [cf. Lc 10,31-33; FT, 56ss].

 

Per la mentalità pagana classica, la donna e l’uomo sono essenzialmente “natura”, quindi il loro essere nel mondo è condizionato [ricordo che il mio professore di antropologia teologica Ignazio Sanna diceva addirittura «de-centrato»], persino determinato dalla nascita (fortunata o meno).

Secondo la Bibbia la donna e l’uomo sono creature, splendide e adeguate in sé alla propria missione, ma pellegrine e carenti.

Dio è Colui che li «chiama» a completarsi, recuperando gli aspetti difformi.

 

Per giungere a essere immagine e somiglianza del Signore, dobbiamo sviluppare capacità di risposta a una Vocazione che ci rende non dei fenomeni, né “perfetti” eccezionali, bensì Testimoni particolari.

Scelti per Nome, così come siamo; che abbracciano il loro essere profondo - anche inespresso - fino a riconoscerlo nel Tu, e dispiegarlo nel Noi.

La santità di una persona si coniuga dunque con moltissimi dei suoi stati d’insoddisfazione, di confine, e persino di fallimento parziale - ma sempre pensando e sentendo la realtà.

Per una Nuova Alleanza.

 

Nell’Antico Testamento il credente entrava in contatto con la purità divina frequentando luoghi sacri, adempiendo prescrizioni, recitando preghiere, rispettando tempi e spazi, scansando situazioni imbarazzanti; così via.

La nostra esperienza e coscienza attestano infallibilmente che l’osservanza rigorosa è troppo rara, o di maniera: dentro, spesso non ci corrisponde - né umanizza.

Essa diventa presto o tardi un castello di carte, malfermo tanto più punta “in alto”. Basta disporne una sola in modo maldestro, e la costruzione artificiosa crolla.

Ci rendiamo conto della nostra naturale impossibilità a soddisfare sterilizzazioni, mappe (altrui) e standard così elevati.

Con Gesù la Perfezione non riguarda il “pensiero”, né il rispetto di un Codice di osservanze astratto. La Compiutezza è in riferimento a una qualità di Esodo e Relazione.

In antichi contesti il cammino dei figli è stato ammantato d’una proposta misticheggiante o rinunciataria fatta di astinenze, digiuni, ritiri, vita appartata, adempimenti cultuali ossessivi... che in molte situazioni hanno costituito la trama portante della spiritualità pre-Conciliare.

Ma nella Scrittura i Santi non hanno l’aureola e neppure le ali.

Non sono tali per aver compiuto miracoli di guarigione incomparabili e stupefacenti: bensì donne e uomini inseriti nel mondo comune e negli aspetti più ordinari. 

Essi conoscono i problemi, le debolezze, le gioie e i dolori della vita quotidiana; la ricerca della propria identità-carattere, o inclinazione profonda.

E l’apostolato; la famiglia, l’educazione dei figli, il lavoro. La forza di seduzione del male, perfino.

 

Nel Primo Testamento «Qadosh» designava esclusivamente un attributo dell’Eterno [unica Persona non intermittente] - e la sua separatezza dall’intreccio delle spesso confuse ambizioni terrene.

Malgrado i difetti, però, in Cristo diventiamo capaci di ascolto, di percezione; quindi abilitati a cogliere ogni opportunità per rendere testimonianza della Gratuità innata, vitale, dell’iniziativa divina e reale.

Incessantemente la vita provvidente si propone e viene incontro per aprire varchi impensabili, che fanno breccia.

I suoi inediti tragitti di crescita rinnovano l’esistere tutto concatenato e conforme.

Ciò anche facendoci stupire delle risorse intime, prima inconsapevoli o inconfessate e sottaciute, ovvero imprevedibilmente nascoste dietro lati oscuri.

 

Quel ch’è Insigne non viene più spostato dietro nuvolette e collocato in recinti muniti.

Pertanto, avversario di Dio non sarà la trasgressione: diventa viceversa la mancanza di spirito di Comunione, nelle differenze.

Nemico della storia di Salvezza non è l’incompletezza religiosa, ma il divario dalle Beatitudini - e dallo spirito in fieri del «viandante» per il quale “peregrinare” è sinonimo [non paradossale] anche di “errare”.

Contrapposto di Dio non sono dunque “i peccati”, bensì «il» Peccato [al singolare, termine teologico, non moralistico].

