don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga! Per la festa dell’Ascensione, la prima lettura e il Salmo sono comuni agli anni A, B, C mentre cambiano la seconda lettura e il vangelo 

 

*Prima Lettura dagli Atti degli Apostoli (1,1-11)

Questi primi versetti degli Atti degli Apostoli richiamano la conclusione del vangelo di Luca, anch’esso indirizzato a un certo Teofilo ed è interessante notare che l’uno inizi là dove l’altro finisce, cioè con il racconto dell’Ascensione di Gesù, anche se le due narrazioni non combaciano perfettamente come si nota leggendo i testi dell’Anno C. Il vangelo narra la missione e la predicazione di Gesù, gli Atti degli Apostoli si dedicano all’attività missionaria degli apostoli, da cui il titolo. Il vangelo di Luca inizia e termina a Gerusalemme, cuore del mondo ebraico e della Prima Alleanza; gli Atti partono da Gerusalemme, perché la Nuova Alleanza prosegue la Prima ma si concludono a Roma, crocevia di tutte le strade del mondo e la Nuova Alleanza travalica i confini di Israele. Per Luca è chiaro che questa espansione è frutto dello Spirito Santo, l’ispiratore degli apostoli dalla Pentecoste, tanto che gli Atti sono spesso chiamati “il vangelo dello Spirito”. Gesù, dopo il battesimo, si preparò alla sua missione con quaranta giorni di deserto, così egli prepara la Chiesa a questa nuova fase missionaria apparendo agli apostoli per quaranta giorni e “parlando delle cose riguardanti il regno di Dio”. Infatti, “mentre si trovava a tavola con loro”, dunque durante ancora un’ultima cena, da agli apostoli alcune istruzioni che si riassumono in: un ordine, una promessa e un invio in missione.

L’ordine: non allontanarsi da Gerusalemme, ma attendere l’adempimento della promessa del Padre che deve compiersi a Gerusalemme dato che tutta la predicazione dei profeti, soprattutto d’Isaia, attribuisce a Gerusalemme un ruolo centrale nel progetto di Dio (cf Is 60,1-3; 62,1-2). La promessa: “Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo”. Anche questo era noto agli apostoli, che ricordavano la profezia di Gioele: «Spanderò il mio spirito su ogni creatura» (Gl 3,1), e le profezie di Zaccaria: (Za 13,1; 12,10), e di Ezechiele: «Spanderò su di voi acqua purificatrice e sarete purificati… Metterò in voi uno spirito nuovo… Metterò in voi il mio spirito» (Ez 36,25-27). Quado gli apostoli chiedono “se questo è il tempo nel quale ricostruirà il regno per Israele” mostrano di aver compreso che è sorto “il Giorno del Signore” e il progetto di Dio domanda ora la collaborazione dell’uomo: Con Cristo infatti è giunto il Salvatore promesso, ora tocca alla libertà umana accoglierlo e per questo è necessario l’annuncio da parte degli apostoli. Da qui la missione responsabile degli apostoli che ricevono lo Spirito Santo: “Riceverete la forza dello Spirito Santo che scenderà su di voi e di me sarete testimoni… fino ai confini della terra”. Il piano che il libro degli Atti segue è infatti questo: anzitutto l’annuncio a Gerusalemme, poi in tutta la Giudea con la Samaria e infine deve diffondersi fino ai confini del mondo. Come al mattino di Pasqua due uomini in vesti splendenti avevano destato le donne dicendo: “Perché cercate il Vivente tra i morti? Non è qui, è risorto”, così, il giorno dell’Ascensione, “due uomini in bianche vesti” fanno lo stesso con gli apostoli: “Uomini di Galilea perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo” (1,11). Gesù tornerà, ne siamo certi, e lo proclamiamo in ogni eucaristia quando diciamo “Nella beata speranza dell’avvento di Gesù Cristo nostro Salvatore”. Infine nna nube sottrae Gesù alla vista umana: cessa la sua presenza carnale per inaugurare quella spirituale. Segno visibile di questa presenza di Dio è la nube già presente nel passaggio del Mar Rosso (Es 13,21) e nella Trasfigurazione (Lc 9,34).

 

NOTA. Non si possono ricostruire esattamente gli eventi tra la Risurrezione e l’Ascensione. Nei testi di Luca (vangelo e Atti) la narrazione è sostanzialmente identica: Gesù parte da Betania e porta i discepoli sul Monte degli Ulivi raccomandando di non lasciare Gerusalemme finché non abbiano ricevuto lo Spirito Santo. L’unica differenza riguarda la durata: nel vangelo sembra che l’Ascensione avvenga la sera stessa di Pasqua, mentre negli Atti è chiarito che tra Pasqua e Ascensione trascorrono quaranta giorni — da qui la festa quaranta giorni dopo. Negli altri vangeli si trova poco sull’Ascensione: Matteo non ne parla affatto, riferisce solo l’apparizione alle donne e l’invio in Galilea (Mt 28,18-20). Giovanni narra diverse apparizioni, ma omette l’Ascensione. Marco menziona l’Ascensione brevemente alla fine (Mc 16,19). Le differenze dimostrano che i vangeli non mirano a un resoconto geografico preciso ma a sottolineare aspetti teologici: Matteo insiste sulla Galilea, Luca su Gerusalemme. Infatti, è a Gerusalemme che Gesù aveva ordinato di attendere lo Spirito: “Ecco io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città finché non siate rivestiti di potenza dall’alto” (Lc 24,49).

 

*Salmo responsoriale (46 (47),2-3,6-7,8-9)

In questo salmo Israele canta e acclama Dio non solo come suo re, ma come re di tutta la terra. Prima dell’esilio a Babilonia nessun re di Israele aveva immaginato che Dio potesse essere il Signore dell’intero universo e perciò il salmo data di un’epoca tarda della storia d’Israele. Dio è il re d’Israele e per questo in Israele il re non deteneva ogni potere perché il vero re era Dio stesso. Il re non poteva disporre della legge a suo piacimento e, come tutti, doveva sottomettersi alla Torah, vale a dire alle norme che Dio aveva dato a Mosè sul Sinai. Anzi, secondo il libro del Deuteronomio, egli doveva leggere l’intera Legge ogni giorno e, anche seduto sul trono, non era (in linea di principio) che un esecutore degli ordini di Dio, a lui trasmessi dai profeti. Nei Libri dei Re, i re domandano il parere del profeta in carica prima di intraprendere una campagna militare o, nel caso di Davide, prima di iniziare la costruzione del Tempio così che i profeti intervenivano liberamente nella vita dei re, criticando con forza le loro azioni. Una tale concezione della sovranità di Dio fu persino un ostacolo all’istituzione della monarchia, come avvenne quando il profeta Samuele, al tempo dei Giudici, reagì con forza verso i capi delle tribù che chiedevano un re per essere come tutte le altre nazioni. Desiderare di essere come gli altri popoli, quando si è il popolo eletto da Dio e in alleanza con Lui, era qualcosa di blasfemo e, se Samuele cedette alle pressioni, non mancò di avvertire  però della rovina che stavano  procurando a se stessi. Quando consacrò il primo re, Saul, si premurò di precisare che questi diventava il custode del patrimonio di Dio perché il popolo rimaneva il popolo di Dio, non del re, e il re stesso era solo un servitore di Dio. Durante gli anni della monarchia, i profeti furono incaricati di ricordare ai re questa verità essenziale. Si comprende allora che in onore di Dio questo salmo utilizza il vocabolario che altrove era riservato ai re. Anche “terribile” è un’espressione tipica del gergo di corte che va inteso così: il re  (Dio) non spaventa i suoi sudditi, ma li rassicura e per questo si avvertono i nemici che il “nostro re” sarà invincibile. Il Dio re dell’universo, “il grande re su tutta la terra” (v. 3), acclamato in ogni verso del salmo è proprio il Dio del Sinai, il “Signore” e a questa festa tutti i popoli partecipano: “Popoli tutti battete le mani, acclamate Dio con grida di gioia!” così che la dimensione universale pervade profondamente il salmo fino a dire “Dio regna sulle genti” (v. 9) riconoscendolo come unico Dio dell’intero universo.

