don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Lunedì, 04 Agosto 2025 22:29

19a Domenica T.O.  (C)

19a Domenica del Tempo Ordinario (anno C) [10 Agosto 2025]

 

*Prima lettura dal Libro della Sapienza (18, 6-9)

Il primo versetto ci introduce immediatamente nell’atmosfera: l’autore si abbandona a una meditazione sulla “notte della liberazione pasquale”, la notte dell’uscita d’Israele dall’Egitto, guidato da Mosè. Di anno in anno Israele celebra il pasto pasquale per rivivere il mistero della liberazione operata da Dio in quella notte memorabile (Es 12,42). Celebrare per rivivere: il verbo “celebrare” non significa semplicemente commemorare, ma “fare memoria” lasciare cioè che Dio agisca nuovamente, il che implica lasciarsi trasformare in profondità. Ancora oggi, quando il padre di famiglia, durante il pasto pasquale, inizia il proprio figlio al significato della festa, non gli dice: “Il Signore ha agito a favore dei nostri padri”, ma: “Il Signore ha agito a mio favore, quando sono uscito dall’Egitto» (Es 13,8). E i commenti dei rabbini confermano: “In ogni generazione, ciascuno deve considerarsi come se fosse uscito dall’Egitto”. La celebrazione della notte pasquale racchiude tutte le dimensioni dell’Alleanza sia l’azione di grazie per la liberazione compiuta da Dio come pure l’impegno di fedeltà ai comandamenti. Liberazione, dono della Legge e alleanza sono un unico evento come Dio comunicò a Mosè, e tramite lui al popolo, ai piedi del Sinai (Es 19,4-6). Nelle poche righe del Libro della Sapienza ci vengono qui proposte le due dimensioni: anzitutto l’azione di grazie: “La notte (della liberazione) fu preannunciata ai nostri padri perché avessero coraggio, sapendo bene a quali giuramenti avevano prestato fedeltà” (v.6). Si parla qui dei giuramenti, che sono le promesse di Dio al suo popolo: una discendenza, una terra, una vita felice in quella terra (Gen 15,13-14; 46,3-4). “Il tuo popolo infatti era in attesa della salvezza dei giusti, della rovina dei nemici. Difatti come punisti gli avversari, così glorificasti noi chiamandoci a te” (v.7). Questa è la lezione: scegliendo l’oppressione e la violenza, gli Egiziani hanno provocato da sé la propria rovina. Il popolo oppresso, invece, ha ricevuto la protezione di Dio. La seconda dimensione della celebrazione della notte pasquale è l’impegno personale e comunitario: “I figli santi dei giusti offrivano sacrifici in segreto e si imposero, concordi, di condividere allo stesso modo successi e pericoli, intonando subito le sacri lodi dei padri” (v.9). L’autore metta in parallelo: la pratica del culto “offrivano sacrifici in segreto”, e l’impegno di solidarietà fraterna “si imposero concordi di condividere successi e pericoli”. La Legge d’Israele ha sempre unito la celebrazione dei doni di Dio e la solidarietà tra i membri del popolo dell’Alleanza. Anche Gesù opererà lo stesso legame: “fare memoria di lui” significa, con un solo gesto, celebrare l’Eucaristia e mettersi al servizio dei fratelli, come lui stesso fece la sera del Giovedì Santo, lavando i piedi ai discepoli.

 

*Salmo responsoriale (32/33, 1.12, 18-19, 20.22)

 “Esultate, o giusti, nel Signore; per gli uomini retti è bella la lode”. Fin dal primo versetto sappiamo di essere nel Tempio di Gerusalemme, nel contesto di una liturgia di rendimento di grazie. Attenzione: “giusti” e “uomini retti” non indicano atteggiamenti di orgoglio o autocompiacimento, ma l’atteggiamento umile di chi si inserisce nel progetto di Dio perché nella Bibbia la giustizia (per noi sarebbe santità) non è una qualità morale bensì un dono. “Beata la nazione che ha il Signore come Dio, il popolo che egli ha scelto come sua eredità” (v.12. L’Alleanza è il progetto di Dio cioè la scelta libera con cui ha voluto affidare a un popolo il suo mistero. È naturale, quindi, rendere grazie per questo dono. Non si tratta di un orgoglio arrogante, ma di una legittima fierezza, la consapevolezza dell’onore che Dio gli ha fatto scegliendolo per una missione ed è la fierezza nostra di essere incorporati col battesimo al suo popolo in missione nel mondo. La fiducia nasce dalla fede e il versetto seguente esprime in un altro modo questa esperienza della fede:”L’occhio del Signore è chi su lo teme, su chi spera nel suo amore”(v.18) Splendida definizione del “timore di Dio” in senso biblico: non paura, ma fiducia totale e interessante è l’accostamento delle due parti del versetto: “chi lo teme” e “chi spera nel suo amore”.  Il timore di Dio è, in realtà, fiducia nell’amore di Dio, non timore servile, ma risposta d’amore come dice il Salmo 102/103: “Come un padre ha pietà dei suoi figli, così il Signore ha pietà di quanti lo temono”. L’unico vero modo per rispettare Dio è amarlo come appare chiaramente nella professione di fede d’Israele: “Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza” (Dt 6,4). Torno sul versetto centrale: “L’occhio del Signore è chi su lo teme, su chi spera nel suo amore”. Dio ha vegliato su Israele come un padre durante il cammino nel deserto. Liberati dall’Egitto gli ebrei, senza l’ntervento divino, non sarebbero sopravvissuti né al passaggio del Mare, né alle prove del deserto. Al roveto ardente,il Signore aveva promesso a Mosè di accompagnare il suo popolo verso la libertà e ha mantenuto la promessa. Quando leggiamo “il Signore” si tratta sempre del famoso tetragramma YHWH, che gli ebrei non pronunciano per rispetto e che significa: “Io sono, io sarò con voi, in ogni istante della vostra vita.”, in fondo si tratta del respiro dell’essere umano.  Il salmista continua: “Per liberarlo dalla morte e nutrirlo in tempo di fame” (v.19) che richiama il Libro del Deuteronomio dove si dice che il Signore ha vegliato sul suo popolo “come sulla pupilla del suo occhio”. Il salmo prosegue: “il Signore è nostro aiuto e nostro scudo. Su di noi sia il tuo amore, Signore come date noi speriamo” (vv20. 22) Una fiducia non sempre facile e Israele ha oscillato tra fiducia e ribellione, attratto costantemente da idoli. Questo salmo è in fondo una chiamata alla fede salda. Chi l’ ha composto conosce bene le incertezze del suo popolo. Per questo invita a ritrovare la certezza della fede, l’unica in grado di generare felicità duratura. E ha composto  questo salmo di ventidue versetti come le lettere dell’alfabeto ebraico, per indicare  che la Legge è un tesoro che guida la vita dall’A alla Z.

