Gen 28, 2025 Scritto da 

Presentazione del Signore [con versione breve]

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga. In questa domenica 2 Febbraio 2025 celebriamo la Presentazione del Signore al Tempio di Gerusalemme

*Prima Lettura Dal libro del profeta Malachia (3,1-4) 

Siamo in presenza di un misterioso frammento profetico visto da molti come una testimonianza di universalismo, di libertà e di speranza. Non è però facile capire come accogliere questo testo. Perché il profeta Malachia insiste così tanto sul Tempio, sui leviti (o sacerdoti), sulle offerte e su tutto ciò che riguarda il culto? Per capire questa insistenza, occorre tener conto del contesto storico. Malachia scrive intorno al 450 a.C., in un periodo in cui in Israele non c’era più un re discendente di Davide, il paese era sotto il dominio persiano e il popolo ebraico era comandato dai sacerdoti. Ecco perché l’autore insiste sull’alleanza di Dio con i sacerdoti he erano i rappresentanti di Dio presso il suo popolo. Malachia ricorda il legame privilegiato tra Dio e la discendenza di Levi, ma assiste a una degenerazione nella condotta di questa casta sacerdotale ed era perciò molto importante richiamare l’ideale e la responsabilità del sacerdozio. L’alleanza con i sacerdoti era al servizio dell’alleanza di Dio con il suo popolo ed è proprio di questa alleanza che qui si parla: “subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate; e l’angelo dell’alleanza che voi sospirate, eccolo venire”. Malachia si rivolge a tutti coloro che aspettano, desiderano, cercano e annuncia loro che non hanno atteso, cercato, desiderato invano e il loro desiderio, la loro attesa saranno esauditi. E questo avverrà presto.

“E subito entrerà”, la parola ebraica pit’ôm indica sia rapidità che vicinanza, ed è forte come l’espressione che segue: ”eccolo venire”. Le due espressioni sinonime “subito entrerà” e “eccolo venire” incorniciano (inclusione) l’annuncio della venuta del Signore. ”Subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate; e l’angelo dell’alleanza che voi sospirate, eccolo venire”. L’angelo dell’alleanza viene per ristabilire l’alleanza: prima di tutto con i figli di Levi, ma soprattutto, attraverso di loro, con il popolo intero e si capisce che quest’angelo dell’alleanza è Dio stesso. Nella Bibbia, per non nominare direttamente Dio per rispetto, si usa spesso l’espressione “l’Angelo di Dio”. Si tratta quindi della venuta stessa di Dio. Nel suo piccolo libro di appena quattro pagine nella nostra Bibbia, Malachia parla più volte del giorno della sua venuta; lo chiama il “giorno del Signore” e ogni volta questo giorno appare desiderabile e al tempo stesso inquietante. Per esempio, nel versetto che segue immediatamente il testo dell’odierna liturgia, Dio dice: “Io mi accosterò a voi per il giudizio” (v. 5), cioè vi libererò dal male. Questo è desiderabile per i giusti ma temibile per chi vive nel male e opera il male. L’intervento di Dio è un discernimento che deve avvenire dentro di noi nel giorno del giudizio e un messaggero deve precedere la venuta del Signore che chiamerà tutto il popolo alla conversione. Come scrive Malachia: “Io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me. Più tardi, Gesù citerà precisamente questa profezia riferendosi a Giovanni Battista. Chiedendo alla gente chi erano andati a vedere dirà che Giovanni Battista è “più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: Ecco, io mando il mio messaggero davanti a te; egli preparerà la tua strada davanti a te”(Mt 11,7-10 e Lc 7,27).  Con queste parole, Gesù identificava sé stesso  come l’Angelo dell’alleanza che viene nel suo tempio e lo capiremo meglio approfondendo il Vangelo di san Luca oggi, festa della Presentazione del Signore 

 

*Salmo responsoriale 23/24 (7, 8, 9, 10)