 

NOTA. La vera scoperta del monoteismo avvenne soltanto con l’esilio babilonese: fino ad allora Israele non era monoteista nel senso pieno del termine, bensì monolatra, ossia riconosceva come proprio un solo Dio—quello dell’Alleanza del Sinai—ma ammetteva che i popoli confinanti avessero ciascuno il proprio dio, sovrano nella loro terra e difensore in battaglia. Questo salmo fu dunque probabilmente composto dopo il ritorno dall’esilio non nella sala del trono, ma nel Tempio ricostruito di Gerusalemme, in un contesto liturgico in cui si evocava il grande progetto di Dio sull’umanità, anticipando il giorno in cui finalmente Dio sarà riconosciuto come Padre di ogni bene. Noi cristiani facciamo nostro questo salmo e l’espressione “ascende Dio tra le acclamazioni” sembra ben adatta per l’odierna celebrazione dell’Ascensione di Gesù. Tributando a Cristo re dell’universo questo splendido omaggio, anticipiamo il canto che nell’ultimo giorno i figli di Dio finalmente riuniti intoneranno insieme: “Popoli tutti, battete le mani! Acclamate Dio con grida di gioia”.

 

*Seconda Lettura dalla Lettera agli Ebrei (9, 24-28 ; 10,19-23)     

Nella prima parte di questo testo l’autore medita sul mistero di Cristo; nella seconda ne ricava le conseguenze per la vita di fede con l’intento di rassicurare i suoi lettori, i cristiani di origine ebraica, che provavano una certa nostalgia del culto antico dato che nella pratica cristiana non c’è più il tempio, né più sacrifici di sangue e si domandavano se davvero fosse questo ciò che Dio vuole. L’autore ripercorre tutti i riti e le realtà della religione ebraica dimostrando che sono ormai superati. Ttratta soprattutto del Tempio, chiamato santuario, e chiarisce che bisogna distinguere il vero santuario in cui Dio dimora — il cielo stesso — dal tempio costruito dagli uomini, che ne è solo una pallida immagine. Gli ebrei erano giustamente orgogliosi del Tempio di Gerusalemme, ma non dimenticavano che ogni costruzione umana, per definizione, resta debole, imperfetta e destinata a perire. Inoltre, nessuno in Israele sosteneva che si potesse rinchiudere la presenza di Dio in un edificio, per quanto maestoso. Lo aveva già detto il primo costruttore del Tempio, il re Salomone: “Forse che Dio dimorerebbe sulla terra? I cieli e i cieli dei cieli non ti possono contenere; figuriamoci questa Casa che io ho edificato!” (1 Re 8,27).  Per i cristiani il vero Tempio — il luogo dell’incontro con Dio — non è più un edificio, perché l’Incarnazione del Verbo ha cambiato tutto. Il luogo d’incontro tra Dio e l’uomo è Cristo, il Dio fatto uomo e san Giovanni lo spiegha quando narra Gesù che caccia  dal Tempio i cambiamonete e venditori di animali. A coloro che gli chiesero: “Quale segno ci mostrerai per fare questo?”, (cioè «in nome di chi fai questa rivoluzione? rispose: “Distruggete questo tempio e in tre giorni io lo ristabilirò”. Solo dopo la risurrezione i discepoli capiranno che parlava del suo corpo (Gv 2,13-21). Qui, nella Lettera agli Ebrei, si afferma la stessa cosa: solo restando innestati in Cristo, nutriti del suo corpo, entriamo nel mistero del Dio che “non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo, figura di quello vero, ma nel cielo” (Eb 9,24). Questo avvenne con la morte di Cristo rendendo chiara la centralità della Croce nel mistero cristiano, come confermano tutti gli autori del Nuovo Testamento. L’autore della Lettera agli Ebrei precisa più avanti che il culmine dell’offerta della vita di Cristo è la sua morte ma il suo sacrificio abbraccia l’intera sua esistenza non solo quindi la sua Passione (cp10). Nel passo che leggiamo oggi l’attenzione si concentra sul sacrificio della Passione, contrapposto a quello che ogni anno offriva il sommo sacerdote nel Giorno dell’Espiazione (Yom Kippur). Entrava da solo nel Santo dei Santi, pronunciava l’indicibile nome di Dio (YHVH), spargeva il sangue di un toro per i propri peccati e quello di un capro per quelli del popolo, rinnovando così solennemente l’Alleanza e, quando usciva, il popolo sapeva che i suoi peccati erano perdonati. Quell’alleanza andava rinnovata ogni anno, invece la nuova Alleanza stabilita con il Padre è definitiva in Cristo crocifisso e risorto. Sulla croce si rivela il vero volto di Dio, che ci ama fino all’estremo, padre di ognuno di noi per cui non c’è più da temere il giudizio di Dio. Quando nel Credo proclamiamo che Gesù verrà a giudicare i vivi e i morti, sappiamo che, in Dio giudizio significa salvezza, come leggiamo qui: “Cristo dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato a coloro che lo aspettano per la loro salvezza” (Eb 9,28). Questa certezza della fede ci permette di vivere il rapporto con Dio in piena serenità e azione di grazie. Ma è importante testimoniarlo, come ci esorta questo testo: “Continuiamo senza esitare a professare la nostra speranza, perché Colui che ha promesso è fedele» (Eb. 10,23). Gesù Cristo è “il sommo sacerdote dei beni futuri” (Eb 9,11).

 

*Dal Vangelo secondo san Luca (24, 46-53)

I sinottici, Matteo, Marco, Luca si differenziano nel racconto dell’Ascensione del Signore, 

Matteo lo colloca su un monte in Galilea, dove Gesù aveva fissato il suo appuntamento con gli apostoli; Marco non fornisce alcuna indicazione geografica; Luca, al contrario, situa l’evento sul Monte degli Ulivi verso Betania. In tal modo conclude il vangelo là dove era iniziato, a Gerusalemme: la città santa del popolo eletto da cui la rivelazione del Dio unico si era irradiata al mondo; la città del tempio-segno della presenza di Dio fra gli uomini. Ma anche la città dell’adempimento della salvezza per mezzo della morte e risurrezione di Cristo, e la città del dono dello Spirito. Infine la città da cui deve irradiarsi sull’universo l’ultima rivelazione e Luca fa risuonare nelle nostre orecchie le parole di Gesù: “Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?” (Lc 24,26). Ciò che è nuovo qui, rispetto alle tre profezie della sua passione pronunciate da Gesù prima degli eventi e alle due affermazioni subito dopo la risurrezione e sul cammino di Emmaus, è la conclusione della frase, che assume la forma di un invio missionario degli apostoli: “ Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni (Lc 24, 46-49) Per i primi cristiani era difficile spiegare quale passo delle Scritture aveva annunciato le sofferenze del Messia e la sua risurrezione il terzo giorno; fra gli ultimi profeti dell’Antico Testamento erano molto più diffuse le profezie sulla conversione di tutte le nazioni, cominciando da Gerusalemme, come leggiamo in Geremia: “In quel giorno chiameranno Gerusalemme trono del Signore; tutte le nazioni vi si troveranno affluire, al nome del Signore, a Gerusalemme» (3,17); e nel terzo Isaia: “La casa mia sarà chiamata casa di preghiera per tutti i popoli” (56,7); “Di luna in luna, di sabato in sabato, verrà ogni creatura a prostrarsi davanti a me” (66,23). Zaccaria poi sviluppa questo tema: “In quel giorno molte nazioni si raccoglieranno al Signore e saranno per me un popolo” (Za 2,15), “Molti popoli e nazioni potenti verranno a Gerusalemme a cercare il Signore degli eserciti” (8,22).Gli esegeti affermano che, anche se queste riflessioni sono presenti in numerosi salmi, furono soprattutto i canti del Servo nei DeuteroIsaia (Is 42; 49; 50; 52-53) a ispirare la meditazione degli evangelisti e a chiarire l’espressione di Gesù “Bisognava che:::” perché in questi quattro cantici emerge la figura del Messia sofferente e glorificato e l’annuncio del bene per tutte le nazioni: “Io, il Signore”, ti ho chiamato con giustizia, ti ho preso per mano, ti ho formato; ti ho fatto alleanza del popolo, luce delle nazioni» (Is 42,6);

“Il giusto, mio servo, giustificherà le moltitudini” (Is 53,11). Questa conclusione del vangelo di Luca assume dunque i toni della liturgia: Gesù, vero sommo sacerdote, benedice i suoi e li invia nel mondo e il popolo adora e rende grazie: “Alzate le mani, li benedisse. E mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio” (Lc 24, 50-53). Il vangelo di Luca si chiude tornando al suo inizio, quando Zaccaria, sacerdote dell’Antica Alleanza, aveva udito l’annuncio della salvezza di Dio (Lc 1,5-19 e l’ultima immagine che i discepoli custodirono del Maestro è un gesto di benedizione. Per questo si capisce perché tornano a Gerusalemme con grande gioia. In quest’immagine conclusiva è racchiuso il mistero della luce e della gioia dell’Ascensione, una partenza che non è abbandono, ma certezza di una presenza diversa, invisibile ma ancor più potente ed efficace.