 

*Seconda lettura dalle Lettera agli Ebrei (11,1-2.8-19)

 “Per fede”: questa espressione ritorna come un ritornello nel capitolo 11 della Lettera agli Ebrei e l’autore arriva perfino a dire che il tempo gli manca per elencare tutti i credenti dell’Antico Testamento, la cui fede ha permesso al progetto di Dio di compiersi. Il testo che ci viene proposto questa domenica si concentra solo su Abramo e Sara, modelli di vera fede. Tutto è cominciato per loro con la prima chiamata di Dio (Gn 12): “Esci dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, e va’ verso il paese che io ti indicherò”. E Abramo obbedì, ci dice il testo, nel senso più bello del termine: obbedire nella Bibbia significa libera sottomissione di chi accetta di fidarsi perché sa che quando Dio ordina è per il suo bene e per la sua liberazione sapendo che Dio vuole soltanto il nostro bene, la nostra felicità. Abramo partì verso un paese che doveva ricevere in eredità: credere, significa vivere tutto ciò che possediamo come un dono di Dio. Partì senza sapere dove andava: se si sapesse dove si va, non ci sarebbe più bisogno di credere. Credere è fidarsi senza capire e senza sapere tutto; accettare che la strada non è quella da noi prevista o desiderata perché sia Dio a deciderla. Sia fatta la tua volontà, non la mia , disse molto tempo dopo Gesù, che a sua volta si fece obbediente, come dice san Paolo, fino alla morte di croce (Fil 2). “Per fede anche Sara, sebbene fuori dell’età (90 anni), potè diventare madre”. E’ vero che all’inizio rise a un annuncio così incredibile, ma poi lo accolse come una promessa e si fidò ascoltando la risposta del Signore al suo riso: “C’è forse qualcosa di troppo difficile per il Signore? – disse Dio – Al tempo stabilito ritornerò da te, e Sara avrà un figlio” (Gn 18,14). E ciò che era impossibile umanamente si realizzò. Un’altra donna, Maria, secoli più tardi, ascoltò l’annuncio della nascita del figlio della promessa, e accettò credendo che nulla è impossibile a Dio (Lc 1). Per fede Abramo affrontò la prova incredibile di offrire in sacrificio Isacco, ma anche lì, benché non comprendesse, sapeva che l’ordine di Dio era dato per amore: era il cammino della promessa, un cammino oscuro, ma sicuro. Dal punto di vista umano, la promessa di una discendenza e la richiesta del sacrificio di Isacco sono in netta contraddizione, ma Abramo, il credente, proprio perché aveva ricevuto la promessa di una discendenza per mezzo di Isacco, può arrivare fino al punto di offrirlo in sacrificio perché crede che Dio non può rinnegare la sua promessa. Alla domanda di Isacco: Padre, vedo il fuoco e la legna… ma dov’è l’agnello per l’olocausto?, Abramo risponde con tutta sicurezza: Dio provvederà, figlio mio. Il cammino della fede è oscuro, ma è sicuro. E non mentiva neppure quando disse ai suoi servi, lungo la strada: Rimanete qui con l’asino; io e il ragazzo andremo fin là per adorare e poi torneremo da voi. Non sapeva quale lezione Dio volesse dargli sull’interdizione dei sacrifici umani, non conosceva l’esito della prova, ma si fidava. Secoli dopo, Gesù, il nuovo Isacco, credette che poteva risuscitare dai morti, e fu esaudito, come dice la Lettera agli Ebrei. Abbiamo qui una straordinaria lezione di speranza! E’ la fede a salvarci e l’autore della Lettera agli Ebrei commenta che il progetto salvifico si compie grazie a chi crede e lascia che la promessa possa compiersi attraverso di lui.

NOTA In ebraico, il verbo credere è aman (da cui deriva il nostro «amen»),termine che implica solidità, fermezza; credere significa “tenersi saldi”, avere fiducia fino in fondo, anche nel dubbio, nello scoraggiamento o nell’angoscia.

 

*Dal Vangelo secondo Luca (12, 32 – 48)

 Questo testo inizia con una parola di speranza che dovrebbe darci tutto il coraggio possibile:

“Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto darvi il Regno.” In altre parole: questo Regno, è certo, vi è stato donato; credetelo anche se le apparenze sembrano dire il contrario.  Ma Gesù non si ferma qui: descrive subito le esigenze che derivano da questa promessa. Perché  “a chi fu dato molto, molto sarà richiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più”. L’unico pensiero dominante nel cuore del credente è la realizzazione della promessa di Dio che libera da ogni altra preoccupazione:

“Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché dove è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.” Gesù spiega ciò che si aspetta da noi con tre brevi parabole: la prima è quella dei servi che attendono il ritorno del loro padrone; la seconda, più breve, paragona il suo ritorno all’arrivo inaspettato di un ladro; la terza descrive l’arrivo del padrone e il giudizio che pronuncia sui suoi servi. La parola chiave è “servizio”: Dio ci fa l’onore di prenderci al suo servizio, di renderci suoi collaboratori. Più tardi, san Pietro — che ha ben compreso il messaggio di Gesù — dirà ai cristiani dell’Asia Minore: “Il Signore non ritarda nell’adempiere la sua promessa, come certi credono, ma usa pazienza verso di voi, non volendo che qualcuno si perda, ma che tutti giungano alla conversione” (2 Pt 3,9). E arriva persino a dire: “Voi che attendete affrettate la venuta del giorno di Dio» (2 Pt 3,12). Sta a noi la responsabilità di “affrettare” l’avvento del Regno di Dio, come diciamo nel Padre nostro: “Venga il tuo Regno!” Verrà tanto più rapidamente quanto più crederemo e ci impegneremo. Così, ogni nostro sforzo, anche il più modesto, in modo misterioso, è collaborazione all’avvento del Giorno di Dio: “Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tuti i suoi averi”.  “Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli.”A ben vedere questo si realizza ogni domenica a Messa: il Signore ci invita alla sua mensa ed è lui stesso a nutrirci rinnovandoci l’energia necessaria per continuare il nostro servizio.

+ Giovanni D’Ercole

(Mt 16,24-28)

 

Tutto ciò che facciamo è motivato dalla ricerca di pienezza di essere e felicità - anche il rischio. Ci siamo appassionati al cammino nello Spirito per lo stesso motivo: avere un incremento di vita.

Ma nella proposta del Maestro cogliamo una logica sconcertante: per porsi al riparo da vane illusioni che ci degradano, non bisogna precipitarsi ad agguantare ruoli prestigiosi, beni, relazioni che contano.

Le cose più attraenti e vistose, permangono esterne e infeconde. Non rigenerano

Invece… attesa, ascolto, esercizio di virtù passive, amarezza e sconfitta, chiamano a rientrare in noi stessi - e stanno preparando gli sviluppi futuri più pertinenti e fondati, proprio a favore di un’esistenza piena.

Ma nell’equivoco, anche coloro che non temono sacrifici possono oscillare, perché la Via di Cristo sembra condurci subito ai motteggi, al fallimento.

Anche per Gesù l'evangelizzazione degli Apostoli e dei “vicini” - tutti intenti ad ammorbidire e attenuare i suoi Sogni immoderati - non è stato un gioco da ragazzi.

Eppure il Maestro non si fa prendere in ostaggio - anzi è Lui che ha collocato il capo dei discepoli al suo posto (vv.22-23).

 

La croce era pena di morte e onta perenne riservata agli schiavi ribelli; banditi, sovversivi, disadattati che rifiutavano la loro posizione di emarginazione civile.

Questa è tutta la partita: accettare di sollevare il braccio orizzontale del pubblico patibolo dietro a Gesù significa ancora oggi dimenticare la “reputazione”, essere svergognato.

Non per ascesi, né perfezionismo particolare. Ma affinché si lasci il tempo alla Provvidenza di prepararci.

La vita che viene farà appello ad altre energie, disporrà accadimenti in modo più misterioso che ovvio.

