Lug 19, 2024 Scritto da 

«Per stare in piedi davanti al mondo, bisogna rimanere in ginocchio davanti a Dio»

XVI Domenica del Tempo Ordinario (B) [21 luglio 2024]

1. Gesù Cristo, abbattendo il muro di separazione che ci divideva, ha fatto una cosa sola. Questa è la buona notizia che troviamo nella seconda lettura di questa XVI Domenica del tempo ordinario tratta dalla Lettera di san Paolo agli Efesini. L’apostolo è a Roma agli arresti domiciliari in una casa presa in affitto e uno dei suoi primi pensieri, durante la prigionia, è quello di scrivere ai suoi cari fratelli in fede, Efesini, Colossesi, Filippesi e a Filemone, presentandosi non come prigioniero di Cesare, ma come prigioniero di Cristo. Focalizza la Lettera agli Efesini sulla Chiesa, organismo universale composto da tutti coloro che sono salvati mediante la fede in Cristo Gesù. Una nuova unità è stata creata da Dio attraverso l’opera riconciliatrice della Croce (2:16) e così ebrei e pagani sono entrati a far parte della famiglia di Dio, in cui sono abbattute tutte le barriere razziali, culturali e sociali. C’è una sola Chiesa di cui Cristo è il Capo, e tre sono le immagini che Paolo utilizza per descriverne la natura: la Chiesa è un edificio fondato sugli apostoli e i profeti di cui la pietra angolare è Cristo; è un solo corpo e un solo spirito; è la Sposa di Cristo e modello di comunione di ogni relazione, in primo luogo nella famiglia tra marito, moglie e i figli. Conoscendo bene la situazione di quelle comunità, da lui stesse fondate e segnate ancora da discordie e contrasti, san Paolo auspica che le sue catene contribuiscano a incoraggiare e sostenere i credenti che soffrono per la salvaguardia della fede. La difficoltà a vivere insieme tra convertiti sia giudei che pagani è l’esperienza che aveva vissuto già nelle prime comunità da lui fondate e che continuavano ad essere alimentate da incomprensioni e persino da scontri violenti. Fu ad Antiochia di Pisidia che comprese il realizzarsi del primo grande tornante della storia della rivelazione quando incontrando la violenta opposizione dei giudei dichiarò che dopo il loro rifiuto di convertirsi a Cristo, dirigeva la sua predicazione verso i pagani (At 13,46). Nella lettera agli Efesini sviluppa il tema della riconciliazione tra cristiani di origine ebraica e quelli d’origine pagana diventati fratelli e quindi tutti con la stessa possibilità di accesso, in un solo Spirito, all’unico Padre celeste. Scrive in proposito che di Israele e dei pagani il Cristo ha fatto un solo popolo “abbattendo il muro della separazione”. Una simile unione appariva a molti irrealizzabile e la preoccupazione dell’Apostolo continuò ad essere fino alla fine quella di salvaguardare l’unità che purtroppo vedeva in serio pericolo. Non era questione di scelte operative, ma il cuore del problema toccava il contenuto stesso della fede cristiana. Per Paolo l’unica cosa che conta è che ebrei e pagani con il battesimo sono allo stesso modo immersi nella vita nuova del Cristo Risorto e quindi va abbattuta ogni barriera che li separa. E parlando di barriere aveva in mente qualcosa che tutti ben conoscevano: la barriera che nella spianata del Tempio a Gerusalemme separava lo spazio riservato ai membri del popolo di Israele (uomini, donne, sacerdoti), dal resto della piazza dove tutti potevano transitare, giudei e non giudei, circoncisi e incirconcisi, membri o no del popolo eletto, persone educate alla Legge mosaica e persone che non lo erano. Un cartello segnaletico proibiva formalmente ai non giudei di entrare sotto pena di morte e san Paolo aveva sperimentato il rischio di venire ucciso, come si legge negli Atti degli Apostoli perché pensavano che vi avesse introdotto un certo Trofimo proprio di Efeso (At.21,27-31). Quella barriera è per san Paolo icona del “muro dell’inimicizia”, così marcata tra giudei e pagani perché i giudei, circoncisi per fedeltà alla legge mosaica, disprezzavano e definivano i pagani “gli incirconcisi”. Nella Lettera agli Efesini insiste allora sul nuovo progetto di Dio per il popolo dei battezzati, un progetto di amore e di riconciliazione che concerne l’insieme di ogni comunità, i popoli di tutto il mondo e persino l’intera creazione. 