+Giovanni D’Ercole

Domenica, 25 Maggio 2025 20:25

Ascensione del Signore

Sabato, 24 Maggio 2025 05:16

Il Cielo. Decollare senz’allontanarsi

Pasqua, Ascensione. (Ci sono prove che Vive)

 

Qual è il destino, la traiettoria di una vita spesa nella fedeltà a una vocazione profetica? L’esito terreno di Gesù - il Figlio fedele - sembrerebbe quello dei falliti d’ogni tempo.

Allora vale la pena essere se stessi? Non sarebbe più costruttivo regolarsi sulla base di convenienze personali e opportunismi di gruppo? 

Insomma, con la Pasqua e Ascensione di Gesù, cosa è cambiato?

La gente continua come prima a viaggiare o stare ferma, a comprare e vendere, a lavorare o fare festa, a gioire o piangere...

Ma come in un paesaggio caratterizzato da nebbie, all’improvviso sorge il sole e vediamo profili netti, godiamo della brillantezza di colori, persino delle sfumature.

Una Visione più nitida, nell’esperienza di Fede.

La Pasqua celebra una gioia: è la festa di coloro che si rendono conto che le sconfitte non restano lati oscuri. Nascondono Gemme sproporzionate.

Del nostro passaggio rimane una fioritura piena. E non è vero che una vita distrutta o vessata sia sciupata o finisca male, lasciandoci orfani.

Piuttosto, essa acuisce l’ascolto e tutta la percezione. Così impariamo ad accogliere l’oggettivo degli altri e la loro-nostra irripetibilità.

Apprendiamo a dialogare con la cruda realtà e anzitutto con noi stessi; così finalmente onorare Dio rispettandoci in modo integrale.

 

Nelle icone orientali la Pasqua è raffigurata come Discesa agli Inferi: vittoria della donna e dell’uomo comuni [riportati alla vita].

Ancora nelle icone, il Mistero dell’Ascensione è raffigurato con due angeli in bianche vesti che indicano agli apostoli il nimbo glorioso del Signore, seduto in trono.

Come dire: contemplate dove è giunta una vita sprecata secondo gli uomini, ma realizzata secondo il Padre.

Obbedire alla nostra vocazione senza compromessi e in modo integrale può sembrare imprudente, temerario. Invece è pieno rispetto di sé, e ci conduce alla nostra Patria.

La natura delle nostre fibre animate dall’Amico interiore fa appello non a traguardi sociali da raggiungere, ma a ciò che siamo davvero - e il nostro Nome profondo dispiegato nel cammino di Fede accompagna infallibilmente alla Culla.

Lasciarsi influenzare e diventare esterni è perdere se stessi e smarrire la Guida, rovinando la completezza dell’essere.

Malgrado l’apparente fallimento e i rimproveri che l’inedito personale e sociale suscita, ascoltando quel Fuoco inestinguibile che ci abita, realizziamo la vita in modo integrale.

 

Se l'attenzione non è sullo scenario di ciò che attorno accade, trasaliamo per la nuova consapevolezza d’una genesi in atto della nostra personalità e missione: un prototipo e modalità di noi stessi che stanno misteriosamente fiorendo, e hanno valore.

A meno che non ci lasciamo condizionare e soverchiare da interferenze o calcoli esterni e circostanze dattorno, avvertiamo che c’è già un binario caratterizzante il quale chiama da dentro.

Ci si accorge che possiamo stare con noi stessi e crescere senza preclusioni d’inatteso, né codici già comunemente paradigmatici, perché Dio si esprime creando rinnovati cieli dentro di noi e sulla terra.

 

Il Cielo: decollare senz’allontanarsi. Non siamo soli. E il meglio deve ancora Venire.

 

P.S. Oggi più che mai siamo nell’era delle vetrine sociali, che palesano ogni aspetto della storia e della cronaca anche private.

Quando valorizziamo l’aspetto dell’anima che comunica con le scorze dei target, la tagliamo o squilibriamo con pensieri dominanti lasciando che venga plagiata da manipolatori - anche spirituali.

Ma il cuore che smarrisce l’Intero non traccia più il sentiero che canta il nostro Seme. Esso pretende di esprimersi. Altrimenti procedemmo a vanvera o a cliché.

Insomma, non siamo un giudizio, un’opinione, una crisi, un ricordo, bensì inventori di strade che attingono a un’acqua sempre sorgiva.

Non a un pozzo, né ad una palude, dove tutto è già accaduto, ma a una Sorgente.

 

 

[Ascensione del Signore, 1 giugno 2025]

Ascensione del Signore: non siamo orfani

(At 1,1-11)

 

Al termine del suo Vangelo Lc colloca l’Ascensione di Gesù nel medesimo giorno di Pasqua, a Betania e nell’atto perenne del benedirci (Lc 24,50-51) - con una forma di presentazione comprensibile secondo le conoscenze cosmologiche del tempo.

Lo stesso dicasi in At 1, dove il medesimo redattore situa l’evento dopo quaranta giorni [simbolo della continuità con l’insegnamento di Gesù: v.3] e sul Monte detto degli Ulivi (cf. v.12).

Certo, sul Calvario Gesù aveva promesso allo sventurato che lo chiama per nome: «Oggi con me sarai nel Paradiso» (Lc 23,43).

L'evangelista e autore degli Atti degli Apostoli non vuole trasmettere informazioni, bensì un insegnamento in favore delle sorti missionarie delle sue chiese - fisicamente prive del Maestro.

Lc desidera scuotere e sciogliere i dubbi affiorati nelle comunità, anzitutto circa il senso del passaggio di consegne ai discepoli, quindi della sua Presenza operante nello Spirito (vv.8.16).

Egli illumina i seguaci di terza generazione sul mistero della Pasqua del Signore, usando immagini e un genere letterario comprensibili ai suoi contemporanei, provenienti per lo più dal mondo pagano.

 

In un clima di attesa viva, gli scrittori apocalittici annunciavano imminente l’avvento del Regno di Dio. E nella mentalità comune l’effusione dello Spirito portava con sé l’inaugurazione del tempo ultimo.

Da tale convinzione scaturiva la speranza di una Manifestazione subitanea (limitata a Israele).

Il Veniente e il suo nuovo ordine di cose sarebbero giunti fra sconvolgimenti cosmici: diluvio, terremoti, fuoco purificatore dal cielo, risurrezione dei giusti e inizio di un mondo finalmente appagante.

Anche in alcuni fedeli si stava creando un clima di esaltazione, il quale però confliggeva con la morte del Maestro e il ritardo della sua apparizione gloriosa attesa.

Ogni speculazione sulla prossimità della fine del mondo antico si risolveva in un fiasco.

Ciò fino a esporsi a facili ironie [2Pt 3,4: «Diranno: Dov’è la sua venuta, che Egli ha promesso? Dal giorno in cui i nostri padri chiusero gli occhi, tutto rimane come al principio della creazione»].

Ma intanto in tutte le comunità si ripeteva «Vieni Signore!» (Marana tha). Però gli anni passavano e gli eventi scorrevano come prima.

La vita quotidiana - come quella dell’impero - non sembrava cambiare granché.

In tale situazione deludente, che interrogava i membri di comunità circa lo spessore della Fede, Lc si rende conto dell’equivoco: la Risurrezione ha segnato l’inizio del Regno, non la conclusione della storia.

Il mondo nuovo non si edifica attraverso scorciatoie, eventi repentini, situazioni immediate, o per procura - né sorge immaginando particolarismi, che viceversa andavano sgretolati.

I tempi erano e sono sempre lunghi, e l’impegno ricomincia da zero ogni giorno: nessuna facile età dell’oro; nessun personaggio definitivamente risolutore, garante dell’ordine e del benessere - come il Messia atteso.

Per correggere le false aspettative (i coloriti racconti degli apocrifi sono decisamente fantasiosi) At descrive l’evento d’intronizzazione regale [Ef 1,20-22; Ef 4,8-10; ebraico-cultuale in Eb 9,24-28.10,19-21; cf. Sal 110, messianico per eccellenza] in modo sobrio, e lo introduce con il dialogo fra Gesù Risorto e gli Apostoli.

La loro domanda era quella che risuonava sulle labbra dei discepoli al volgere del primo secolo: «Quando?» (v.6).

Il senso del testo: ciò non è importante, bisogna solo non perdere di vista la condizione divina del giudicato dagli uomini ma assunto a sé dal Padre.

A Dio non interessano i dibattiti e le curiosità: conta unicamente la missione universale affidata (vv.7-8).

L’esatto contrario di quanto avveniva in alcune realtà cristiane, dove alcuni avevano addirittura iniziato a trascurare i doveri di ogni giorno.

