don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Martedì, 28 Ottobre 2025 03:05

Con tutti vuole essere chiaro

Nel brano evangelico, tratto da san Luca, Gesù stesso dichiara con franchezza tre condizioni necessarie per essere suoi discepoli: amare Lui più di ogni altra persona e più della stessa vita; portare la propria croce e andare dietro a Lui; rinunciare a tutti i propri averi. Gesù vede una grande folla che lo segue insieme ai suoi discepoli, e con tutti vuole essere chiaro: seguire Lui è impegnativo, non può dipendere da entusiasmi e opportunismi; dev’essere una decisione ponderata, presa dopo essersi domandati in coscienza: chi è Gesù per me? È veramente “il Signore”, occupa il primo posto, come il Sole intorno al quale ruotano tutti i pianeti? E la prima lettura, dal Libro della Sapienza, ci suggerisce indirettamente il motivo di questo primato assoluto di Gesù Cristo: in Lui trovano risposta le domande dell’uomo di ogni tempo che cerca la verità su Dio e su se stesso. Dio è al di là della nostra portata, e i suoi disegni sono imperscrutabili. Ma Egli stesso ha voluto rivelarsi, nella creazione e soprattutto nella storia della salvezza, finché in Cristo ha pienamente manifestato se stesso e la sua volontà. Pur rimanendo sempre vero che “Dio, nessuno lo ha mai visto” (Gv 1,18), ora noi conosciamo il suo “nome”, il suo “volto”, e anche il suo volere, perché ce li ha rivelati Gesù, che è la Sapienza di Dio fattasi uomo. “Così – scrive l’Autore sacro della prima Lettura – gli uomini furono istruiti in ciò che ti è gradito e furono salvati per mezzo della sapienza” (Sap 9,18).

[Papa Benedetto, omelia a Carpineto Romano 5 settembre 2010]

3. "Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua" (Lc 9, 23). Queste parole esprimono la radicalità di una scelta che non ammette indugi e ripensamenti. E' un'esigenza dura, che ha impressionato gli stessi discepoli e nel corso dei secoli ha trattenuto molti uomini e donne dal seguire Cristo. Ma proprio questa radicalità ha anche prodotto frutti mirabili di santità e di martirio, che confortano nel tempo il cammino della Chiesa. Oggi ancora questa parola suona scandalo e follia (cfr 1 Cor 1, 22‑25). Eppure è con essa che ci si deve confrontare, perché la via tracciata da Dio per il suo Figlio è la stessa che deve percorrere il discepolo, deciso a porsi alla sua sequela. Non ci sono due strade, ma una soltanto: quella percorsa dal Maestro. Al discepolo non è consentito di inventarne un'altra.

Gesù cammina davanti ai suoi e domanda a ciascuno di fare quanto Lui stesso ha fatto. Dice: io non sono venuto per essere servito, ma per servire; così chi vuol essere come me sia servo di tutti. Io sono venuto a voi come uno che non possiede nulla; così posso chiedere a voi di lasciare ogni tipo di ricchezza che vi impedisce di entrare nel Regno dei cieli. Io accetto la contraddizione, l'essere respin­to dalla maggioranza del mio popolo; posso chiedere anche a voi di accettare la contraddizione e la contestazione, da qualunque parte vengano.

In altre parole, Gesù domanda di scegliere coraggiosamente la sua stessa via; di sceglierla anzitutto "nel cuore", perché l'avere questa o quella situazione esterna non dipende da noi. Da noi dipende la volontà di essere, in quanto è possibile, obbedienti come Lui al Padre e pronti ad accettare fino in fondo il progetto che Egli ha per ciascuno.

4. "Rinneghi se stesso". Rinnegare se stessi significa rinunciare al proprio pro­getto, spesso limitato e meschino, per accogliere quello di Dio: ecco il cammino della conversione, indispensabile per l'esistenza cristiana, che ha portato l'apostolo Paolo ad affermare: "Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" (Gal 2,20).

Gesù non chiede di rinunciare a vivere, ma di accogliere una novità e una pienezza di vita che solo Lui può dare. L'uomo ha radicata nel profondo del suo essere la tendenza a "pensare a se stesso", a mettere la propria persona al centro degli interessi e a porsi come misura di tutto. Chi va dietro a Cristo rifiuta, invece, questo ripiegamento su di sé e non valuta le cose in base al proprio tornaconto. Considera la vita vissuta in termini di dono e gratuità, non di conquista e di possesso. La vita vera, infatti, si esprime nel dono di sé, frutto della grazia di Cristo: un'esistenza libera, in comunione con Dio e con i fratelli (cfr Gaudium et spes, 24).

Se vivere alla sequela del Signore diventa il valore supremo, allora tutti gli altri valori ricevono da questo la loro giusta collocazione ed importanza. Chi punta unicamente sui beni terreni risulterà perdente, nonostante le apparenze di successo: la morte lo coglierà con un cumulo di cose, ma con una vita mancata (cfr Lc 12, 13‑21). La scelta è dunque tra essere e avere, tra una vita piena e un'esistenza vuota, tra la verità e la menzogna.

5. "Prenda la sua croce e mi segua". Come la croce può ridursi ad oggetto ornamentale, così "portare la croce" può diventare un modo di dire. Nell'insegnamento di Gesù quest'espressione non mette, però, in primo piano la mortificazione e la rinuncia. Non si riferisce primariamente al dovere di sopportare con pazienza le piccole o grandi tribolazioni quotidiane; né, ancor meno, intende essere un'esaltazione del dolore come mezzo per piacere a Dio. Il cristiano non ricerca la sofferenza per se stessa, ma l'amore. E la croce accolta diviene il segno dell'amore e del dono totale. Portarla dietro a Cristo vuol dire unirsi a Lui nell'offrire la prova massima dell'amore.

Non si può parlare di croce senza considerare l'amore di Dio per noi, il fatto che Dio ci vuole ricolmare dei suoi beni. Con l'invito *seguimi+ Gesù ripete ai suoi discepoli non solo: prendimi come modello, ma anche: condividi la mia vita e le mie scelte, spendi insieme con me la tua vita per amore di Dio e dei fratelli. Così Cristo apre davanti a noi la *via della vita+, che è purtroppo costantemente minacciata dalla "via della morte". Il peccato è questa via che separa l'uomo da Dio e dal prossimo, provocando divisione e minando dall'interno la società.

