don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Nell’odierna pagina evangelica (cfr Mt 22,34-40), un dottore della Legge domanda a Gesù quale sia «il grande comandamento» (v. 36), cioè il comandamento principale di tutta la Legge divina. Gesù risponde semplicemente: «“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”» (v. 37). E subito aggiunge: «Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”» (v. 39).

La risposta di Gesù riprende e unisce due precetti fondamentali, che Dio ha dato al suo popolo mediante Mosè (cfr Dt 6,5; Lv 19,18). E così supera il trabocchetto che gli è stato teso «per metterlo alla prova» (v. 35). Il suo interlocutore, infatti, cerca di trascinarlo nella disputa tra gli esperti della Legge sulla gerarchia delle prescrizioni. Ma Gesù stabilisce due cardini essenziali per i credenti di tutti i tempi, due cardini essenziali della nostra vita. Il primo è che la vita morale e religiosa non può ridursi a un’obbedienza ansiosa e forzata. C’è gente che cerca di compiere i comandamenti in modo ansioso o forzato, e Gesù ci fa capire che la vita morale e religiosa non può ridursi a un’obbedienza ansiosa e forzata, ma deve avere come principio l’amore. Il secondo cardine è che l’amore deve tendere insieme e inseparabilmente verso Dio e verso il prossimo. Questa è una delle principali novità dell’insegnamento di Gesù e ci fa capire che non è vero amore di Dio quello che non si esprime nell’amore del prossimo; e, allo stesso modo, non è vero amore del prossimo quello che non attinge dalla relazione con Dio.

Gesù conclude la sua risposta con queste parole: «Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti» (v. 40). Ciò significa che tutti i precetti che il Signore ha dato al suo popolo devono essere messi in rapporto con l’amore di Dio e del prossimo. Infatti, tutti i comandamenti servono ad attuare, ad esprimere quel duplice indivisibile amore. L’amore per Dio si esprime soprattutto nella preghiera, in particolare nell’adorazione. Noi trascuriamo tanto l’adorazione a Dio. Facciamo la preghiera di ringraziamento, la supplica per chiedere qualche cosa…, ma trascuriamo l’adorazione. È adorare Dio proprio il nocciolo della preghiera. E l’amore per il prossimo, che si chiama anche carità fraterna, è fatto di vicinanza, di ascolto, di condivisione, di cura per l’altro. E tante volte noi tralasciamo di ascoltare l’altro perché è noioso o perché mi toglie del tempo, o di portarlo, accompagnarlo nei suoi dolori, nelle sue prove… Ma troviamo sempre il tempo per chiacchierare, sempre! Non abbiamo tempo per consolare gli afflitti, ma tanto tempo per chiacchierare. State attenti! Scrive l’apostolo Giovanni: «Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1 Gv 4,20). Così si vede l’unità di questi due comandamenti.

Nel Vangelo di oggi, ancora una volta, Gesù ci aiuta ad andare alla sorgente viva e zampillante dell’Amore. E tale sorgente è Dio stesso, da amare totalmente in una comunione che niente e nessuno può spezzare. Comunione che è dono da invocare ogni giorno, ma anche impegno personale perché la nostra vita non si lasci schiavizzare dagli idoli del mondo. E la verifica del nostro cammino di conversione e di santità è sempre nell’amore del prossimo. Questa è la verifica: se io dico “amo Dio” e non amo il prossimo, non va. La verifica che io amo Dio è che amo il prossimo. Finché ci sarà un fratello o una sorella a cui chiudiamo il nostro cuore, saremo ancora lontani dall’essere discepoli come Gesù ci chiede. Ma la sua divina misericordia non ci permette di scoraggiarci, anzi ci chiama a ricominciare ogni giorno per vivere coerentemente il Vangelo.

L’intercessione di Maria Santissima ci apra il cuore per accogliere il “grande comandamento”, il duplice comandamento dell’amore, che riassume tutta la legge di Dio e da cui dipende la nostra salvezza.