“Peccato” è l’incapacità di corrispondere a una Chiamata indicativa, che fa da molla per completarci, per rigenerarci non parziali. Ciò armonizzando i lati opposti - nell’essere noi stessi ed essere-Con.

Qui è la Fede che «salva», nel punto in cui ci troviamo - perché annienta «il peccato del mondo» (Gv 1,29) ossia la disistima e senso di colpa; l’umiliazione delle distanze incolmabili.

Infatti Gesù non raccomanda dottrine, né di parcellizzare la propria vicenda con etilismi puntuali. Neppure prospetta alcuna religiosa scalata [in termini di progressività] condita di sforzi.

A nessuno nei Vangeli il Cristo dice «fatti santo», bensì con Lui, come Lui e in Lui - Unito, per incontrare incessantemente i propri stati profondi.

Riconoscendoli meglio, anche grazie al Tu e al Noi.

 

Il Santo è il piccolo, non l’eroe tutto d’un pezzo, uniforme, pronosticabile, scontato.

Santo è colui che percorrendo la propria via nella scia del Risorto, ha imparato a «identificarsi con l'altro, senza badare a dove [né] da dove [...] in definitiva sperimentando che gli altri sono sua stessa carne» (cf. FT 84).

Cari fratelli e sorelle,

l’anno liturgico è un grande cammino di fede, che la Chiesa compie sempre preceduta dalla Vergine Madre Maria. Nelle domeniche del Tempo Ordinario, tale itinerario è scandito quest’anno dalla lettura del Vangelo di Luca, che oggi ci accompagna “in un luogo pianeggiante” (Lc 6,17), dove Gesù sosta con i Dodici e dove si raduna una folla di altri discepoli e di gente venuta da ogni parte per ascoltarLo. In tale cornice si colloca l’annuncio delle “beatitudini” (Lc 6,20-26; cfr Mt 5,1-12). Gesù, alzati gli occhi verso i suoi discepoli, dice: “Beati voi, poveri… beati voi, che ora avete fame… beati voi, che ora piangete… beati voi, quando gli uomini… disprezzeranno il vostro nome” per causa mia. Perché li proclama beati? Perché la giustizia di Dio farà sì che costoro siano saziati, rallegrati, risarciti di ogni falsa accusa, in una parola, perché li accoglie fin d’ora nel suo regno. Le beatitudini si basano sul fatto che esiste una giustizia divina, che rialza chi è stato a torto umiliato e abbassa chi si è esaltato (cfr Lc 14,11). Infatti, l’evangelista Luca, dopo i quattro “beati voi”, aggiunge quattro ammonimenti: “guai a voi, ricchi… guai a voi, che ora siete sazi,… guai a voi, che ora ridete” e “guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi”, perché, come afferma Gesù, le cose si ribalteranno, gli ultimi diventeranno primi, e i primi ultimi (cfr Lc 13,30).

Questa giustizia e questa beatitudine si realizzano nel “Regno dei cieli”, o “Regno di Dio”, che avrà il suo compimento alla fine dei tempi ma che è già presente nella storia. Dove i poveri sono consolati e ammessi al banchetto della vita, lì si manifesta già ora la giustizia di Dio. E’ questo il compito che i discepoli del Signore sono chiamati a svolgere anche nella società attuale. Penso alla realtà dell’Ostello della Caritas Romana alla Stazione Termini, che stamani ho visitato: di cuore incoraggio quanti operano in tale benemerita istituzione e quanti, in ogni parte del mondo, si impegnano gratuitamente in simili opere di giustizia e di amore.

Al tema della giustizia ho dedicato quest’anno il Messaggio per la Quaresima, che inizierà il prossimo mercoledì, detto delle Ceneri. Oggi desidero, pertanto, consegnarlo idealmente a tutti, invitando a leggerlo e a meditarlo. Il Vangelo di Cristo risponde positivamente alla sete di giustizia dell’uomo, ma in modo inatteso e sorprendente. Egli non propone una rivoluzione di tipo sociale e politico, ma quella dell’amore, che ha già realizzato con la sua Croce e la sua Risurrezione. Su di esse si fondano le beatitudini, che propongono il nuovo orizzonte di giustizia, inaugurato dalla Pasqua, grazie al quale possiamo diventare giusti e costruire un mondo migliore.