“Alzate, o porte, la vostra fronte, alzatevi soglie antiche, ed entri il re della gloria”. Quest’espressione è solenne e un po’ sorprendente dato che è difficile immaginare che i lintei delle porte possano sollevarsi. Siamo in un contesto poetico e l’iperbole serve a esprimere la maestà di questo Re di gloria che entra solennemente nel Tempio di Gerusalemme. L’espressione “re della gloria” è riferita a Dio stesso, il Signore dell’universo. Il pensiero va alla grande festa della Dedicazione del primo Tempio, realizzata dal re Salomone intorno al 950 a.C. Con la fantasia rivediamo l’enorme processione, le gradinate gremite di fedeli… Come leggiamo nel salmo 67/68: “Appare il tuo corteo, Dio, il corteo del mio Dio, del mio re, nel santuario. Precedono i cantori, seguono i suonatori di cetra, insieme a fanciulle che suonano tamburelli” (Sal 67,25-26). La Dedicazione del primo Tempio da parte di Salomone è descritta nel primo libro dei Re. In quell’occasione Salomone radunò a Gerusalemme gli anziani d’Israele, i capi delle tribù, i prìncipi delle famiglie dei figli d’Israele, per far salire l’Arca del Signore dalla città di Davide, cioè da Sion nel mese di Etanim, il settimo mese, durante la festa delle Capanne. Quando tutti gli anziani d’Israele erano arrivati, i sacerdoti portarono l’Arca, la tenda del convegno e tutti gli oggetti sacri che si trovavano nella tenda e fu sacrificato così tanto bestiame minuto e grande che non si poteva contare né enumerare. I sacerdoti sistemarono l’Arca dell’Alleanza del Signore al suo posto, nella camera interna della Casa, il Santo dei Santi, sotto le ali dei cherubini. I cherubini, nella Bibbia, non assomigliano ai piccoli angioletti della nostra immaginazione, ma sono animali alati con volto umano, più simili a grandi sfingi egiziane. In Mesopotamia, erano i guardiani dei templi. Nel Tempio di Gerusalemme, sopra l’Arca dell’Alleanza si trovavano due statue di legno dorato raffiguranti questi esseri. Le loro ali spiegate sopra l’Arca simboleggiavano il trono di Dio. In questo contesto, possiamo immaginare la folla e un coro che canta: “Alzate, o porte, la vostra fronte, alzatevi soglie antiche, ed entri il re della gloria”. E un altro coro risponde: “Chi è questo re della gloria? Il Signore forte e valoroso, il Signore valoroso in battaglia”. Dietro i termini che richiamano la guerra, che oggi possono sorprenderci, dobbiamo leggere il ricordo di tutte le battaglie necessarie a Israele per conquistarsi uno spazio vitale. Sin dal dono della Legge sul Sinai, l’Arca accompagnava il popolo d’Israele in ogni battaglia, segno della presenza di Dio in mezzo al suo popolo. L’ipotesi più comune è che questo salmo sia molto antico, poiché si è persa ogni traccia dell’Arca dall’esilio babilonese. Nessun testo biblico parla chiaramente di essa né durante né dopo l’esilio, ma si sa che finì come parte del bottino portato via da Nabucodonosor durante la presa di Gerusalemme. Fu nascosta poi da Geremia sul monte Nebo, come raccontano alcuni? Nessuno lo sa. Eppure questo salmo è stato cantato regolarmente nelle cerimonie del Tempio di Gerusalemme persino molto dopo l’esilio babilonese, in un’epoca in cui non vi era più nessuna processione intorno all’Arca. Proprio per questo ha acquisito maggiore importanza: avendo perso definitivamente l’Arca dell’’Alleanza, segno tangibile della presenza di Dio, il salmo rappresentava tutto ciò che restava dello splendore passato. Insegnava al popolo il necessario distacco: la presenza di Dio non è legata a un oggetto, per quanto carico di memoria. Inoltre, con il passare dei secoli, questo salmo ha assunto un significato nuovo: “Entri il re della gloria” è diventato il grido di impazienza per la venuta del Messia. Venga finalmente il Re eterno che regnerà sull’umanità rinnovata alla fine dei tempi! Sarà davvero il “Signore valoroso in battaglia” colui cioè che vince definitivamente il Male e le potenze della morte; sarà davvero il Signore, Dio dell’universo e tutta l’umanità parteciperà alla sua vittoria. Questa era l’attesa d’Israele, che cresceva di secolo in secolo.  Non stupisce, dunque, che la liturgia cristiana canti il salmo 23/24 il giorno in cui celebra la Presentazione di Gesù Bambino al Tempio di Gerusalemme: un modo per affermare che questo bambino è il re della gloria, cioè Dio stesso.