2. Il tema della comunione, dell’unità e del perdono torna spesso nei vangeli e negli scritti del Nuovo Testamento. Costituisce anche un’aspirazione prevalente nella predicazione dei Padri della Chiesa mostrandoci il volto delle Chiese di allora già punteggiate di esempi di bontà ma minacciate dal virus della divisione e dei contrasti religiosi che talora s’intrecciavano con contese civili.  Questo indica che la difficoltà a realizzare la comunione voluta dal Cristo è una costante provocazione per la fede di ogni battezzato. Malgrado infatti la buona volontà e gli sforzi, sperimentiamo, nel mondo e nella Chiesa, quanto difficile sia andare d’accordo. L’unità e la comunione restano un’aspirazione che si scontra con le fragilità della vita ed è così, come la storia mostra chiaramente, fin dall’origine dell’umanità, da quando cioè l’uomo creato per essere in amicizia con Dio scelse la sua autonomia che ben presto si dimostrò foriera di incomprensioni e divisioni, scontri e violenze dove il più forte pensa di vincere prevaricando in tanti modi il più debole, il diverso, il nemico. Eppure continuano a risonare nella coscienza dell’umanità queste parole dell’apostolo Paolo: “Gesù è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani e pace a coloro che erano vicini”. Come allora interiorizzare quest’annuncio di salvezza quando sentiamo ribollire inimicizia e divisione fra credenti? Si parla di pace e di unità, ma continua a persistere lo scandalo della divisione che crea muri per sbarrare la vita a popolazioni diverse, cancelli per ben proteggere gli spazi riservati al proprio gruppo e alle proprie convinzioni mentre nel clima generale, al di là delle dichiarazioni di intese e di pace, cresce il disamore dell’altro che sfocia in gesti di rifiuto identificandolo spesso come avversario e come “nemico”. Malgrado lo scandalo della disunione, non mancano però moltissimi esempi e gesti di coraggio, di perdono, di riconciliazione che mostrano quanto più forte dell’odio sia l’amore, al di là delle apparenze, e noi crediamo che l’ultima parola sarà sempre dell’Amore capace di sanare conflitti e divisioni. Questa speranza invincibile ci sostiene e ci dà forza.

3. “Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’”. La pagina del Vangelo ci offre uno spazio di quiete per capire come non cedere alle inquietudini della vita, alle divisioni e ai contrasti che distruggono la pace nei cuori. Per la prima volta san Marco definisce “apostoli” questi discepoli e ciò indica che ormai Gesù li chiama a condividere la sua stessa missione che prevede accanto all’immersione nell’azione pastorale, la necessità di adeguati spazi di silenzio e di solitudine. Ai Dodici che tornano entusiasti dalla prima spedizione apostolica e vorrebbero subito raccontare com’è andata, Gesù dice anzitutto: Riposatevi! Il silenzio e la preghiera servono a ogni apostolo perché non dimentichi che non è lui il salvatore del mondo: siamo solo fragili strumenti nelle mani di Dio e nella misura in cui non ci separiamo da lui, possiamo diventare operatori della sua pacificazione. Un santo prete, apostolo di carità, don Oreste Benzi amava ripetere: “Per stare in piedi davanti al mondo bisogna restare in ginocchio davanti a Dio”.  Se Gesù condivide con i discepoli la sua angoscia nel vedere la “grande folla” di cui ha compassione perché sembrano pecore senza pastore, domanda anzitutto ai suoi di passare del tempo soli con lui.  La folla che preme, annota l’evangelista Marco, può attendere anche se viene dalla Galilea e da ogni parte della Giudea, dell’Idumea, della Transgiordania, dalla regione di Tiro e di Sidone, e ci sono anche le autorità religiose che gli fanno la guerra e seminano odio sino a crocifiggerlo.  Per entrare in azione il Signore non ha fretta: vuole che ogni apostolo comprenda e sposi con la vita la sua stessa passione per le anime con le inevitabili difficoltà e opposizioni che essa comporta. Non chiede all’apostolo un forte impegno sociale, ma gli comunica la sua compassione divina espressa dall’evangelista con il termine greco “SPLANGKNA” che definisce il movimento dell’interiorità, cioè la profondità dell’essere, e in ebraico ”RAHAMIN”, tradotto in italiano  con misericordia. Il nome di Dio è Misericordia, amore che porta al sacrificio di Cristo per abbattere e distruggere ogni muro di divisione, di diversità e di odio. A differenza dell’evangelista Giovanni san Marco non sviluppa il tema del buon pastore, ma lo presenta in filigrana proprio in queste parole: Gesù “vide una grande folla, ebbe compassione di loro perché erano come pecore che non hanno pastore”. Solamente Cristo può farci dono della sua compassione per evitare che ci colga il rimprovero del profeta Geremia ben chiaro nella prima lettura: “guai ai pastori che fanno perire e disperdono il mio pascolo”.  

