XXXI Domenica del Tempo Ordinario Anno B (3 Novembre 2024)
[* Prima Lettura]
Dal libro del Deuteronòmio Dt 6, 2-6
SHEMA ISRAEL! Ascolta Israele! Nella prima lettura troviamo uno dei testi più importanti dell’Antico Testamento, un richiamo alla predicazione di Mosè, che ancor oggi occupa un posto preminente nella religione e nella preghiera di Israele. Il libro del Deuteronomio è tardivo anche se lo troviamo fra i primi cinque della Bibbia ed è il risultato di tutta la riflessione del popolo di Dio lungo molti secoli dopo l’uscita dall’Egitto. Mosè lasciò niente altro che le Tavole della legge di pietra ma i suoi insegnamenti sono stati trasmessi oralmente di generazione in generazione. Ogni tanto però, sentendo il bisogno di tradurre in qualcosa di scritto secondo i luoghi e le necessità del momento, sono stati redatti i libri della Bibbia quasi per accompagnare le vicende tumultuose d’Israele. Sono nati così i testi sapienziali del re Salomone, poi quelli dei profeti che narrano le vicende del popolo e l’azione dei profeti sino all’esilio in Babilonia e la devastazione di Gerusalemme da parte di Nabucodonosor. Finito l’esilio gli ebrei sentirono la necessità di tornare all’ascolto di quanto Dio aveva promesso che cioè la Terra da lui promessa va meritata. E’ a questo punto che nasce il libro del Deuteronomio (significa seconda legge) che si presenta come una seconda raccolta degli insegnamenti di Mosè dove risuona insistente l’invito: “ascolta”, quasi come un grido di allarme. Il Deuteronomio è dunque una rilettura della storia, dell’esodo e degli insegnamenti di Mosè, molti anni dopo la sua morte, per richiamare l’urgenza della conversione per tornare all’ascolto/obbedienza della Legge mosaica. Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. L’intero destino di Israele è racchiuso in queste due parole: Shema, ascolta Israele! Israele, il popolo eletto, che ha il nome del combattimento memorabile di Giacobbe con Dio (Gn32, 29) nel fiume Yabbok affluente del Giordano, è sempre tentato di lottare contro Dio – Mosè lo chiamava popolo duro di cervice. Il libro del Deuteronomio gli ricorda invece la necessità di essere in ascolto/obbedienza di Dio per trovare la felicità e la libertà e così ancor oggi, dall’età di tre o quattro anni ogni ebreo recita questa preghiera tutti i giorni; anzi scrive lo Shema ovunque e lo porta persino su di sé, sulla fronte e nel braccio all’altezza del cuore; l’imprime sulla porta delle case e della città. Shema Israele è per gli ebrei ciò che il Padre nostro è per i cristiani.
[*Salmo Responsoriale]
Sal.17/18
“Il Signore si mostra fedele al suo consacrato, cioè al suo Messia”. Qui, nel salmo responsoriale, il termine messia vuol dire semplicemente re e il salmista fa parlare il re Davide a cui il Signore va incontro mentre è nella prova. Siamo prima dell’anno mille avanti Cristo e il re legittimo era Saul, primo re di Israele, che però non ha compiuto bene la sua missione e infatti il suo regno cominciò bene e finì molto male perché non volle ascoltare il profeta Samuele. A quel punto Dio scelse Davide come suo successore che restò alla corte di Saul il quale considerò Davide come suo rivale e a più riprese tentò persino di ucciderlo.
Nel secondo libro di Samuele (cap.22) leggiamo che Davide ha cantato questo salmo per ringraziare Dio di averlo liberato dai suoi nemici e in primo luogo da Saul. Anche se il salmo (17/18) è stato cantato da Davide, il soggetto però non è solo Davide né un personaggio particolare, bensì l’intero popolo di Dio che quando vuole ringraziare il Signore prende in prestito le parole di Davide mentre si difende da Saul e così Il popolo chiama Dio “mia roccia, mia fortezza, mio liberatore”. Invoca Dio mia rupe, in cui mi rifugio perché all’epoca le caverne erano luogo di rifugio e se ogni popolo aveva un dio protettore quello d’Israele era ben più saldo di ogni altro. Nel Deuteronomio (32,31) leggiamo ad esempio: “Perché la loro roccia non è come la nostra e i nostri nemici ne sono testimoni”. Quando parla così, Mosè riveste la roccia d’un atro significato, facendo eco alla liberazione dall’Egitto: “il Signore mi ha liberato perché mi ama”. E quando il popolo canta questo salmo richiama la presenza fedele da sempre di Colui il cui nome è “Io sono con voi” e questo richiamo costante è fonte di speranza. Come Davide, Israele aspetta il compimento delle promesse del Dio fedele, cioè la venuta del Messia che libererà definitivamente l’umanità. Ed è per questo che canta: “Viva il Signore e benedetta la mia roccia, sia esaltato il Dio della mia salvezza. Egli concede al suo re grandi vittorie, egli si mostra fedele al suo Messia”.
