XXVI Domenica del Tempo Ordinario B (29 settembre 2024)
1. La pagina evangelica odierna è alla fine del capitolo 9 del vangelo di Marco e chiude il discorso che Gesù tiene ai discepoli che li invita a ben riflettere sul loro modo di comportarsi nei confronti dei “piccoli che credono in me” usando toni molto decisi. Dice infatti che è preferibile restare senza una mano, un piede o cavarsi un occhio piuttosto che essere motivo di scandalo perché “è meglio entrare nel regno di Dio con un occhio solo anziché con due occhi essere gettati nella Geenna dove il loro verme non muore e il fuoco non lo estingue”. Qui si ferma il testo che questa domenica la liturgia propone alla nostra meditazione; se però continuiamo a leggere, troviamo negli ultimi due versetti del capitolo questa raccomandazione: “Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri”. A me sembra che quest’invito conclusivo ci permette di dare capire il senso e il valore dei consigli e precetti di Gesù che san Marco ha raccolto e che ci tiene a precisare sono rivolti proprio ai Dodici. Ma procediamo con ordine.
2. La scorsa domenica ci siamo soffermati a contemplare Gesù, che giunto a Cafarnao con gli apostoli, discorre della missione che sta per affidare loro e, sentendoli discutere su chi sarà il più grande, non afferma che è male aspirare a essere il primo, ma indica la strada per giungervi: farsi l’ultimo e il servo di tutti. Musica sgradevole per le loro orecchie come appare subito dalla replica di Giovanni, che Gesù soprannomina insieme al fratello Giacomo “i figli del tuono”: “Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demoni nel tuo nome e volevamo impedirglielo perché non ci seguiva”. Nel capitolo terzo del suo vangelo Marco annota che “Gesù chiamò a sé quelli che egli volle… ne costituì Dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni” (3,13-19). Il gruppo degli apostoli è dunque ben consapevole dell’autorità loro concessa e del potere ricevuto di scacciare i demoni a causa del loro legame con Gesù. Comprensibile allora è la reazione davanti alla pretesa di coloro, che non fanno parte del gruppo ma osano scacciare i diavoli persino in suo nome. Giovanni reagisce come il giovane Giosuè che abbiamo ascoltato nella prima lettura. Cresciuto dall’infanzia con Mosè era in buona confidenza con lui per permettersi di fargli notare che quando egli tolse parte dello spirito che era su di lui e lo pose sopra i settanta anziani scelti come collaboratori, in verità mancavano due, Eldad e Medad, rimasti nell’accampamento e il problema, secondo lui, era che pure loro avevano cominciato a profetizzare. Non era giusto che quei due, nonostante non avessero risposto alla convocazione del capo, agissero ugualmente sotto l’azione dello spirito. Mosè invece se ne rallegra e lo rimprovera per la sua invidia. La stessa cosa fa Gesù che interdice agli apostoli di coltivare lo spirito dell’esclusione per cui a Giovanni, che lo informa di aver impedito a una persona che non era del gruppo di scacciare i demoni, risponde con fermezza: “Non glielo impedite”. Una pace straordinaria abita il cuore di Cristo: non pretende avere tutto sotto controllo e quando costata il bene che si fa, ammette che qualcuno possa compiere miracoli in suo nome anche se non fa parte di coloro che egli si è scelto come discepoli. Ed è come se riconoscesse che la sua stessa missione in qualche modo sfugge al suo controllo perché la condivide, a sua insaputa, con delle persone che nemmeno conosce. Invita così i Dodici a non tenere chiusa la porta del cuore: “Chi non è contro di noi è per noi”, un modo per sottolineare che ci sono persone “dei nostri” anche se non sono sulla nostra lista. Cogliamo qui un invito ad allargare la nostra visione di cristiani nel mondo: non abbiamo l’esclusiva; Dio opera come vuole ben oltre noi stessi e si serve, per i suoi piani di salvezza, di chiunque. Mi viene in mente il passo degli Atti degli Apostoli 18, 9-11 che narra come nella pagana e mondana Corinto, che era il cuore della Provincia romana dell’Acaia, san Paolo sperimenta una drammatica rottura con la comunità ebraica che rifiuta