Cari amici, rivolgiamoci ora alla Vergine Maria. Tutte le generazioni la proclamano “beata”, perché ha creduto nella buona notizia che il Signore le ha annunciato (cfr Lc 1,45.48). Lasciamoci guidare da Lei nel cammino della Quaresima, per essere liberati dall’illusione dell’autosufficienza, riconoscere che abbiamo bisogno di Dio, della sua misericordia, ed entrare così nel suo Regno di giustizia, di amore e di pace.

[Papa Benedetto, Angelus 14 febbraio 2010]

1. Comunità sacerdotale, sacramentale, profetica, la Chiesa è stata istituita da Gesù Cristo come una società strutturata, gerarchica e ministeriale, in funzione del governo pastorale per la formazione e la crescita continua della comunità. I primi soggetti di tale funzione ministeriale e pastorale sono i dodici Apostoli, scelti da Gesù Cristo come fondamenti visibili della sua Chiesa. Come dice il Concilio Vaticano II, “Gesù Cristo, Pastore eterno, ha edificato la santa Chiesa e ha mandato gli Apostoli come Egli stesso era mandato dal Padre (cf. Gv 20, 21), e volle che i loro successori, cioè i Vescovi, fossero nella sua Chiesa pastori fino alla fine dei secoli” (LG 18). Questo passo della Costituzione dogmatica sulla Chiesa - Lumen gentium - ci richiama anzitutto alla posizione originale e unica degli Apostoli nel quadro istituzionale della Chiesa. Dalla storia evangelica sappiamo che Gesù ha chiamato dei discepoli a seguirlo e fra loro ne ha scelto dodici (cf. Lc 6, 13).

La narrazione evangelica ci fa conoscere che per Gesù si trattava di una scelta decisiva, fatta dopo una notte di preghiera (cf. Lc 6, 12); di una scelta fatta con una libertà sovrana: ci dice Marco che Gesù, salito sul monte, chiamò a sé “quelli che volle” (Mc 3, 13). I testi evangelici riportano i nomi dei singoli chiamati (cf. Mc 3, 16-19 e par.): segno che la loro importanza era stata percepita e riconosciuta nella Chiesa primitiva.

2. Col creare il gruppo dei Dodici, Gesù creava la Chiesa, come visibile società strutturata al servizio del Vangelo e dell’avvento del Regno di Dio. Il numero dodici aveva riferimento alle dodici tribù d’Israele, e l’uso che ne fece Gesù svela la sua intenzione di creare un nuovo Israele, il nuovo popolo di Dio istituito come Chiesa. L’intenzione creatrice di Gesù traspare dallo stesso verbo usato da Marco per descrivere l’istituzione: “Ne fece dodici . . . Fece i dodici”. “Fare” ricorda il verbo usato nel racconto della Genesi sulla creazione del mondo e nel Deutero-Isaia (Is 43, 1; 44, 2) sulla creazione del popolo di Dio, l’antico Israele. La volontà creatrice si esprime anche nei nuovi nomi dati a Simone (Pietro) e a Giacomo e Giovanni (Figli del tuono), ma anche a tutto il gruppo o collegio nel suo insieme. Scrive, infatti, Luca che Gesù “ne scelse dodici, ai quali diede il nome di apostoli” (Lc 6, 13). I Dodici Apostoli diventavano così una realtà socio-ecclesiale caratteristica, distinta e, sotto certi aspetti, irripetibile. Nel loro gruppo emergeva l’apostolo Pietro, circa il quale Gesù manifestava in modo più esplicito l’intenzione di fondare un nuovo Israele, con quel nome dato a Simone: “pietra”, su cui Gesù voleva edificare la sua Chiesa (cf. Mt 16, 18).

3. Lo scopo di Gesù, nell’istituire i Dodici, viene definito da Marco: “Ne fece dodici perché stessero con lui, e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni” (Mc 3, 14-15). Il primo elemento costitutivo del gruppo dei Dodici è dunque un attaccamento assoluto a Cristo: si tratta di persone chiamate a “essere con lui”, cioè a seguirlo lasciando tutto. Il secondo elemento è quello missionario, espresso sul modello della missione stessa di Gesù, che predicava e scacciava i demoni. La missione dei Dodici è una partecipazione alla missione di Cristo da parte di uomini strettamente legati a lui come discepoli, amici, fiduciari.