La "via della vita", che riprende e rinnova gli atteggiamenti di Gesù, diviene la via della fede e della conversione. La via della croce, appunto. E' la via che conduce ad affidarsi a Lui e al suo disegno salvifico, a credere che Lui è morto per manifestare l'amore di Dio per ogni uomo; è la via di salvezza in mezzo ad una società spesso frammentaria, confusa e contraddittoria; è la via della felicità di seguire Cristo fino in fondo, nelle circostanze spesso drammatiche del vivere quotidiano; è la via che non teme insuccessi, difficoltà, emarginazioni, solitudini, perché riempie il cuore dell'uomo della presenza di Gesù; è la via della pace, del dominio di sé, della gioia profonda del cuore.

6. Cari giovani, non vi sembri strano se, all'inizio del terzo millennio, il Papa vi indica ancora una volta la croce come cammino di vita e di autentica felicità. La Chiesa da sempre crede e confessa che solo nella croce di Cristo c'è salvezza.

Una diffusa cultura dell'effimero, che assegna valore a ciò che piace ed appare bello, vorrebbe far credere che per essere felici sia necessario rimuovere la croce. Viene presentato come ideale un successo facile, una carriera rapida, una sessualità disgiunta dal senso di responsabilità e, finalmente, un'esistenza centrata sulla propria affermazione, spesso senza rispetto per gli altri.

Aprite però bene gli occhi, cari giovani: questa non è la strada che fa vivere, ma il sentiero che sprofonda nella morte. Dice Gesù: "Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà". Gesù non ci illude: "Che giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi si perde o rovina se stesso?" (Lc 9, 24‑25). Con la verità delle sue parole, che suonano dure, ma riempiono il cuore di pace, Gesù ci svela il segreto della vita autentica (cfr Discorso ai giovani di Roma, 2 aprile 1998).

Non abbiate paura, dunque, di camminare sulla strada che il Signore per primo ha percorso. Con la vostra giovinezza, imprimete al terzo millennio che si apre il segno della speranza e dell'entusiasmo tipico della vostra età. Se lascerete operare in voi la grazia di Dio, se non verrete meno alla serietà del vostro impegno quotidiano, farete di questo nuovo secolo un tempo migliore per tutti.

Con voi cammina Maria, la Madre del Signore, la prima dei discepoli, rimasta fedele sotto la croce, da dove Cristo ci ha affidati a Lei come suoi figli. E vi accompagni anche la Benedizione Apostolica, che vi imparto di gran cuore.

Dal Vaticano, 14 Febbraio 2001

[Papa Giovanni Paolo II, Messaggio per la XVI GMG]

Martedì, 28 Ottobre 2025 02:52

Condizioni per essere discepoli

Nel Vangelo di oggi Gesù insiste sulle condizioni per essere suoi discepoli: non anteporre nulla all’amore per Lui, portare la propria croce e seguirlo. Molta gente infatti si avvicinava a Gesù, voleva entrare tra i suoi seguaci; e questo accadeva specialmente dopo qualche segno prodigioso, che lo accreditava come il Messia, il Re d’Israele. Ma Gesù non vuole illudere nessuno. Lui sa bene che cosa lo attende a Gerusalemme, qual è la via che il Padre gli chiede di percorrere: è la via della croce, del sacrificio di se stesso per il perdono dei nostri peccati. Seguire Gesù non significa partecipare a un corteo trionfale! Significa condividere il suo amore misericordioso, entrare nella sua grande opera di misericordia per ogni uomo e per tutti gli uomini. L’opera di Gesù è proprio un’opera di misericordia, di perdono, di amore! È tanto misericordioso Gesù! E questo perdono universale, questa misericordia, passa attraverso la croce. Gesù non vuole compiere questa opera da solo: vuole coinvolgere anche noi nella missione che il Padre gli ha affidato. Dopo la risurrezione dirà ai suoi discepoli: «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi … A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati» (Gv 20,21.22). Il discepolo di Gesù rinuncia a tutti i beni perché ha trovato in Lui il Bene più grande, nel quale ogni altro bene riceve il suo pieno valore e significato: i legami familiari, le altre relazioni, il lavoro, i beni culturali ed economici e così via… Il cristiano si distacca da tutto e ritrova tutto nella logica del Vangelo, la logica dell’amore e del servizio.

Per spiegare questa esigenza, Gesù usa due parabole: quella della torre da costruire e quella del re che va alla guerra. Questa seconda parabola dice così: «Quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere la pace» (Lc 14,31-32). Qui Gesù non vuole affrontare il tema della guerra, è solo una parabola. Però, in questo momento in cui stiamo fortemente pregando per la pace, questa Parola del Signore ci tocca sul vivo, e in sostanza ci dice: c’è una guerra più profonda che dobbiamo combattere, tutti! È la decisione forte e coraggiosa di rinunciare al male e alle sue seduzioni e di scegliere il bene, pronti a pagare di persona: ecco il seguire Cristo, ecco il prendere la propria croce! Questa guerra profonda contro il male! A che serve fare guerre, tante guerre, se tu non sei capace di fare questa guerra profonda contro il male? Non serve a niente! Non va… Questo comporta, tra l’altro, questa guerra contro il male comporta dire no all’odio fratricida e alle menzogne di cui si serve; dire no alla violenza in tutte le sue forme; dire no alla proliferazione delle armi e al loro commercio illegale. Ce n’è tanto! Ce n’è tanto! E sempre rimane il dubbio: questa guerra di là, quest’altra di là - perché dappertutto ci sono guerre - è davvero una guerra per problemi o è una guerra commerciale per vendere queste armi nel commercio illegale? Questi sono i nemici da combattere, uniti e con coerenza, non seguendo altri interessi se non quelli della pace e del bene comune.

[Papa Francesco, Angelus 8 settembre 2013]

(Lc 14,15-24)

 

Gesù non paragona il Regno del Padre a un’assemblea solenne, bensì a una grande Cena!

La proposta di novità festante viene però rifiutata. Gli autosufficienti ed esperti hanno altri impegni e interessi.

