19.a Domenica del tempo ordinario Anno B (11 agosto 2024)
Riferimenti Biblici:
Prima lettura: “Con la forza di quel cibo camminò fino al monte di Dio” (1Re 19,4-8)
Salmo responsoriale: “Gustate e vedete com’è buono il Signore” (salmo 33/34 2-3,4-5)
Seconda Lettura: “Camminate nella carità come Cristo” (Ef 4,30-5,2)
Vangelo: ”Io sono il pane vivo disceso dal cielo” (Gv 6, 411- 51)
1. Dio non ci lascia mai soli. Nella prima lettura incontriamo il profeta Elia, Eliyyah che significa “Il mio Dio é Yah” prima sillaba del nome di Dio. Un nome che indica bene le sue caratteristiche di profeta che ha combattuto una battaglia incessante contro l’idolatria. A un certo punto però sentì venir meno le forze, situazione che può capitare a tutti, ed essendo rimasto solo e abbandonato da tutti, andò verso il deserto sfiduciato per sfuggire alla regina Gezabele che voleva ucciderlo. La siccità, la carestia, la solitudine, la stanchezza fisica e morale: il deserto era specchio del suo vuoto interiore reso più acuto dalla paura della morte. Dio però non lo abbandona e la sua fuga si trasforma in un pellegrinaggio alle sorgenti della fede ebraica, il monte Sinai chiamato anche Oreb. Dio lo attrae sulla Montagna dell’Alleanza, dove un tempo chiamò Mosè (Es. 3) per consegnargli le tavole della legge (Es 19) e gli mostrò nel buio di una caverna il suo misterioso fulgore (Es 33,21-23). Da quell’incontro nacque il popolo ebraico liberato dalla schiavitù egiziana, metafora di ogni schiavitù. In quello stesso luogo avverrà la nuova nascita per Elia come grande profeta d’Israele. Avremo modo di meglio conoscere tutto ciò con i miracoli compiuti in casa della vedova di Sarepta (1 R 17,7-24) nella prossima XXXII Domenica del Tempo Ordinario, oggi invece sostiamo con Elia, che dopo una giornata di cammino stanco e disperato dubita persino di sé stesso perché prende coscienza della sua indegnità. Dio non lo lascia solo e un angelo gli fa avere pane, acqua e soprattutto il conforto dal Cielo per comprendere il senso della sua missione. Se fino ad allora aveva difeso un Dio onnipotente che distrugge i suoi nemici e lo aveva sfidato sul monte Carmelo contro i 450 sacerdoti di Baal, ora per scoprire il vero volto di Dio dovrà entrare nella stessa caverna dell’Oreb, dove Mosè vide il Signore: solo allora pure Elia capirà che il Dio dell’Amore non si rivela nell’uragano, nel terremoto e nel fuoco, ma nel mormorio di una brezza leggera (1 R 19,12). La prima lettura oggi descrive il suo cammino di quaranta giorni e quaranta notti per prepararsi a quest’incontro. Nella Bibbia il numero quaranta indica sempre una gestazione e quel che il profeta ha vissuto richiama la nostra esperienza personale: per rinascere occorre passare per il deserto e ricevere in dono il pane, l’acqua che ridanno la vita quando ci si sente abbandonati e persi sull’orlo del suicidio, della disperazione, schiavi del peccato e segnati da ogni tipo di sofferenza fisica e morale. Elia si credeva un privilegiato perché chiamato da Dio, ora scopre che il profeta è uno come gli altri al quale Dio affida una missione ben superiore alle sue forze: sperimenta però che il Signore non abbandona nessuno e non esistono situazioni che sfuggono al potere della sua misericordia. A tutto ciò fa eco il salmo responsoriale: “il povero grida e il Signore lo ascolta, lo salva da tutte le sue angosce” (salmo 33/34).
2. Da qui nasce un invito per tutti: ogni volta che celebriamo l’Eucarestia, sentiamo il Signore sussurrarci nel cuore:” Alzati e mangia perché lungo è il cammino che ti resta da percorrere”.
Il disagio interiore del profeta Elia appare, sia pure in un contesto diverso, nell’inquietudine degli ascoltatori di Gesù nella sinagoga di Cafarnao. Domenica scorsa il suo discorso si era fermato a queste parole: “Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà mai fame ”, espressioni che suonano strane e suscitano perplessità e critiche in chi lo ascolta. Il popolo ebraico conosceva bene che ci sono due tipi di pane: il pane materiale e quello spirituale e sapevano che l’unico pane spirituale è la parola di Dio, come leggiamo nel Deuteronomio: ”L’uomo non vive solo di pane, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Dt 8,3). Comprensibile allora la domanda della gente: Come fa Gesù a credersi la parola di Dio? Come può pretendere di essere colui che porta la vita eterna, lui che è il figlio di Giuseppe, carpentiere di Nazareth e di Maria una semplice donna del villaggio? E’ uno come noi e pretende di ritenersi Dio? A dire il vero chiunque si ferma alle affermazioni di Gesù non può che trovarle a prima vista difficili da capire e da accettare. Nessuna meraviglia dunque se, come leggeremo nelle prossime domeniche, alcuni fra i presenti lo abbandoneranno. Gli ascoltatori erano contadini della Galilea abituati ad avere i piedi per terra, adoravano un Dio unico e quindi nemici dell’idolatria. Gesù li provoca e ci provoca con una domanda che tocca il cuore del cristianesimo: Gesù uomo può essere Dio? Domanda, cuore della fede cristiana che sempre interpella e attende la risposta personale. Gesù percepisce il borbottare della gente come il rifiuto di credere e reagisce in maniera energica: “non mormorate tra voi”. Questo comando sulle labbra di Gesù richiama il severo rimprovero legato all’incredulità, peccato originale d’Israele, il quale mormorava e si ribellava contro Dio e Mosè nel deserto durante i quarant’anni dell’esodo. E’ la tentazione di ogni credente. Ma Gesù prosegue con paziente pedagogia il suo discorso e ribadisce uno dopo l’altro i punti fondamentali della sua rivelazione: Sì, io sono la parola di Dio, sono colui che dona la vita eterna, sono il Figlio di Dio e a conferma fa riferimento ai profeti che avevano assicurato: “E tutti saranno istruiti da Dio”.