4. Nella missione degli Apostoli l’evangelista Marco sottolinea “il potere di scacciare i demoni”. È un potere sulla potenza del male, che in positivo significa il potere di dare agli uomini la salvezza di Cristo, Colui che getta fuori il “principe di questo mondo” (Gv 12, 31). Luca conferma il senso di questo potere e lo scopo della istituzione dei Dodici, riportando la parola di Gesù che conferisce agli Apostoli l’autorità nel Regno: “Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove. E io dispongo per voi un regno come il Padre ne ha disposto per me” (Lc 22, 28). Anche in questa dichiarazione, sono intimamente legate la perseveranza nell’unione con Cristo e l’autorità concessa nel regno. Si tratta di un’autorità pastorale, come risulta dal testo sulla missione affidata specificamente a Pietro: “Pasci i miei agnelli . . . Pasci le mie pecorelle” (Gv 21, 15-17). Pietro riceve personalmente l’autorità suprema nella missione di pastore. Questa missione è esercitata come partecipazione all’autorità dell’unico Pastore e Maestro, Cristo. L’autorità suprema affidata a Pietro non annulla l’autorità conferita agli altri Apostoli nel regno. La missione pastorale è condivisa dai Dodici sotto l’autorità di un solo Pastore universale, mandatario e rappresentante del Buon Pastore, Cristo.

5. I compiti specifici inerenti alla missione affidata da Gesù Cristo ai Dodici sono i seguenti: a) missione e potere di evangelizzare tutte le nazioni, come attestano chiaramente i tre Sinottici (cf. Mt 28, 18-20; Mc 16, 16-18; Lc 24, 45-48). Tra di essi, Matteo mette in evidenza il rapporto stabilito da Gesù stesso tra la sua potestà messianica e il mandato da lui conferito agli Apostoli: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni” (Mt 28, 18). Gli Apostoli potranno e dovranno svolgere la loro missione grazie al potere di Cristo che si manifesterà in loro. b) missione e potere di battezzare (Mt 28, 19), come adempimento del mandato di Cristo, con un battesimo nel nome della SS. Trinità (Ivi), che, essendo legato al mistero pasquale di Cristo, negli Atti degli Apostoli viene anche considerato come battesimo nel nome di Gesù (cf. At 2, 38; 8, 16). c) missione e potere di celebrare l’eucaristia: “Fate questo in memoria di me” (Lc 22, 19; 1 Cor 11, 24-25). L’incarico di rifare ciò che Gesù ha compiuto nell’ultima Cena, con la consacrazione del pane e del vino, implica un potere di altissimo livello; dire nel nome di Cristo: “Questo è il mio corpo”, “questo è il mio sangue”, è quasi un identificarsi a Cristo nell’atto sacramentale. d) missione e potere di rimettere i peccati (Gv 20, 22-23). È una partecipazione degli Apostoli al potere del Figlio dell’uomo di rimettere i peccati sulla terra (cf. Mc 2, 10): quel potere che nella vita pubblica di Gesù aveva provocato lo stupore della folla, della quale l’evangelista Matteo ci dice che “rese gloria a Dio che aveva dato un tale potere agli uomini” (Mt 9, 8).

6. Per compiere questa missione gli Apostoli hanno ricevuto, oltre il potere, il dono speciale dello Spirito Santo (cf. Gv 20, 21-22), che si è manifestato nella Pentecoste, secondo la promessa di Gesù (cf. At 1, 8). In forza di questo dono, dal momento della Pentecoste essi hanno cominciato ad adempiere il mandato della evangelizzazione di tutti i popoli. Ce lo dice il Concilio Vaticano II nella Costituzione Lumen gentium: “Gli Apostoli . . . predicando ovunque il Vangelo, accolto dagli uditori per mozione dello Spirito Santo, radunano la Chiesa universale, che il Signore ha fondato sugli Apostoli e ha edificato sul beato Pietro, loro capo, mentre Gesù Cristo stesso ne è la pietra maestra angolare (cf. Ap 21, 14; Mt 16, 18; Ef 2, 20)” (LG 19).

