Set 20, 2024 Scritto da 

Gloria e Croce non sembrano una coppia felice

XXV Domenica del tempo ordinario  B  (22 settembre 2024)

1. Ogni pagina del vangelo, anzi ogni parola di Gesù produce risonanze diverse in chi ascolta perché non è come leggere o ascoltare una notizia chiusa nel tempo, ma ricevere un messaggio personalizzato sempre nuovo: insomma, attraverso il vangelo, Gesù parla nel contesto concreto nel quale ti trovi secondo l’apertura e l’attesa del tuo cuore. Prova pertanto a chiederti cosa ti dice oggi il Vangelo (Mc 9,30-37). Abbiamo già sentito l’apostolo Pietro scandalizzarsi dell’annuncio della morte in croce del suo Maestro e ricevere un duro rimprovero proprio dopo la sua professione di fede. Pietro - ha intimato con autorità Gesù  – torna indietro “satana”, riprendi il tuo posto e lascia che io ti schiarisca le idee che non corrispondono ai piani di Dio.  Oggi avviene la stessa cosa con tutti i discepoli che sulla strada verso Cafarnao discutono tra loro di chi sarà il più importante quando il Messia instaurerà il suo regno. Certo sono molto lontani dalla realtà se Gesù deve ripetere quanto già in precedenza aveva detto. E in effetti l’evangelista precisa che “insegnava ai suoi discepoli e diceva loro: il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà”. Vale la pena soffermarsi sull’espressione “Il Figlio dell'uomo consegnato nelle mani degli uomini”. Il mistero di un Dio Figlio dell’uomo che si consegna nelle mani dell’uomo è il cuore di tutta la rivelazione. Ma da dove ha origine l’espressione “Figlio dell’uomo”? In verità si tratta di un titolo che presenta diverse sfumature di significato nell'Antico e nel Nuovo Testamento. L’espressione "Figlio dell’uomo" compare nell’Antico Testamento, principalmente nel libro del profeta Ezechiele e nel libro di Daniele. In Ezechiele Dio si rivolge al profeta chiamandolo "figlio dell'uomo" più di 90 volte e il termine sembra indicare semplicemente un essere umano di cui evidenzia la fragilità e la mortalità.  Nel libro del profeta Daniele troviamo invece il passo chiave per il significato messianico dell'espressione "Figlio dell'uomo". In una visione il profeta vede “venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio dell'uomo; giunse fino al Vegliardo e fu presentato a lui. Gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano; il suo potere è un potere eterno, che non tramonta mai, e il suo regno è tale che non sarà mai distrutto” (7:13-14). Qui, il "Figlio dell'uomo" non è solo un essere umano, ma una figura celeste a cui è conferito il dominio eterno e universale. Ecco il Messia, l’inviato di Dio per instaurare il suo regno, che avanza su nubi di gloria: descrizione che richiama la divinità e il giudizio finale. Nei vangeli Gesù utilizza l'espressione "Figlio dell'uomo" attribuendola a sé stesso più di 80 volte e tale titolo riveste almeno tre principali significati. Chiamandosi “Figlio dell’uomo”, si identifica come vero essere umano ed è per dire che, pur essendo il Messia il Figlio di Dio, è uomo e condivide la nostra la condizione umana. Quando poi fa riferimento alla visione del profeta Daniele vuole indicare il suo ruolo messianico. Ad esempio il "Figlio dell'uomo" che viene "con le nubi del cielo" (Mt 24,30), si identifica con la figura gloriosa e divina di Daniele e questo titolo sottolinea la sua definitiva apparizione quale giudice e sovrano universale. Ma Cristo usa il termine "Figlio dell'uomo" anche per parlare della sua passione e morte, predicendo che sarà consegnato a degli uomini e verrà ucciso, ma il terzo giorno risorgerà. Quindi il collegamento tra il Figlio dell’uomo e la sofferenza (che non era presente in Daniele) è un aspetto unico del modo in cui Gesù interpreta la propria missione. In definitiva, l'espressione "Figlio dell'uomo" Gesù l’attribuisce a sé stesso, combinando l'idea della sua umanità con il suo ruolo di Messia glorioso e la sua missione redentrice attraverso la sofferenza e la passione. Nei momenti della passione colpisce il verbo “consegnare” = tradire: Giuda lo consegna ai capi e ai soldati (Mc 14, 10.44), i capi a Pilato (Mc 15,1) e Pilato ai crocifissori (Mc 15,15), ma il cuore di tutto, che costituisce il paradosso, è che Dio stesso lo consegna e Gesù a sua volta si consegna a noi. In questo consegnarsi/donarsi a tutti, anche a chi lo rifiuta, lo rinnega e lo tradisce, la rivelazione di Dio come amore si mostra totale, incondizionata, definitiva e per sempre.