[Seconda Lettura]
Dalla lettera agli Ebrei ( Eb 7, 23-28)
La lettera agli Ebrei sorprende sempre: scritta da un ebreo convertito a Cristo per altri ebrei convertiti, usa un linguaggio comprensibile per gli ebrei ma certamente meno immediatamente per noi. Il testo procede per contrapposizioni che in fondo si riducono a una sola e fondamentale: cioè la differenza fra l’Antica e la Nuova Alleanza. Nel testo odierno questo raffronto pur non dichiarato esplicitamente è presente in ogni frase: nella prima Alleanza, cioè nell’Antico Testamento molti “sono diventati sacerdoti, perché la morte impediva loro di durare a lungo”(v.23) e “la Legge infatti costituisce sommi sacerdoti uomini soggetti a fragilità”, per questo bisognosi “di offrire sacrifici ogni giorno, prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo”(27). I sacerdoti dell’Antico Testamento erano mortali, mentre Gesù è immortale essendosi immolato “una volta per tutte, offrendo sé stesso”. Nell’A.T. il sacerdote era a tempo mentre Cristo è sacerdote per sempre; era separato dagli altri uomini secondo il rito della consacrazione pur restando lui stesso un peccatore pieno di fragilità, mentre Cristo è ripieno del potere e capace di salvare; gli altri sacerdoti erano indicati secondo la legge mosaica, Gesù è chiamato direttamente da Dio come suo Figlio. Dalla prima Alleanza incompleta e imperfetta, Gesù fa passare i credenti alla nuova e definitiva Alleanza perfetta e ormai compiuta. Nel testo vengono evocati i temi più importanti della fede cristiana: la risurrezione di Cristo, risorto egli vive per sempre (v. 24-25), e l’Eucarestia evocata dal riferimento al sacrificio di Cristo che si è offerto lui stesso una volta per tutte (v. 27). Tutta la vita di Cristo, non solo la sua morte, è stata il dono libero del suo amore per il Padre sino al pieno compimento e la sua morte in croce è il supremo sacrificio, anticipato nella cena pasquale e ora rinnovato in ogni eucaristia. Quando Gesù dice: “questo è il calice della nuova alleanza del mio sangue sparso per voi”, i discepoli sapevano bene che “spargere il sangue” voleva dire accettare il sacrificio della sua vita. Gesù Cristo è dunque l’unico sacerdote per l’eternità. Resta utile fare un riferimento all’ultimo versetto dove si parla della consacrazione tramite “giuramento” che costituisce sacerdote il Figlio, “reso perfetto per sempre”. C’è qui un’allusione al salmo 109/110 importante sia per gli ebrei che per i cristiani, molte volte citato nel Nuovo Testamento e in particolare nella lettera agli Ebrei: “Il Signore ha giurato e non si pente: “Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melkiisedek”. Per i primi cristiani che venivano dal mondo ebraico Gesù era il Messia promesso e al tempo stesso re e sacerdote, consacrato per essere pontefice, cioè ponte fra Dio e gli uomini, obbediente fino alla morte alla volontà dal Padre e consacrato per sempre alla missione affidatagli secondo l’eterno progetto divino. Anche l’evangelista Luca presenta Gesù sulla croce che intercede fino alla fine per noi: “Padre perdonali perché non sanno quello che fanno “(Lc23,34) mentre Matteo annota che il lenzuolo con cui Giuseppe d’Arimatea ne avvolge il corpo è come la tunica del sommo sacerdote (Mt 27,59). L’autore della lettera agli Ebrei trae perciò la sua conclusione: Gesù ci salva per sempre e sempre intercede in nostro favore per cui “avanziamo con piena sicurezza verso il trono della grazia” (4,16).
[Vangelo]
Mc 12, 28-34
Quale è il primo di tutti i comandamenti?
