XXVIII Domenica Tempo Ordinario (B) 13 ottobre 2024
1. “Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna? Così si rivolge un tale sicuramente animato da buona volontà e da sincera intenzione a Gesù che gli risponde: se vuoi entrare nella vita eterna devi osservare i comandamenti cioè non uccidere, non rubare, non essere falso, non trattare male gli altri, onorare tuo padre e tua madre, e l’interlocutore replica che i comandamenti li conosce tutti e bene, li ha anche messi in pratica sin dalla sua giovinezza. Sicuramente si aspetta un plauso per questo, un giusto riconoscimento, cosa del resto ovvia se veramente è così fedele osservante della legge mosaica. Gesù però non è un dottore della legge, un rabbino maestro di dottrina e non si accontenta di spiegare che cosa bisogna fare per essere in regola con Dio. La fedele osservanza dei comandamenti costituisce solo una tappa e non il fine della vita. Come succede sempre quando s’incontra Dio, questa persona sta per incrociare la più grande occasione della sua esistenza: Gesù fissa lo sguardo su di lui, lo ama e in questo gesto c’è tutto. Qui siamo al centro del racconto ma anche della vita di quest’uomo, il momento in cui si può decidere il proprio destino lasciandosi fissare da uno sguardo d’amore che è proposta e richiesta, offerta e provocazione. In questi casi è rischioso e liberante fidarsi totalmente. Lasciarsi prendere o rifiutare l’amore di Dio è il problema stesso della vita eterna. Di questo incontro l’evangelista sembra offrire un dettaglio che solo l’interessato potrebbe riferire con tale finezza. Qualcuno pensa addirittura che san Marco stia raccontando ciò che ha vissuto da protagonista. Potrebbe essere infatti proprio lui, il giovane che nel racconto della passione (Mc14,51 s; 16,5 s) segue Gesù da lontano fino a quando nell’orto del Getsemani fugge nudo e abbandona tutto: diventerà poi fedele discepolo di Pietro e scriverà il secondo vangelo dove s’intravvedono tratti dal sapore autobiografico. Lo sguardo d’amore di Cristo continua ad essere fonte di tristezza fino a quando uno non si arrende e l’inquietudine che lascia nell’animo non può che essere feconda. Una sola cosa ti manca, gli dice Cristo! Non è un consiglio, è un invito ad aprire gli occhi, a svegliarsi dal sonno dell’incertezza, a capire di cosa abbiamo veramente bisogno per ereditare la vita eterna, per entrare nel Regno. Che cosa manca? Va', vendi tutto ciò che possiedi e donalo ai poveri. Non c’è qui una maniera diversa di esprimere il comandamento dell’amore per il prossimo? Il ricco ama il povero quando distribuisce tutto ciò che possiede a chi non ha nulla e nulla può rendergli in cambio. E l’amore per Dio va sempre unito a quest’amore concreto per gli altri: non si ama Dio che non si vede se non si ama il prossimo che invece ci attraversa la strada. Vendi tutto, poi seguimi! Solo se sei libero puoi abbracciare il vangelo: la proposta della sequela è immediata e chiara. Qui però si tocca con mano il lato fragile dell’esistenza di quest’uomo che la tradizione talora identifica come il giovane ricco: ha capito che per seguire il Cristo e far parte del gruppo dei suoi discepoli, occorre essere libero di tutto e si è reso conto che le sue ricchezze lo rendono schiavo, come un tossico dipende dalla droga. Il risultato è che se ne va veramente triste e la sua tristezza appare come la confessione del suo egoismo. Il fatto che diventi triste è comunque un segno positivo perché sta prendendo coscienza e quando finirà di pensare che il cielo non si guadagna ma è offerta d’amore di Dio, sarà pronto per accogliere la salvezza, dono gratuito del Padre celeste e non conquista dell’uomo. Gesù lo ha provocato a privarsi di tutto, ha invertito la prospettiva: la salvezza non si può meritare, ma si riceve in ginocchio con animo riconoscente. Per poter giungere a fare questo non esiste altra strada che la libertà del cuore: occorre cioè essere pronti a distaccarsi da tutto ciò che in qualsiasi modo ci tiene legati e c’impedisce di amare sul serio. A questo punto, san Marco sembra prendersi il gusto di mostrare che anche gli apostoli non sono in sintonia con il pensiero di Gesù perché pure loro ragionano con la logica del merito. Siamo in fondo tutti, in un modo o l’altro, sotto molti aspetti schiavi di noi stessi!