7. La missione dei Dodici comprendeva un ruolo fondamentale loro riservato, che non sarebbe stato ereditato da altri: essere testimoni oculari della vita, morte e risurrezione di Cristo (cf. Lc 24, 48), trasmettere il suo messaggio alla comunità primitiva, come cerniera tra la rivelazione divina e la Chiesa, e per ciò stesso dare inizio alla Chiesa in nome e per virtù di Cristo, sotto l’azione dello Spirito Santo. Per questa loro funzione i Dodici Apostoli costituiscono un gruppo di importanza unica nella Chiesa, la quale fin dal Simbolo niceno-costantinopolitano è definita apostolica (Credo una sanctam, catholicam et “apostolicam” Ecclesiam) per questo indissolubile legame ai Dodici. Ciò spiega perché anche nella liturgia la Chiesa ha inserito e riservato delle celebrazioni particolari solenni in onore degli Apostoli.

8. Tuttavia Gesù ha conferito agli Apostoli una missione di evangelizzazione di tutte le genti, che richiede un tempo molto lungo, e che anzi dura “sino alla fine del mondo” (Mt 28, 20). Gli Apostoli capirono che era volontà di Cristo che provvedessero ad avere dei successori, che, come loro eredi e legati, portassero avanti la loro missione. Stabilirono quindi “episcopi e diaconi” nelle diverse comunità “e disposero che dopo il loro decesso altri uomini approvati ricevessero la loro successione nel ministero” (Clemente Romano, Ep. Ad Cor., 44, 2; cf. 42, 1. 4). In questo modo Cristo ha istituito una struttura gerarchica e ministeriale della Chiesa, formata dagli Apostoli e dai loro successori; struttura che non è derivata da una precedente comunità già costituita, ma è stata creata direttamente da lui. Gli Apostoli sono stati, a un tempo, i semi del nuovo Israele e l’origine della sacra gerarchia, come si legge nella Costituzione Ad gentes del Concilio (AG 5). Tale struttura appartiene dunque alla natura stessa della Chiesa, secondo il disegno divino realizzato da Gesù. Secondo questo stesso disegno essa ha un ruolo essenziale in tutto lo sviluppo della comunità cristiana, dal giorno della Pentecoste alla fine dei tempi, quando nella Gerusalemme celeste tutti gli eletti saranno pienamente partecipi della “Nuova vita” per l’eternità.

[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 1 luglio 1992]

 

Il Vangelo di oggi […] ci presenta le Beatitudini nella versione di San Luca. Il testo si articola in quattro beatitudini e quattro ammonimenti formulati con l’espressione “guai a voi”. Con queste parole, forti e incisive, Gesù ci apre gli occhi, ci fa vedere con il suo sguardo, al di là delle apparenze, oltre la superficie, e ci insegna a discernere le situazioni con fede.

Gesù dichiara beati i poveri, gli affamati, gli afflitti, i perseguitati; e ammonisce coloro che sono ricchi, sazi, ridenti e acclamati dalla gente. La ragione di questa paradossale beatitudine sta nel fatto che Dio è vicino a coloro che soffrono e interviene per liberarli dalle loro schiavitù; Gesù vede questo, vede già la beatitudine al di là della realtà negativa. E ugualmente il “guai a voi”, rivolto a quanti oggi se la passano bene, serve a “svegliarli” dal pericoloso inganno dell’egoismo e aprirli alla logica dell’amore, finché sono in tempo per farlo.

La pagina del Vangelo odierno ci invita dunque a riflettere sul senso profondo dell’avere fede, che consiste nel fidarci totalmente del Signore. Si tratta di abbattere gli idoli mondani per aprire il cuore al Dio vivo e vero; Egli solo può dare alla nostra esistenza quella pienezza tanto desiderata eppure difficile da raggiungere. Fratelli e sorelle, sono molti, infatti, anche ai nostri giorni, quelli che si propongono come dispensatori di felicità: vengono e promettono successo in tempi brevi, grandi guadagni a portata di mano, soluzioni magiche ad ogni problema, e così via. E qui è facile scivolare senza accorgersi nel peccato contro il primo comandamento: cioè l’idolatria, sostituire Dio con un idolo. Idolatria e idoli sembrano cose di altri tempi, ma in realtà sono di tutti i tempi! Anche di oggi. Descrivono alcuni atteggiamenti contemporanei meglio di molte analisi sociologiche.