L’invito a prendere parte alla Festa è stato inizialmente rivolto ai figli d’Israele, che ancora paragonavano i tempi messianici a un Banchetto, caratterizzato da gratitudine e fraternità [interna].

Nelle prime comunità le difficoltà ad allargare i criteri di comunione venivano appunto dai convertiti dal giudaismo, che per lunga pratica conservavano l’usanza di non condividere il cibo coi lontani; così lo spezzare del Pane eucaristico.

Nell’ambito delle loro usanze e delle norme sacrali attestate nella Torah (Dt 20,5-7) il comportamento di coloro che rifiutano l’invito della parabola del Banchetto (vv.18-20) era legittimo dal punto di vista del diritto riconosciuto - non dell’amicizia.

È per accentuare il senso del gesto che il padrone della festa ordina ai servitori di raccogliere proprio coloro che erano socialmente esclusi dalla religione antica, perché considerati impuri: i pagani, i traballanti. Aperti all’attesa.

Cristo continua a tracciare una linea divisoria tra chi propugna un ordine e ideali intoccabili sopra la realtà umana, e coloro che essendo in periferia sono sempre ben disposti a partecipare alla Festa.

Non sono i “tutti preoccupati del rito”, delle maniere, dell’apparire; ma della vita che spargono.

Questi ultimi non si lasciano condizionare da privilegi, loro cose, e leggi: danno senza tenere conti a partita doppia.

Accettano con prontezza naturale; si rallegrano della realtà e non della distinzione fra sacro e profano.

Non pensano di avere già la risposta, e non finiscono con l’esserne schiavi.

 

L’insegnamento di Gesù invita a non limitare gli affetti e non lasciarsi ingombrare il cuore da consuetudini, dalla mentalità particolare o corrente, da blocchi legalisti - o dalle ‘tante cose’.

Nell’assemblea dei figli non sono i ben provveduti [persone serie, piene d’impegni, che non hanno tempo da perdere, con troppi beni e inviti da gestire] ma la gente dappoco... che passa in primo piano. Malgrado le scarse attitudini.

Tutto ciò, perché caratteristica dei Piccoli e pitocchi è la disponibilità a valicare steccati: ciò che rende atti a cogliere la convocazione di Dio.

I lontani - benché alle strette - riempiono la casa del Padre.

‘In società’ il povero è uno dei tanti, ma l’invito [eucaristico] a Mensa gli trasmette il senso dei valori che non soffocano la vita di meschinità, e legami.

Anzi, l’indigente ha spesso una migliore comprensione delle cose divino-umane.

Questa sempre più cosciente rassomiglianza al Figlio di Dio si accentua nello stento dei ‘mezzi adeguati’: penuria che rende veri, che induce altri a riflettere - restando poco eclatanti, incapaci di “fare fulmini”.

 

La nostra solidarietà non è un fatto di simpatia, interessi comuni e spirito di corpo, bensì il risultato di una Chiamata estesa; di un’unica Vita potente che circola in tutti, rispettandone libertà e realtà - nonché le fasi di mutamento.

Parafrasando l'enciclica Fratelli Tutti [nn.13-15, passim] secondo il passo di Lc bisogna rimanere attenti a non impoverire la vita di Fede, trasformandola in un distaccato impegno alla «colonizzazione culturale».

Se così fosse, anche l’orizzonte universale-cattolico d’una convivialità delle differenze si dissolverebbe in un invito troppo normalizzato, assolutamente prevedibile; infine desertico.

Il rifiuto ingessato o interessato al Banchetto recherebbe con sé - come sotto i nostri occhi - l’«ulteriore disgregazione» del «pensiero critico», dell’azione «per la giustizia», dei suoi «percorsi d’integrazione».

Anche la società ecclesiale può infatti correre il rischio di «alterare le grandi parole», «rischiare d’impoverirsi»; quindi «ridursi alla prepotenza del più forte» e alle «ricette solo effimere di marketing, che trovano nella distruzione dell’altro la risorsa più efficace».

Ma il popolo di Dio non può vivere in un mondo parallelo, scollegato e doppio - come se l’unico Eterno adorato fosse un coacervo di astuzie, marketing e convenienza.

 

 

[Martedì 31.a sett. T.O.  4 Novembre 2025]

(Lc 14,15-24)

 

Gesù non paragona il Regno del Padre a un’assemblea solenne, bensì a una grande Cena!

La proposta di novità festante viene però rifiutata. Gli autosufficienti ed esperti hanno altri impegni e interessi…

Dopo la distruzione del Tempio, il governo delle sinagoghe fu assunto dai farisei, salvatisi dal disastro perché il loro tradizionalismo non aveva esplicite venature politico-nazionaliste.

Ritenevano infatti che l’attesa del Messia non aveva nulla a che fare con la lotta contro Roma; in questo sembravano in sintonia coi cristiani.

Ma di continuo esigevano nei seguaci il rigido compimento delle norme che identificavano la religione giudaica tradizionale.

Dopo l’anno 70 tale pretesa li condusse a una sempre più ossessiva condanna dei giudei convertiti al Signore Gesù - e a fine secolo alla cacciata dalle sinagoghe.

I leaders religiosi fondamentalisti finirono quindi per emarginare anche socialmente i fedeli al più giovane Messia, rei di trascurare le distinzioni fra costumanze d’Israele e quelle di altri popoli.

Nelle comunità di Lc la situazione era meno lacerante, ma ugualmente viva.

I convertiti alla fede in Cristo provenivano in buona parte dal paganesimo, che nonostante diversità di bagaglio culturale e ceto, vivevano qua e là [senza quelle tare ideologiche puriste] l’ideale della condivisione e della comunione anche dei beni.

L’invito a prendere parte alla Festa è stato inizialmente rivolto ai figli d’Israele, che ancora paragonavano i tempi messianici a un grande Banchetto, caratterizzato da gratitudine e fraternità (interna).

Ma le difficoltà ad allargare i criteri di comunione venivano appunto dai convertiti dal giudaismo, che per lunga pratica conservavano l’usanza di non condividere il cibo coi lontani; così lo spezzare del Pane eucaristico.