  • +Giovanni D’Ercole. Buona domenica

 

P.S.  Unisco una riflessione sul Tempio, tratta da una conferenza del cardinale Gianfranco Ravasi. "Il mondo è come l'occhio:  il mare è il bianco, la terra è l'iride, Gerusalemme è la pupilla e l'immagine in essa riflessa è il tempio". Questo antico aforisma rabbinico illustra in modo nitido e simbolico la funzione nel tempio secondo un'intuizione che è primordiale e universale. Due sono le idee che sottendono all'immagine. La prima è quella di "centro" cosmico che il luogo sacro deve rappresentare... l'orizzonte esteriore, con la sua frammentazione e con le sue tensioni, converge e si placa in un'area che per la sua purezza deve incarnare il senso, il cuore, l'ordine dell'essere intero. Nel tempio, dunque, si "con-centra" la molteplicità del reale che trova in esso pace e armonia…Dal tempio, poi, si "de-centra" un respiro di vita, di santità, di illuminazione che trasfigura il quotidiano e la trama ordinaria dello spazio. Ed è a questo punto che entra in scena il secondo tema sotteso al detto giudaico sopra evocato. Il tempio è l'immagine che la pupilla riflette e rivela. Esso è, quindi, segno di luce e di bellezza. Detto in altri termini, potremmo affermare che lo spazio sacro è epifania dell'armonia cosmica ed è teofania dello splendore divino… E’ curioso che simbolicamente le tre religioni monoteistiche si ancorino a Gerusalemme attorno a tre pietre sacre, il Muro Occidentale (detto popolarmente "del Pianto"), segno del tempio salomonico per gli ebrei, la roccia dell'ascensione al cielo di Maometto nella moschea di Omar per l'islam e, appunto, la pietra ribaltata del Santo Sepolcro per il cristianesimo. Nell'ultima pagina neotestamentaria, quando Giovanni il Veggente si affaccia sulla planimetria della nuova Gerusalemme della perfezione e della pienezza, si trova di fronte a un dato a prima vista sconcertante:  "Non vidi in essa alcun tempio perché il Signore Dio Onnipotente e l'Agnello sono il suo tempio" (Apocalisse, 21, 22). Tra Dio e uomo non è più necessaria nessuna mediazione spaziale; l'incontro è ormai tra persone, si incrocia la vita divina con quella umana in modo diretto…Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità" (Giovanni, 4, 21-24). Ci sarà un'ulteriore svolta che insedierà la presenza divina nella stessa "carne" dell'umanità attraverso la persona di Cristo, come dichiara il celebre prologo del Vangelo di Giovanni:  "Il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua tenda in mezzo a noi" (1, 14), … Paolo andrà oltre e, scrivendo ai cristiani di Corinto, affermerà:  "Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi... Glorificate dunque Dio nel vostro corpo!" (i, 6, 19-20). "Un tempio di pietre vive", quindi, come scriverà san Pietro, "impiegate per la costruzione di un edificio spirituale" (i, 2, 5) un santuario non estrinseco, materiale e spaziale, bensì esistenziale, un tempio nel tempo. Il tempio architettonico sarà, quindi, sempre necessario, ma dovrà avere in sé una funzione di simbolo:  non sarà più un elemento sacrale intangibile e magico, ma solo il segno necessario di una presenza divina nella storia e nella vita dell'umanità. Il tempio, quindi, non esclude o esorcizza la piazza della vita civile ma ne feconda, trasfigura, purifica l'esistenza, attribuendole un senso ulteriore e trascendente. Terminiamo la nostra riflessione con tre testimonianze. La prima è una cantilena ebraica cabbalistica medievale che ricorda i vari passaggi per trovare il luogo dove s'incontra veramente Dio. Il ritornello in ebraico…con un gioco di parole e un'intuizione folgorante si dice: "Egli, Dio, è il Luogo di ogni luogo, / eppure questo Luogo non ha luogo". La seconda testimonianza è legata alla figura di san Francesco. Un frate dice a Francesco:  "Non abbiamo più soldi per i poveri". Francesco risponde:  "Spoglia l'altare della Vergine e vendine gli arredi, se non potrai soddisfare diversamente le esigenze di chi ha bisogno". E subito dopo aggiunge:  "Credimi, alla Vergine sarà più caro che sia osservato il vangelo di suo Figlio e nudo il proprio altare, piuttosto che vedere l'altare ornato e disprezzato il Figlio nel figlio dell'uomo". La terza e ultima considerazione ci è offerta dalla spiritualità ortodossa. Un noto teologo laico russo del Novecento vissuto a Parigi, Pavel Evdokimov, dichiarava che tra la piazza e il tempio non ci deve essere la porta sbarrata, ma una soglia aperta per cui le volute dell'incenso, i canti, le preghiere dei fedeli e il baluginare delle lampade si riflettano anche nella piazza dove risuonano il riso e la lacrima, e persino la bestemmia e il grido di disperazione dell'infelice. Infatti, il vento dello Spirito di Dio deve correre tra l'aula sacra e la piazza ove si svolge l'attività umana. Si ritrova, così, l'anima autentica e profonda dell'Incarnazione che intreccia in sé spazio e infinito, storia ed eterno, contingente e assoluto.