la sua testimonianza su Gesù Cristo. E’ triste e scoraggiato, ma nella notte, apparendogli in visione, il Signore gli dice: “Non aver paura; continua a parlare e non tacere, perché io sono con te e nessuno cercherà di farti del male: in questa città io ho un popolo numeroso”. Non capita talvolta pure a noi di sentire l’inutilità del nostro ministero quando vediamo calare il numero dei fedeli e costatare che alcuni escono dal nostro ovile e ottengono un successo che pretendiamo dover essere soltanto della nostra comunità? Oppure ci dà fastidio notare che all’interno della comunità esistono persone o gruppi che pensano e fanno cose diverse da noi? Gesù continua a ripeterci di non tormentarci con troppe crisi mentali perché egli – assicura – ha un “popolo numeroso” dappertutto. La Corinto di Paolo è ben l’immagine dell’attuale società pluralista, secolarizzata, libertaria, cosmopolita, opulenta e spesso disperata perché fa fatica a trovare una risposta ai tanti ‘perché’ della vita. “Vivere alla corinzia” all’epoca significava coltivare la piena libertà dei costumi e oggi non è da meno. Potrebbe allora crescere la tentazione di scoraggiarsi oppure il rischio di coltivare una certa malcelata invidia e gelosia che crea divisioni nella comunità. Gesù non smette di incoraggiarci: “Continuate a parlare”. Dio ha ovunque il suo popolo, non visibile spesso all’occhio umano, e come Padre di tutti fa diffondere l’azione fecondatrice dello Spirito in tutte le direzioni. A noi non è chiesto di avere sotto controllo la situazione, ma semplicemente di annunciare/testimoniare il Vangelo sempre. Resta tuttavia l’esigenza di un sano discernimento.
3. Nel vangelo di Matteo Gesù afferma che si riconosce l’albero dai suoi frutti: l’albero buono produce frutti buoni, mentre quello malato dà frutti cattivi (12,33) e conclude: ogni albero che non dà un buon frutto lo si taglia e lo si getta nel fuoco. Quest’esempio manca nel vangelo di Marco, anche se il testo odierno vuol dire esattamente la stessa cosa. Appare allora chiaro il legame, talora non immediatamente percepibile, fra tutte le affermazioni contenute nel discorso di Gesù. Egli vuol dire in primo luogo che ci sono buoni frutti anche oltre le nostre comunità, il che significa che esistono alberi buoni ovunque e noi non abbiamo il copyright del bene e di Dio, ma è Gesù il cuore dell’annuncio dei cristiani. Marco l’esprime con quest’esempio: “chiunque vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo non perderà la sua ricompensa”. Al contrario, possono esserci frutti cattivi anche dentro la nostra comunità e Gesù tira questa conclusione: se bisogna eliminare l’albero malato che produce frutti che fanno male, occorre sopprimere in maniera risoluta tutto ciò che nella comunità semina lo scandalo della divisione. E offre questo paragone volutamente esagerato: “Se la tua mano ti è motivo di scandalo tagliala, è meglio per te entrare nella vita con una mano solamente, anziché con le due mani andare nella Geenna”, uguale terapia per il piede, e l’occhio. La Geenna, che Gesù evoca, è la ben nota voragine che circonda Gerusalemme da sud a ovest dove si bruciava l’immondizia e al tempo dei re Acaz e Manasse si sacrificavano i bambini, pratica così duramente stigmatizzata dai profeti al punto che la Geenna divenne il simbolo del più grande orrore possibile e il segno del castigo degli empi nel giorno del giudizio universale. Si capisce che Gesù non consiglia la mutilazione fisica pur utilizzando espressioni enfaticamente violente. Se a questo ricorre è perché nessuno sottovaluti la gravità di ciò che è in gioco e cioè la comunità. Ricordiamo che il discorso a Cafarnao parte proprio dall’ambizione degli apostoli nella discussione su chi doveva essere il più grande (9,34) e alla fine appare evidente che in ogni comunità cristiana l’unica preoccupazione dei suoi membri dev’essere lasciarsi consumare dalla passione per lui e per il suo vangelo: non altro! In questa luce diventa facile capire la raccomandazione che chiude il capitolo: “Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri”.
Buona domenica! +Giovanni D’Ercole