Si noti che il Risorto si rivolge ai suoi durante lo spezzare del Pane (cf. v.4) - mentre la scena dell’Ascensione si sposta al Monte degli Ulivi (vv.9-11.12).

Lc adopera quale sfondo narrativo l’icona biblica del rapimento di Elia (2Re 2,9-15) per indicare che Cristo effonde il suo Spirito e abilita i fratelli a proseguirne la missione nel mondo.

Infatti il libro dei Re narra delle opere dell’allievo Eliseo: esse avevano ricalcato le medesime del maestro, Elia.

La scenografia grandiosa usata dell'autore degli Atti non deve confondere: è per chiarire il senso del passaggio di consegne e dell’invio.

La vittoria del Risorto è il suo popolo in uscita: tale resta l’accesso alla gloria del Padre.

 

Nel Primo Testamento la Nube (v.9) indicava la presenza divina in un certo luogo.

Lc impiega tale immagine per indicare che la vita di Gesù non è stata fallimentare, bensì accolta da Dio.

Il mondo di Dio [i due in bianche vesti, gli stessi al sepolcro nel giorno di Pasqua: Lc 24,4-6] lo proclama in verità Signore - sebbene condannato dalle autorità come malfattore, peccatore, maledetto.

I «due uomini» (Lc 24,4) sono probabilmente Mosè ed Elia - come nella Trasfigurazione (Lc 9,30) - ossia la Legge e i Profeti, testimoni fondamentali che Cristo è l’Inviato da Dio.

Lo sguardo rivolto al cielo (vv.10-11) è invece quello dei discepoli che ancora sperano forse in un “ritorno” [termine mai adoperato nei Vangeli] di Gesù, affinché riprenda la sua opera violentemente interrotta.

Ma il messaggio «dal cielo» (v.11) chiarisce che non sarà Lui a portare a compimento il suo stesso Sogno.

Dopo i quaranta giorni [v.3: nel linguaggio del giudaismo, tempo simbolico necessario alla preparazione del discepolo] i seguaci ne hanno ricevuto lo Spirito, la forza interiore arricchita dal discernimento.

Ciò a una condizione, ben compresa dalle icone orientali, le quali nel mistero dell’Ascensione raffigurano appunto due angeli biancovestiti che indicano agli apostoli il nimbo glorioso del Signore.

Come nel racconto del rapimento di Elia, è necessario che i discepoli «vedano» dove è finita una vita donata - anche disprezzata dagli uomini, eppur benedetta dal Padre.

Quindi ne vale la pena.

In tal guisa, bisogna che ciascuno la smetta di rivolgere il nasino all’insù, estraniandosi dal mondo: costi quel che costi.

Infatti, possibile solo... «Se mi vedrai» (2Re 2,10).

 

Nello Spirito, la Visione-Fede riempie di Cielo i nostri occhi: stacca dai giudizi della religiosità banale; dona l’intelligenza delle pieghe della storia, l’impulso per affrontare la vita faccia a faccia, la comprensione della strabiliante fecondità della Croce; la capacità di cogliere, attivare e anticipare futuro.

Da ciò deriva la «grande gioia» (Lc 24,52) degli apostoli, altrimenti incomprensibile dopo un commiato.

 

«Cari fratelli e sorelle, il Signore, aprendoci la via del Cielo, ci fa pregustare già su questa terra la vita divina. Un autore russo del Novecento, nel suo testamento spirituale, scriveva: “Osservate più spesso le stelle. Quando avrete un peso nell’animo, guardate le stelle o l’azzurro del cielo. Quando vi sentirete tristi, quando vi offenderanno, … intrattenetevi … col cielo. Allora la vostra anima troverà la quiete” (N. Valentini - L. Žák [a cura], Pavel A. Florenskij. Non dimenticatemi. Le lettere dal gulag del grande matematico, filosofo e sacerdote russo, Milano 2000, p. 418)».

[Papa Benedetto, Regina Coeli 16 maggio 2010]

Ascensione del Signore

(Lc 24,46-53)

 

Lc interpreta la Risurrezione come compimento della Prima Alleanza (vv.44-45): tutta la storia d’Israele [come le tappe d’un cammino] riceve senso e culmine in Cristo, chiave delle Scritture.

Ora la Pasqua si espande nell’invio dello Spirito (v.49) ed è attestata nella Missione ecclesiale (vv.47-48).

La venuta dello Spirito condensa ed espande la Via del Signore. “Salendo” al Padre, il Figlio ci dona la forza di percorrerla, ed essa diventa nostra.

In particolare, la Missione è testimonianza della vicenda del Cristo; e di un cambiamento di mentalità e perdono possibili, aperti al mondo.

Tutti ricevono la grazia di percorsi che guidano alla riconciliazione con gli uomini e alla comunione con Dio. Infatti l’accento cade sulla figura di Gesù benedicente (vv.50-51).

“Ascensione” sta a dire la profondità della Pasqua, mèta dello sviluppo della storia: il messaggio del Signore e la verità della sua vicenda non sono un momento del passato.

Dall’altezza dei cieli (che appunto non ci trae dalla storia) al cammino quotidiano: il vissuto del Cristo si fa radice profonda e giudizio, fondamento e humus, verità e traguardo della nostra vicenda.

L’Ascensione (non dal mondo, ma col mondo) glorifica l'umanità. Essa raffigura la dimensione cosmica e universale della Risurrezione - nuovo modo del Cielo che Viene nello spazio dell’uomo, evento perenne.

 

Qual è dunque il destino di una vita spesa nella fedeltà a una vocazione profetica? L’esito terreno di Gesù - il Figlio fedele - sembrerebbe quello dei falliti d’ogni tempo e di qualsiasi cultura, filosofia o religione.

Allora vale la pena essere se stessi? Non sarebbe più costruttivo regolarsi sulla base di convenienze personali e opportunismi di cerchia?

La Pasqua celebra una gioia: è la festa di coloro che si rendono conto che le disfatte non restano lati oscuri, inutili. Nascondono Gemme sproporzionate.

Del nostro passaggio rimane una fioritura piena. E non è vero che una vita vilipesa dai prepotenti sia sciupata o finisca male.

Nelle icone orientali la Pasqua è raffigurata come Discesa agli Inferi del Cristo: vittoria della donna e dell’uomo comuni (Adamo ed Eva tratti su dai rispettivi sepolcri).

Ancora nelle icone, il Mistero dell’Ascensione è raffigurato con due angeli in bianche vesti che indicano agli apostoli il nimbo glorioso del Signore, seduto in trono.

Come a dire: contemplate dove è giunta una vita sprecata secondo gli uomini ma realizzata secondo il Padre.

 

Obbedire alla nostra Vocazione senza compromessi e in modo integrale può sembrare imprudente e temerario. Invece è pieno rispetto di sé, e valutazione istintiva che ci porta alla nostra Patria.

La natura delle nostre fibre animate dall’Amico interiore fa appello non a traguardi sociali da raggiungere, ma a ciò che siamo davvero - e la naturalezza profonda dispiegata nel cammino di Fede conduce infallibilmente alla Culla che ci corrisponde.

Lasciarsi influenzare e diventare esterni è perdere la guida, rovinando l’interezza dell’essere in tutti quegli aspetti che il pensiero conformista considera sbagliati e invece dovranno prima o poi scendere in campo per affrontare la vita reale e completarci - anche d’inedito.

Malgrado l’apparente fallimento e i rimproveri che l’inconsueto personale (e sociale o ecclesiale) suscita, ascoltando la nostra Chiamata per Nome e quel Fuoco inestinguibile che ci abita, realizziamo noi stessi e gli altri.

Se l'attenzione non è sullo scenario di ciò che un tempo è stato o attorno accade, trasaliamo per la nuova consapevolezza d’una genesi in atto della nostra personalità e missione: un prototipo e modalità di noi stessi che stanno misteriosamente fiorendo e hanno valore.

A meno che non ci lasciamo condizionare da interferenze, soverchiare dal plagio di realtà consolidate - o calcolo di circostanze - avvertiamo che c’è un binario caratterizzante che chiama.

Ci accorgiamo di poter stare con noi stessi e crescere senza preclusioni d’inatteso o criteri già comunemente paradigmatici, perché Dio non si esprime emanando normative saccenti, ma creando rinnovati cieli dentro di noi e già sulla terra.

Il suo linguaggio è irripetibile per ciascuno: la vita nello Spirito non è questione di essere retrogradi oppure scapicollo - tifoserie infeconde.

 

Insomma, con la Pasqua e Ascensione di Gesù cosa è cambiato? Apparentemente nulla, perché la gente continua come prima a viaggiare o stare ferma, a comprare e vendere, a lavorare o fare festa, a gioire o piangere. La realtà è quella.