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don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

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Still today Jesus repeats these comforting words to those in pain: "Do not weep". He shows solidarity to each one of us and asks us if we want to be his disciples, to bear witness to his love for anyone who gets into difficulty (Pope Benedict)
Gesù ripete ancor oggi a chi è nel dolore queste parole consolatrici: "Non piangere"! Egli è solidale con ognuno di noi e ci chiede, se vogliamo essere suoi discepoli, di testimoniare il suo amore per chiunque si trova in difficoltà (Papa Benedetto))
Faith: the obeying and cooperating form with the Omnipotence of God revealing himself
Fede: forma dell’obbedire e cooperare con l’Onnipotenza che si svela
Jesus did not come to teach us philosophy but to show us a way, indeed the way that leads to life [Pope Benedict]
Gesù non è venuto a insegnarci una filosofia, ma a mostrarci una via, anzi, la via che conduce alla vita [Papa Benedetto]
The Cross of Jesus is our one true hope! That is why the Church “exalts” the Holy Cross, and why we Christians bless ourselves with the sign of the cross. That is, we don’t exalt crosses, but the glorious Cross of Christ, the sign of God’s immense love, the sign of our salvation and path toward the Resurrection. This is our hope (Pope Francis)
La Croce di Gesù è la nostra unica vera speranza! Ecco perché la Chiesa “esalta” la santa Croce, ed ecco perché noi cristiani benediciamo con il segno della croce. Cioè, noi non esaltiamo le croci, ma la Croce gloriosa di Gesù, segno dell’amore immenso di Dio, segno della nostra salvezza e cammino verso la Risurrezione. E questa è la nostra speranza (Papa Francesco)
«Rebuke the wise and he will love you for it. Be open with the wise, he grows wiser still; teach the upright, he will gain yet more» (Prov 9:8ff)
«Rimprovera il saggio ed egli ti sarà grato. Dà consigli al saggio e diventerà ancora più saggio; istruisci il giusto ed egli aumenterà il sapere» (Pr 9,8s)
These divisions are seen in the relationships between individuals and groups, and also at the level of larger groups: nations against nations and blocs of opposing countries in a headlong quest for domination [Reconciliatio et Paenitentia n.2]
Queste divisioni si manifestano nei rapporti fra le persone e fra i gruppi, ma anche a livello delle più vaste collettività: nazioni contro nazioni, e blocchi di paesi contrapposti, in un'affannosa ricerca di egemonia [Reconciliatio et Paenitentia n.2]
But the words of Jesus may seem strange. It is strange that Jesus exalts those whom the world generally regards as weak. He says to them, “Blessed are you who seem to be losers, because you are the true winners: the kingdom of heaven is yours!” Spoken by him who is “gentle and humble in heart”, these words present a challenge (Pope John Paul II)
È strano che Gesù esalti coloro che il mondo considera in generale dei deboli. Dice loro: “Beati voi che sembrate perdenti, perché siete i veri vincitori: vostro è il Regno dei Cieli!”. Dette da lui che è “mite e umile di cuore”, queste parole  lanciano una sfida (Papa Giovanni Paolo II)
The first constitutive element of the group of Twelve is therefore an absolute attachment to Christ: they are people called to "be with him", that is, to follow him leaving everything. The second element is the missionary one, expressed on the model of the very mission of Jesus (Pope John Paul II)
Il primo elemento costitutivo del gruppo dei Dodici è dunque un attaccamento assoluto a Cristo: si tratta di persone chiamate a “essere con lui”, cioè a seguirlo lasciando tutto. Il secondo elemento è quello missionario, espresso sul modello della missione stessa di Gesù (Papa Giovanni Paolo II)

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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