 

*Seconda Lettura Dalla lettera agli Ebrei ( 2,14-18)

 Il tema della mediazione di Cristo è fondamentale nella Lettera agli Ebrei. E' senz’altro utile ricordare che fu scritta in un contesto di non poche polemiche e proprio da questa lettera possiamo intuire il tipo di obiezioni che i primi cristiani di origine ebraica dovevano affrontare. Essi si sentivano dire continuamente: Il vostro Gesù non è il Messia; abbiamo bisogno di un sacerdote, e lui non lo è. Era quindi fondamentale per un cristiano del I° secolo sapere che Cristo è veramente sacerdote, essendo l’istituzione del sacerdozio centrale nell’Antico Testamento, come abbiamo notato anche nella prima lettura tratta dal libro di Malachia, che è l’ultimo dell’Antico Testamento. Ora, un’istituzione così importante nella storia del popolo ebraico e per la sua sopravvivenza, non poteva essere ignorata nel Nuovo Testamento. Gesù però, secondo la legge ebraica, non era sacerdote e non poteva aspirare a esserlo, tanto meno poteva considerarsi sommo sacerdote. Non discendeva da Davide, quindi dalla tribù di Giuda, e nemmeno da quella di Levi e l’autore della Lettera lo sa bene e afferma chiaramente (cf Eb 7,14).  La Lettera agli Ebrei risponde: Gesù non è sommo sacerdote discendente da Aronne, ma lo è a somiglianza di Melchisedek.  Questo personaggio menzionato nel capitolo 14 della Genesi visse molto prima di Mosè e di Aronne ed è legato ad Abramo. Eppure viene chiamato “sacerdote del Dio Altissimo” (Cf. Gn 14,18-20). Dunque Gesù è effettivamente sommo sacerdote, a suo modo, in continuità con l’Antico Testamento. Ecco precisamente lo scopo della Lettera agli Ebrei: mostrarci come Gesù realizzi l’istituzione del sacerdozio e realizzare nel linguaggio biblico non significa riprodurre il modello dell’Antico Testamento, ma portarlo alla sua piena perfezione. Vediamo allora i tre aspetti del sacerdozio antico e quali ne erano gli elementi essenziali: Il sacerdote era un mediatore, un membro del popolo ammesso a comunicare con la santità di Dio e, in cambio, trasmetteva al popolo i doni e le benedizioni di Dio. Nel brano odierno si sottolinea che Gesù è davvero un membro del popolo: “Poiché i figli hanno in comune il sangue e la carne, Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe… perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli…” (Eb 2,14-17). Essere «simile» significa condividere le stesse debolezze: tentazioni, prove, sofferenza e morte. Gesù ha condiviso la nostra povera condizione umana e per avvicinare Dio all’uomo, si è fatto uno di noi annullando così la distanza tra Dio e l’uomo. Inoltre il sacerdote doveva essere ammesso a comunicare con la santità di Dio che è il Santo, cioè il totalmente Altro (Kadosh, El Elyon, HaKadosh HaMufla), come spesso ci ricorda la Bibbia. Per avvicinarsi al Dio santo, i sacerdoti venivano sottoposti a riti di separazione: bagni rituali, unzioni, vestizioni e sacrifici. Anche i luoghi sacri in cui i sacerdoti officiavano erano separati dagli spazi di vita comune del popolo. Con Gesù, tutto ciò è stravolto: egli non si è mai separato dalla vita del suo popolo, anzi si è mescolato con i piccoli, gli emarginati, gli impuri. Eppure, dice la Lettera agli Ebrei, abbiamo una prova certa che Gesù è il Giusto per eccellenza, il Figlio di Dio, il Santo: la sua resurrezione sconfiggendo la morte ha ristabilito l’Alleanza con Dio, che era l’obiettivo stesso dei sacerdoti. Ora siamo liberi e il più grande nemico della libertà è la paura. Ma, grazie a Gesù, non abbiamo più nulla da temere perché conosciamo l’amore di Dio. Chi ci faceva dubitare di questo amore era satana, ma mediante la morte, Gesù l’ ha ridotto all’impotenza.(cf 2,14-15). La sofferenza di Gesù mostra fin dove arriva l’amore di Dio per noi. Infine una domanda: Perché in questa Lettera si parla dei «figli di Abramo» e non dei «figli di Adamo»? Dice infatti. “Non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo”. La risposta è perché Abramo, nella meditazione biblica, rappresenta la fede, intesa come fiducia e a noi resta la libertà di non essere figli di Abramo, cioè credenti. Sta a noi decidere se entrare o no nel progetto di Dio.