2. Torniamo al testo evangelico odierno dove i discepoli “non capivano e avevano timore di interrogarlo”. Tre di loro, Pietro Giacomo e Giovanni, lo hanno visto trasfigurato, come narra l’evangelista poco prima proprio all’inizio di questo stesso capitolo e già sognavano di entrare nella gloria con il Messia sfolgorante di luce. Gli altri apostoli, al racconto che i tre fanno della loro esperienza sul Tabor, reagiscono mettendosi a competere su “chi fosse il più grande” per occupare il primo posto nel regno che il Messia sta per instaurare. Gesù li spiazza: “se uno vuole esser il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti” e preso un bambino aggiunge: “chi accoglie uno di questi bambini nel nome mio accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato”. Proviamo a immaginare la confusione nella testa dei discepoli che non riescono a conciliare la gloria del trionfo messianico con lo scandalo della croce e per i tre discepoli che hanno assistito alla trasfigurazione di Gesù, questo appare ancor più inaccettabile e inverosimile.  In loro permane lo splendore della trasfigurazione, le loro orecchie hanno sentito che Gesù è il Figlio amato, colui che bisogna ascoltare, come fanno ad ammettere quel che ora lui annuncia: tradimento e odio degli uomini, sofferenze e morte in croce, e questo in maniera certa e ineluttabile? Nel pensiero degli apostoli come dei loro contemporanei e probabilmente anche in noi gloria e croce non sono una coppia felice. C’è inoltre un’ulteriore contraddizione: prima dice che sarà ucciso e trattato come un rifiuto dagli uomini, poi che risuscitato trionferà: quindi non soltanto la gloria e la croce sono inseparabili, ma per giungere alla gloria si deve passare attraverso la croce. Uno sconosciuto monaco e teologo del XVII secolo scrive:“Sic decet per crucem ad gloriam, per angusta ad augusta penetrare, et per aspera ad astra” (J.Heidfeld [†1624]).

3. Come se non bastasse, Gesù confonde ancor più gli apostoli perché, prima afferma che “se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”, poi, prendendo in braccio un bambino (solo qui nel vangelo di Marco compie questo gesto), mostra come modello da imitare proprio il bambino, un essere umano vulnerabile e indifeso e bisognoso di cura. In quel momento i discepoli non muoiono dal desiderio di essere ultimi e anche il gesto di Gesù che addita il bambino come modello da considerare li mette in agitazione perché sono nella piena problematica della rivalità del potere, di cui parla san Giacomo nell’odierna seconda lettura (Gc3,16-4,3).  Insomma è Il mondo alla rovescia: non ci si può meravigliare se i discepoli fanno fatica a capirlo perché anche per noi questo ci mette in crisi. Gesù però è paziente e in verità non afferma che è un male aspirare a essere i primi, anzi offre persino il mezzo per arrivarci, cioè farsi ultimi. E così in questo testo si passa da una meraviglia all’altra perché l’unico modo per diventare primi è semplice per Gesù ed è alla portata di chiunque: chi vuole essere il primo si metta all’ultimo posto e si metta a servire tutti come si farebbe con un bambino. Non basta: solo così facendo si accoglie Gesù e aggiunge lui: anche “colui che mi ha mandato”. Nostro modello è dunque Gesù che nel cenacolo lava i piedi ai discepoli, come narra il vangelo di Giovanni, e lasciamo risuonare nel nostro cuore le sue parole: “Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi” (13, 12-15).