Metterà in gioco virtù personali e sociali difformi - confluenti - cosmiche e intimamente umanizzanti; acutamente fascinose e sorgive.

Nella bufera, la passione d’amore ha i suoi stadi preparatori, misteriosi [di più alta portata], che faranno emergere consapevolezze autentiche. E lo spirito fraterno annidato nell’anima.

La prospettiva è in tal senso personale, ma non individualistica, bensì quella del «Figlio dell’uomo» che lascia intuire il piglio umano, accessibile e divinizzante: aiutiamoci a coglierlo Presente (vv.27-28)!

 

«Figlio dell’uomo» è Colui che essendosi spinto al massimo dell’amore nella pienezza di Persona, giunge a riflettere la condizione divina, la mostra e irradia in contrassegni eminenti.

Abbracciati alla propria Chiamata individuante, sperimenteremo il Padre che provvede a noi. In tal guisa, riusciremo a sollevare la Croce fiorita che feconda l’anima e il mondo attorno.

Su tale raggio di ‘luce’, anche nei grandi disagi del nostro tempo saremo come l’Amico-Guida: genuini, non omologati; sdraiati sul nucleo dell’essere, ma ritti su strade inesplorate.

Simultaneamente impegnati e sereni. Meno banali, per contatto personale.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

In che senso hai fatto esperienza di vita guadagnata, dopo averla “persa”? Contattando quali energie sopite? Su quali strade inesplorate?

 

 

[Venerdì 18.a sett. T. O.  8 agosto 2025]

La reputazione: crocevia della Croce

(Mt 16,24-28)

 

Smarrire la vita o perderla? Salvarla o trovarla? Cristo desidera condurci nella Patria che ci corrisponde profondamente.

Lo propone condividendo l’andare pellegrino, in esplorazione; insieme a Lui e ai fratelli.

Nel procedere, ciò che facciamo è motivato dalla ricerca di pienezza di essere e felicità - anche il rischio.

 

Ci siamo appassionati al cammino nello Spirito per lo stesso motivo: avere un incremento di vita.

Ma nella proposta del Maestro cogliamo una logica sconcertante.

Per porsi al riparo da vane illusioni (che degradano) non bisogna precipitarsi ad agguantare ruoli prestigiosi, beni, relazioni che contano.

Le cose più attraenti e vistose, permangono esterne e infeconde. Non rigenerano

Invece… attesa, ascolto, esercizio di virtù passive, amarezza e sconfitta, chiamano a rientrare in noi stessi.

Lo smacco è un appello che sta preparando gli sviluppi futuri più pertinenti e fondati, proprio a favore di un’esistenza piena.

Certo, chi non s’inserisce nella fretta dei titoli e nella commedia dei cerimoniali di società affine, può subire immediatamente il peggio. Ma è meglio questo che perdere qualità e fecondità di vita, disperdendole nell’equivoco.

 

Spesso  il nostro “lasciare tutto” per la sequela di Cristo è anch’esso per un guadagno atteso e sperato. Persino “buono”: immediatamente relazionale, qualitativo, e culturale, ad es.

[Le guide ci parlavano in tal senso di vizio di “gola spirituale”: il fine è apprendere cose interessanti, avere buone e corpose compagnie, accrescere conoscenze, trovare modi anche fondati per farsi lodare, etc].

Il punto è che la ricaduta positiva immaginata, si configura sempre secondo antichi propositi. Infine per imporsi, brillare e comandare; non per “perdere”.

Non per “cedere”. Non per far sì che altre energie e orizzonti si introducano nelle situazioni, e affiorino - paradossali - in noi.

Su questo terreno poco appetibile - ma che in Cristo diverrà eccessivo di grazia, fecondo, intimamente educativo - anche coloro che non temono sacrifici possono oscillare, perché la Via del Crocifisso sembra condurci subito ai motteggi, al fallimento.

Emerge però il motivo profondo e in apparenza assurdo, del nuovo Magistero; senza retropensieri.

Il confronto con la Parola aiuta sempre più a renderci conto che è necessario introdurre nell’anima di ciascuno un nuovo profilo di riferimento: personale, sociale, comunitario.

 

L’antico contesto sicuro e trionfale ha contribuito ad edificare una impalcatura impressionante, ma che stride con il senso del Lieto Annunzio di Salvezza.

La vita da salvati è per tutti. Una Proclamazione trasparente, ormai: di smisurate Beatitudini in favore dei miti, umiliati e trascurati, bisognosi di tutto.

 

Anche per Gesù l'evangelizzazione degli Apostoli e dei “vicini” - tutti intenti ad ammorbidire e attenuare i suoi Sogni immoderati - non è stato un gioco da ragazzi.

Proprio come il Signore, anche oggi i veri Annunciatori devono già mettere in conto afflizioni, e trappole, spallate, beffe, derisioni (le più sorprendenti).

Ma non si molla, anche perché è comprensibile l’imbarazzo di coloro che d’improvviso si vedono introdotti non in un cammino trionfale. Non su un sentiero mozzafiato, punteggiato di approdi onorevoli ed esaltanti.

Piuttosto, di verità e dono di sé dismesso e reietto - non più edulcorante, né epidermico, o di contrabbando.

Lo si può tollerare, in fondo, con senso di realismo; come ha fatto Gesù con il suo Pietro. Insomma, anche questo filone potrà far parte del nuovo equilibrio che lo Spirito sta edificando.

Sì, l’aspetto istituzionale e compromissorio [“petrino”] vuole spesso prendere l’iniziativa ed esorcizzare il Richiamo di Gesù; metterlo a tacere, in favore dell’esibizione dei suoi superpoteri.

Eppure il Maestro non si fa prendere in ostaggio - anzi è Lui che ha collocato il capo dei discepolo al suo posto (vv.22-23).

 

La croce era pena di morte e onta perenne riservata agli schiavi ribelli; banditi, sovversivi, disadattati che rifiutavano la loro posizione di emarginazione civile.

Questa è tutta la partita: accettare di sollevare il braccio orizzontale del pubblico patibolo dietro a Gesù significa ancora oggi dimenticare la “reputazione”, essere svergognato.

Non per ascesi, né perfezionismo particolare alcuno.

Impoverire di beni superflui, perdere prestigio e ruoli, essere svergognato, lasciare che siano gli altri a passare avanti [anche per manipolarci: ché prima o poi si rendano conto].

Affinché si lasci il tempo alla Provvidenza di prepararci.

La vita che viene farà appello ad altre energie, disporrà accadimenti in modo più misterioso che ovvio.

Metterà in gioco virtù personali e sociali difformi - confluenti - cosmiche e intimamente umanizzanti; acutamente fascinose e sorgive.

 

Lo stiamo vivendo nel tempo della crisi e del travaglio, per una “rinascita” che vuole altri primordi; che pare non abbia voglia alcuna di ri-conformarsi all’età trascorsa.

Infatti, nella bufera, la passione d’amore ha i suoi stadi preparatori, di più alta portata, i quali presto o tardi faranno emergere consapevolezze autentiche eminenti. E lo spirito fraterno annidato nell’anima di tutti.

La prospettiva è in tal senso personale, ma non individualistica, bensì quella del «Figlio dell’uomo»: Colui che lascia intuire il portato umano, accessibile e divinizzante.

Però bisogna accorgersene: aiutiamoci a coglierlo Presente (vv.27-28)!