Ma come in un paesaggio caratterizzato da nebbie... d’improvviso sorge il sole e vediamo profili netti, godiamo della brillantezza di colori, persino delle sfumature. S’infrange l’isolamento personale e quello del campanile.

Infatti [prendiamo ad esempio il finale di Lc (che appare sconsolato)]: dopo che Gesù ha tentato di condurre i suoi all’Esodo di Betania (la comunità senza finti padroni delle cose di Dio; composta di soli fratelli e sorelle - addirittura coordinata da una donna, Marta) essi ritornano volentieri al culto antico, del Tempio.

Spontaneamente, gli apostoli avrebbero trovato un compromesso con l’istituzione stagnante sulla quale il Signore si era pronunciato con espressioni durissime - e che l’aveva fatto fuori con soddisfazione.

È il motivo per cui il Tempo di Pasqua non termina come forse ci si attenderebbe con l’Ascensione, ma a Pentecoste: la scoperta di un Tesoro e una Vampa vitale da non trattenere, bensì universale.

Ma intanto questa oscillazione fra un dentro e un fuori - uno stare seduti (Lc 24,49: testo greco) e un partire - ci trasmette il giusto ritmo del Cielo.

Cielo che aiuta a rientrare in se stessi ed evitare l’illusione omologante delle mode o di un club qualsiasi - non ci appartengono.

 

Insomma, in queste solennità pasquali siamo chiamati a scoprire periferie, regni lontani, altri modi di stare in campo... ma forse prima a svelare una radice di mistero, in quei lati nascosti di noi - o celati dall’ombra - che devono emergere per completare la personalità.

Emancipiamo dalla povertà di pensiero dell’era solita (ratificata) attorno: vale anche per il conformismo spirituale, che dall’energia paludosa dell’identificazione rassicurante vuole a tutti i costi balzare nell’esperienza piena della Fede personale.

Anche oggi in un mondo che restringe i giovani in chat e sempre più lontano dalla realtà e dalla natura, vogliamo acuire l’ascolto e tutta la percezione (che sviluppano il carattere, il desiderio di coesistere, la gioia di vivere). 

Impariamo ad allargare gli ambiti, ad accogliere l’oggettivo degli altri, ma nella loro-nostra irripetibilità, accentuando i codici del mondo interno: non possiamo giocarci la vita per una missione ipotetica, ma per un’identità forte sì - e che non si sgretola al primo smottamento.

L’anima si orienta verso la sua utopia (non più ristretta) e si lascia fecondare da quell’immaginazione che prima si nutre del reale totale e poi si tuffa nei grandi ideali, persino eroici - o a punta di spillo.

Apprendiamo a dialogare con l’umano concreto e integrale: il prossimo e noi stessi. Così finalmente onorare Dio rispettandoci a tutto tondo; accettando fragilità, insicurezze e timori: interamente nostri.

 

Ascendere è ritrovare il Cielo in noi e nell’umanità: decollare senz’allontanarsi.

 

 

Pasqua, Ascensione. Decollare senz’allontanarsi

 

Ci sono prove che Vive

 

Qual è il destino di una vita spesa nella fedeltà a una vocazione profetica?

L’esito terreno di Gesù - il Figlio fedele - sembrerebbe quello dei falliti d’ogni tempo e di qualsiasi cultura, filosofia o religione.

Allora vale la pena essere se stessi?

Non sarebbe più costruttivo regolarsi sulla base di convenienze personali e opportunismi di gruppo?

La Pasqua celebra una gioia: è la festa di coloro che si rendono conto che le sconfitte non restano lati oscuri. Nascondono Gemme sproporzionate.

Del nostro passaggio rimane una fioritura piena. E non è vero che una vita distrutta sia sciupata o finisca male.

Nelle icone orientali la Pasqua è raffigurata come Discesa agli Inferi: vittoria della donna e dell’uomo comuni.

Ancora nelle icone, il Mistero dell’Ascensione è in genere raffigurato con due angeli in bianche vesti che indicano agli Apostoli il nimbo glorioso del Signore, seduto in trono.

Come a dire: contemplate dove è giunta una vita sprecata secondo gli uomini ma realizzata secondo il Padre.

 

Obbedire alla nostra Chiamata senza compromessi e in modo integrale può sembrare imprudente e temerario. Invece è pieno rispetto di sé, e ci porta alla nostra Patria.

La natura delle nostre fibre animate dall’Amico interiore fa appello non a traguardi sociali da raggiungere, ma a ciò che siamo davvero.

E la nostra identità profonda dispiegata nel cammino di Fede conduce infallibilmente alla Culla dell’essere.

Lasciarsi influenzare e diventare esterni è perdere la guida, rovinando la completezza delle capacità innate.

Malgrado l’apparente fallimento e i rimproveri che l’inedito personale e sociale suscita, ascoltando la nostra Chiamata per Nome e quel Fuoco inestinguibile che ci abita, realizziamo la vita.

 

Oggi più che mai siamo nell’era delle vetrine sociali, che palesano ogni aspetto della storia e della cronaca anche personali.

Ma il tronco, i rami, i fiori, i germogli e i frutti nascono dalle radici. Esse vivono ben nascoste.

Il nostro Cielo è intrecciato alla nostra terra e alla nostra polvere: sta dentro e in basso, non dietro le nuvole.

Se non c’è tempo per un’accurata percezione e un’intima riflessione, manca il modo di rinascere alla Novità di Dio.

Su tutte le pieghe dell’andare, anche spirituale, diventiamo sempre più sensibili ai commenti e giudizi che giungono in tempo reale.

Diventati membri a pieno titolo della società dell’epidermide, perdiamo la meridiana, spesso la capacità di evolvere e far crescere gli altri.

Non rinvenendo il lato segreto che c’inabita, scoraggiamo.

Perdendo lo sguardo nei meandri del giudizio diffuso e tutto esteriore, si smarrisce la capacità di gestazione del Gesù personale, e non lo si partorisce più.

Al massimo lo si farà assomigliare a una sua paradigmatica parvenza; magari convincendo che sia effettivamente quello, tutto esteriore.

 

In tal guisa, il Signore diventa un Gesù parere degli altri, dattorno; del gruppo, degli stendardi patronali; o quello della “diretta” [il parere di chi fa audience].

Se valorizziamo l’aspetto dell’anima che comunica con le scorze dei target, la tagliamo o squilibriamo con pensieri dominanti, lasciando che venga plagiata da manipolatori - anche spirituali.

Ma il cuore che perde l’intero non guida più l’anima in ciò che caratterizza la Vocazione e il nostro Seme.

L’intimo pretende di esprimersi. Ovvero procedemmo a vanvera, o a cliché.

Manon siamo un giudizio, un’opinione, una crisi, un ricordo, bensì inventori di strade che attingono a un’acqua sempre sorgiva.

Non a un pozzo, né ad una palude, dove tutto è già accaduto - ma a una Sorgente.

 

Se l'attenzione non è sullo scenario conformista di ciò che un tempo è stato o attorno accade, trasaliamo per la nuova consapevolezza d’una genesi in atto.

Una ri-nascita della nostra personalità e missione: un prototipo e modalità di noi stessi che stanno misteriosamente fiorendo e hanno valore.

A meno che non ci lasciamo condizionare e soverchiare da interferenze culturali o calcolo di circostanze, avvertiamo che c’è un binario caratterizzante che ci chiama.

Ci si accorge che possiamo stare con noi stessi e crescere senza preclusioni d’inatteso, o codici già comunemente paradigmatici.

Perché Dio non si esprime emanando normative tuttologhe, ma creando rinnovati cieli dentro di noi e già sulla terra.

 

Insomma, con la Pasqua e Ascensione di Gesù cosa è cambiato?

Apparentemente nulla, perché la gente continua come prima a viaggiare o stare ferma, a comprare e vendere, a lavorare o fare festa, a gioire o piangere...

Eppure, come in un paesaggio caratterizzato da nebbie, d’improvviso sorge il sole e vediamo profili netti, godiamo della brillantezza di colori, persino delle sfumature.

Si acuisce l’ascolto e tutta la percezione.

Impariamo ad accogliere l’oggettivo degli altri e la loro-nostra irripetibilità.

Apprendiamo a dialogare con la realtà e anzitutto con noi stessi; così finalmente ad onorare l’Eterno, rispettandoci in modo integrale.

 

Il Cielo: decollare senz’allontanarsi. Non siamo soli. E il meglio deve ancora Venire.