 

*Dal Vangelo secondo Luca (2, 22 – 40)

Nel racconto dell’evangelista Luca emerge una doppia insistenza: prima sulla Legge, poi sullo Spirito. Nei primi versetti (vv. 22-24), egli cita tre volte la Legge per rimarcare che la vita del bambino inizia sotto il segno della Legge. Va però chiarito che Luca cita la Legge d’Israele non come una serie di comandamenti scritti e anzi si potrebbe sostituire la parola “Legge” con “Fede di Israele”. La vita della Famiglia di Nazaret è tutta impregnata della fede e, quando si presentano al Tempio di Gerusalemme per adempiere le usanze giudaiche, lo fanno con un atteggiamento di fervore. Il primo messaggio di Luca è questo: la salvezza di tutta l’umanità ha preso forma nel quadro della Legge d’Israele, della fede di Israele: in una parola, il Verbo di Dio si è incarnato in questo contesto e così si è compiuto il disegno misericordioso di Dio per l’umanità. Poi entra in scena Simeone, spinto dallo Spirito, menzionato anch’esso tre volte. È dunque lo Spirito che ispira a Simeone le parole che rivelano il mistero di questo bambino: “I miei occhi hanno visto la tua salvezza”. E’ bene riprendere queste parole di Simeone una per una: “I miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli”. L’Antico Testamento è la storia di questa lunga e paziente preparazione da parte di Dio per la salvezza dell’umanità. E si tratta proprio della salvezza dell’umanità, non solo del popolo d’Israele. È esattamente ciò che Simeone precisa: “Luce per irivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele”. La gloria di Israele, infatti, sta nell’essere stato scelto non per se stesso, ma per tutta l’umanità. Con il progredire della storia, durante tutte le vicende dell’Antico Testamento il popolo che Dio si è scelto ha scoperto sempre più chiaramente che il progetto di salvezza di Dio riguarda l’intera umanità. inoltre tutto questo avviene nel Tempio.  Per Luca il messaggio è fondamentale e lo comunica a noi: assistiamo già all’ingresso glorioso di Gesù, Signore e Salvatore, nel tempio di Gerusalemme, come aveva annunciato il profeta Malachia. Questo è proprio  l’incipit della prima lettura: “Così dice il Signore Dio: Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate; e l’angelo dell’alleanza che voi sospirate, eccolo venire, dice il Signore degli eserciti”.