Nell’ambito delle loro usanze e delle norme sacrali attestate nella Torah (Dt 20,5-7) il comportamento di coloro che rifiutano l’invito della parabola del Banchetto (vv.18-20) era legittimo dal punto di vista del diritto riconosciuto - non dell’amicizia.

È per accentuare il senso del gesto che il padrone della festa ordina ai servitori di raccogliere proprio coloro che erano socialmente esclusi dalla religione antica, perché considerati impuri: i pagani. Aperti all’attesa.

Cristo continua a tracciare una linea divisoria tra chi propugna un ordine e ideali intoccabili sopra la realtà umana, e coloro che essendo in periferia sono sempre ben disposti a partecipare alla Festa.

Non sono i “tutti preoccupati del rito”, delle maniere, dell’apparire; ma della vita che spargono.

Questi ultimi non si lasciano condizionare da privilegi, loro cose, e leggi: danno senza tenere conti a partita doppia, accettano con prontezza naturale; si rallegrano della realtà e non della distinzione fra sacro e profano. Non pensano di avere già la risposta, e non finiscono con l’esserne schiavi.

L’insegnamento di Gesù invita a non limitare gli affetti e non lasciarsi ingombrare il cuore dalle consuetudini, dalla mentalità particolare o corrente, da blocchi legalisti - o dalle ‘tante cose’.

Nell’assemblea dei figli non sono i ben provveduti [persone serie, piene d’impegni, che non hanno tempo da perdere, con troppi beni e inviti da gestire] ma la gente dappoco... che passa in primo piano... malgrado le scarse attitudini.

Tutto ciò, perché caratteristica dei Piccoli e pitocchi è la disponibilità a valicare steccati: ciò che rende atti a cogliere la convocazione di Dio.

I lontani - benché alle strette - riempiono la casa del Padre.

In società il povero è uno dei tanti, ma l’invito a Mensa gli trasmette il senso dei valori che non soffocano la vita di meschinità, e legami; anzi, l’indigente ha spesso una migliore comprensione delle cose divino-umane.

Questa sempre più cosciente rassomiglianza al Figlio di Dio si accentua nello stento dei mezzi “adeguati”: penuria che rende veri, che induce altri a riflettere - restando poco eclatanti, incapaci di fare fulmini.

Tale consapevolezza intima, luminosa, trasfigurante, impallidisce e si spegne nel vortice dei legalismi, delle convenzioni culturali.

Sembra attenuarsi nel moltiplicare vertiginoso delle attività - esse che non riformano: ci rendono esterni e condizionati dai vantaggi della sicurezza mondano-sacrale, purtroppo monopolista.

Un banchetto obbligatorio non sarebbe un Banchetto... certamente non è una Festa, un Dono da curare - confuso con vantaggi o perfezioni [pessima interpretazione dei circoli osservanti cocciuti].

Per questo motivo molti preferiscono il loro purgatorio particolare al Cielo sulla terra che il Padre offre.

La nostra solidarietà non è un fatto di simpatia, interessi comuni e spirito di corpo, bensì il risultato di una Chiamata estesa, di un’unica Vita potente che circola in tutti, rispettandone libertà e realtà - nonché le fasi di mutamento.

Parafrasando l'enciclica Fratelli Tutti (nn.13-15, passim) secondo il passo di Lc bisogna rimanere attenti a non impoverire la vita di Fede, trasformandola in un distaccato impegno alla «colonizzazione culturale».

Se così fosse, anche l’orizzonte universale-cattolico d’una convivialità delle differenze si dissolverebbe in un invito troppo normalizzato, assolutamente prevedibile, infine desertico.

Il rifiuto ingessato o interessato al Banchetto recherebbe con sé - come sotto i nostri occhi - l’«ulteriore disgregazione» del «pensiero critico», dell’azione «per la giustizia», dei suoi «percorsi d’integrazione».

Anche la società ecclesiale può infatti correre il rischio di «alterare le grandi parole», «rischiare d’impoverirsi»; quindi «ridursi alla prepotenza del più forte» e alle «ricette solo effimere di marketing, che trovano nella distruzione dell’altro la risorsa più efficace».

Ma il popolo di Dio non può vivere in un mondo parallelo, scollegato e doppio - come se l’unico Eterno adorato fosse un coacervo di astuzie, marketing e convenienza.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Cosa trasmette l’Eucaristia nella tua realtà ecclesiale o di gruppo? Che invito particolare e speciale comunica?

 

 

La Festa, la Veste

 

Tutti chiamati, ma con quale corredo? Senza artifizi

Mt 22,1-14 (1-21)

 

La «veste di nozze» (vv.11-12) è figura dell’essenziale - l’imprescindibile anche precario, senz’ammennicoli di ricercatezza.

«“Ognuno di voi, dunque, che nella Chiesa ha fede in Dio ha già preso parte al banchetto di nozze, ma non può dire di avere la veste nuziale se non custodisce la grazia della Carità” (Homilia 38,9: PL 76,1287). E questa veste è intessuta simbolicamente di due legni, uno in alto e l’altro in basso: l’amore di Dio e l’amore del prossimo (cfr ibid.,10: PL 76,1288)» (Gregorio Magno; Papa Benedetto, 9 ottobre 2011).

 

Il Regno di Dio annunciato da Gesù è diverso da quello immaginato dai rabbini, la cui dottrina poteva ammettere noncuranze personali e civili [es: venditori nel tempio, fico sterile, obiezione sull’autorità, vignaioli omicidi, così via: Mt 21].

Il Banchetto predicato dal Maestro non è un Giardino di Eden allestito per un futuro nell’aldilà, che intanto - sebbene a sprazzi - possa sopportare l’inautenticità. Bensì un filo diretto.

La sua Mensa imbandita è la nuova condizione in cui viene introdotta la persona che si fida della sua proposta di condivisione.

C’è chi si sente sazio, perché ritiene di possedere già quanto basta per una vita senza troppi problemi - e allora si adatta a qualsiasi occasione, perfino meschina.

Era la situazione delle autorità, soddisfatte della sovrabbondante struttura religiosa, la quale sembrava offrisse una giusta sicurezza sociale, e certezza anche davanti a Dio.

Invece (come dire): non basta avere il proprio nome trascritto nei registri parrocchiali, e poi presentarsi con gli stracci della vita antica.