Sabato, 24 Maggio 2025 04:33

Attira lo sguardo

Nella liturgia si narra l’episodio dell’ultimo distacco del Signore Gesù dai suoi discepoli (cfr Lc 24,50-51; At 1,2.9); ma non si tratta di un abbandono, perché Egli rimane per sempre con loro - con noi - in una forma nuova. San Bernardo di Chiaravalle spiega che l’ascensione al cielo di Gesù si compie in tre gradi: “il primo è la gloria della risurrezione, il secondo il potere di giudicare e il terzo sedersi alla destra del Padre” (Sermo de Ascensione Domini, 60, 2: Sancti Bernardi Opera, t. VI, 1, 291, 20-21). Tale evento è preceduto dalla benedizione dei discepoli, che li prepara a ricevere il dono dello Spirito Santo, affinché la salvezza sia proclamata ovunque. Gesù stesso dice loro: “Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso” (cfr Lc 24,47-49).

Il Signore attira lo sguardo degli Apostoli - il nostro sguardo - verso il Cielo per indicare loro come percorrere la strada del bene durante la vita terrena. Egli, tuttavia, rimane nella trama della storia umana, è vicino a ciascuno di noi e guida il nostro cammino cristiano: è compagno dei perseguitati a causa della fede, è nel cuore di quanti sono emarginati, è presente in coloro a cui è negato il diritto alla vita. Possiamo ascoltare, vedere e toccare il Signore Gesù nella Chiesa, specialmente mediante la parola e i sacramenti. A tale proposito, esorto i ragazzi e i giovani che in questo tempo pasquale ricevono il sacramento della Cresima, a restare fedeli alla Parola di Dio e alla dottrina appresa, come pure ad accostarsi assiduamente alla Confessione e all’Eucaristia, consapevoli di essere stati scelti e costituiti per testimoniare la Verità. Rinnovo poi il mio particolare invito ai fratelli nel Sacerdozio, affinché “nella loro vita e azione si distinguano per una forte testimonianza evangelica” (Lettera di indizione dell’Anno Sacerdotale) e sappiano utilizzare con saggezza anche i mezzi di comunicazione, per far conoscere la vita della Chiesa e aiutare gli uomini di oggi a scoprire il volto di Cristo (cfr Messaggio XLVI G.M. Com. Soc., 24 gennaio 2010).

Cari fratelli e sorelle, il Signore, aprendoci la via del Cielo, ci fa pregustare già su questa terra la vita divina. Un autore russo del Novecento, nel suo testamento spirituale, scriveva: “Osservate più spesso le stelle. Quando avrete un peso nell’animo, guardate le stelle o l’azzurro del cielo. Quando vi sentirete tristi, quando vi offenderanno, … intrattenetevi … col cielo. Allora la vostra anima troverà la quiete” (N. Valentini - L. Žák [a cura], Pavel A. Florenskij. Non dimenticatemi. Le lettere dal gulag del grande matematico, filosofo e sacerdote russo, Milano 2000, p. 418).

[Papa Benedetto, Regina Coeli 16 maggio 2010]

Sabato, 24 Maggio 2025 04:28

Il Forum dell’Ascensione

1. In molti Paesi, tra i quali l'Italia, è stata posticipata ad oggi la solennità dell'Ascensione di Cristo. Con questa festa ricordiamo che Gesù, dopo la sua risurrezione, si mostrò vivo ai discepoli per quaranta giorni (At 1,3), al termine dei quali, avendoli condotti sul monte degli Ulivi, "fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo" (At 1,9). Risorto e asceso al Cielo, il Redentore costituisce per i credenti l'àncora di salvezza e di conforto nel quotidiano impegno al servizio della verità e della pace, della giustizia e della libertà. Salendo al Cielo, Egli ci riapre la via verso la Patria beata, non però per alienarci dalla storia, ma per dare al nostro cammino il respiro della speranza.

2. Ogni giorno, infatti, dobbiamo confrontarci con le realtà di questo mondo. Ce lo ricorda anche la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, che quest'oggi celebriamo.

I più recenti progressi nelle comunicazioni e nelle informazioni hanno posto la Chiesa di fronte a inedite possibilità di evangelizzazione. Ho pensato, perciò, di proporre quest'anno un tema di grande attualità: "Internet: un nuovo forum per proclamare il Vangelo".

Dobbiamo entrare in questa moderna e sempre più fitta rete di comunicazione con realismo e fiducia, persuasi che, se viene utilizzata con competenza e consapevole responsabilità, può offrire opportunità valide per la diffusione del messaggio evangelico.

Non si abbia, pertanto, paura di "prendere il largo" nel vasto oceano informatico. Anche attraverso di esso la Buona Notizia può raggiungere il cuore degli uomini e delle donne del nuovo millennio.

3. Non va, tuttavia, mai dimenticato che il segreto di ogni azione apostolica è anzitutto la preghiera. E proprio in intensa preghiera, dopo l'Ascensione, i discepoli vissero nel Cenacolo attendendo lo Spirito Santo promesso da Cristo. In mezzo a loro stava anche Maria, la Madre di Gesù (At 1,14). Mentre ci prepariamo a celebrare, domenica prossima, la solenne festa della Pentecoste, invochiamo con Maria lo Spirito Santo, perché infonda nei cristiani rinnovato slancio missionario e guidi i passi dell'umanità sulla via della solidarietà e della pace.

[Papa Giovanni Paolo II, Angelus 12 maggio 2002]

Sabato, 24 Maggio 2025 03:52

Entrare nella Pienezza

Oggi, in Italia e in altri Paesi, si celebra l’Ascensione di Gesù al cielo, avvenuta quaranta giorni dopo la Pasqua. Contempliamo il mistero di Gesù che esce dal nostro spazio terreno per entrare nella pienezza della gloria di Dio, portando con sé la nostra umanità. Cioè noi, la nostra umanità entra per la prima volta nel cielo. Il Vangelo di Luca ci mostra la reazione dei discepoli davanti al Signore che «si staccò da loro e veniva portato su, in cielo» (24,51). Non ci furono in essi dolore e smarrimento, ma «si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia» (v. 52). È il ritorno di chi non teme più la città che aveva rifiutato il Maestro, che aveva visto il tradimento di Giuda e il rinnegamento di Pietro, aveva visto la dispersione dei discepoli e la violenza di un potere che si sentiva minacciato.

Da quel giorno per gli Apostoli e per ogni discepolo di Cristo è stato possibile abitare a Gerusalemme e in tutte le città del mondo, anche in quelle più travagliate dall’ingiustizia e dalla violenza, perché sopra ogni città c’è lo stesso cielo ed ogni abitante può alzare lo sguardo con speranza. Gesù, Dio, è uomo vero, con il suo corpo di uomo è in cielo! E questa è la nostra speranza, è l'ancora nostra, e noi siamo saldi in questa speranza se guardiamo il cielo.

In questo cielo abita quel Dio che si è rivelato così vicino da prendere il volto di un uomo, Gesù di Nazaret. Egli rimane per sempre il Dio-con-noi – ricordiamo questo: Emmanuel, Dio con noi – e non ci lascia soli! Possiamo guardare in alto per riconoscere davanti a noi il nostro futuro. Nell’Ascensione di Gesù, il Crocifisso Risorto, c’è la promessa della nostra partecipazione alla pienezza di vita presso Dio.

Prima di separarsi dai suoi amici, Gesù, riferendosi all’evento della sua morte e risurrezione, aveva detto loro: «Di questo voi siete testimoni» (v. 48). Cioè i discepoli, gli apostoli sono testimoni della morte e della risurrezione di Cristo, in quel giorno, anche della Ascensione di Cristo. E in effetti, dopo aver visto il loro Signore salire al cielo, i discepoli ritornarono in città come testimoni che con gioia annunciano a tutti la vita nuova che viene dal Crocifisso Risorto, nel cui nome «saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati» (v. 47). Questa è la testimonianza – fatta non solo con le parole ma anche con la vita quotidiana – la testimonianza che ogni domenica dovrebbe uscire dalla nostre chiese per entrare durante la settimana nelle case, negli uffici, a scuola, nei luoghi di ritrovo e di divertimento, negli ospedali, nelle carceri, nelle case per gli anziani, nei luoghi affollati degli immigrati, nelle periferie della città… Questa testimonianza noi dobbiamo portare ogni settimana: Cristo è con noi; Gesù è salito al cielo, è con noi; Cristo è vivo!

Gesù ci ha assicurato che in questo annuncio e in questa testimonianza saremo «rivestiti di potenza dall’alto» (v. 49), cioè con la potenza dello Spirito Santo. Qui sta il segreto di questa missione: la presenza tra noi del Signore risorto, che con il dono dello Spirito continua ad aprire la nostra mente e il nostro cuore, per annunciare il suo amore e la sua misericordia anche negli ambienti più refrattari delle nostre città. È lo Spirito Santo il vero artefice della multiforme testimonianza che la Chiesa e ogni battezzato rendono nel mondo. Pertanto, non possiamo mai trascurare il raccoglimento nella preghiera per lodare Dio e invocare il dono dello Spirito. In questa settimana, che ci porta alla festa di Pentecoste, rimaniamo spiritualmente nel Cenacolo, insieme alla Vergine Maria, per accogliere lo Spirito Santo.