Per questo Gesù ci apre gli occhi sulla realtà. Siamo chiamati alla felicità, ad essere beati, e lo diventiamo fin da ora nella misura in cui ci mettiamo dalla parte di Dio, del suo Regno, dalla parte di ciò che non è effimero ma dura per la vita eterna. Siamo felici se ci riconosciamo bisognosi davanti a Dio - e questo è molto importante: “Signore ho bisogno di te” - e se, come Lui e con Lui, stiamo vicino ai poveri, agli afflitti e agli affamati. Anche noi lo siamo davanti a Dio: siamo poveri, afflitti, siamo affamati davanti a Dio. Diventiamo capaci di gioia ogni volta che, possedendo dei beni di questo mondo, non ne facciamo degli idoli a cui svendere la nostra anima, ma siamo capaci di condividerli con i nostri fratelli. Su questo oggi la liturgia ci invita ancora una volta ad interrogarci e a fare verità nel nostro cuore.

Le Beatitudini di Gesù sono un messaggio decisivo, che ci sprona a non riporre la nostra fiducia nelle cose materiali e passeggere, a non cercare la felicità seguendo i venditori di fumo –  che tante volte sono venditori di morte – i professionisti dell’illusione. Non bisogna seguire costoro, perché sono incapaci di darci speranza. Il Signore ci aiuta ad aprire gli occhi, ad acquisire uno sguardo più penetrante sulla realtà, a guarire dalla miopia cronica che lo spirito mondano ci contagia. Con la sua Parola paradossale ci scuote e ci fa riconoscere ciò che davvero ci arricchisce, ci sazia, ci dà gioia e dignità. Insomma, quello che veramente dà senso e pienezza alla nostra vita. La Vergine Maria ci aiuti ad ascoltare questo Vangelo con mente e cuore aperti, perché porti frutto nella nostra vita e diventiamo testimoni della felicità che non delude, quella di Dio che non delude mai.

[Papa Francesco, Angelus 17 febbraio 2019]

Chiamò a Sé: emergenza per Nome, prima che dattorno

(Lc 6,12-19)

 

Lc riflette il doppio indirizzo del culto nelle comunità primitive: la Preghiera come significativa apertura al Padre e celebrazione interna fra discepoli (vv.13-17) - e il pubblico Annuncio con opere, al popolo.

La comunità è vicina: Dio è nella nostra storia. L’idea di un Regno distante produce separazioni, piramidi pastoralmente inconsistenti, e dispersiva coltivazione d’interessi.

Insomma, è fondamentale prima maturare, ovunque viviamo.

Chi coltiva molte brame, le proietta; procura i suoi stessi influssi torbidi. Per questo è necessaria l’orazione e la riflessone, che - dall’Ascolto - ci trasmettono il senso del nostro stare al mondo e una retta disposizione.

Sembra un paradosso, ma l’interesse verso i bisogni delle moltitudini è un problema squisitamente radicato nell’intimo.

È da se stessi e a partire dalla comunità che si guarda con empatia il mondo stesso, sapendone recuperare i lati opposti.

È la Via dell’Interno che compenetra e attiva la via dell’esterno.

In tal guisa c’immergiamo nella Fonte dell’essere: per spostare lo sguardo precipitoso. Chi non è libero non può liberare.

Unico modo saggio di scrutare lontano è attenersi alla ragione delle cose, principio che si conosce attivamente, se non fuorviati da superficialità e riduzioni.

Intesa la natura delle creature e conformandovisi in modo crescente, tutti vengono ispirati a trasmutare e completarsi, arricchendo anche la sclerosi culturale senza forzature alienanti.

Tutto ciò, esercitando una pratica di bontà anche con se stessi.

Non per distinguere il momento della Vocazione da quello dell’Invio ministeriale: la via del Cielo è intrecciata alla strada della Persona.

È insomma per avvicinarsi al senso dell’unicità missionale di ciascun Apostolo che Gesù trascorre un’intera notte in preghiera (v.12).

 

Gran parte dei primi seguaci ha nomi tipici del giudaismo, addirittura del tempo dei Patriarchi - il che indica un’estrazione mentale e spirituale radicata più nella religione antica che nella nuova Fede: realtà non facile da gestire.

Ma anche per loro il Signore sprigiona la sua forza di Vita piena, malgrado in sé fossero individui comuni, pieni di limiti.