2. Cosa può fare Gesù se non costatare la realtà? Il Figlio dell’uomo, che è senza casa e non possiede nemmeno una pietra come cuscino, è venuto nel mondo per mostrare la strada della libertà che conduce alla felicità, e deve ammettere che anche persone buone come questo ricco personaggio e persino i suoi discepoli preferiscono il conto in banca al dono d’amore che egli propone. Narra il vangelo che alle parole di Gesù gli apostoli restano meravigliati, anzi sconcertati: nemmeno loro dunque sono in sintonia con il loro Maestro. Possiamo tuttavia capirli perché le ricchezze, come appare in alcuni testi dell’Antico Testamento, erano considerate un dono del cielo; colui pertanto che ne possedeva in abbondanza veniva considerato fortunato e benedetto. Gesù però, come in altre situazioni, non addolcisce il suo modo di esprimersi, non fa sconti perché non è venuto ad abolire la legge mosaica ma a portarla a pieno compimento e insiste: ”E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio. Ognuno di noi rassomiglia al cammello che pretende entrare attraverso la cruna di un ago. E’ un’immagine paradossale che sorprende sempre, anche se Gesù non è né il primo né l’unico a utilizzarla per indicare la quasi impossibilità di realizzare qualcosa. Esiste ad esempio un altro detto ebraico della stessa epoca, che troviamo nel Talmud di Babilonia, che parla di un elefante che passa per la cruna di un ago. Sicuramente l’immagine colpisce, anzi è shoccante, ma Gesù l’utilizza per mettere in guardia: è veramente difficile per chi ha il cuore appesantito da preoccupazioni materiali entrare nella logica del regno di Dio. L’attaccamento al benessere materiale, a ciò che possediamo finisce per farci sentire autosufficienti e facilmente ne diventiamo posseduti, perdendo l’opportunità di scoprire la bellezza della vita come dono. Tuttavia ciò che per gli uomini è impossibile diventa possibile a Dio e se lui può tutto, possiede anche ogni mezzo per salvarci: solo lui può e vuole salvarci perché salvarsi non è né facile né difficile: è assolutamente impossibile all’uomo. La salvezza non si acquista, è dono.
3. A questo punto Pietro prende la parola a nome di tutti: “Ecco noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito”. Il passo necessario per. entrare nel Regno dei cieli lo abbiamo compiuto e ci siamo liberati di tutto, quindi meritiamo certamente qualcosa. Gesù li prende in parola e annuncia che hanno diritto alla ricompensa, ma questa ricompensa costa dolore e fatica: è la persecuzione seguendo le orme del Maestro perché la missione del discepolo conoscerà lo stesso mistero della croce, unico cammino di liberazione e di salvezza. Non vuole scoraggiarli e promette molto più di quanto hanno abbandonato per seguirlo: il centuplo di tutto, eccetto che per quanto riguarda il padre perché chi lascia tutto per seguire Gesù scopre il volto dell’unico Padre che è nei cieli. Il Padre ci attende nella vita eterna come dono e non come ricompensa. In definitiva staccarsi da tutto pone nel cuore umano le radici più profonde della speranza che spalanca le porte del cielo. Mi torna in mente in proposito una frase di Georges Bernanos, tratta dal celebre romanzo “Diario di un parroco di campagna” in cui esplora i temi della fede, della sofferenza e della speranza. Egli scrive: “credo proprio che il mondo sarà salvato dai poveri. Questi poveri ci sono solo che li conosciamo male perché si conoscono male anche tra di loro. Non hanno fatto alcun voto di povertà: è il buon Dio che glielo ha fatto, a loro insaputa. I poveri hanno il segreto della speranza”. Gesù è modello della povertà che incoraggia ad abbracciare, a servire e amare i poveri che diventano, come insegna san Vincenzo de Paoli “i nostri padroni” e san Luigi Orione aggiunge: “e noi i loro servitori” perché essi vivono concretamente, senza spesso rendersene conto, il dono della speranza e, oppressi dalle fatiche di questa vita terrena, attendono con fiducia il paradiso. “Tale povero – scrive Bernanos – mangia ogni giorno nella mano di Dio”.
+ Giovanni D’Ercole