Luca riconosce in Gesù l’Angelo dell’Alleanza che entra nel suo tempio. Le parole di Simeone sulla gloria e sulla luce si collocano perfettamente in questa linea: “I miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele”. Un’altra eco del vangelo di oggi nell’Antico Testamento si trova nel Salmo: “Chi è questo re di gloria? Alzate, o porte, la vostra fronte”. Il salmo attendeva un Messia-re discendente di Davide; sappiamo che il re di gloria è questo bambino. Luca descrive una scena maestosa di gloria: tutta la lunga attesa di Israele è rappresentata da due personaggi, Simeone e Anna. “Simeone, uomo giusto e pio aspettava la consolazione d’Israele”. Quanto ad Anna, si può pensare che, se parlava del bambino a quanti aspettavano la liberazione di Gerusalemme, era perché anche lei viveva con impazienza  l’attesa del Messia. Quando Simeone proclama: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola., perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele», afferma chiaramente che questo bambino è il Messia, il riflesso della gloria di Dio. Con Gesù, è la Gloria di Dio che entra nel Santuario; il che equivale a dire che Gesù è la Gloria, che egli è Dio stesso. Da questo momento, il tempo della Legge è compiuto. L’Angelo dell’Alleanza è entrato nel suo tempio per diffondere lo Spirito sull’intera umanità di ogni razza e cultura. 

 

P.S. Per un ulteriore approfondimento, visto che questa pagina evangelica la ritroviamo anche nella festa della Santa Famiglia di Nazaret, unisco qualche nota supplementare.

L’attesa del Messia era viva nel popolo ebraico all’epoca della nascita di Gesù, ma non tutti ne parlavano allo stesso modo anche se l’impazienza era condivisa da tutti. Alcuni parlavano della “Consolazione di Israele”, come Simeone, altri della “liberazione di Gerusalemme”, come la profetessa Anna. Alcuni aspettavano un re, discendente di Davide, che avrebbe scacciato gli occupanti, rappresentanti del potere romano. Altri attendevano un Messia completamente diverso: Isaia lo aveva lungamente descritto e lo chiamava “il Servo di Dio”.

A coloro che aspettavano un re, i racconti dell’Annunciazione e della Natività hanno mostrato che Gesù era proprio colui che attendevano. Per esempio, l’angelo nell’Annunciazione aveva detto a Maria: “Il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre; regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”. Certamente la giovane di Nazaret rimase sorpresa, tuttavia il messaggio era chiaro.  Eppure nel racconto della presentazione di Gesù al Tempio, non si parla di questo aspetto della personalità del bambino appena nato. E d’altronde, il bambino che entra nel Tempio tra le braccia dei suoi genitori non è nato in un palazzo reale, ma in una famiglia modesta e in condizioni precarie. Sembra piuttosto che san Luca ci inviti a riconoscere nel bambino presentato nel Tempio, il servo annunciato da Isaia nei capitoli 42, 49, 50 e 52-53: “Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio (42, 1)… Il Signore mi ha chiamato fin dal seno materno, fin dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome (I49, 1)…Ogni mattina fa attento il mio orecchio, perché io ascolti come i discepoli; il Signore Dio ha aperto il mio orecchio” (50, 4-5).  Un tal modo di esprimersi dichiara che questo servo era molto docile alla parola di Dio; e aveva ricevuto la missione di portare la salvezza a tutto il mondo. Isaia diceva: “Ti ho posto come alleanza per i popoli, come luce delle nazioni” (42, 6)… “Ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra» (49, 6). Il che mostra che già all’epoca di Isaia si era compreso che il progetto d’amore e di salvezza di Dio riguarda tutta l’umanità e non solo il popolo d’Israele. Infine, Isaia non nascondeva il terribile destino che attendeva questo salvatore: egli avrebbe compiuto la sua missione di salvezza per tutti, ma la sua parola, ritenuta troppo scomoda, avrebbe suscitato persecuzioni e disprezzo. Ricordiamo questo passo: “Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che strappavano la barba” (50, 6). Probabilmente sotto l’ispirazione dello Spirito Santo e grazie alla sua conoscenza delle profezie di Isaia, Simeone capì immediatamente che il bambino era il Servo annunciato dal profeta. Intuì il destino doloroso di Gesù, la cui parola ispirata sarebbe stata rifiutata dalla maggioranza dei suoi contemporanei. Disse a Maria: “Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori”. Simeone comprese  che era giunta l’ora della salvezza per tutta l’umanità: “Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele”. Sì, Gesù è il Messia Servo, descritto nei “Canti del Servo del Signore” d’Isaia (42,49,50,52-53) colui che porta la salvezza: “Per mezzo suo si compirà la volontà del Signore” (53, 10).