  +Giovanni D’Ercole buona domenica a tutti

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don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

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The Gospel of Matthew written in Hebrew or Aramaic is no longer extant, but in the Greek Gospel that we possess we still continue to hear, in a certain way, the persuasive voice of the publican Matthew, who, having become an Apostle, continues to proclaim God's saving mercy to us. And let us listen to St Matthew's message, meditating upon it ever anew also to learn to stand up and follow Jesus with determination (Pope Benedict)
Non abbiamo più il Vangelo scritto da Matteo in ebraico o in aramaico, ma nel Vangelo greco che abbiamo continuiamo a udire ancora, in qualche modo, la voce persuasiva del pubblicano Matteo che, diventato Apostolo, séguita ad annunciarci la salvatrice misericordia di Dio e ascoltiamo questo messaggio di san Matteo, meditiamolo sempre di nuovo per imparare anche noi ad alzarci e a seguire Gesù con decisione (Papa Benedetto)
The Church desires to give thanks to the Most Holy Trinity for the "mystery of woman" and for every woman - for that which constitutes the eternal measure of her feminine dignity, for the "great works of God", which throughout human history have been accomplished in and through her (Mulieris Dignitatem n.31)
La Chiesa desidera ringraziare la Santissima Trinità per il «mistero della donna», e, per ogni donna - per ciò che costituisce l'eterna misura della sua dignità femminile, per le «grandi opere di Dio» che nella storia delle generazioni umane si sono compiute in lei e per mezzo di lei (Mulieris Dignitatem n.31)
Simon, a Pharisee and rich 'notable' of the city, holds a banquet in his house in honour of Jesus. Unexpectedly from the back of the room enters a guest who was neither invited nor expected […] (Pope Benedict)
Simone, fariseo e ricco “notabile” della città, tiene in casa sua un banchetto in onore di Gesù. Inaspettatamente dal fondo della sala entra un’ospite non invitata né prevista […] (Papa Benedetto)
God excludes no one […] God does not let himself be conditioned by our human prejudices (Pope Benedict)
Dio non esclude nessuno […] Dio non si lascia condizionare dai nostri pregiudizi (Papa Benedetto)
Still today Jesus repeats these comforting words to those in pain: "Do not weep". He shows solidarity to each one of us and asks us if we want to be his disciples, to bear witness to his love for anyone who gets into difficulty (Pope Benedict)
Gesù ripete ancor oggi a chi è nel dolore queste parole consolatrici: "Non piangere"! Egli è solidale con ognuno di noi e ci chiede, se vogliamo essere suoi discepoli, di testimoniare il suo amore per chiunque si trova in difficoltà (Papa Benedetto))
Faith: the obeying and cooperating form with the Omnipotence of God revealing himself
Fede: forma dell’obbedire e cooperare con l’Onnipotenza che si svela
Jesus did not come to teach us philosophy but to show us a way, indeed the way that leads to life [Pope Benedict]
Gesù non è venuto a insegnarci una filosofia, ma a mostrarci una via, anzi, la via che conduce alla vita [Papa Benedetto]
The Cross of Jesus is our one true hope! That is why the Church “exalts” the Holy Cross, and why we Christians bless ourselves with the sign of the cross. That is, we don’t exalt crosses, but the glorious Cross of Christ, the sign of God’s immense love, the sign of our salvation and path toward the Resurrection. This is our hope (Pope Francis)
La Croce di Gesù è la nostra unica vera speranza! Ecco perché la Chiesa “esalta” la santa Croce, ed ecco perché noi cristiani benediciamo con il segno della croce. (Papa Francesco)

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