[Papa Francesco, Angelus 25 ottobre 2020]

Mercoledì, 13 Agosto 2025 05:26

La Festa, la Veste

Tutti chiamati, ma con quale corredo? Senza artifizi

(Mt 22,1-14)

 

La «veste di nozze» (vv.11-12) è figura dell’essenziale - l’imprescindibile senz’ammennicoli di ricercatezza.

Il Regno di Dio annunciato da Gesù non ammette noncuranze personali e civili [cf. Mt 21]. E il Banchetto predicato dal Maestro non è un Giardino di Eden per un futuro nell’aldilà, bensì un filo diretto.

La sua Mensa imbandita è la nuova condizione in cui viene introdotta la persona che si fida della sua proposta.

Ma c’è chi si sente sazio, perché ritiene di possedere già quanto basta per una vita senza troppi problemi.

Era la situazione delle autorità, soddisfatte della sovrabbondante struttura religiosa, la quale sembrava offrisse una giusta sicurezza sociale, e certezza anche davanti a Dio.

Tutti sono chiamati (v.14) al Banchetto, tuttavia qualcuno non ha mantenuto il vestitino bianco del Battesimo in Cristo. Ha totalmente cambiato corredo, e si presenta con gli stracci della vita antica.

Gesù riprende a parlare con i leaders e li affronta senza mezze misure, perché non paragona il Regno del Padre a un’assemblea solenne, bensì a una festa nuziale!

Nella franchezza semplice, popolare, immediata e gioconda di uno sposalizio c’è una realtà umana caratterizzante la condizione divina: la Gioia spontanea delle relazioni franche, a tu per tu.

La proposta di novità festante viene però rifiutata. Gli autosufficienti ed esperti venerano un altro padrone: l’interesse. 

L’opportunismo non può essere ingrediente del Sacro: il tornaconto ripiega le persone su di sé, chiude lo sguardo, rende unilaterali, cupi.

E i calcoli spregevoli portano il popolo a distruzione (v.7).

Lo sfondo della parabola è l’attrito fra giudei e pagani convertiti.

Considerandosi prescelti - «eletti» (v.14) - i primi si rifiutavano di spezzare il Pane, condividere, mettersi alla pari coi secondi.

Interessante invece che proprio i servitori fedeli, spingi spingi, si distinguessero a rovescio: in qualsiasi circostanza restavano disposti a entrare “ultimi” al Banchetto.

Insomma, lo spazio aperto dall’auto-esclusione del popolo chiamato per primo non sarebbe riuscita a mettere la parola “fine” agli sforzi di coloro che da sempre lottano per la vita e l'autenticità.

Gli alberi fruttiferi non amano prevaricare. Rischiano e occupano solo l’ultimo posto; per stare vicini agli incerti, e incoraggiarli. 

Quindi al v.9 Mt invita ad andare agli «sbocchi delle vie» [testo greco] ossia nelle periferie esistenziali dove la vita non è scontata, ma pulsa sempre nuova. Lì dove non si può essere indifferenti.

Il termine greco indica la fine delle strade urbane (rassicuranti) e l’inizio dei sentieri poco curati e rischiosi.

Nella mentalità semitica, erano il confine del territorio puro e la soglia dei luoghi precari, contaminati.

Non solo: l’offerta d’amore di Dio raduna per primi i “cattivi” [«malvagi»: v.10 testo greco] per sottolineare che il Cielo non è a punti’.

Esso è a disposizione dei bisognosi, di chi si riconosce tale.

Però tutti possono essere malvestiti fuori, non dentro: ossia vigili al fratello e diligenti. Siamo chiamati ad abbandonare trascuratezze e noncuranze.

Per Fede che ci incorpora senza condizioni allo Sposo, l’abito pulito e fastoso è sempre messo a disposizione dal Padrone di Casa.

Ma indossarlo è frutto di una scelta consapevole, fatta propria: voler «partorire un mondo nuovo, dove tutti siamo fratelli, dove ci sia posto per ogni scartato» [Fratelli Tutti, n. 278].

Il popolo di Dio non può vivere in un mondo parallelo, scollegato e doppio - come se l’unico Dio adorato fosse ‘marketing e convenienza’.

