XVIII Domenica del Tempo Ordinario B (4 agosto 2024)
1. La manna “è il pane che il Signore vi ha dato”: così Mosè spiega al popolo il significato della manna che nella Bibbia riveste vari simboli. La scelta del racconto della manna nella prima lettura, tratta dal libro dell’Esodo, si lega al discorso “eucaristico” che Gesù tiene nella sinagoga di Cafarnao. Per ben 13 volte san Giovanni evoca la figura di Mosè e la manna è citata cinque volte come simbolo del “pane di vita”. Ma che cos’è la manna? Una mattina gli ebrei erranti nel deserto svegliandosi scoprirono accanto ai loro accampamenti “una cosa fine e granulosa, minuta come la brina sulla terra” piovuta miracolosamente tra cielo e terra; continuarono a trovarla ogni mattina durante l’esodo nel deserto. La raccoglievano tutti i giorni eccetto il sabato e impastata ne facevano focacce da cuocere dal vago sapore della pasta all’olio. La raccolta cessò, come leggiamo nel libro di Giosuè, proprio all’ingresso nella terra promessa (Gs 5, 11-12). Vari significati ha la manna nella Bibbia: in primo luogo è “il pane” con cui Dio nutre il suo popolo e lo mette alla prova quando nel deserto recrimina e mormora contro di lui. Si tratta di una duplice prova: anzitutto occorre che Israele impari la lezione della riconoscenza verso Colui che tutto provvede; inoltre essendo gente dura di cervice non contenta mai di nulla, deve imparare a restare fedele agli ordini e ai comandamenti del Signore che chiede di raccogliere la manna sufficiente solo per ogni singolo giorno perché il surplus marcisce. In altri termini Dio educa anche così il popolo che si è scelto come sua proprietà. In altri libri dell’Antico Testamento, soprattutto nei salmi, la manna assume il simbolo della parola di Dio e dell’amore divino che continua a diffondesi sull’umanità e infine, specialmente nella tradizione giudaica, la manna diventa il “cibo dell’epoca messianica”. In definitiva la manna nel deserto diventa anche per noi cristiani il segno della fedeltà di Dio e della nostra fatica nel fidarci di lui e nel credere alle sue promesse mentre avanziamo verso il Cielo, nostra patria definitiva.
2. Il salmo 77/78 di cui oggi proclamiamo soltanto qualche breve passaggio come salmo responsoriale riprende il tema della fedeltà di Dio e della fatica degli uomini a fidarsi di lui. Il Signore “fece piovere su di loro la manna per cibo e diede loro pane del cielo. L’uomo mangiò il pane dei forti, diede loro cibo in abbondanza” (v.v. 23-24). Anche se qui emerge la gratitudine per un dono così misterioso, il salmo 77/78 nel suo insieme racconta la vera storia d’Israele che si snoda tra la fedeltà di Dio e l’incostanza del popolo pur sempre cosciente dell’importanza di dover conservare la memoria delle opere compiute da Dio. Perché la fede continui ad essere diffusa occorrono tre condizioni: la testimonianza di chi possa dire che Dio è intervenuto nella sua vita; il coraggio di condividere questa esperienza personale e trasmetterla fedelmente, infine ci vuole la disponibilità di una comunità a conservare la fede tramandata dagli antenati come irrinunciabile eredità. Israele sa che la fede non è un bagaglio di nozioni intellettuali, ma la viva esperienza dei doni e della misericordia di Dio. Ecco il tessuto spirituale di questo salmo dove in ben settantadue versetti si canta la fede d’Israele fondata nella memoria della liberazione dalla schiavitù e sul ricordo del lungo travagliato pellegrinare dall’Egitto al Sinai segnato da infedeltà e incostanza: nonostante tutto la fede si tramanda di generazione in generazione. Il rischio più forte per la fede è l’idolatria come denunciano tutti i profeti, rischio attuale in ogni tempo, oggi facile da riconoscere nei segni e gesti compiuti e ostentati come vanto di emancipata libertà. Il salmista denuncia questa idolatria come causa della sventura dell’umanità. Finché l’uomo non scoprirà il vero volto di Dio, non come lo immagina ma come egli è in verità, troverà sbarrata la strada della felicità perché ogni tipo di idolo blocca il nostro cammino verso la libertà responsabile. Superstizione, feticismo, stregoneria, sete del denaro, fame di potere e di piacere, culto della persona e delle ideologie ci costringono a vivere nel regime della paura impedendo di conoscere il vero volto del Dio vivo. Al versetto 8 del salmo (77/78) che non troviamo oggi nella liturgia, il salmista indica l’infedeltà con l’immagine dell’arciere valoroso che fallisce e viene meno alla sua missione: “I figli di Efraim, arcieri valorosi, voltarono le spalle nei giorni della battaglia”. Se la “cancel culture” oggi vuol far dimenticare che tutto è dono nella vita, si cade in una tristezza piena d’ingratitudine giungendo a mormorare con rabbia: “Dio non esiste e se esiste non mi ama, anzi non mi ha mai amato”. Ne consegue che le oscure nuvole dell’ingratitudine e della rabbia intristiscono la vita e soltanto l’esperienza liberante della fede le dissipa e le disperde perché ci fa riscoprire che Dio c’è, ama e perdona: il suo nome è Misericordia!