Infatti, nei Vangeli «Figlio di Dio» è Cristo che manifesta il Padre, svelando Dio nella condizione umana. «Figlio dell’uomo» è Gesù che manifesta l’uomo nella condizione divina.

«Figlio dell’uomo» è Colui che essendosi spinto al massimo dell’amore nella pienezza di Persona, giunge a riflettere la condizione divina, la mostra e irradia in contrassegni eminenti.

Lo fa senza prospettive anguste, tipiche delle religioni; senza neppure un retaggio d’idee “giuste” e invariabili, o forze di livello crescente e sempre performanti.

«Figlio dell’uomo» è il Figlio riuscito: la Persona dal passo definitivo.

Verbo fattosi fratello prossimo, che in noi aspira alla pienezza diffusa nella storia, a una caratura indistruttibile dentro ciascuno che accosta (e incontra cifre divine accorate, tratti sublimi di umanizzazione).

Rischiamo dunque di vivere “con” e “per” gli altri, tralasciando la ricerca della stima, e perdendo credito [non a tutti i costi lucrandolo].

Lo facciamo con piglio; abbracciati alla propria Chiamata individuante, sperimentando il Padre che provvede a noi.

In tal guisa, riusciremo a sollevare positivamente la Croce fiorita, che feconda l’anima e il mondo attorno.

Esperienza dalla quale non si esce più - tanto è sublime e dai traguardi sterminati, impossibili da immaginare e proporsi, per via di sterile “natura”.

Su tale raggio di luce e con nuovo Nome, anche nei grandi disagi del nostro tempo saremo come l’Amico-Guida: genuini, non omologati; sdraiati sul nucleo dell’essere, ma ritti su strade inesplorate.

Simultaneamente impegnati e sereni. Meno banali, per contatto personale.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

In che senso hai fatto esperienza di vita guadagnata, dopo averla “persa”? Contattando quali energie sopite? Su quali strade inesplorate?

Giovedì, 31 Luglio 2025 06:24

Evidente contrasto di desideri

Gesù spiega ai suoi discepoli che dovrà «andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno» (Mt 16,21). Tutto sembra capovolgersi nel cuore dei discepoli! Com’è possibile che «il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (v. 16), possa patire fino alla morte? L’apostolo Pietro si ribella, non accetta questa strada, prende la parola e dice al Maestro: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai» (v. 22). Appare evidente la divergenza tra il disegno d’amore del Padre, che giunge fino al dono del Figlio Unigenito sulla croce per salvare l’umanità, e le attese, i desideri, i progetti dei discepoli. E questo contrasto si ripete anche oggi: quando la realizzazione della propria vita è orientata solamente al successo sociale, al benessere fisico ed economico, non si ragiona più secondo Dio, ma secondo gli uomini (v. 23). Pensare secondo il mondo è mettere da parte Dio, non accettare il suo progetto di amore, quasi impedirgli di compiere il suo sapiente volere. Per questo Gesù dice a Pietro una parola particolarmente dura: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo» (ibid.). Il Signore insegna che «il cammino dei discepoli è un seguire Lui, [andare dietro a Lui], il Crocifisso. In tutti e tre i Vangeli spiega tuttavia questo seguirlo nel segno della croce … come il cammino del “perdere se stesso”, che è necessario per l’uomo e senza il quale non gli è possibile trovare se stesso» (Gesù di Nazaret, Milano 2007, 333).

Come ai discepoli, così anche a noi Gesù rivolge l’invito: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16,24). Il cristiano segue il Signore quando accetta con amore la propria croce, che agli occhi del mondo appare una sconfitta e una “perdita della vita” (cfr vv. 25-26), sapendo di non portarla da solo, ma con Gesù, condividendo il suo stesso cammino di donazione. Scrive il Servo di Dio Paolo VI: “Misteriosamente, il Cristo stesso, per sradicare dal cuore dell'uomo il peccato di presunzione e manifestare al Padre un'obbedienza integra e filiale, accetta … di morire su di una croce” (Es. ap. Gaudete in Domino (9 maggio 1975), AAS 67, [1975], 300-301). Accettando volontariamente la morte, Gesù porta la croce di tutti gli uomini e diventa fonte di salvezza per tutta l’umanità. San Cirillo di Gerusalemme commenta: «La croce vittoriosa ha illuminato chi era accecato dall’ignoranza, ha liberato chi era prigioniero del peccato, ha portato la redenzione all’intera umanità» (Catechesis Illuminandorum XIII,1: de Christo crucifixo et sepulto: PG 33, 772 B).

[Papa Benedetto, Angelus 28 agosto 2011]

8. Redenzione: rinnovata creazione

Redentore del mondo! In lui si è rivelata in modo nuovo e più mirabile la fondamentale verità sulla creazione, che il Libro della Genesi attesta quando ripete più volte: «Dio vide che era cosa buona» Il bene ha la sua sorgente nella Sapienza e nell'Amore. In Gesù Cristo il mondo visibile, creato da Dio per l'uomo - quel mondo che, essendovi entrato il peccato, «è stato sottomesso alla caducità» - riacquista nuovamente il vincolo originario con la stessa sorgente divina della Sapienza e dell'Amore. Infatti, «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito». Come nell'uomo-Adamo questo vincolo è stato infranto, così nell'uomo-Cristo esso è stato di nuovo riallacciato. Non ci convincono forse, noi uomini del ventesimo secolo, le parole dell'Apostolo delle genti, pronunciate con una travolgente eloquenza, circa la «creazione (che) geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto» ed «attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio», circa la creazione che «è stata sottomessa alla caducità»? L'immenso progresso, non mai prima conosciuto, che si è verificato, particolarmente nel corso del nostro secolo, nel campo del dominio sul mondo da parte dell'uomo, non rivela forse esso stesso, e per di più in grado mai prima raggiunto, quella multiforme sottomissione «alla caducità»? Basta solo qui ricordare certi fenomeni, quali la minaccia di inquinamento dell'ambiente naturale nei luoghi di rapida industrializzazione, oppure i conflitti armati che scoppiano e si ripetono continuamente, oppure le prospettive di autodistruzione mediante l'uso delle armi atomiche, all'idrogeno, al neutrone e simili, la mancanza di rispetto per la vita dei non nati. Il mondo della nuova epoca, il mondo dei voli cosmici, il mondo delle conquiste scientifiche e tecniche, non mai prima raggiunte, non è nello stesso tempo il mondo che «geme e soffre» ed «attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio»?

Il Concilio Vaticano II, nella sua penetrante analisi «del mondo contemporaneo», perveniva a quel punto che è il più importante del mondo visibile, l'uomo, scendendo - come Cristo - nel profondo delle coscienze umane, toccando il mistero interiore dell'uomo, che nel linguaggio biblico (ed anche non biblico) si esprime con la parola «cuore». Cristo, Redentore del mondo, è Colui che è penetrato, in modo unico e irrepetibile, nel mistero dell'uomo ed è entrato nel suo «cuore». Giustamente, quindi, il Concilio Vaticano II insegna: «In realtà, solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro (Rm 5, 14), e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo Amore, svela anche pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione». E poi ancora: «Egli è l'immagine dell'invisibile Iddio (Col 1, 15). Egli è l'uomo perfetto, che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con Dio, già resa deforme fin dal primo peccato. Poiché in Lui la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata, per ciò stesso essa è stata anche a nostro beneficio innalzata a una dignità sublime. Con la sua incarnazione, infatti, il Figlio stesso di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con mente d'uomo, ha agito con volontà d'uomo, ha amato con cuore d'uomo. Nascendo da Maria Vergine, Egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato». Egli, il Redentore dell'uomo!