 

 

[Giovedì 20.a sett. T.O.  21 agosto 2025]

Mercoledì, 13 Agosto 2025 05:22

La Festa, la Veste

Tutti chiamati, ma con quale corredo? Senza artifizi

Mt 22,1-14 (1-21)

 

La «veste di nozze» (vv.11-12) è figura dell’essenziale - l’imprescindibile anche precario, senz’ammennicoli di ricercatezza.

«“Ognuno di voi, dunque, che nella Chiesa ha fede in Dio ha già preso parte al banchetto di nozze, ma non può dire di avere la veste nuziale se non custodisce la grazia della Carità” (Homilia 38,9: PL 76,1287). E questa veste è intessuta simbolicamente di due legni, uno in alto e l’altro in basso: l’amore di Dio e l’amore del prossimo (cfr ibid.,10: PL 76,1288)» (Gregorio Magno; Papa Benedetto, 9 ottobre 2011).

 

Il Regno di Dio annunciato da Gesù è diverso da quello immaginato dai rabbini, la cui dottrina poteva ammettere noncuranze personali e civili [es: venditori nel tempio, fico sterile, obiezione sull’autorità, vignaioli omicidi, così via: Mt 21].

Il Banchetto predicato dal Maestro non è un Giardino di Eden allestito per un futuro nell’aldilà, che intanto - sebbene a sprazzi - possa sopportare l’inautenticità. Bensì un filo diretto.

La sua Mensa imbandita è la nuova condizione in cui viene introdotta la persona che si fida della sua proposta di condivisione.

C’è chi si sente sazio, perché ritiene di possedere già quanto basta per una vita senza troppi problemi - e allora si adatta a qualsiasi occasione, perfino meschina.

Era la situazione delle autorità, soddisfatte della sovrabbondante struttura religiosa, la quale sembrava offrisse una giusta sicurezza sociale, e certezza anche davanti a Dio.

Invece (come dire): non basta avere il proprio nome trascritto nei registri parrocchiali, e poi presentarsi con gli stracci della vita antica.

 

Oggi la rinascita dalla crisi globale chiama a opzioni fondamentali, a cambiare radicalmente mentalità e realtà.

Bisogna davvero rinnovare il ‘vestiario’, ossia impostare le scelte su nuovi valori. 

È opportuno ridiventare plastici, rimodellarci sulla Persona del Cristo,  non rifiutare i mutamenti che stimolano - sino a costruire un comune progetto di vita, e riedificare il mondo attorno.

Tutti sono chiamati (v.14), però qualcuno non ha mantenuto il vestitino bianco del Battesimo. Ha totalmente cambiato corredo, purtroppo - malgrado in alcuni casi presieda e difenda l’istituzione.

Gesù riprende a parlare con i leaders e li offende senza mezze misure, perché non paragona il Regno del Padre a un’assemblea liturgica delle loro, quelle ben allestite, di grandi autorità, piena di artifici… bensì a una festa nuziale, senza sacri stendardi!

In quella semplicità festosa, nella franchezza immediata e gioconda di uno sposalizio c’è una realtà umana caratterizzante la condizione divina: la Gioia spontanea delle relazioni franche, a tu per tu - ormai smarrita nei formalismi della religione assuefatta.

La proposta di novità festante viene però rifiutata. Gli autosufficienti ed esperti (che la sanno lunga) venerano un altro padrone: l’interesse.

L’opportunismo non può essere ingrediente del Sacro: il tornaconto ripiega le persone su di sé, chiude lo sguardo, rende unilaterali e cupi.

Consegna la Chiesa alle cordate.

Gesù si accorge: tutto quello che gli astuti e affezionati di messinscene facevano era funzione del loro utile. Infatti pensavano il Regno in modo elettivo, già selezionato [e commerciale, solito].

Come per gli operai dell’ultima ora [Mt 20,1-16] unica moneta per tutti è Cristo stesso. Ma ai veterani che si considerano primi della classe per diritto, la felicità delle persone non interessa.

Quindi il destino dei Profeti non era altro che l’esito disattento di calcoli spregevoli [in Luca 14,18-20 “normalissimi” doveri quotidiani] i quali però stavano portando il popolo a distruzione (v.7).

