Nov 12, 2024 Scritto da 

Sette Mariti, come Angeli

E Dio che lega il suo cuore all’umanità

(Lc 20,27-40)

 

La sconfitta della morte è il destino crudele che ha ottenebrato la mente di tutte le civiltà, infondendo disorientamento e angoscia di pensieri sul senso della vita, sul motivo per cui ciascuno di noi esiste.

Se Dio ci crea e chiama incessantemente, per entrare in dialogo con noi, poi cosa rimane? La mèta di tutte le nostre agitazioni è una fossa?

I Sadducei vogliono ridicolizzare la dottrina della risurrezione cara ai Farisei e - sembra - anche a Gesù.

Egli però riteneva che il Padre era ben altro che un Vivente… il quale infine si metteva a risuscitare cadaveri!

[È il motivo per cui chiamiamo «defunti» i nostri cari scomparsi - non “morti”].

Nella mentalità semitica la norma del ‘levirato’ era specchio di un’idea fiacca dell’esistenza dopo la morte - relegata alla semplice continuità del nome.

I membri della classe sacerdotale non credevano a un’altra vita: predicavano la religione che serviva a ottenere benedizioni per esistere su questa terra in modo agiato - e tanto loro bastava.

Insomma concepivano la relazione con Dio nella dimensione della vita sulla terra.

I sadducei il loro “paradiso” se l’erano già costruito in città e fuori.

Le loro ampie ville con corte interna e piscina privata per le abluzioni erano proprio sulla collina dirimpetto al Tempio di Gerusalemme, dalla parte opposta del Monte degli Ulivi (ossia verso ovest).

Le loro seconde case - dove passavano l’inverno - erano a Gerico.

Anche per interesse diretto nell’attività sacrificale che svolgevano, ritenevano comunque che i testi profetici non avessero dignità di Scrittura sacra: solo la Legge rispecchiava la volontà di Dio.

E nella Torah sembrava loro che non ci fosse alcuna nota sulla risurrezione dei morti.

Così tentano d’incastrare anche Gesù, con un paradosso costruito ad arte, per evidenziare le contraddizioni di questa credenza - apparsa solo dal 2° sec. a.C. nel libro di Daniele e in Maccabei.

Essi la ritenevano assurda - quindi intendevano screditare il «Maestro» [termine con cui lo designano per metterlo in ridicolo: v.28].

In effetti l’appiglio c’era, perché i Farisei credevano alla risuscitazione nel senso banale. Una sorta di accentuazione, miglioramento o sublimazione delle (medesime) condizioni di vita - e legami - naturali.

Quindi non una forma definitiva, senza confini, qualitativamente indistruttibile.

In sostanza, nel ‘mondo di là’ ognuno avrebbe goduto completamente degli affetti famigliari e di clan della precedente forma di vita - e così via.

‘L’aldilà’ non doveva essere che un prolungamento sublimato, nobilitato e imbellito di questo nostro modo di esistere; senza malattie, sofferenze, problemi vari.

[Insomma, vita solo progredita; forse come ci è stata un tempo trasmessa da catechisti volenterosi... ma poco attenti alla Parola di Dio].

Così appunto i sadducei - conservatori - che accettavano unicamente il Pentateuco - ove sostenevano appunto che non si accenna a un’altra vita, ulteriore.

In tal guisa, essi avevano gioco facile a smascherare la fragilità di quella credenza popolare, cui i leaders del fariseismo erano viceversa legati.

Tuttavia il Maestro non applica categorie di questo mondo, provvisorie, a dimensioni che vanno oltre.

Anche i legami vanno concepiti nel rilievo della realtà divina.

 

Nell’ambiente latino, tuttora, il modo d’intendere la Risurrezione risente non poco delle modalità rappresentative della tradizione pittorica.

Leggendo le raffigurazioni cui siamo abituati… notiamo che subito il Risorto mette a terra i gendarmi e spaventa tutti.

Esce dal sepolcro con il vessillo di vittoria, forte e muscoloso. Irrompe come tornando di qua per battere gli avversari.

Pretese descrittive e naturalistiche che non rendono merito alla Fede e quasi ridicolizzano i Vangeli.