+Giovanni D’Ercole

 

Offro anche su richiesta di qualcuno una breve sintesi che è possibile diffondere tra i fedeli. Domenica prossima 2 Febbraio 2025 celebriamo la Presentazione del Signore e

prepariamoci dando un rapido sguardo alla parola di Dio che ascolteremo nella santa Messa

*Prima Lettura Dal libro del profeta Malachia (3,1-4) 

Siamo in presenza di un misterioso frammento profetico visto da molti come una testimonianza di universalismo, di libertà e di speranza. Non è però facile capire come accogliere questo testo. Il profeta Malachia insiste tanto sul Tempio, sui leviti (o sacerdoti), sulle offerte e su tutto ciò che riguarda il culto perché Israele era sotto il dominio persiano e il popolo ebraico era comandato dai sacerdoti i quali erano i rappresentanti di Dio presso il suo popolo. L’alleanza con i sacerdoti era al servizio dell’alleanza di Dio con il suo popolo ed è proprio di questa alleanza che qui si tratta. Malachia si rivolge a tutti coloro che aspettano, desiderano, cercano e annuncia loro che non hanno atteso, cercato, desiderato invano e il loro desiderio, la loro attesa saranno esauditi perché presto arriverà L’Angelo dell’Alleanza cioè Dio stesso. Come scrive Malachia: “Io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me. Più tardi, Gesù citerà precisamente questa profezia riferendosi a Giovanni Battista. Chiedendo alla gente chi erano andati a vedere dirà che Giovanni Battista è “più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: Ecco, io mando il mio messaggero davanti a te; egli preparerà la tua strada davanti a te”(Mt 11,7-10 e Lc 7,27).  Con queste parole, Gesù identificava sé stesso come l’Angelo dell’alleanza che viene nel suo tempio e lo capiremo meglio approfondendo il Vangelo di san Luca oggi, festa della Presentazione del Signore 

 

*Salmo responsoriale 23/24 (7, 8, 9, 10)

“Alzate, o porte, la vostra fronte, alzatevi soglie antiche, ed entri il re della gloria”. Quest’espressione è solenne e un po’ sorprendente dato che è difficile immaginare che i lintei delle porte possano sollevarsi. Siamo in un contesto poetico e l’iperbole serve a esprimere la maestà di questo Re di gloria che entra solennemente nel Tempio di Gerusalemme. L’espressione “re della gloria” è riferita a Dio stesso, il Signore dell’universo. Possiamo immaginare la folla e un coro che canta: “Alzate, o porte, la vostra fronte, alzatevi soglie antiche, ed entri il re della gloria”. E un altro coro risponde: “Chi è questo re della gloria? Il Signore forte e valoroso, il Signore valoroso in battaglia”. Questo salmo è stato cantato nelle cerimonie del Tempio di Gerusalemme persino molto dopo l’esilio babilonese, in un’epoca in cui non vi era più nessuna processione intorno all’Arca. Proprio per questo ha acquisito maggiore importanza: avendo perso definitivamente l’Arca dell’’Alleanza, segno tangibile della presenza di Dio, il salmo rappresentava tutto ciò che restava dello splendore passato. Insegnava al popolo il necessario distacco: la presenza di Dio non è legata a un oggetto, per quanto carico di memoria. Inoltre, con il passare dei secoli, questo salmo ha assunto un significato nuovo: “Entri il re della gloria” è diventato il grido di impazienza per la venuta del Messia. Venga finalmente il Re eterno che regnerà sull’umanità rinnovata alla fine dei tempi! Questa era l’attesa d’Israele, che cresceva di secolo in secolo.  Non stupisce, dunque, che la liturgia cristiana canti il salmo 23/24 il giorno in cui celebra la Presentazione di Gesù Bambino al Tempio di Gerusalemme: un modo per affermare che questo bambino è il re della gloria, cioè Dio stesso.