 

Lo sfondo della parabola è l’attrito fra giudei convertiti e pagani convertiti.

Considerandosi prescelti - “eletti” (v.14) - i primi si rifiutavano di spezzare il Pane, condividere e mettersi alla pari coi secondi.

Interessante invece che proprio i servitori fedeli, spingi spingi, si distinguessero a rovescio: già li si riconosceva perché in qualsiasi circostanza restavano disposti a entrare “ultimi” al Banchetto.

Insomma, lo spazio aperto dall’auto-esclusione del popolo chiamato per primo non sarebbe riuscita a mettere la parola “fine” agli sforzi di coloro che da sempre lottano per la vita e l'autenticità.

Gli alberi fruttiferi - sostiene Gesù, e lo vediamo anche oggi ovunque - non amano prevaricare: preferiscono produrre, senza rivendicazioni opportuniste, né invidie.

Rischiano, e occupano solo l’ultimo posto; per stare vicini agli incerti, e incoraggiarli. 

Quindi al v.9 Mt non parla di andare nei crocicchi [traduzione CEI] bensì agli sbocchi delle vie [testo greco].

Papa Francesco direbbe: nelle periferie esistenziali, dove la vita non è scontata, ma pulsa sempre nuova. Lì dove non si può essere indifferenti.

Il termine greco indica la fine delle strade urbane (rassicuranti) e l’inizio dei sentieri poco curati e rischiosi.

Nella mentalità semitica, erano il confine del territorio puro e la soglia dei luoghi precari, contaminati.

Non solo: l’offerta d’amore di Dio raduna per primi i “cattivi” [«malvagi»: v.10 testo greco] per sottolineare che il Cielo non è a punti’.

Esso è a disposizione dei bisognosi, di chi si riconosce tale.

 

Però tutti possono essere malvestiti fuori, non dentro: ossia vigili al fratello e diligenti.

Siamo chiamati ad abbandonare trascuratezze e noncuranze.

Per non creare confusione sul Volto di Dio e non rovinare la vita dei più motivati, all’interno della Chiesa è necessario un cambiamento di mentalità.

Una decisa sostituzione di princìpi e convenienze, rovesciando ogni ideologia piramidale, di tornaconto e di potere.

Per Fede che ci incorpora senza condizioni allo Sposo, l’abito pulito e fastoso è sempre messo a disposizione dal Padrone di Casa.

Ma indossarlo è frutto di una scelta consapevole, fatta propria: voler «partorire un mondo nuovo, dove tutti siamo fratelli, dove ci sia posto per ogni scartato» [Fratelli Tutti, n. 278].

Ovvero continueremo a subire il viaggio nel mondo parallelo - talora anche comunitario - dove tutto è scollegato e doppio: esito di pessimi indottrinamenti, corrotte opzioni e diaboliche ragioni.

Come se l’unico Dio adorato fosse ‘marketing e convenienza’.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Cosa ritieni diabolico e immagini possa allontanarti dalla via spirituale?Pensi a Dio in modo serioso o lo associ alla gioia di una festa di nozze?

 

 

Restituire a Dio l’immagine dell’umanità vera. Quale Sigla?

 

(Mt 22,15-21)

 

Dopo la cacciata dei venditori dal Tempio, l’obiezione sull’autorità  e le parabole dei due figli, dei vignaioli omicidi, del banchetto rifiutato (riferite tutte all’élite), ecco un altro scontro fra Gesù e i leaders politici e religiosi - questi ultimi piazzati dietro le quinte.

Gesù (nei suoi) smantella sistematicamente le trappole allestite da direttori e soliti esperti.

Con sperimentata doppiezza, essi si accostano a Lui cercando di accarezzarne l’amor proprio (v.16: situazioni che capitano spesso anche ai testimoni critici).

L’interesse dei furbi si scontra però con l'attenzione del Cristo, tutto proteso al bene reale delle persone e al rispetto dell’intelligenza delle cose - non alla smania di approvazioni o all’opportunismo.