[Papa Francesco, Regina Coeli 8 maggio 2016]

Lc 1,39-56 (46-56)

 

Il canto-insieme di Maria ed Elisabetta riassume e celebra la storia della salvezza. Esso riflette una lauda liturgica giudeo cristiana propria delle prime comunità di ‘anawim.

I piccoli e fedeli sperimentano il tracciato ideale della storia, della quale paradossalmente diventano motore.

Le due Donne porgono voce alle ‘chiese’ povere e minoritarie, spesso sfidate dalle forze del potere imperiale in duelli drammatici.

Raffigurano le primitive assemblee, fraternità minuscole; focolari di convivenza e vita intima.

In esse le anime credenti facevano esperienza di un Dio che non rimane impassibile nei confronti del grido dei minimi perseguitati.

In un quadro di visita famigliare e (appunto) di lode, si riflette tutta la destinazione del nuovo Popolo.

La diversità tra le due figure sottolinea lo scatto di Fede in Maria, rispetto alle attese della ‘parentela religiosa.

In Elisabetta il Primo Patto ha già percorso tutto il suo cammino, e non andrebbe molto oltre.

La storia degli uomini è arida, ma Dio la feconda di novità e letizia, che finalmente muta i confini.

Le vie previste sono giunte al termine; ancora cieche e sottomesse alle potenze della terra... Esse non rendono forte il debole.

 

La Fede trasmuta interamente i fondamenti della storia antidivina, perché consente allo Spirito d’impadronirsi della vita personale e permearla, rendendola capace di azione benedicente.

Nel modo di credere di Maria noi conosciamo ciò che non sappiamo - perché abbiamo una Visione che guida, un’immagine sacra che agisce dentro, come un istinto innato.

E possediamo già ciò che speriamo - perché la Fede è un colpo di mano, un’azione che si appropria, un atto-calamita (cf. Eb 11,1).

[Il suo vertice è scoprire stupori di recupero impossibile, a partire dai lati in ombra e perfino che detestiamo di noi - vicenda propria degli scartati].

L’Inno esprime dunque la traiettoria della vita del credente e la direzione della nostra esistenza, che ricompone l’essere malfermo nell’armonia nuova del progetto divino.

 

Tesi classica già del Primo Testamento: Dio solleva dalla polvere il misero e innalza il povero dalle immondizie.

Egli non s’indirizza a coloro che sono pieni di sé, ma a chi sa rivolgersi alle profondità, e come Maria le estende agli altri.

Entro tale vicenda del perdersi per ritrovarsi - incarnata sia dai discepoli che dalle chiese - si rintraccia l’esperienza del mattino di Pasqua.

Lc evangelista dei poveri celebra questo ribaltamento di situazioni in molti episodi di persone ed eventi ai margini.

Anche il Magnificat ribadisce: le scelte del Signore sono davvero estrose. Liberamente Egli passa per gli sconfitti e i derisi, che trovano guadagno nella perdita e vita dalla morte.

Maria in specie diventa figura espressiva della bassezza [ταπείνωσις (tapeínōsis, “abbassamento”), da ταπεινός (tapeinós, “basso”); v.48 testo greco] come ‘radice della trasformazione dell’essere - nell’Imprevedibile di Dio.

 

Egli è fedele.

 

 

[Visitazione B.V. Maria, 31 maggio]

Venerdì, 23 Maggio 2025 04:14

L’Anima diversa di Maria

(Lc 1,39-45)

 

Incarnazione’: se lo sguardo non si fissa su alcune idee ma lievemente inizia a posarsi sulla condizione umana, ecco esordire un regno di pace.

La folla esitante nel paltò antico può esultare, perché giunge quella Presenza lieve ma decisiva che libera e ci dona respiro.

Opportunità inconsueta d’un riscatto a misura di donna e uomo, persino di bimbi.

Il popolo ha un Sogno: cogliere la sua identità e missione, malgrado la religione della mediocrità, dei soprusi - sguardi arcigni e paure.

Maria aiuta ciascuno a capire come sostituire la carezza d’un cuore di carne a tante estranee prescrizioni su fredde lastre di pietra.

 

La sua pace-Shalom non viene augurata al professionista del sacro. Egli omette l’unicità della Chiamata, della Sorpresa, della Persona.

Zaccaria non vive Beatitudini: è già identificato, quindi radicalmente incredulo.

Le grandi reminiscenze e il suo ruolo tipico lo rendono refrattario alla Novità dello Spirito.

Inutile persino rivolgergli la parola, benché padrone della Casa in cui si ‘ricordano’ le Promesse. Un’abitudine a fare memoria che oramai non attende più nulla.

L’Incontro decisivo? Forse ci sarà... ma chissà quando.

 

L’attesa mitica distrae, non coinvolge. Il riattualizzare idolatrico non rallegra; fissa, non fa danzare.

La festa è segno che il Signore è giunto in famiglia; non sul set, sul serio. [Non è semplice comprenderlo nel tempo dell’esteriorità].

Maria non ambisce a essere e mostrarsi “vip”; si colloca spontaneamente fra gente normale, che soffre una condizione penosa.

Non rincorre progetti, le sue idee precedenti, qualche ticchio vincolato che gli rimbalza nel pensiero. Questa la purezza di Maria.

Chi le assomiglia non ha bisogno di mendicare o esibire un riconoscimento, traguardi, credenziali, titoli, benemerenze. Questa la sua incontaminatezza.

 

Non ha frainteso Dio scambiandolo con delle apparenze. Non si è lasciata ingabbiare da luoghi comuni, perché non ha ostacolato la sua identità irripetibile, pensando di essere sbagliata.

Con mente silenziosa e distacco da giudizi ha consentito al suo istinto vocazionale di rigenerarla, concepire, donare vita.

Non ha inseguito un’immagine ideale, priva di pesi (e di senso), come fosse calata in un personaggio - e conformista.

Se si è corretta non lo ha fatto ripiegando su se stessa, ma sorpassando e tirando dritto; così ha scoperto come regolarsi, ma per volare.

Non gli è andato tutto bene, come se già avesse il film della sua vita in testa. Ha avuto nascondigli e dubbi, travagli da superare.

Non pensava, non parlava, non agiva come fosse “infinita”; ma con decisione, sì.

Non aveva sempre successo, eppure non si ritraeva solo vereconda.

Affrontava i conflitti, tuttavia senza quei pesi mentali che c’imbrigliano di fissazioni [anche sacrali] che a Dio non interessano, e bloccano il cammino.

 

Negli eventi e dentro sé coglieva i momenti dell’insicurezza per ricordarsi della Perla da vagliare.

Ricerca appassionata che l’ha tenuta in Vita, sapendo che le cose dell’anima sono differenti.

Non era una santa buonista, conduceva battaglie - e con attività di denuncia spirituale.

Infatti non chiede autorizzazioni a intraprendere un viaggio azzardato.

Neppure ‘vede’ l’uomo dell’istituzione ufficiale: il sacerdote dalla ritualità scandita nei minimi dettagli.

Si riconosce invece in Elisabetta. Anche lei una dimenticata, ma che coltiva la promessa («Eli-shébet»: il Signore Mio-Personale ha ‘giurato’; come dire “Dio Mi è fedele”).

Zaccaria invece («zachar-Ja» il Signore sì ma non “mio” bensì d'Israele, ‘ricorda’) non riesce a passare dalla religiosità regolare alla Fede che coinvolge il suo Eros fondante.

 

Maria non voleva essere finta, non desiderava diventare artificiale - quindi inutile, e nel tempo frantumata.

Ambiva a piantarsi ancora e sempre meglio sulle proprie Radici.

Se non riusciva a capire qualcosa, utilizzava queste sospensioni per proiettarsi avanti, alla ricerca di tutto lo scrigno prezioso della sua destinazione.

Non dava spazio alle tossine della mente create dalla consuetudine senza sogno, dai paradigmi del suo luogo e tempo. Non ha immaginato di rimanere sempre la stessa.

Sceglie di non deporre il lato evolutivo: capisce che poteva essere stimolata proprio dalle amarezze, dagli abbandoni, dagli impatti, dalle ferite.

Arca dell’Alleanza dall’intimità visionaria e attuabile, senza (dentro) gelide tavole di legalismi; perché Dio non si esprime emanando norme, ma nell’Amore - che non demolisce.