9. Dimensione divina del mistero della Redenzione

Riflettendo nuovamente su questo stupendo testo del Magistero conciliare, non dimentichiamo, neanche per un momento, che Gesù Cristo, Figlio del Dio vivente, è diventato la nostra riconciliazione presso il Padre. Proprio Lui, solo Lui ha soddisfatto all'eterno amore del Padre, a quella paternità che sin dal principio si è espressa nella creazione del mondo, nella donazione all'uomo di tutta la ricchezza del creato, nel farlo «poco meno degli angeli», in quanto creato «ad immagine ed a somiglianza di Dio»; e, egualmente, ha soddisfatto a quella paternità di Dio e a quell'amore, in un certo modo respinto dall'uomo con la rottura della prima Alleanza e di quelle posteriori che Dio «molte volte ha offerto agli uomini». La redenzione del mondo - questo tremendo mistero dell'amore, in cui la creazione viene rinnovata - è, nella sua più profonda radice, la pienezza della giustizia in un Cuore umano: nel Cuore del Figlio primogenito, perché essa possa diventare giustizia dei cuori di molti uomini, i quali proprio nel Figlio primogenito sono stati, fin dall'eternità, predestinati a divenire figli di Dio e chiamati alla grazia, chiamati all'amore. La croce sul Calvario, per mezzo della quale Gesù Cristo - uomo, figlio di Maria Vergine, figlio putativo di Giuseppe di Nazaret - «lascia» questo mondo, è al tempo stesso una nuova manifestazione dell'eterna paternità di Dio, il quale in Lui si avvicina di nuovo all'umanità, ad ogni uomo, donandogli il tre volte santo «Spirito di verità».

Con questa rivelazione del Padre ed effusione dello Spirito Santo, che stampano un sigillo indelebile sul mistero della Redenzione, si spiega il senso della croce e della morte di Cristo. Il Dio della creazione si rivela come Dio della redenzione, come Dio «fedele a se stesso», fedele al suo amore verso l'uomo e verso il mondo, già rivelato nel giorno della creazione. E il suo è amore che non indietreggia davanti a nulla di ciò che in lui stesso esige la giustizia. E per questo il Figlio «che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore». Se «trattò da peccato» Colui che era assolutamente senza alcun peccato, lo fece per rivelare l'amore che è sempre più grande di tutto il creato, l'amore che è Lui stesso, perché «Dio è amore»58. E soprattutto l'amore è più grande del peccato, della debolezza, della «caducità del creato», più forte della morte; è amore sempre pronto a sollevare e a perdonare, sempre pronto ad andare incontro al figliol prodigo, sempre alla ricerca della «rivelazione dei figli di Dio», che sono chiamati alla gloria futura62. Questa rivelazione dell'amore viene anche definita misericordia, e tale rivelazione dell'amore e della misericordia ha nella storia dell'uomo una forma e un nome: si chiama Gesù Cristo. 

10. Dimensione umana del mistero della Redenzione

L'uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l'amore, se non s'incontra con l'amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente. E perciò appunto Cristo Redentore - come è stato già detto - rivela pienamente l'uomo all'uomo stesso. Questa è - se così è lecito esprimersi - la dimensione umana del mistero della Redenzione. In questa dimensione l'uomo ritrova la grandezza, la dignità e il valore propri della sua umanità. Nel mistero della Redenzione l'uomo diviene nuovamente «espresso» e, in qualche modo, è nuovamente creato. Egli è nuovamente creato! «Non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù». L'uomo che vuol comprendere se stesso fino in fondo - non soltanto secondo immediati, parziali, spesso superficiali, e perfino apparenti criteri e misure del proprio essere - deve, con la sua inquietudine e incertezza ed anche con la sua debolezza e peccaminosità, con la sua vita e morte, avvicinarsi a Cristo. Egli deve, per così dire, entrare in Lui con tutto se stesso, deve «appropriarsi» ed assimilare tutta la realtà dell'Incarnazione e della Redenzione per ritrovare se stesso. Se in lui si attua questo profondo processo, allora egli produce frutti non soltanto di adorazione di Dio, ma anche di profonda meraviglia di se stesso. Quale valore deve avere l'uomo davanti agli occhi del Creatore se «ha meritato di avere un tanto nobile e grande Redentore», se «Dio ha dato il suo Figlio», affinché egli, l'uomo, «non muoia, ma abbia la vita eterna».

In realtà, quel profondo stupore riguardo al valore ed alla dignità dell'uomo si chiama Vangelo, cioè la Buona Novella. Si chiama anche Cristianesimo. Questo stupore giustifica la missione della Chiesa nel mondo, anche, e forse di più ancora, «nel mondo contemporaneo». Questo stupore, ed insieme persuasione e certezza, che nella sua profonda radice è la certezza della fede, ma che in modo nascosto e misterioso vivifica ogni aspetto dell'umanesimo autentico, è strettamente collegato a Cristo. Esso determina anche il suo posto, il suo - se così si può dire - particolare diritto di cittadinanza nella storia dell'uomo e dell'umanità. La Chiesa, che non cessa di contemplare l'insieme del mistero di Cristo, sa con tutta la certezza della fede, che la Redenzione, avvenuta per mezzo della croce, ha ridato definitivamente all'uomo la dignità ed il senso della sua esistenza nel mondo, senso che egli aveva in misura notevole perduto a causa del peccato. E perciò la Redenzione si è compiuta nel mistero pasquale, che attraverso la croce e la morte conduce alla risurrezione.

Il còmpito fondamentale della Chiesa di tutte le epoche e, in modo particolare, della nostra, è di dirigere lo sguardo dell'uomo, di indirizzare la coscienza e l'esperienza di tutta l'umanità verso il mistero di Cristo, di aiutare tutti gli uomini ad avere familiarità con la profondità della Redenzione, che avviene in Cristo Gesù. Contemporaneamente, si tocca anche la più profonda sfera dell'uomo, la sfera - intendiamo - dei cuori umani, delle coscienze umane e delle vicende umane. 

[Papa Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis]

Giovedì, 31 Luglio 2025 06:00

Seguire un Cristo senza croce

Gesù sa bene che Pietro e gli altri hanno ancora molta strada da fare per diventare suoi apostoli!

A quel punto, il Maestro si rivolge a tutti quelli che lo seguivano, presentando loro con chiarezza la via da percorrere: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua» (v. 24). Sempre, anche oggi, la tentazione è quella di voler seguire un Cristo senza croce, anzi, di insegnare a Dio la strada giusta; come Pietro: “No, no Signore, questo no, non accadrà mai”. Ma Gesù ci ricorda che la sua via è la via dell’amore, e non c’è vero amore senza il sacrificio di sé. Siamo chiamati a non lasciarci assorbire dalla visione di questo mondo, ma ad essere sempre più consapevoli della necessità e della fatica per noi cristiani di camminare contro-corrente e in salita.