3. Sì, “Io sono il pane della vita” e aggiunge: “questo è il pane che discende dal cielo perché chi ne mangia non muoia”. Le diffidenze, i dubbi e le mormorazioni degli ascoltatori e persino dei discepoli toccano anche noi – non dobbiamo meravigliarci - perché per superare lo scandalo dell’incarnazione, della morte in croce di Cristo, è indispensabile l’umile ascolto della voce dello Spirito che ci invita a fidarci sempre e totalmente di Dio: Siamo salvati solo da Dio. Tutto questo è il mistero del “pane eucaristico”, presenza reale della vita divina in Gesù Cristo, presenza della Santissima Trinità. Se la fede non apre il cuore all’umile ascolto dello Spirito Santo, si rischia di ridurre il tutto a un rito liturgico che chiamiamo semplicemente “la messa”. San Giovanni non racconta l’istituzione dell’Eucarestia durante l’ultima cena e la sostituisce con il gesto profetico della lavanda dei piedi, rendendo evidente il legame inscindibile che unisce l’Eucaristia al Comandamento nuovo dell’amore e del servizio. Qualcuno dice che è più importante fare del bene agli altri che partecipare alla messa. Attenzione a non perdere di vista che la pienezza dell’amore evangelico legato al mistero eucaristico non deve mai ridursi a un’opera benefica, sociale e solidale. Solo la fedele condivisione nell’Eucarestia del “pane di vita” che è Dio stesso Amore che si dona gratuitamente apre il cuore del cristiano al dono totale dell’amore. Ma può capitare che ci si accosti alla celebrazione eucaristica pensando di condividere un rito religioso senza comprendere che invece è accogliere nella nostra povera esistenza Colui che è la gloria di Dio e la salvezza del mondo. Quando la domenica ci riuniamo non è per fare insieme la preghiera più bella e importante, ma per ben altro: partecipiamo in modo reale e vivo alla stessa vita di Dio - Trinità. Si può dire che c'è l'Eucarestia, Corpo di Cristo, perchè lo Spirito Santo «trasfigura» il pane e il vino nell'identità di Gesù Cristo, lo stesso Spirito che Gesù con la sua «autorità» invia per questa trasformazione. Se Gesù non mandasse lo Spirito il pane e il vino resterebbero tali; e se lo Spirito non fosse presente nessuna forza lo potrebbe sostituire, perché la forza di Gesù é significata e attivata dallo Spirito Santo. Quando si separa Cristo del suo Spirito si dissolve il disegno di Dio Trinità Misericordia. Nella tradizione cristiana Cristo e lo Spirito sono tenuti strettamente uniti per l'intelligenza dell'Eucarestia. E il cuore della celebrazione eucaristica viene sigillato dal celebrante che prega così: “Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te, Dio padre onnipotente nell’unità dello Spirito Santo ogni onore e gloria per tutti i secoli”. L'Amen finale di tutta l'assemblea è indispensabile perché è una solenne e quanto mai necessaria proclamazione di assenso e di consenso: è la firma che ci permette di contemplare la gloria di Dio attraverso Gesù. San Girolamo diceva che l'Amen rimbomba simile a un tuono dal cielo (Dai “dialoghi contro i Luciferi”, in latino: “Dialogus contra Luciferianos).
+ Giovanni D’Ercole
P.S. L’apostolo Paolo c’invita nella seconda lettura tratta dalla Lettera agli Efesini ad essere imitatori cioè amici di Dio (Ef 5,1) e questa imitazione non è altro che la nostra identificazione nel Cristo: come il Cristo ci ha amato “camminate nella carità”. Collegando questo alle parole di Gesù a Cafarnao si capisce che nessuno riesce a comprendere l’Eucarestia se non è istruito e attirato dall’amore di Dio. Leggiamo nel vangelo: “Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato” (Gv6,44). Dio solo conosce Dio e per questo Gesù dice che occorre essere istruiti dalla luce di Dio per entrare nel mistero del pane della vita. L’Eucarestia è il segno per eccellenza dell’alleanza di Dio con l’umanità, è l’espressione originale del suo amore, realizzato da Gesù in una carne umana come la nostra. Amore indicato dall’offerta e dal sacrificio del suo corpo e del suo sangue, celebrato ogni volta che facciamo memoria della morte e della risurrezione di Colui che nella speranza attendiamo che venga nella gloria.