Tuttavia il Regno è «locale e universale» [Fratelli Tutti, nn.142-153], Vicino e per Nome - come si evince dal passo del Vangelo di Lc.

Questa la forza molteplice, graffiante, impareggiabile, prossima e appunto personale, la quale vince ogni possibilità di sabotaggio ideale [a motivo di circostanze avverse].

Potenza attinta sia dalla preghiera diretta al Padre in Cristo - nel suo Ascolto notturno (v.12) - nonché dalle opere d’amore (vv.17-19).

Potenze in simbiosi personale, sensibile, condivisa.

Missione non per soli eccellenti, né unilaterale, bensì per un contagio inquieto.

Annuncio di nuova Luce accolta in Dono: dove appunto non appare una sola forma o un solo colore.

E l’Asse è stare talora nascosti con Lui.

«È quanto la tradizione ha poi formulato con la nota espressione: “Contemplata aliis tradere” (cfr San Tommaso, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 188, art. 6)» [Papa Benedetto].

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Nella tua esperienza, quale catena ha unito il Cielo e la terra?

 

 

[Martedì 23.a sett. T.O.  10 settembre 2024]

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The family in the modern world, as much as and perhaps more than any other institution, has been beset by the many profound and rapid changes that have affected society and culture. Many families are living this situation in fidelity to those values that constitute the foundation of the institution of the family. Others have become uncertain and bewildered over their role or even doubtful and almost unaware of the ultimate meaning and truth of conjugal and family life. Finally, there are others who are hindered by various situations of injustice in the realization of their fundamental rights [Familiaris Consortio n.1]
La famiglia nei tempi odierni è stata, come e forse più di altre istituzioni, investita dalle ampie, profonde e rapide trasformazioni della società e della cultura. Molte famiglie vivono questa situazione nella fedeltà a quei valori che costituiscono il fondamento dell'istituto familiare. Altre sono divenute incerte e smarrite di fronte ai loro compiti o, addirittura, dubbiose e quasi ignare del significato ultimo e della verità della vita coniugale e familiare. Altre, infine, sono impedite da svariate situazioni di ingiustizia nella realizzazione dei loro fondamentali diritti [Familiaris Consortio n.1]
"His" in a very literal sense: the One whom only the Son knows as Father, and by whom alone He is mutually known. We are now on the same ground, from which the prologue of the Gospel of John will later arise (Pope John Paul II)
“Suo” in senso quanto mai letterale: Colui che solo il Figlio conosce come Padre, e dal quale soltanto è reciprocamente conosciuto. Ci troviamo ormai sullo stesso terreno, dal quale più tardi sorgerà il prologo del Vangelo di Giovanni (Papa Giovanni Paolo II)
We come to bless him because of what he revealed, eight centuries ago, to a "Little", to the Poor Man of Assisi; - things in heaven and on earth, that philosophers "had not even dreamed"; - things hidden to those who are "wise" only humanly, and only humanly "intelligent"; - these "things" the Father, the Lord of heaven and earth, revealed to Francis and through Francis (Pope John Paul II)
Veniamo per benedirlo a motivo di ciò che egli ha rivelato, otto secoli fa, a un “Piccolo”, al Poverello d’Assisi; – le cose in cielo e sulla terra, che i filosofi “non avevano nemmeno sognato”; – le cose nascoste a coloro che sono “sapienti” soltanto umanamente, e soltanto umanamente “intelligenti”; – queste “cose” il Padre, il Signore del cielo e della terra, ha rivelato a Francesco e mediante Francesco (Papa Giovanni Paolo II)
But what moves me even more strongly to proclaim the urgency of missionary evangelization is the fact that it is the primary service which the Church can render to every individual and to all humanity [Redemptoris Missio n.2]
Ma ciò che ancor più mi spinge a proclamare l'urgenza dell'evangelizzazione missionaria è che essa costituisce il primo servizio che la chiesa può rendere a ciascun uomo e all'intera umanità [Redemptoris Missio n.2]
That 'always seeing the face of the Father' is the highest manifestation of the worship of God. It can be said to constitute that 'heavenly liturgy', performed on behalf of the whole universe [John Paul II]
Quel “vedere sempre la faccia del Padre” è la manifestazione più alta dell’adorazione di Dio. Si può dire che essa costituisce quella “liturgia celeste”, compiuta a nome di tutto l’universo [Giovanni Paolo II]

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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