 

Oggi la rinascita dalla crisi globale chiama a opzioni fondamentali, a cambiare radicalmente mentalità e realtà.

Bisogna davvero rinnovare il “vestiario”, ossia impostare le scelte su nuovi valori. 

È opportuno ridiventare plastici, rimodellarci sulla Persona del Cristo,  non rifiutare i mutamenti che stimolano - sino a costruire un comune progetto di vita, e riedificare il mondo attorno.

Tutti sono chiamati (v.14), però qualcuno non ha mantenuto il vestitino bianco del Battesimo. Ha totalmente cambiato corredo, purtroppo - malgrado in alcuni casi presieda e difenda l’istituzione.

Gesù riprende a parlare con i leaders e li offende senza mezze misure, perché non paragona il Regno del Padre a un’assemblea liturgica delle loro, quelle ben allestite, di grandi autorità, piena di artifici… bensì a una festa nuziale, senza sacri stendardi!

In quella semplicità festosa, nella franchezza immediata e gioconda di uno sposalizio c’è una realtà umana caratterizzante la condizione divina: la Gioia spontanea delle relazioni franche, a tu per tu - ormai smarrita nei formalismi della religione assuefatta.

La proposta di novità festante viene però rifiutata. Gli autosufficienti ed esperti (che la sanno lunga) venerano un altro padrone: l’interesse.

L’opportunismo non può essere ingrediente del Sacro: il tornaconto ripiega le persone su di sé, chiude lo sguardo, rende unilaterali e cupi.

Consegna la Chiesa alle cordate.

Gesù si accorge: tutto quello che gli astuti e affezionati di messinscene facevano era funzione del loro utile. Infatti pensavano il Regno in modo elettivo, già selezionato (e commerciale, solito).

Come per gli operai dell’ultima ora [Mt 20,1-16] unica moneta per tutti è Cristo stesso. Ma ai veterani che si considerano primi della classe per diritto, la felicità delle persone non interessa.

Quindi il destino dei Profeti non era altro che l’esito disattento di calcoli spregevoli [in Luca 14,18-20 “normalissimi” doveri quotidiani] i quali però stavano portando il popolo a distruzione (v.7).

 

Lo sfondo della parabola è l’attrito fra giudei convertiti e pagani convertiti.

Considerandosi prescelti - “eletti” (v.14) - i primi si rifiutavano di spezzare il Pane, condividere e mettersi alla pari coi secondi.

Interessante invece che proprio i servitori fedeli, spingi spingi, si distinguessero a rovescio: già li si riconosceva perché in qualsiasi circostanza restavano disposti a entrare “ultimi” al Banchetto.

Insomma, lo spazio aperto dall’auto-esclusione del popolo chiamato per primo non sarebbe riuscita a mettere la parola “fine” agli sforzi di coloro che da sempre lottano per la vita e l'autenticità.

Gli alberi fruttiferi - sostiene Gesù, e lo vediamo anche oggi ovunque - non amano prevaricare: preferiscono produrre, senza rivendicazioni opportuniste, né invidie.

Rischiano, e occupano solo l’ultimo posto; per stare vicini agli incerti, e incoraggiarli. 

Quindi al v.9 Mt non parla di andare nei crocicchi [traduzione CEI] bensì agli sbocchi delle vie [testo greco].

Papa Francesco direbbe: nelle periferie esistenziali, dove la vita non è scontata, ma pulsa sempre nuova. Lì dove non si può essere indifferenti.

Il termine greco indica la fine delle strade urbane (rassicuranti) e l’inizio dei sentieri poco curati e rischiosi.

Nella mentalità semitica, erano il confine del territorio puro e la soglia dei luoghi precari, contaminati.

Non solo: l’offerta d’amore di Dio raduna per primi i “cattivi” [«malvagi»: v.10 testo greco] per sottolineare che il Cielo non è a punti.

Esso è a disposizione dei bisognosi, di chi si riconosce tale.

 

Però tutti possono essere malvestiti fuori, non dentro: ossia vigili al fratello e diligenti.

Siamo chiamati ad abbandonare trascuratezze e noncuranze.

Per non creare confusione sul Volto di Dio e non rovinare la vita dei più motivati, all’interno della Chiesa è necessario un cambiamento di mentalità.

Una decisa sostituzione di princìpi e convenienze, rovesciando ogni ideologia piramidale, di tornaconto e di potere.

Per Fede che ci incorpora senza condizioni allo Sposo, l’abito pulito e fastoso è sempre messo a disposizione dal Padrone di Casa.

Ma indossarlo è frutto di una scelta consapevole, fatta propria: voler «partorire un mondo nuovo, dove tutti siamo fratelli, dove ci sia posto per ogni scartato» [Fratelli Tutti, n. 278].

Ovvero continueremo a subire il viaggio nel mondo parallelo - talora anche comunitario - dove tutto è scollegato e doppio: esito di pessimi indottrinamenti, corrotte opzioni e diaboliche ragioni.

Come se l’unico Dio adorato fosse marketing e convenienza.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Cosa ritieni diabolico e immagini possa allontanarti dalla via spirituale?Pensi a Dio in modo serioso o lo associ alla gioia di una festa di nozze?

 

 

Restituire a Dio l’immagine dell’umanità vera. Quale Sigla?

 

(Mt 22,15-21)

 

Dopo la cacciata dei venditori dal Tempio, l’obiezione sull’autorità  e le parabole dei due figli, dei vignaioli omicidi, del banchetto rifiutato (riferite tutte all’élite), ecco un altro scontro fra Gesù e i leaders politici e religiosi - questi ultimi piazzati dietro le quinte.

Gesù (nei suoi) smantella sistematicamente le trappole allestite da direttori e soliti esperti.

Con sperimentata doppiezza, essi si accostano a Lui cercando di accarezzarne l’amor proprio (v.16: situazioni che capitano spesso anche ai testimoni critici).

L’interesse dei furbi si scontra però con l'attenzione del Cristo, tutto proteso al bene reale delle persone e al rispetto dell’intelligenza delle cose - non alla smania di approvazioni o all’opportunismo.

Proprio nel Tempio (Mt 21,23) - l’eminente Dimora del Dio unico Signore - questi gendarmi provocano il nuovo Rabbi sul pagamento delle tasse ai romani (22,17).

