XVII Domenica del tempo Ordinario B (28 luglio 2024)
1. Siamo chiamati a costruire l’unità: ma come? Già domenica scorsa l’apostolo Paolo nella seconda lettura tratta dalla lettera agli Efesini (Ef 2,13-18) accennava ai problemi che turbavano la pace della comunità di Efeso, a causa delle discordie sorte soprattutto tra ebrei e pagani convertiti. Prigioniero a Roma, sa bene che un po’ ovunque sorgono diatribe e ci sono rischi di eresie per cui la sua preoccupazione è di ribadire la necessità dell’unità dei cristiani sia nei comportamenti che nella dottrina. Ricorda loro che esiste “un solo corpo e un solo spirito… una sola speranza… un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo… un solo Dio e Padre di tutti”. Per sette volte ripete “un solo” e alla fine della catena, fatta di sette anelli, c’è il Padre celeste al di sopra di tutti, che si serve di ognuno per far giungere il suo amore a tutti. Conoscendo bene l’umana fragilità, san Paolo afferma che l’unità è opera, anzi dono di Dio, ed è il “disegno di amore della volontà di Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo” con cui ci ha scelti prima della creazione del mondo, come la liturgia ci ha fatto meditare nella seconda lettura della Messa due domeniche fa (Ef 1,1-13). Dono e progetto di salvezza che si realizzerà pienamente quando saranno ricondotte “al Cristo unico capo tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra” nella pienezza dei tempi. A noi è chiesto di contribuire con il “supportarci e sopportarci a vicenda nell’amore”. L’unità è quindi dono di Dio e cammino degli uomini per cercare di attivare questo dono. Ma come? Gesù l’ha indicato agli apostoli durante l’ultima cena quando ha insistito sull’urgenza di “rimanere” con lui e in lui per ben 7 volte, che nel linguaggio biblico significa “sempre”. Solo uniti a Gesù possiamo contribuire a “edificare il corpo di Cristo”. Immergendoci in Cristo riusciremo a tendere “tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto per raggiungere la pienezza di Cristo” (Ef, 4,13). E l’intera umanità diventerà un solo corpo con Gesù: “il corpo totale di Cristo”. Con il battesimo abbiamo accolto l’invito a lavorare in questo cantiere che è il mondo, sotto la guida dello Spirito Santo. La parola Chiesa (in greco ecclesia) ha nella sua radice il significato di “chiamata”: con il battesimo siamo chiamati a seguire Gesù “mite e umile di cuore”, il quale porterà a termine il disegno del Padre celeste con la nostra cooperazione se ci lasciamo trasformare dal suo Spirito. Agli apostoli nel cenacolo raccomandò: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv13,35). Dio solamente può renderci capaci di amare e di amarci, essendo impossibile alle sole nostre forze. L’invito dell’apostolo è a vivere nell’umiltà, nella mitezza e nella pazienza, in modo che gli altri possano riconoscere che Dio esiste ed è lui che fa tutto in noi. Apparirà allora Il meglio della vita che è il gratuito libero intervento di Dio Trinità “koinonia-comunione di amore” che ci rende capaci “di conservare l’unità dello spirito, per mezzo del vincolo della Pace”. E sta in questo la nostra realizzazione.