Gesù completa la sua proposta con parole che esprimono una grande sapienza sempre valida, perché sfidano la mentalità e i comportamenti egocentrici. Egli esorta: «Chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà» (v. 25). In questo paradosso è contenuta la regola d’oro che Dio ha inscritto nella natura umana creata in Cristo: la regola che solo l’amore dà senso e felicità alla vita. Spendere i propri talenti, le proprie energie e il proprio tempo solo per salvare, custodire e realizzare sé stessi, conduce in realtà a perdersi, ossia a un’esistenza triste e sterile. Invece viviamo per il Signore e impostiamo la nostra vita sull’amore, come ha fatto Gesù: potremo assaporare la gioia autentica, e la nostra vita non sarà sterile, sarà feconda.

Nella celebrazione dell’Eucaristia riviviamo il mistero della croce; non solo ricordiamo, ma compiamo il memoriale del Sacrificio redentore, in cui il Figlio di Dio perde completamente Sé stesso per riceversi di nuovo dal Padre e così ritrovare noi, che eravamo perduti, insieme con tutte le creature. Ogni volta che partecipiamo alla Santa Messa, l’amore di Cristo crocifisso e risorto si comunica a noi come cibo e bevanda, perché possiamo seguire Lui nel cammino di ogni giorno, nel concreto servizio dei fratelli.

Maria Santissima, che ha seguito Gesù fino al Calvario, accompagni anche noi e ci aiuti a non avere paura della croce, ma con Gesù inchiodato, non una croce senza Gesù, la croce con Gesù, cioè la croce di soffrire per amore di Dio e dei fratelli, perché questa sofferenza, per la grazia di Cristo, è feconda di risurrezione.

[Papa Francesco, Angelus 3 settembre 2017]

(Mt 16,13-23)

 

A oltre metà della sua vita pubblica Gesù non ha ancora dato formule, ma fa una domanda impegnativa - che ha la pretesa di chiederci molto più delle usuali espressioni con struttura di legge.

Globalmente la folla può averlo accostato a personaggi eminenti come il Battista [colui che ha dimostrato di essere estraneo alle cortigianerie] o Elia [per la sua attività di denuncia degli idoli] o Geremia [l’oppositore della compravendita di benedizioni].

Ma Egli non è venuto - come i profeti antichi - a migliorare la situazione o rabberciare devozioni, né a purificare il Tempio, bensì a sostituirlo!

Le immagini della tradizione raffigurano Cristo in molti modi (per gli atei un filantropo), il più diffuso dei quali è ancora quello di un Signore antico, garante di comportamenti convenzionali.

Egli invece - per farci riflettere - porta i discepoli in un ambiente di cantiere [a nord della Palestina, Cesarea di Filippo era in costruzione], lontano dalla nomenclatura interessata della Città “santa”.

 

La mentalità comune valutava la riuscita della vita - e la verità di una religione - sulla base del successo, del dominio, dell’arricchimento, delle sicurezze in genere.

Il quesito che Gesù pone ai suoi fa trapelare una novità che soppianta tutto il sistema: la Chiamata si rivolge a ogni singola persona.

È una proposta di confine, al pari del luogo geografico simbolico della capitale del regno di Filippo, uno dei tre figli eredi di Erode il Grande: in Palestina, il punto più lontano dal centro della religiosità conformista.

Il Volto del «Figlio dell’uomo» è riconoscibile solo ponendo la massima distanza da schemi politici e veterani - altrimenti anche noi non saremmo in grado di percepirne la ‘luce’ personale.

Nella comunità di Mt si stava appunto facendo esperienza di una sempre più larga partecipazione di pagani, che prima si sentivano degli esclusi e man mano si integravano.

 

Per la nostra mentalità, le chiavi di casa servono a chiudere e serrare il portone, per non far entrare i malintenzionati.

In quella semitica, erano piuttosto icona dell’apertura dell’uscio.

 

Nel celebre capolavoro del Perugino sulla parete nord della Cappella Sistina, Gesù consegna al capo della Chiesa due chiavi: quella d’oro del Paradiso e quella d’argento del Purgatorio.

Ma il senso del brano non è l’Aldilà - anzi, non è neppure istituzionale. In ebraico il termine ‘chiave’ è derivante dal verbo ‘aprire’!

Massimo compito missionario dei responsabili di comunità è tenere il Regno dei Cieli spalancato, ossia garantire una Chiesa accogliente!

Pietro non deve ricalcare il tipo del monarca arrogante, immagine dell’autorità; sostitutiva dell’imperatore.

Simone deve farsi primo responsabile dell’accettazione di coloro che sono fuori.

Sembra strano per qualsiasi proposta antica, ove si supponeva che Dio temesse di rendersi impuro nel contatto col mondo.

Il Padre è Colui che osa di più.

Questo il motivo per cui Gesù impone severamente un totale silenzio messianico (v.20) alle labbra e al cervello antico degli Apostoli.

 

Pietro e i discepoli volevano tornare all’idea consueta de «il» Messia [cf. testo greco] atteso da tutti.

Un canovaccio troppo normale, incapace di rigenerarci.

 

 

[Giovedì 18.a sett. T.O.  7 agosto 2025]

Mercoledì, 30 Luglio 2025 03:12

Chi Sono, le Chiavi, la Fede, il Nome

Chi sono per voi, e le Chiavi della comunità aperta

 

A oltre metà della sua vita pubblica Gesù non ha ancora dato formule, ma fa una domanda impegnativa - che ha la pretesa di chiederci molto più delle usuali espressioni con struttura di legge.

Globalmente la folla può averlo accostato a personaggi eminenti come il Battista (colui che ha dimostrato di essere estraneo alle cortigianerie) o Elia (per la sua attività di denuncia degli idoli) o Geremia (l’oppositore della compravendita di benedizioni).

Ma Egli non è venuto - come i profeti antichi - a migliorare la situazione o rabberciare devozioni, né a purificare il Tempio, bensì a sostituirlo!

Le immagini della tradizione raffigurano Cristo in molti modi (per gli atei un filantropo), il più diffuso dei quali è ancora quello di un Signore antico, garante di comportamenti convenzionali.

Egli invece - per farci riflettere - porta i discepoli in un ambiente di cantiere (a nord della Palestina, Cesarea di Filippo era in costruzione), lontano dalla nomenclatura interessata della Città “santa”.

 

La mentalità comune valutava la riuscita della vita - e la verità di una religione - sulla base del successo, del dominio, dell’arricchimento, delle sicurezze in genere.

Il quesito che Gesù pone ai suoi fa trapelare una novità che soppianta tutto il sistema: la Chiamata si rivolge a ogni singola persona.

È una proposta di confine, al pari del luogo geografico simbolico della capitale del regno di Filippo (uno dei tre figli eredi di Erode il Grande): in Palestina, il punto più lontano dal centro della religiosità conformista.

Il Volto del «Figlio dell’uomo» è riconoscibile solo ponendo la massima distanza da schemi politici e veterani - altrimenti anche noi non saremmo in grado di percepirne la luce personale.

Nella comunità di Mt si stava appunto facendo esperienza di una sempre più larga partecipazione di pagani, che prima si sentivano degli esclusi (e man mano si integravano).

Per la nostra mentalità, le chiavi di casa servono a chiudere e serrare il portone, per non far entrare i malintenzionati. In quella semitica, erano piuttosto icona dell’apertura dell’uscio.

Nel celebre capolavoro del Perugino sulla parete nord della Cappella Sistina, Gesù consegna al capo della Chiesa due chiavi: quella d’oro del Paradiso e quella d’argento del Purgatorio.