 

*Seconda Lettura Dalla lettera agli Ebrei ( 2,14-18)

 Il tema della mediazione di Cristo è fondamentale nella Lettera agli Ebrei. E' senz’altro utile ricordare che fu scritta in un contesto di non poche polemiche e proprio da questa lettera possiamo intuire il tipo di obiezioni che i primi cristiani di origine ebraica dovevano affrontare. Essi si sentivano dire continuamente: Il vostro Gesù non è il Messia; abbiamo bisogno di un sacerdote, e lui non lo è. Era quindi fondamentale per un cristiano del I° secolo sapere che Cristo è veramente sacerdote. Gesù però, secondo la legge ebraica, non era sacerdote e non poteva aspirare a esserlo, tanto meno poteva considerarsi sommo sacerdote. La Lettera agli Ebrei risponde: Gesù non è sommo sacerdote discendente da Aronne, ma lo è a somiglianza di Melchisedek, personaggio che appare nel capitolo 14 della Genesi e visse molto prima di Mosè e di Aronne ed è legato ad Abramo. Eppure viene chiamato “sacerdote del Dio Altissimo” (Cf. Gn 14,18-20). Dunque Gesù è effettivamente sommo sacerdote, a suo modo, in continuità con l’Antico Testamento. Ecco precisamente lo scopo della Lettera agli Ebrei: mostrarci come Gesù realizzi l’istituzione del sacerdozio e realizzare nel linguaggio biblico non significa riprodurre il modello dell’Antico Testamento, ma portarlo alla sua piena perfezione. Infine una domanda: Perché in questa Lettera si parla dei «figli di Abramo» e non dei «figli di Adamo»? Dice infatti. “Non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo”. La risposta è perché Abramo, nella meditazione biblica, rappresenta la fede, intesa come fiducia e a noi resta la libertà di non essere figli di Abramo, cioè credenti. Sta a noi decidere se entrare o no nel progetto di Dio.

 

*Dal Vangelo secondo Luca (2, 22 – 40)

Nel racconto dell’evangelista Luca emerge una doppia insistenza: prima sulla Legge, poi sullo Spirito. Nei primi versetti (vv. 22-24), egli cita tre volte la Legge per rimarcare che la vita del bambino inizia sotto il segno della Legge. Va però chiarito che Luca cita la Legge d’Israele non come una serie di comandamenti scritti e anzi si potrebbe sostituire la parola “Legge” con “Fede di Israele” e la vita della Famiglia di Nazaret è tutta impregnata di questa fede. Il primo messaggio di Luca è questo: la salvezza di tutta l’umanità ha preso forma nel quadro della Legge d’Israele, della fede di Israele: in una parola, il Verbo di Dio si è incarnato in questo contesto e così si è compiuto il disegno misericordioso di Dio per l’umanità. Poi entra in scena Simeone, spinto dallo Spirito, menzionato anch’esso tre volte. È dunque lo Spirito che ispira a Simeone le parole che rivelano il mistero di questo bambino: “I miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli”. L’Antico Testamento è la storia di questa lunga e paziente preparazione da parte di Dio per la salvezza dell’umanità. E si tratta proprio della salvezza dell’umanità, non solo del popolo d’Israele. È esattamente ciò che Simeone precisa: “Luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele”. La gloria di Israele, infatti, sta nell’essere stato scelto non per se stesso, ma per tutta l’umanità. Per Luca il messaggio è fondamentale e lo comunica a noi: assistiamo già all’ingresso glorioso di Gesù, Signore e Salvatore, nel tempio di Gerusalemme, come aveva annunciato il profeta Malachia. Luca riconosce in Gesù l’Angelo dell’Alleanza che entra nel suo tempio. Il salmo attendeva un Messia-re discendente di Davide; sappiamo che il re di gloria è questo bambino. Luca descrive una scena maestosa di gloria: tutta la lunga attesa di Israele è rappresentata da due personaggi, Simeone e Anna. “Simeone, uomo giusto e pio aspettava la consolazione d’Israele”. Quanto ad Anna, si può pensare che, se parlava del bambino a quanti aspettavano la liberazione di Gerusalemme, era perché anche lei viveva con impazienza l’attesa del Messia. Quando Simeone proclama: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola., perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza “afferma chiaramente che questo bambino è il Messia. Con Gesù, la Gloria di Dio entra nel Santuario; il che equivale a dire che Gesù è la Gloria, Dio stesso entrato nel suo tempio per diffondere lo Spirito sull’intera umanità.