3. Per non cedere alla tentazione dell’idolatria, oggi moda woke, Dio ci offre un duplice nutrimento: il cibo materiale e quello spirituale espresso nel “segno” della moltiplicazione dei pani e dei pesci con cui Gesù sfama una folla immensa. Nella sinagoga di Cafarnao Gesù prende questo miracolo come punto di partenza del lungo discorso sul “pane di vita” che è l’Eucaristia. Discorso che proseguirà nelle prossime domeniche, e ha un incipit a prima vista sorprendete. Alla gente che gli rivolge una semplice domanda: “Rabbi, quando sei venuto qui?” non risponde direttamente, ma parte con una formula solenne: “In verità, in verità io vi dico”, simile a quella dei profeti nell’Antico testamento: “Oracolo del Signore”. Attira l’attenzione su qualcosa d’importante e difficile da capire, che sta per dire e per tre volte gli ascoltatori lo interrompono con delle obiezioni. Con abilità educativa e provocatoria, utilizzando un linguaggio metaforico e simbolico, Gesù conduce anche noi, passo dopo passo, alla rivelazione del mistero centrale della fede: il mistero del “Verbo che si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” offrendo la vita sulla croce per la salvezza dell’umanità. Nell’intero discorso sul “pane di vita” sentiremo risuonare l’insuperabile meditazione del prologo del quarto vangelo: Gesù è il Verbo del Padre venuto nel mondo per dare, a coloro che lo accolgono, il potere di diventare figli di Dio, “a quelli che credono nel suo nome e sono stati generati da Dio” (cf. Gv 1,12). E per essere chiaro dice subito che del miracolo la gente non ha afferrato il segno: “Mi avete cercato non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati”. Come dire, siete contenti per quel che avete mangiato, ma non avete colto l’essenziale: io non sono venuto per soddisfare la fame di cibo materiale, ma questo pane è il segno di qualcosa più importante. Anzi non sono stato io ad agire, ma ha agito il Padre celeste che mi ha inviato per donarvi un cibo diverso che vi conserva per la vita eterna. In realtà, la distinzione fra cibo materiale e cibo spirituale era un tema caro alla religione ebraica come ben si comprende già nel Deuteronomio: Dio “ti ha nutrito di manna che tu non conoscevi… per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma di quanto esce dalla bocca del Signore” (Dt 8,3) e nel libro della Sapienza: “Sfamasti il tuo popolo con un cibo degli angeli, dal cielo offristi loro un pane già pronto senza fatica, capace di procurare ogni delizia e soddisfare ogni gusto. Questo tuo alimento manifestava la tua dolcezza verso i tuoi figli; esso si adattava al gusto di chi l'inghiottiva e si trasformava in ciò che ognuno desiderava… non le diverse specie di frutti nutrono l'uomo, ma la tua parola conserva coloro che credono in te” (Sap.16,20-28). Gli ascoltatori capiscono a cosa Gesù si riferisce e chiedono: “Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?”. Gesù allora si presenta come il Messia atteso: “Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato”. E perché crederti? Mosè fece il miracolo della manna e in quel tempo grande era l’attesa per la manna promessa come cibo dell’era messianica. Si comprende quindi la terza domanda: “Quale opera tu compi perché crediamo?” e Gesù risponde: “il Padre mio vi da il pane del cielo, quello vero”. L’incomprensione non lo ferma nella sua autorivelazione e Il testo evangelico oggi si chiude con l’annuncio dell’Eucaristia: “Io sono il pane di vita. Chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà mai sete”. Il segreto dunque è aver Fede!
Buona domenica a tutti + Giovanni D’Ercole
P.S. Aggiungo oggi, memoria del santo curato d’Ars Giovani Maria Vianney, questo suo pensiero sulla fede e l’Eucaristia: “Quale gioia per un cristiano che ha la fede, che, alzandosi dalla santa Mensa, se ne va con tutto il cielo nel suo cuore!... Ah, felice la casa nella quale abitano tali cristiani!... quale rispetto bisogna avere per essi, durante la giornata. Avere, in casa, un secondo tabernacolo dove il buon Dio ha dimorato veramente in corpo e anima!”