2. Come la Bibbia insegna, il credente è colui che vive interamente e sempre nell’ottica del dono, essendo l’esistenza stessa avvolta dal mistero del dono e i suoi miracoli. In questa luce leggiamo oggi la prima lettura, tratta dal secondo Libro dei Re, il salmo responsoriale: “Tu apri la tua mano, Signore e sazi il desiderio di ogni uomo” (salmo 144/145), la seconda lettura dalla Lettera agli Efesini e il vangelo di Giovanni che è l’inizio del capitolo sesto, carico di messaggi legati al mistero dell’Eucarestia, definito “il Miracolo che è Dono” per eccellenza. San Giovanni non parla, come gli altri evangelisti, dell’istituzione dell’Eucaristia durante l’ultima cena; racconta invece la lavanda dei piedi, trasmettendoci il segreto dell’amore evangelico . Ci prepara però all’Eucarestia con il capitolo VI, che cominciamo a meditare oggi e proseguiremo per ben cinque domeniche. Interiorizzare un testo di san Giovanni chiede sempre di lasciarci attrarre da simboli che a prima vista non sono facili da comprendere e che dicono sempre più di quanto possiamo comprendere. Gesù ha scelto i suoi discepoli e ha già compiuti miracoli attirando il favore della folla che lo segue. Attraversato il lago di Tiberiade, leggiamo oggi nel vangelo, passa all’altra riva di Galilea, la sua patria dove non fu ben accolto dai suoi ed è proprio in questo contesto che svolge uno dei sei miracoli che il quarto evangelo chiama definisce sempre come “segni”. E’ la moltiplicazione dei pani che tutti gli evangelisti riportano, ma san Giovanni ne sottolinea Il contesto storico che è la preparazione della Pasqua imminente. Gesù sale sul monte (non essendoci nella zona monti si capisce che questo assume un tono simbolico: sta per compiere con autorevolezza qualcosa di molto alto e importante). Si rende conto che la gente ha fame ed è lui stesso, il Signore, a prendere l’iniziativa di dare loro da mangiare. Ma come? Non c’è pane, non ci sono soldi e la folla è numerosa – replicano gli apostoli, solo un ragazzetto ha con sé cinque pani d’orzo e due pesci. E da questo piccolo dono di uno sconosciuto si compie il miracolo che fornirà pani da mangiare a cinquemila uomini avanzando ben 12 sporte di pani sufficienti per nutrirne tanti altri ancora. Tutto scaturisce dal dono di un ragazzo che mai avrebbe potuto pensare che con i suoi pochi pani si sarebbero accontentate così tante persone. Ma proprio qui sta il miracolo del dono, dove il poco arricchisce tutti. Pure nella prima lettura si narra di un tale che offre 20 pani d’orzo al profeta Eliseo ed egli non li prende per sé, ma chiede di darli alla gente “poiché dice il Signore: Ne mangeranno e ne faranno avanzare”. E così avvenne: venti pani offerti e cento uomini sfamati, anche qui è evidente la sproporzione tra mezzi impiegati e risultato ottenuto. Ancora una volta torna il miracolo del dono. E non è tutto.
3. La reazione della folla dopo la moltiplicazione dei pani: “Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo” lascia capire che era forte l’attesa del Messia e l’effervescenza appariva più marcata perché ci si preparava alla Pasqua, festa- memoria della liberazione dalla schiavitù dall’Egitto e prefigura della liberazione totale che avrebbe recato al popolo d’Israele il Messia. Il fatto che san Giovanni precisi che era vicina la Pasqua, “la festa dei Giudei” è un elemento indispensabile per capire questo miracolo/segno. Nelle prossime domeniche continueremo a leggere questo capitolo e comprenderemo meglio quanto il mistero pasquale sia presente nel lungo discorso che Gesù farà sul pane della vita. Per ora egli conduce la gente che lo segue sulla “montagna”, e il pensiero va subito al banchetto messianico che il profeta Isaia aveva profetizzato a consolazione del popolo schiavo: il Signore darà su questa montagna una festa per tutti i popoli, una festa ricca di carni grasse e succulenti e di vini prelibati (Cf. Is 25,6). Alla folla affamata che attente il Messia Gesù offre il segno che il giorno tanto atteso è giunto: è lui il Messia. E’ lui che prendendo l’iniziativa mette alla prova gli apostoli per suscitare in loro la fede. Filippo non ha compreso subito che Gesù stava provando la sua fede e risponde in maniera comprensibile dal punto di vista umano, dicendo cioè che neppure duecento denari di pane non sono sufficienti per darne un pezzetto a tutti i presenti e l’apostolo Andrea fa notare la presenza di un ragazzetto con cinque pani e due pesci, ma che si può fare con questo? E’ il buon senso con cui tutti avremmo reagito, ma Gesù con i suoi gesti ci provoca alla fiducia in lui. Nella prima lettura Eliseo mostra di essere un profeta ricco di fede e Gesù stupisce gli apostoli chiedendo loro di far sedere la gente. Fidarsi di Dio sempre: ecco il messaggio che giunge a ciascuno di noi in qualsiasi situazione ci troviamo, specialmente se stiamo soffrendo la vita perché la precisazione che “c’era molta erba in quel luogo è un chiaro riferimento a Gesù buon pastore, che, sfamando la folla, si prende cura di tutte le pecore, di ciascuno di noi. Giovanni però a questo punto cambia tono e scrive che Gesù prese i pani e dopo aver reso grazie li diede alla folla. Facile intravedere nel miracolo e nelle parole di Gesù un anticipo del banchetto dell’Eucaristia, imbandito per tutti nell’ultima cena: ecco il dono dei doni! Il suo corpo e il suo sangue, vero pane della vita.
+ Giovanni D’Ercole buona domenica.