 

Aveva col Cielo un rapporto d’Incarnazione; non esteriore e senz’Unicità [di pietra come per obbedienza intimidita]. Nel suo midollo: Assomigliante - da Pari a Pari.

 

Dalla religione dei molti subalterni alla Fede?

Non una Chiesa delle cunette: Maria è la nuova coscienza e il diverso orientamento dell’umanità.

 

 

Magnificat: parentela religiosa, e lo scatto della Fede

(Lc 1,46-55)

 

Sebbene il contesto in lingua greca dei primi codici alluda a un cantico proprio di Elisabetta (vv.42-46), la tradizione successiva ha voluto porre l’inno sulla bocca di Maria.

Il loro canto-insieme riassume e celebra la storia della salvezza. Esso riflette una lauda liturgica giudeo cristiana propria delle prime comunità di ‘anawim.

[Oggi come allora i piccoli e fedeli sperimentano il tracciato ideale della storia, della quale paradossalmente diventano motore].

Maria ed Elisabetta danno voce alle ‘chiese’ povere e minoritarie, spesso sfidate dalle forze del potere imperiale in duelli drammatici.

Fraternità che facevano esperienza di un Dio che non rimane impassibile nei confronti del grido dei minimi perseguitati.

In un quadro di visita famigliare e (appunto) di lode, si riflette tutta la destinazione del nuovo Popolo.

La diversità fra le due donne sottolinea lo scatto della Fede in Maria, rispetto alle attese della ‘parentela religiosa.

In Elisabetta il Primo Patto ha già percorso tutto il suo cammino, e non andrebbe molto oltre.

 

La storia degli uomini è arida, ma l’Eterno la feconda di novità e letizia, che finalmente muta i confini.

Le vie previste sono giunte al termine; ancora cieche e sottomesse alle potenze della terra - autodivinizzanti...

Ma qui si rivela che la sicurezza dei grandi è vana, inesistente; ricercatrice di soli profitti.

E malgrado i millenni, sono ancora troppi coloro che rivestono le loro posizioni di proclami apparentemente devoti - inconsistenti d’amore che aiuta e arricchisce i piccoli, che rendano forte il debole.

 

La Fede trasmuta interamente i fondamenti della storia antidivina, perché consente allo Spirito d’impadronirsi della vita personale e fecondarla, rendendola capace di azione benedicente.

Nel modo di credere di Maria noi conosciamo ciò che non sappiamo - perché abbiamo una Visione che guida, un’Immagine che agisce dentro come un istinto innato.

E possediamo già ciò che speriamo - perché la Fede è un colpo di mano, un’azione che si appropria, un atto-calamita (cf. Eb 11,1).

Il suo vertice sarà scoprire stupori di recupero impossibile, a partire dai lati in ombra e che detestiamo di noi [proprio degli scartati].

L’inno esprime dunque la traiettoria della vita del credente in Cristo e la direzione della nostra esistenza che poco a poco o d’improvviso ricompone l’essere malfermo, nell’armonia nuova del progetto divino.

 

Tesi classica già del Primo Testamento: Dio solleva dalla polvere il misero e innalza il povero - l’emarginato (con indifferenza) - dalle immondizie.

Egli non s’indirizza a coloro che sono pieni di sé e con ruoli identificati, bensì a chi sa rivolgersi alle profondità, e come Maria le estende agli altri.

Entro tale vicenda del perdersi per ritrovarsi - una logica incarnata sia dai discepoli che dalle chiese - si rintraccia l’esperienza del mattino di Pasqua, i cui Vangeli “descrivono” la Risurrezione come capacità di vedere aperte le tombe e scorgere vita persino fra segni di assenza, e nel luogo della morte.

 

Lc evangelista dei poveri celebra questo ribaltamento di situazioni in molti episodi: fariseo e pubblicano, figlio prodigo e primogenito, samaritano e sacerdote levita, Lazzaro e ricco epulone, primo e ultimo posto, Beatitudini e ‘guai’...

Anche il Magnificat ribadisce: le scelte del Signore sono davvero estrose per la mentalità religiosa da nomenclatura.

Liberamente Egli passa per gli sconfitti, i derisi, ritenuti stupidi, ignobili; i deboli, emarginati da cricche, rifiutati dal club degli acclamati.

Il cantico è un ‘tipo’ perfetto di questa predilezione, che trova guadagno nella perdita e vita dalla morte, in persone ed eventi ai margini.

Maria in specie diventa figura espressiva della bassezza [ταπείνωσις (tapeínōsis, “abbassamento”), da ταπεινός (tapeinós, “basso”); v.48 testo greco] come ‘radice della trasformazione dell’essere - nell’Imprevedibile di Dio.

 

In Maria ed Elisabetta gli ‘anawim contemplavano la festa del trionfo dei figli, delle creature che ripetono in sé la Pasqua del Cristo.

Accadimento e proposta che anche nel tempo dell’emergenza fa rifiorire la vita dal fallimento delle mitologie del potere e della forza.

Nel Risorto che mostra sempre le piaghe, ovunque i credenti si sono resi conto: la povertà del cuore e di vita vissuta dal Cristo e dalla (Chiesa) Madre è la vera forza dirompente della storia.

 

Dio è fedele.

 

«L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore, perché ha rivolto il suo sguardo alla bassezza della sua serva» (Lc 1,46b-48a).

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Ritieni la munificenza divina una proprietà?

Come proclami le tue consapevolezze personali ed ecclesiali - di compimento in Cristo - delle Promesse dell’Alleanza?

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The Ascension does not point to Jesus’ absence, but tells us that he is alive in our midst in a new way. He is no longer in a specific place in the world as he was before the Ascension. He is now in the lordship of God, present in every space and time, close to each one of us. In our life we are never alone (Pope Francis)
L’Ascensione non indica l’assenza di Gesù, ma ci dice che Egli è vivo in mezzo a noi in modo nuovo; non è più in un preciso posto del mondo come lo era prima dell’Ascensione; ora è nella signoria di Dio, presente in ogni spazio e tempo, vicino ad ognuno di noi. Nella nostra vita non siamo mai soli (Papa Francesco)
The Magnificat is the hymn of praise which rises from humanity redeemed by divine mercy, it rises from all the People of God; at the same time, it is a hymn that denounces the illusion of those who think they are lords of history and masters of their own destiny (Pope Benedict)
Il Magnificat è il canto di lode che sale dall’umanità redenta dalla divina misericordia, sale da tutto il popolo di Dio; in pari tempo è l’inno che denuncia l’illusione di coloro che si credono signori della storia e arbitri del loro destino (Papa Benedetto)
This unknown “thing” is the true “hope” which drives us, and at the same time the fact that it is unknown is the cause of all forms of despair and also of all efforts, whether positive or destructive, directed towards worldly authenticity and human authenticity (Spe Salvi n.12)
Questa « cosa » ignota è la vera « speranza » che ci spinge e il suo essere ignota è, al contempo, la causa di tutte le disperazioni come pure di tutti gli slanci positivi o distruttivi verso il mondo autentico e l'autentico uomo (Spe Salvi n.12)
«When the servant of God is troubled, as it happens, by something, he must get up immediately to pray, and persevere before the Supreme Father until he restores to him the joy of his salvation. Because if it remains in sadness, that Babylonian evil will grow and, in the end, will generate in the heart an indelible rust, if it is not removed with tears» (St Francis of Assisi, FS 709)
«Il servo di Dio quando è turbato, come capita, da qualcosa, deve alzarsi subito per pregare, e perseverare davanti al Padre Sommo sino a che gli restituisca la gioia della sua salvezza. Perché se permane nella tristezza, crescerà quel male babilonese e, alla fine, genererà nel cuore una ruggine indelebile, se non verrà tolta con le lacrime» (san Francesco d’Assisi, FF 709)
Wherever people want to set themselves up as God they cannot but set themselves against each other. Instead, wherever they place themselves in the Lord’s truth they are open to the action of his Spirit who sustains and unites them (Pope Benedict)
Dove gli uomini vogliono farsi Dio, possono solo mettersi l’uno contro l’altro. Dove invece si pongono nella verità del Signore, si aprono all’azione del suo Spirito che li sostiene e li unisce (Papa Benedetto)
All this helps us not to let our guard down before the depths of iniquity, before the mockery of the wicked. In these situations of weariness, the Lord says to us: “Have courage! I have overcome the world!” (Jn 16:33). The word of God gives us strength [Pope Francis]
Tutto questo aiuta a non farsi cadere le braccia davanti allo spessore dell’iniquità, davanti allo scherno dei malvagi. La parola del Signore per queste situazioni di stanchezza è: «Abbiate coraggio, io ho vinto il mondo!» (Gv 16,33). E questa parola ci darà forza [Papa Francesco]

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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