Sappiamo cosa c’era in ballo: l’accusa di non essere un profeta secondo il Diritto divino, o (viceversa) quella di collaborazionismo con gli occupanti.

Il Maestro non si lascia ingannare dall’ostentazione di vicinanza al Dio d’Israele - falsa perché cercata all’esterno - e li gioca facilmente.

Nel Tempio di Gerusalemme era vietato portare monete romane, che raffiguravano profili e insegne imperiali (contrarie al Comandamento “Non ti farai immagine alcuna”).

Egli però le chiede, perché effettivamente non ne aveva. Ma proprio i paludati gliene porgono una... La scena rasenta il ridicolo.

Traendo la moneta vietata dal sacchetto celato sotto il mantello, proprio i dirigenti palesano il loro vero Dio: l’interesse (ben nascosto sotto maniere devotissime e ostentate, che fanno solo da paravento).

Cristo invita a non lasciarci lusingare dalla doppiezza ostentata delle insegne: quel che conta è non ingannare la gente usando forme pie come maschera da teatranti (v.18 testo greco).

I fanatici della purezza vivono solo l’angolo epidermico; e ad esso si affidano: non di rado nascondono bene le medesime passioni materiali che disdegnano. Con Cristo non funziona.

Ciascuno è chiamato a restituire al suo vero signore l’immagine e somiglianza indelebile che vi è stata incisa. Dunque la moneta venga data indietro al suo padrone.

La donna e l’uomo - creature in cui è impressa l’immagine e somiglianza di Dio - restituiscano se stessi in autenticità, al Creatore (v.21) che dimora nella loro essenza di persone.

L'umanità è siglata da ben altra appartenenza intima e naturale, che quelle di comodo.

Lunedì, 27 Ottobre 2025 02:30

Orizzonte dell’Amicizia

L’orizzonte dell’amicizia in cui Gesù ci introduce è poi l’umanità intera: Egli infatti vuol essere per tutti il buon Pastore che dona la propria vita (cfr Gv 10,11), e lo sottolinea fortemente nel discorso del Buon Pastore che è venuto per riunire tutti, non solo il popolo eletto me tutti i figli di Dio dispersi. Perciò anche la nostra sollecitudine pastorale non può che essere universale. Certamente dobbiamo preoccuparci anzitutto di coloro che, come noi, credono e vivono con la Chiesa - è molto importante, pur in questa dimensione di universalità, che vediamo anzitutto quei fedeli che vivono ogni giorno il loro essere Chiesa con umiltà e amore - e tuttavia non dobbiamo stancarci di uscire, come ci chiede il Signore, “per le strade e lungo le siepi” (Lc 14,13), per invitare al banchetto che Dio ha preparato anche coloro che finora non lo hanno conosciuto, o forse hanno preferito ignorarlo.

[Papa Benedetto, discorso alla CEI, 18 maggio 2006]

Lunedì, 27 Ottobre 2025 02:26

Opzione preferenziale per i poveri

La dottrina sociale della Chiesa, oggi più di prima, ha il dovere di aprirsi a una prospettiva internazionale in linea col Concilio Vaticano II, con le più recenti Encicliche  e, in particolare, con quella che stiamo ricordando [la Populorum Progressio di Paolo VI]. Non sarà, pertanto, superfluo riesaminarne e approfondirne sotto questa luce i temi e gli orientamenti caratteristici, ripresi dal Magistero in questi anni. Desidero qui segnalarne uno: l'opzione, o amore preferenziale per i poveri. É, questa, una opzione, o una forma speciale di primato nell'esercizio della carità cristiana, testimoniata da tutta la Tradizione della Chiesa. Essa si riferisce alla vita di ciascun cristiano, in quanto imitatore della vita di Cristo, ma si applica egualmente alle nostre responsabilità sociali e, perciò, al nostro vivere, alle decisioni da prendere coerentemente circa la proprietà e l'uso dei beni. Oggi poi, attesa la dimensione mondiale che la questione sociale ha assunto, questo amore preferenziale, con le decisioni che esso ci ispira, non può non abbracciare le immense moltitudini di affamati, di mendicanti, di senzatetto, senza assistenza medica e, soprattutto, senza speranza di un futuro migliore: non si può non prendere atto dell'esistenza di queste realtà. L'ignorarle significherebbe assimilarci al «ricco epulone», che fingeva di non conoscere Lazzaro il mendico, giacente fuori della sua porta (Lc 16,19).

La nostra vita quotidiana deve essere segnata da queste realtà, come pure le nostre decisioni in campo politico ed economico. Parimenti i responsabili delle Nazioni e degli stessi Organismi internazionali, mentre hanno l'obbligo di tener sempre presente come prioritaria nei loro piani la vera dimensione umana, non devono dimenticare di dare la precedenza al fenomeno della crescente povertà. Purtroppo, invece di diminuire, i poveri si moltiplicano non solo nei Paesi meno sviluppati, ma, ciò che appare non meno scandaloso, anche in quelli maggiormente sviluppati.

Bisogna ricordare ancora una volta il principio tipico della dottrina sociale cristiana: i beni di questo mondo sono originariamente destinati a tutti. Il diritto alla proprietà privata è valido e necessario, ma non annulla il valore di tale principio: su di essa, infatti, grava «un'ipoteca sociale», cioè vi si riconosce, come qualità intrinseca, una funzione sociale, fondata e giustificata precisamente sul principio della destinazione universale dei beni. Né sarà da trascurare, in questo impegno per i poveri, quella speciale forma di povertà che è la privazione dei diritti fondamentali della persona, in particolare del diritto alla libertà religiosa e del diritto, altresì, all'iniziativa economica.

[Sollicitudo rei socialis n.42]

Domenica, 26 Ottobre 2025 02:42

Eucaristia, gratuità e sconosciuti

(Lc 14,12-14)

 

Invitare gli esclusi, senza spirito d’interesse: la comunità cristiana è aperta a tutti, in particolare a chi non ha nulla da porgere in cambio.

Non può essere complice di coloro che trasformano il mondo in un affare.

E davvero oggi stiamo finalmente imparando a invitare gratis, non in modo più interessato e mercantile?