+Giovanni D’Ercole

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don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

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The Kingdom of God grows here on earth, in the history of humanity, by virtue of an initial sowing, that is, of a foundation, which comes from God, and of a mysterious work of God himself, which continues to cultivate the Church down the centuries. The scythe of sacrifice is also present in God's action with regard to the Kingdom: the development of the Kingdom cannot be achieved without suffering (John Paul II)
Il Regno di Dio cresce qui sulla terra, nella storia dell’umanità, in virtù di una semina iniziale, cioè di una fondazione, che viene da Dio, e di un misterioso operare di Dio stesso, che continua a coltivare la Chiesa lungo i secoli. Nell’azione di Dio in ordine al Regno è presente anche la falce del sacrificio: lo sviluppo del Regno non si realizza senza sofferenza (Giovanni Paolo II)
For those who first heard Jesus, as for us, the symbol of light evokes the desire for truth and the thirst for the fullness of knowledge which are imprinted deep within every human being. When the light fades or vanishes altogether, we no longer see things as they really are. In the heart of the night we can feel frightened and insecure, and we impatiently await the coming of the light of dawn. Dear young people, it is up to you to be the watchmen of the morning (cf. Is 21:11-12) who announce the coming of the sun who is the Risen Christ! (John Paul II)
Per quanti da principio ascoltarono Gesù, come anche per noi, il simbolo della luce evoca il desiderio di verità e la sete di giungere alla pienezza della conoscenza, impressi nell'intimo di ogni essere umano. Quando la luce va scemando o scompare del tutto, non si riesce più a distinguere la realtà circostante. Nel cuore della notte ci si può sentire intimoriti ed insicuri, e si attende allora con impazienza l'arrivo della luce dell'aurora. Cari giovani, tocca a voi essere le sentinelle del mattino (cfr Is 21, 11-12) che annunciano l'avvento del sole che è Cristo risorto! (Giovanni Paolo II)
Christ compares himself to the sower and explains that the seed is the word (cf. Mk 4: 14); those who hear it, accept it and bear fruit (cf. Mk 4: 20) take part in the Kingdom of God, that is, they live under his lordship. They remain in the world, but are no longer of the world. They bear within them a seed of eternity a principle of transformation [Pope Benedict]
Cristo si paragona al seminatore e spiega che il seme è la Parola (cfr Mc 4,14): coloro che l’ascoltano, l’accolgono e portano frutto (cfr Mc 4,20) fanno parte del Regno di Dio, cioè vivono sotto la sua signoria; rimangono nel mondo, ma non sono più del mondo; portano in sé un germe di eternità, un principio di trasformazione [Papa Benedetto]
In one of his most celebrated sermons, Saint Bernard of Clairvaux “recreates”, as it were, the scene where God and humanity wait for Mary to say “yes”. Turning to her he begs: “[…] Arise, run, open up! Arise with faith, run with your devotion, open up with your consent!” [Pope Benedict]
San Bernardo di Chiaravalle, in uno dei suoi Sermoni più celebri, quasi «rappresenta» l’attesa da parte di Dio e dell’umanità del «sì» di Maria, rivolgendosi a lei con una supplica: «[…] Alzati, corri, apri! Alzati con la fede, affrettati con la tua offerta, apri con la tua adesione!» [Papa Benedetto]
«The "blasphemy" [in question] does not really consist in offending the Holy Spirit with words; it consists, instead, in the refusal to accept the salvation that God offers to man through the Holy Spirit, and which works by virtue of the sacrifice of the cross [It] does not allow man to get out of his self-imprisonment and to open himself to the divine sources of purification» (John Paul II, General Audience July 25, 1990))

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