Ma il senso del brano non è l’Aldilà - anzi, non è neppure istituzionale (come indicherebbero le fastose architetture degli archi trionfali e del tempio sul fondo, nell’affresco).

In ebraico il termine “chiave” è derivante dal verbo “aprire”!

Massimo compito missionario dei responsabili di comunità è tenere il Regno dei Cieli spalancato, ossia garantire una Chiesa accogliente!

Pietro non deve ricalcare il tipo del monarca arrogante, immagine dell’autorità (sostitutiva dell’imperatore).

Simone deve farsi primo responsabile dell’accettazione di coloro che sono fuori.

Sembra strano per qualsiasi proposta antica, ove si supponeva che Dio temesse di rendersi impuro nel contatto col mondo.

Il Padre è Colui che osa di più.

La Fede non è un paracadute (come fosse un “credere dottrinale”) ma una Relazione d’amore che non intasa la mentalità e ci permette di affrontare il flusso arricchente della vita.

La Provvidenza creativa - a tutto tondo e senza confini, oggi particolarmente sconvolgente ogni assetto abitudinario - è reale espressione e autentica Rivelazione del Mistero.

Questo il motivo per cui Gesù impone severamente un totale silenzio messianico [v.20] alle labbra e al cervello antico degli Apostoli.

Pietro e i discepoli volevano tornare all’idea consueta de «il» Messia [cf. testo greco] atteso da tutti.

Un canovaccio troppo normale, incapace di rigenerarci.

 

 

Ma voi chi dite che io sia? La Fede di Pietro

 

Prendere distanza da ciò che si spera

 

Gesù guida i suoi lontano dal territorio dell’ideologia di potere e dal centro sacro dell’istituzione religiosa ufficiale - la Giudea.

Il Signore vuole che i suoi intimi prendano distanza da limitazioni e apprezzamenti.

Il relativo successo ottenuto dal Maestro in Galilea aveva infatti ravvivato le speranze di gloria (unilaterale) degli apostoli.

Il territorio di Cesarea di Filippo, all’estremo nord della Palestina, era incantevole; celebre per fertilità e pascoli rigogliosi. Zona famosa per la bellezza del contesto e la fecondità di greggi e armenti.

Anche i discepoli restano affascinati dal paesaggio e dalla vita agiata degli abitanti della regione; per non dire della magnificenza dei palazzi.

Il richiamo del contesto allude alle agiatezze che la religione pagana in genere propone; prosperità eccessiva che incantava i Dodici.

Cristo chiede agli apostoli - in pratica - cosa la gente si aspettasse da Lui. Così vuole si rendano conto degli effetti nefasti della loro stessa predicazione.

“Annuncio” che volentieri confondeva benedizioni materiali e spirituali.

 

Mentre gli Dei mostrano di saper colmare di beni i loro devoti - e una sfarzosa vita di corte che (appunto) ammaliava tutti - Cristo cosa offre?

Il Maestro si accorge che i discepoli erano ancora fortemente condizionati dalla propaganda del governo politico e religioso [vv.6.11] che assicurava benessere [vv.5-12; cf. Mt 15,32-38].

E Gesù li istruisce ancora, affinché almeno i suoi inviati possano superare la cecità e la crisi prodotta dalla sua Croce (v.21), dall’impegno richiesto nell’ottica del dono di sé.

Egli non è solo un continuatore dell’atteggiamento limpido del Battista, mai incline al compromesso nei confronti delle corti e dell’opulenza; né uno dei tanti restauratori della legge di Mosè, con lo zelo di Elia.

Neppure voleva limitarsi a purificare la religione da elementi spuri, ma addirittura sostituirsi al Tempio [Mt 21,12-17.18-19.42; 23,2.37-39; 24,30] - luogo dell’incontro tra il Padre e i suoi figli.

 

Su tale questione, in quel momento erano particolarmente vive le distanze non solo col paganesimo, ma anche le contrapposizioni tra giudei convertiti al Signore e osservanti secondo tradizione.

Infatti, nei libri sacri del giudaismo tardivo si parlava di grandi personaggi che avevano lasciato un’impronta nella storia d’Israele, e avrebbero dovuto riapparire per inaugurare i tempi messianici.

Anche all’interno delle comunità perseguitate di Galilea e Siria, Mt constata una scarsa capacità di comprensione, e tutta la difficoltà di abbracciare la nuova proposta - la quale non garantiva successo e riconoscimenti, né traguardi immediati.

(Sin dalle prime generazioni ci si rendeva conto che la Fede non si accorda facilmente con i primi impulsi umani: è invece sconcertante, per le vedute ovvie e le sue pulsioni).

Così il Maestro contraddice lo stesso Pietro [vv.20.23] la cui opinione restava legata all’idea conformista e popolaresca de «il» [vv.16.20: «quel»] Messia atteso.

 

Insomma, il capo degli apostoli - così debole nella Fede - può smetterla di indicare a Cristo quale strada percorrere «dietro» a lui [v.23] deviandolo!

Simone deve ricominciare a fare l’allievo; piantarla di tracciare a tutti vie riconosciute e opportuniste, sequestrando Dio in nome di Dio.

Il Signore è Colui che osa di più.

 

 

Una speciale nota sul tema del Nome:

 

Mentre per la nostra cultura è spesso un’etichetta, fra i popoli orientali il nome è tutt’uno con la persona, e la designa in modo speciale.

Per quanto si evince ad es. nel “secondo” comandamento, la forza del Nome ha un grande peso: è un conoscere il Soggetto (divino) nell’essenza e nel senso dell’agire; quasi un impossessarsi del suo potere.

Anche nella nostra tradizione orante, spirituale e mistica, il Nome proprio (es. Gesù) è stato spesso considerato quasi un’icona acustica della persona, comprensiva delle sue virtù; evocativa della sua presenza e potenza.

Nelle culture antiche, pronunciare il nome significava riuscire a cogliere il seme, il nucleo pregnante e globale della figura di riferimento.

Non di rado, anche nella nostra mentalità ha voluto esprimere un presagio, un mandato, un augurio, una benedizione, una vocazione, un destino, un compito, una chiamata, una missione [nomen (est) omen].

Ma qui si misura la differenza tra mentalità sacrale e Fede. Nelle religioni il nome proprio che il maestro o fondatore dona al discepolo è una sorta di cartello: colui il quale non avesse acume o fortuna, forza e coraggio di realizzarlo, sminuirebbe in dignità.

Invece Cristo coi suoi appellativi ci chiama a percorrere una strada,  certo - ma profondamente commisurata all’essenza.

Egli stimola all’esodo - non secondo modelli - perché prima fa rientrare la persona in se stessa. Affinché tutti ci mettiamo in gioco nel profondo e sino all’estremo che corrisponde.

Primo passo: incontrarci a tutto tondo; nei diversi versanti, anche sorprendenti, inespressi o sconosciuti - in genere, caratteri inimmaginabili secondo regola e nomenclature.

Persino i nostri modi di essere eccentrici, ambigui, in ombra o addirittura rifiutati in prima persona: si riveleranno lungo la Via i lati migliori di noi stessi.

Solo in questo binario plurale troviamo la strada per un’avventura densa di senso; non meccanica, né ripetitiva - bensì somigliante alla vita: sempre nuova e autentica.

Non a partire dalle esteriorità di facciata o di calcolo: c’è una firma d’Autore che precede, nella edificazione di noi stessi e del mondo.