Viceversa, nelle icone orientali la Risurrezione è intesa e figurata in modo sostanziale, misterico: la Discesa agli Inferi.

Non è un trionfo di Dio, che s’impone al mondo. Egli non ne ha bisogno alcuno.

Piuttosto l’evento teologico resta a sostegno della vittoria dei suoi figli, i quali ricevono vita direttamente dal Padre.

Ecco il riscatto della donna e dell’uomo qualunque [Adamo ed Eva] che vengono tratti dai sepolcri dalla forza divina - non naturale - del Cristo Risorto.

Il mondo definitivo stravolge l’idea dello Sheôl e lo scardina totalmente, sgombrando il buio - e quel grande dramma dell’umanità.

 

Si entra nel mondo di Dio; non si torna di qua - magari per vivere meglio: ringiovaniti e sani invece che malati, in villa con giardino piuttosto che in monolocale.

 

La vita «nell’era quella» [v.35 testo greco] non è un esistere potenziato rispetto a questa modalità di esistenza, ma una condizione indescrivibile e nuova - come di comunicazione diretta.

Paragonabile all’immediatezza dell’amore: un essere-con e per gli altri. Collimante al modo di esistere degli Angeli (v.36): essi non hanno una vita trasmessa da genitori, ma da Dio stesso.

 

Il corpo decade, si ammala e va incontro alla dissoluzione: è un ciclo naturale.

“Risurrezione della carne” designa l’accesso a un’esistenza intima di Relazione pura, all’intimità stessa di Dio - nella nostra debolezza e precarietà, assunte.

Ovviamente non si può credere di venire introdotti nella Condizione Divina se durante il corso terreno non abbiamo sperimentato un costante vettore esistenziale morte-risurrezione.

È l’esperienza del guadagno nella sconfitta; in particolare, la scoperta di una vita impensabile, che ci ha fatto trasalire di Felicità. Per lo Stupore: nella provvidenziale trasmutazione dei nostri lati deboli e oscuri, da fiacche parvenze a punti di forza.

Diventati evolutivi, forse il meglio di noi.

 

Gli evangelisti usano due termini per indicare la differenza tra queste due forme di essere: (traslitterando dal greco) Bìos, e Zoè Aiònios.

La Zoe, Vita stessa dell’Eterno, è acutamente relazionale e sperimentabile - ma non ha a che vedere con l’esistenza biologica e la nostra carcassa [«uguali agli angeli» v.36].

Ciò che non muore non è il dna del corpo, bensì il dna celeste, che abbiamo ricevuto in dono dal Padre.

L’Oro divino ci abita e - se vogliamo - può affiorare già, in un’esistenza piena, di realizzazione della propria Vocazione, in clima di Comunione.

La vita «nell’era quella» non è un esistere potenziato rispetto a questa modalità di esistenza, bensì una condizione indescrivibile e nuova - appunto, come di comunicazione diretta.

Paragonabile al tu per tu d’Amicizia: un essere-con e per gli altri; con prontezza, ovunque.

Collimante al modo di esistere degli Angeli: essi non hanno una vita trasmessa da genitori, ma appunto da Dio stesso.

 

«A proposito del Roveto...» - ribatte Gesù.

Egli ammutolisce pure i sadducei, facendoli riflettere, trattandoli da incompetenti.

Trae infatti il fondamento della “dottrina” della Risurrezione [ma come la intende Lui] proprio dal libro dell’Esodo.

Così mostra che sin dai rotoli della Legge c’è una presentazione dell’Eterno incompatibile col destino di un’umanità votata allo sterminio.

Il Padre non cerca il dialogo coi figli per poi farli cadere sul più bello.

Sin dalla creazione Egli si bea di passeggiare con l’uomo, e sin dai patriarchi cerca empatia con noi.

Il suo Amore non abbandona.

 

Nella mentalità religiosa arcaica ogni santuario prendeva nome dalla divinità, specificata dal suo territorio o dalle alture nei suoi confini [es. Baal di Gad, Baal di Saphon, Baal di Peor, etc.].