Sappiamo bene che l’intreccio dei circuiti di calcolo che stanno dietro le nostre azioni è sbalorditivo, quasi complesso al pari dei complicatissimi circuiti da calcolatore elettronico.

E qualcuno cerca pure la sacralizzazione:

Prima di esporci in un’opera soppesiamo con rapidità incredibile tutte le possibili ricadute, le reazioni utili o nocive ai nostri interessi.

Anche durante lo svolgimento dell’agire sociale ricalibriamo ogni modifica atta a produrre l’effetto desiderato, e insieme il compenso sperato.

Se questo non dovesse venire, sicuramente immaginiamo che debba esserci stato un guasto (meccanico) da qualche parte.

 

Se non stiamo attenti, buona parte della nostra esistenza si trasforma in una cibernetica dell’interesse.

Succede anche con Dio.

Invece è l’Amore che conquista il mondo.

È il dono senza condizioni che scuote, commuove, conquista; prelude e riflette il Mistero.

Nella trasformazione dei propri beni in Incontro, Relazione, Vita intima e altrui, ecco zampillare la sorgente della Gioia.

Letizia della completezza di essere, Vita stessa della Trinità: Felicità diversa, senza dovuti o attesi ritorni; anticipo di Risurrezione.

Un’esistenza divina, non dietro le nuvole o alla fine della storia, ma fin d’ora.

Nessun contraccambio vale davvero tale vertigine sconfinata e reale.

 

Così il tipo di partecipanti allo spezzare del Pane nelle chiese - oggi di mentalità sempre più variegata - descrive l’essenza di Dio.

Il ‘poliedro’ si fa icona e attributo della tollerante misericordia dell’Eterno.

Ma non si tratta di un rattoppo esterno, o paternalista; né si configura quale salvataggio della situazione [o rimorso di coscienza].

La condizione di peccato non annulla il disegno di salvezza. Piuttosto, accentua l’Esodo personale e la passione delle cose.

I volti e le circostanze differenti diventano sacramenti della Grazia, Amore così aperto che nessuna grettezza umana può chiudere.

Anche una formazione personale non a senso unico è ben richiamata dalle mille insolite presenze di un mondo multipolare [come appello intimo e concreto].

In tal guisa, ogni aspetto eterogeneo viene oggi finalmente apprezzato come valore aggiunto, invece di essere considerato espressione “carnale” o “impurità”.

 

Insomma, la nostra attitudine di sorelle e fratelli imita la magnanimità divina: accogliamo volentieri e gratuitamente i ‘diversi’ e i non dotati di grande energia o appeal.

Non perché siamo o sono “buoni”, ma affinché lo diventiamo tutti. E stando vicini, insieme, in modo imprevisto, quindi vitale; sovreminente.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Cosa non innalza le tue relazioni? e il senso completo di te?

 

 

[Lunedì 31.a sett. T.O.  3 novembre 2025]

Domenica, 26 Ottobre 2025 02:39

Ricambiare?

Tra i tanti doni che compriamo e riceviamo non dimentichiamo il vero dono: di donarci a vicenda qualcosa di noi stessi! Di donarci a vicenda il nostro tempo. Di aprire il nostro tempo per Dio. Così si scioglie l'agitazione. Così nasce la gioia, così si crea la festa. E ricordiamo nei banchetti festivi di questi giorni la parola del Signore: "Quando offri un banchetto, non invitare quanti ti inviteranno a loro volta, ma invita quanti non sono invitati da nessuno e non sono in grado di invitare te" (cfr Lc 14,12-14). E questo significa, appunto, anche: Quando tu per Natale fai dei regali, non regalare qualcosa solo a quelli che, a loro volta, ti fanno regali, ma dona a coloro che non ricevono da nessuno e che non possono darti niente in cambio. Così ha agito Dio stesso: Egli ci invita al suo banchetto di nozze che non possiamo ricambiare, che possiamo solo con gioia ricevere. Imitiamolo! Amiamo Dio e, a partire da Lui, anche l’uomo, per riscoprire poi, a partire dagli uomini, Dio in modo nuovo!

[Papa Benedetto, omelia 24 dicembre 2006]

Domenica, 26 Ottobre 2025 02:35

Deformazioni, disumanizzazione

12. Basta la giustizia?

Non è difficile constatare che nel mondo contemporaneo il senso della giustizia si è risvegliato su vasta scala; e senza dubbio esso pone maggiormente in rilievo ciò che contrasta con la giustizia sia nei rapporti tra gli uomini, i gruppi sociali o le «classi», sia tra i singoli popoli e stati e, infine, tra interi sistemi politici ed anche tra interi cosiddetti mondi. Questa profonda e multiforme corrente, alla cui base la coscienza umana contemporanea ha posto la giustizia, attesta il carattere etico delle tensioni e delle lotte che pervadono il mondo.

La Chiesa condivide con gli uomini del nostro tempo questo profondo e ardente desiderio di una vita giusta sotto ogni aspetto, e non omette neppure di sottoporre alla riflessione i vari aspetti di quella giustizia, quale la vita degli uomini e delle società esige. Ne è conferma il campo della dottrina sociale cattolica, ampiamente sviluppata nell'arco dell'ultimo secolo. Sulle orme di tale insegnamento procedono sia l'educazione e la formazione delle coscienze umane nello spirito della giustizia, sia anche le singole iniziative, specie nell'ambito dell'apostolato dei laici, che appunto in tale spirito si vanno sviluppando.