 

Passando fra i diversi cantieri della città di Filippo, Gesù ha invece voluto paragonare Simone ai materiali inerti e accatastati (in modo anche confusionario) che si trovava di fronte.

Quella condizione coglieva la radice delle aspettative apostoliche!

I discepoli non davano ancora spazio al Mistero in loro stessi, all’idea di una salvezza segreta, che erompe con energia propria, innata; che supera i sogni comuni.

Cefa deriva infatti dall’aramaico Kefas: pietra da costruzione; qualcosa di duro: praticamente, un testardo come tanti; nulla di speciale, anzi. Gesù affibbia a Simone un soprannome negativo!

Infatti il termine greco «petros» [v.18] non è nome proprio: indica un sasso (raccolto da terra) che può essere sì utile a una costruzione - se ovviamente si lascia compaginare. E che non solo sostiene, ma è sostenuto; che non solo aggrega, ma viene aggregato.

Attenzione: il termine greco «petra» [v.18] non è il femminile di «petros»: indica «roccia», e si riferisce alla Persona di Cristo unica sicurezza (assieme alla Fede in Lui).

Appellativo che cambia imprevedibilmente tutta una vita. Solo l’Amico interiore infatti trae dal nostro [anche cattivo] bagaglio l’imprevedibile che sgorga.

 

Ciascuno viene cesellato dal Signore secondo il nome Pietro, nel senso di tassello particolare, elemento individuo e speciale.

Collocato in modo singolare ma in un grande mosaico: quello della storia della salvezza, dove ciascuno è contemporaneamente se stesso e in continua fase di rigenerazione.

Unico sentimento di appartenenza delle molte pietre da costruzione (tutte viventi): la convivialità delle differenze, la comunione delle disparate membra fraterne nella Chiesa ministeriale.

Nessuna per sempre, ma ovunque (incessantemente) nuclei pulsanti di un’istituzione sommaria e tutta raccolta da terra... Liberata gratis.

Mercoledì, 30 Luglio 2025 03:03

Il dramma della storia del papato

Nel brano del Vangelo di san Matteo che abbiamo ascoltato poco fa, Pietro rende la propria confessione di fede a Gesù riconoscendolo come Messia e Figlio di Dio; lo fa anche a nome degli altri Apostoli. In risposta, il Signore gli rivela la missione che intende affidargli, quella cioè di essere la «pietra», la «roccia», il fondamento visibile su cui è costruito l’intero edificio spirituale della Chiesa (cfr Mt 16,16-19). Ma in che modo Pietro è la roccia? Come egli deve attuare questa prerogativa, che naturalmente non ha ricevuto per se stesso? Il racconto dell’evangelista Matteo ci dice anzitutto che il riconoscimento dell’identità di Gesù pronunciato da Simone a nome dei Dodici non proviene «dalla carne e dal sangue», cioè dalle sue capacità umane, ma da una particolare rivelazione di Dio Padre. Invece subito dopo, quando Gesù preannuncia la sua passione, morte e risurrezione, Simon Pietro reagisce proprio a partire da «carne e sangue»: egli «si mise a rimproverare il Signore: … questo non ti accadrà mai» (16,22). E Gesù a sua volta replicò: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo...» (v. 23). Il discepolo che, per dono di Dio, può diventare solida roccia, si manifesta anche per quello che è, nella sua debolezza umana: una pietra sulla strada, una pietra in cui si può inciampare – in greco skandalon. Appare qui evidente la tensione che esiste tra il dono che proviene dal Signore e le capacità umane; e in questa scena tra Gesù e Simon Pietro vediamo in qualche modo anticipato il dramma della storia dello stesso papato, caratterizzata proprio dalla compresenza di questi due elementi: da una parte, grazie alla luce e alla forza che vengono dall’alto, il papato costituisce il fondamento della Chiesa pellegrina nel tempo; dall’altra, lungo i secoli emerge anche la debolezza degli uomini, che solo l’apertura all’azione di Dio può trasformare.

[Papa Benedetto, omelia 29 giugno 2012]

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By willingly accepting death, Jesus carries the cross of all human beings and becomes a source of salvation for the whole of humanity. St Cyril of Jerusalem commented: “The glory of the Cross led those who were blind through ignorance into light, loosed all who were held fast by sin and brought redemption to the whole world of mankind” (Catechesis Illuminandorum XIII, 1: de Christo crucifixo et sepulto: PG 33, 772 B) [Pope Benedict]
Accettando volontariamente la morte, Gesù porta la croce di tutti gli uomini e diventa fonte di salvezza per tutta l’umanità. San Cirillo di Gerusalemme commenta: «La croce vittoriosa ha illuminato chi era accecato dall’ignoranza, ha liberato chi era prigioniero del peccato, ha portato la redenzione all’intera umanità» (Catechesis Illuminandorum XIII,1: de Christo crucifixo et sepulto: PG 33, 772 B) [Papa Benedetto]
The discovery of the Kingdom of God can happen suddenly like the farmer who, ploughing, finds an unexpected treasure; or after a long search, like the pearl merchant who eventually finds the most precious pearl, so long dreamt of (Pope Francis)
La scoperta del Regno di Dio può avvenire improvvisamente come per il contadino che arando, trova il tesoro insperato; oppure dopo lunga ricerca, come per il mercante di perle, che finalmente trova la perla preziosissima da tempo sognata (Papa Francesco)
In the New Testament, it is Christ who constitutes the full manifestation of God's light [Pope Benedict]
Nel Nuovo Testamento è Cristo a costituire la piena manifestazione della luce di Dio [Papa Benedetto]
Today’s Gospel reminds us that faith in the Lord and in his Word does not open a way for us where everything is easy and calm; it does not rescue us from life’s storms. Faith gives us the assurance of a Presence (Pope Francis)
Il Vangelo di oggi ci ricorda che la fede nel Signore e nella sua parola non ci apre un cammino dove tutto è facile e tranquillo; non ci sottrae alle tempeste della vita. La fede ci dà la sicurezza di una Presenza (Papa Francesco)
Dear friends, “in the Eucharist Jesus also makes us witnesses of God’s compassion towards all our brothers and sisters. The Eucharistic mystery thus gives rise to a service of charity towards neighbour” (Post-Synodal Apostolic Exhortation Sacramentum Caritatis, 88) [Pope Benedict]
Cari amici, “nell’Eucaristia Gesù fa di noi testimoni della compassione di Dio per ogni fratello e sorella. Nasce così intorno al Mistero eucaristico il servizio della carità nei confronti del prossimo” (Esort. ap. postsin. Sacramentum caritatis, 88) [Papa Benedetto]
The fool in the Bible, the one who does not want to learn from the experience of visible things, that nothing lasts for ever but that all things pass away, youth and physical strength, amenities and important roles. Making one's life depend on such an ephemeral reality is therefore foolishness (Pope Benedict)
L’uomo stolto nella Bibbia è colui che non vuole rendersi conto, dall’esperienza delle cose visibili, che nulla dura per sempre, ma tutto passa: la giovinezza come la forza fisica, le comodità come i ruoli di potere. Far dipendere la propria vita da realtà così passeggere è, dunque, stoltezza (Papa Benedetto)
We see this great figure, this force in the Passion, in resistance to the powerful. We wonder: what gave birth to this life, to this interiority so strong, so upright, so consistent, spent so totally for God in preparing the way for Jesus? The answer is simple: it was born from the relationship with God (Pope Benedict)

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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