Un brutto vizio pagano che purtroppo abbiamo ereditato.

Il Dio d’Israele già dal Primo Testamento lega il suo cuore all’uomo - non più a un territorio: il «Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe».

Ai tre Patriarchi era stato possibile avere discendenza, non per concatenazione naturale.

In quella mentalità, unica possibilità di perpetuare la vita di generazione in generazione era di poter trasmettere il proprio nome al primogenito maschio.

Ciò era accaduto invece per intervento dall’alto, mentre le mogli erano sterili [matriarche infertili: Sara, Rebecca, Rachele, a lungo senza eredi].

 

Il Padre della vita suscita ogni intesa, Alleanze, e se l’alleato potesse essere annientato la stessa identità divina verrebbe sgretolata.

Tutte le Scritture lo attestano: è un Dio di viventi - non di morti (della polvere, dell’inconsistenza, del nulla).

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don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

“They found”: this word indicates the Search. This is the truth about man. It cannot be falsified. It cannot even be destroyed. It must be left to man because it defines him (John Paul II)
“Trovarono”: questa parola indica la Ricerca. Questa è la verità sull’uomo. Non la si può falsificare. Non la si può nemmeno distruggere. La si deve lasciare all’uomo perché essa lo definisce (Giovanni Paolo II)
Thousands of Christians throughout the world begin the day by singing: “Blessed be the Lord” and end it by proclaiming “the greatness of the Lord, for he has looked with favour on his lowly servant” (Pope Francis)
Migliaia di cristiani in tutto il mondo cominciano la giornata cantando: “Benedetto il Signore” e la concludono “proclamando la sua grandezza perché ha guardato con bontà l’umiltà della sua serva” (Papa Francesco)
The new Creation announced in the suburbs invests the ancient territory, which still hesitates. We too, accepting different horizons than expected, allow the divine soul of the history of salvation to visit us
La nuova Creazione annunciata in periferia investe il territorio antico, che ancora tergiversa. Anche noi, accettando orizzonti differenti dal previsto, consentiamo all’anima divina della storia della salvezza di farci visita
People have a dream: to guess identity and mission. The feast is a sign that the Lord has come to the family
Il popolo ha un Sogno: cogliere la sua identità e missione. La festa è segno che il Signore è giunto in famiglia
“By the Holy Spirit was incarnate of the Virgin Mary”. At this sentence we kneel, for the veil that concealed God is lifted, as it were, and his unfathomable and inaccessible mystery touches us: God becomes the Emmanuel, “God-with-us” (Pope Benedict)
«Per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria». A questa frase ci inginocchiamo perché il velo che nascondeva Dio, viene, per così dire, aperto e il suo mistero insondabile e inaccessibile ci tocca: Dio diventa l’Emmanuele, “Dio con noi” (Papa Benedetto)
The ancient priest stagnates, and evaluates based on categories of possibilities; reluctant to the Spirit who moves situationsi
Il sacerdote antico ristagna, e valuta basando su categorie di possibilità; riluttante allo Spirito che smuove le situazioni
«Even through Joseph’s fears, God’s will, his history and his plan were at work. Joseph, then, teaches us that faith in God includes believing that he can work even through our fears, our frailties and our weaknesses. He also teaches us that amid the tempests of life, we must never be afraid to let the Lord steer our course. At times, we want to be in complete control, yet God always sees the bigger picture» (Patris Corde, n.2).
«Anche attraverso l’angustia di Giuseppe passa la volontà di Dio, la sua storia, il suo progetto. Giuseppe ci insegna così che avere fede in Dio comprende pure il credere che Egli può operare anche attraverso le nostre paure, le nostre fragilità, la nostra debolezza. E ci insegna che, in mezzo alle tempeste della vita, non dobbiamo temere di lasciare a Dio il timone della nostra barca. A volte noi vorremmo controllare tutto, ma Lui ha sempre uno sguardo più grande» (Patris Corde, n.2).
Man is the surname of God: the Lord in fact takes his name from each of us - whether we are saints or sinners - to make him our surname (Pope Francis). God's fidelity to the Promise is realized not only through men, but with them (Pope Benedict).

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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