Tuttavia, sarebbe difficile non avvedersi che molto spesso i programmi che prendono avvio dall'idea di giustizia e che debbono servire alla sua attuazione nella convivenza degli uomini, dei gruppi e delle società umane, in pratica subiscono deformazioni. Benché essi continuino a richiamarsi alla medesima idea di giustizia, tuttavia l'esperienza dimostra che sulla giustizia hanno preso il sopravvento altre forze negative, quali il rancore, l'odio e perfino la crudeltà. In tal caso, la brama di annientare il nemico, di limitare la sua libertà, o addirittura di imporgli una dipendenza totale, diventa il motivo fondamentale dell'azione; e ciò contrasta con l'essenza della giustizia che, per sua natura, tende a stabilire l'eguaglianza e l'equiparazione tra le parti in conflitto. Questa specie di abuso dell'idea di giustizia e la pratica alterazione di essa attestano quanto l'azione umana possa allontanarsi dalla giustizia stessa, pur se venga intrapresa nel suo nome. Non invano Cristo contestava ai suoi ascoltatori, fedeli alla dottrina dell'Antico Testamento, l'atteggiamento che si manifestava nelle parole: «Occhio per occhio e dente per dente». Questa era la forma di alterazione della giustizia in quel tempo; e le forme di oggi continuano a modellarsi su di essa. È ovvio infatti che in nome di una presunta giustizia (ad esempio storica o di classe) talvolta si annienta il prossimo, lo si uccide, si priva della libertà, si spoglia degli elementari diritti umani. L'esperienza del passato e del nostro tempo dimostra che la giustizia da sola non basta e che, anzi, può condurre alla negazione e all'annientamento di se stessa, se non si consente a quella forza più profonda, che è l'amore, di plasmare la vita umana nelle sue varie dimensioni. È stata appunto l'esperienza storica che, fra l'altro, ha portato a formulare l'asserzione: sommo diritto, somma ingiustizia (summum ius, summa iniuria). Tale affermazione non svaluta la giustizia e non attenua il significato dell'ordine che su di essa si instaura; ma indica solamente, sotto altro aspetto, la necessità di attingere alle forze dello spirito, ancor più profonde, che condizionano l'ordine stesso della giustizia.

Avendo davanti agli occhi l'immagine della generazione a cui apparteniamo, la Chiesa condivide l'inquietudine di tanti uomini contemporanei. D'altronde, deve anche preoccupare il declino di molti valori fondamentali che costituiscono un bene incontestabile non soltanto della morale cristiana, ma semplicemente della morale umana, della cultura morale, quali il rispetto per la vita umana sin dal momento del concepimento, il rispetto per il matrimonio nella sua unità indissolubile, il rispetto per la stabilità della famiglia. Il permissivismo morale colpisce soprattutto questo ambito più sensibile della vita e della convivenza umana. Di pari passo con ciò vanno la crisi della verità nei rapporti interumani, la mancanza di responsabilità nel parlare, il rapporto puramente utilitario dell'uomo con l'uomo, il venir meno del senso dell'autentico bene comune e la facilità con cui questo viene alienato. Infìne, c'è la desacralizzazione che si trasforma spesso in «disumanizzazione»: l'uomo e la società, per i quali niente è «sacro», decadono moralmente - nonostante ogni apparenza.

[Papa Giovanni Paolo II, Dives in Misericordia]

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Are we disposed to let ourselves be ceaselessly purified by the Lord, letting Him expel from us and the Church all that is contrary to Him? (Pope Benedict)
Siamo disposti a lasciarci sempre di nuovo purificare dal Signore, permettendoGli di cacciare da noi e dalla Chiesa tutto ciò che Gli è contrario? (Papa Benedetto)
Jesus makes memory and remembers the whole history of the people, of his people. And he recalls the rejection of his people to the love of the Father (Pope Francis)
Gesù fa memoria e ricorda tutta la storia del popolo, del suo popolo. E ricorda il rifiuto del suo popolo all’amore del Padre (Papa Francesco)
Ecclesial life is made up of exclusive inclinations, and of tasks that may seem exceptional - or less relevant. What matters is not to be embittered by the titles of others, therefore not to play to the downside, nor to fear the more of the Love that risks (for afraid of making mistakes)
La vita ecclesiale è fatta di inclinazioni esclusive, e di incarichi che possono sembrare eccezionali - o meno rilevanti. Ciò che conta è non amareggiarsi dei titoli altrui, quindi non giocare al ribasso, né temere il di più dell’Amore che rischia (per paura di sbagliare).
Zacchaeus wishes to see Jesus, that is, understand if God is sensitive to his anxieties - but because of shame he hides (in the dense foliage). He wants to see, without being seen by those who judge him. Instead the Lord looks at him from below upwards; Not vice versa
Zaccheo desidera vedere Gesù, ossia capire se Dio è sensibile alle sue ansie - ma per vergogna si nasconde nel fitto fogliame. Vuole vedere, senza essere visto da chi lo giudica. Invece il Signore lo guarda dal basso in alto; non viceversa
The story of the healed blind man wants to help us look up, first planted on the ground due to a life of habit. Prodigy of the priesthood of Jesus
La vicenda del cieco risanato vuole aiutarci a sollevare lo sguardo, prima piantato a terra a causa di una vita abitudinaria. Prodigio del sacerdozio di Gesù.
Firstly, not to let oneself be fooled by false prophets nor to be paralyzed by fear. Secondly, to live this time of expectation as a time of witness and perseverance (Pope Francis)
Primo: non lasciarsi ingannare dai falsi messia e non lasciarsi paralizzare dalla paura. Secondo: vivere il tempo dell’attesa come tempo della testimonianza e della perseveranza (Papa Francesco)
O Signore, fa’ che la mia fede sia piena, senza riserve, e che essa penetri nel mio pensiero, nel mio modo di giudicare le cose divine e le cose umane (Papa Paolo VI)
O Lord, let my faith be full, without reservations, and let penetrate into my thought, in my way of judging divine things and human things (Pope Paul VI)
«Whoever tries to preserve his life will lose it; but he who loses will keep it alive» (Lk 17:33)
«Chi cercherà di conservare la sua vita, la perderà; ma chi perderà, la manterrà vivente» (Lc 17,33)
«And therefore, it is rightly stated that he [st Francis of Assisi] is symbolized in the figure of the angel who rises from the east and bears within him the seal of the living God» (FS 1022)
«E perciò, si afferma, a buon diritto, che egli [s. Francesco d’Assisi] viene simboleggiato nella figura dell’angelo che sale dall’oriente e porta in sé il sigillo del Dio vivo» (FF 1022)
This is where the challenge for your life lies! It is here that you can manifest your faith, your hope and your love! [John Paul II at the Tala Leprosarium, Manila]
È qui la sfida per la vostra vita! È qui che potete manifestare la vostra fede, la vostra speranza e il vostro amore! [Giovanni Paolo II al Lebbrosario di Tala, Manilla]

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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