I Saggi del Talmud parlano di 613 mitzvòt, cioè 613 comandamenti biblici. Questi si dividono in 248 comandamenti positivi, mitzvòt assè, e 365 comandamenti negativi o proibitivi, mitzvòt lo tàassè. Lo scriba che pone la domanda sa bene che il comandamento più importante per gli ebrei era l’osservanza del sabato la cui trasgressione equivaleva a trasgredire tutta la legge e per questo veniva punita con la morte. Gesù però più volte l’aveva infranto guarendo di sabato e per questo ora uno scriba tenta di metterlo alla prova, visto che Gesù ha messo a tacere sia i farisei che i sadducei. Gli scribi erano i teologi ufficiali del tempo i quali avevano già deciso di eliminare Gesù e cercavano il modo e l’occasione, ma temevano la folla. La domanda non è quindi per imparare ma per trarre in inganno Gesù. Come sempre Gesù risponde sorprendendo perché dice che il primo è… e poi non cita né il decalogo né alcuno dei 613 comandamenti, ma si rifà alle Scritture e raffronta due testi a tutti ben noti. Cita il credo di Israele, Shemà Israele, Ascolta Israele, la preghiera che gli ebrei recitano due volte al giorno, mattina e sera, che si trova nel libro del Deuteronomio (6,4). “Il primo è: Ascolta Israele! Il signore Dio nostro è l’unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, e al testo ebraico aggiunge il possessivo per evidenziare l’immediatezza, la forza di questo comando, con tutta la tua anima, che è la vita, la psiche in greco, con tutta la tua mente e con tutte le sue forze”. L’amore verso Dio va però tradotto in amore per il prossimo: per questo aggiunge a questa preghiera il secondo precetto che si trova nel libro del Levitico: “Amerai il prossimo tuo come te stesso” (Lv 19,18) E osserva che non esiste altro comandamento più grande di questi. Al primo, il famoso Shema Israele, che leggiamo oggi nella prima lettura, si unisce il secondo che è un passaggio del libro del Levitico citato spesso dalle autorità religiose. Lo Shema Israel prescriveva di amare Dio e lui soltanto nel senso di attaccarsi a lui escludendo ogni altro dio, un chiaro rifiuto dell’idolatria. Quest’amore verso Dio altro non era che la risposta all’amore di Dio che si era scelto Israele come suo popolo. Ma si può comandare l’amore? Lo slancio iniziale sicuramente no, ma la fedeltà dell’amore si comanda ed è proprio di questo che qui si tratta: fare dell’amore una legge assoluta è rendere relativa all’amore di Dio ogni altra norma di qualsiasi tipo perché nessuna legge possa prendere il suo posto. Il secondo comandamento figura nel libro del Levitico ed è la cosiddetta legge della santità che così comincia: “Siate santi, perché io, il Signore, Dio vostro, sono santo” (Lv 19,2). Quindi già nell’Antico Testamento, nell’ideale d’Israele l’amore di Dio e del prossimo si fondevano in un unico amore e le Tavole della Legge traducevano questa esigenza ponendo in stretto collegamento la relazione con Dio e quella con il prossimo. Questo scriba viene incoraggiato da Gesù che conclude con una formula che rassomiglia a una beatitudine: ”Non sei lontano dal regno di Dio”. Interessante notare che l’insegnamento di Gesù non è del tipo: Bisogna, tu devi, è necessario che tu faccia…ma è piuttosto rivelazione di ciò che noi già viviamo e, in tale ottica, sembra dire: “siccome hai capito bene che amare è la cosa più importante beato sei tu perché sei già molto vicino al regno di Dio”. Ed è ancor più interessante costatare che Gesù chiude la serie di controversie con i farisei e gli scribi che abbiamo visto lungo il vangelo di Marco in questo modo, con una nota positiva che troviamo solo in questo vangelo: “Tu non sei lontano dal regno di Dio”. Resta in verità ancora una domanda: “Se tutto era già scritto nella legge mosaica qual è l’apporto originale di Gesù”? E’ ben vero che tutto era in germe nella Legge mosaica, ma Gesù annuncia e porta a compimento l’ultima tappa della rivelazione. E come? In primo luogo allargando all’infinito la nozione di prossimo - Marco mostra infatti che egli lotta contro ogni esclusione- e in secondo luogo Gesù è venuto sulla terra per vivere in sé stesso questi due amori inseparabili: l’amore per Dio e per il prossimo. Infine Gesù è venuto a renderci capaci di amare facendoci dono del suo Spirito: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri”(Gv 13,35) e da questo tutti vi riconosceranno come miei discepoli. Offre così allo scriba la più bella definizione del Regno: Dio regna laddove l’amore è re perché l’amore di Dio nutre l’amore per il prossimo.
buona Domenica a tutti!
+ Giovanni D’Ercole