Proprio nel Tempio (Mt 21,23) - l’eminente Dimora del Dio unico Signore - questi gendarmi provocano il nuovo Rabbi sul pagamento delle tasse ai romani (22,17).

Sappiamo cosa c’era in ballo: l’accusa di non essere un profeta secondo il Diritto divino, o (viceversa) quella di collaborazionismo con gli occupanti.

Il Maestro non si lascia ingannare dall’ostentazione di vicinanza al Dio d’Israele - falsa perché cercata all’esterno - e li gioca facilmente.

Nel Tempio di Gerusalemme era vietato portare monete romane, che raffiguravano profili e insegne imperiali (contrarie al Comandamento “Non ti farai immagine alcuna”).

Egli però le chiede, perché effettivamente non ne aveva. Ma proprio i paludati gliene porgono una... La scena rasenta il ridicolo.

Traendo la moneta vietata dal sacchetto celato sotto il mantello, proprio i dirigenti palesano il loro vero Dio: l’interesse (ben nascosto sotto maniere devotissime e ostentate, che fanno solo da paravento).

Cristo invita a non lasciarci lusingare dalla doppiezza ostentata delle insegne: quel che conta è non ingannare la gente usando forme pie come maschera da teatranti (v.18 testo greco).

I fanatici della purezza vivono solo l’angolo epidermico; e ad esso si affidano: non di rado nascondono bene le medesime passioni materiali che disdegnano. Con Cristo non funziona.

Ciascuno è chiamato a restituire al suo vero signore l’immagine e somiglianza indelebile che vi è stata incisa. Dunque la moneta venga data indietro al suo padrone.

La donna e l’uomo - creature in cui è impressa l’immagine e somiglianza di Dio - restituiscano se stessi in autenticità, al Creatore (v.21) che dimora nella loro essenza di persone.

L'umanità è siglata da ben altra appartenenza intima e naturale, che quelle di comodo.

 

 

Eucaristia, gratuità e sconosciuti: inaudito o marketing

(Lc 14,15-24)

 

Gesù non paragona il Regno del Padre a un’assemblea solenne, bensì a una grande Cena!

La proposta di novità festante viene però rifiutata. Gli autosufficienti ed esperti hanno altri impegni e interessi…

Dopo la distruzione del Tempio, il governo delle sinagoghe fu assunto dai farisei, salvatisi dal disastro perché il loro tradizionalismo non aveva esplicite venature politico-nazionaliste.

Ritenevano infatti che l’attesa del Messia non aveva nulla a che fare con la lotta contro Roma; in questo sembravano in sintonia coi cristiani.

Ma di continuo esigevano nei seguaci il rigido compimento delle norme che identificavano la religione giudaica tradizionale.

Dopo l’anno 70 tale pretesa li condusse a una sempre più ossessiva condanna dei giudei convertiti al Signore Gesù - e a fine secolo alla cacciata dalle sinagoghe.

I leaders religiosi fondamentalisti finirono quindi per emarginare anche socialmente i fedeli al più giovane Messia, rei di trascurare le distinzioni fra costumanze d’Israele e quelle di altri popoli.

Nelle comunità di Lc la situazione era meno lacerante, ma ugualmente viva.

I convertiti alla fede in Cristo provenivano in buona parte dal paganesimo, che nonostante diversità di bagaglio culturale e ceto, vivevano qua e là [senza quelle tare ideologiche puriste] l’ideale della condivisione e della comunione anche dei beni.

L’invito a prendere parte alla Festa è stato inizialmente rivolto ai figli d’Israele, che ancora paragonavano i tempi messianici a un grande Banchetto, caratterizzato da gratitudine e fraternità (interna).

Ma le difficoltà ad allargare i criteri di comunione venivano appunto dai convertiti dal giudaismo, che per lunga pratica conservavano l’usanza di non condividere il cibo coi lontani; così lo spezzare del Pane eucaristico.

Nell’ambito delle loro usanze e delle norme sacrali attestate nella Torah (Dt 20,5-7) il comportamento di coloro che rifiutano l’invito della parabola del Banchetto (vv.18-20) era legittimo dal punto di vista del diritto riconosciuto - non dell’amicizia.

È per accentuare il senso del gesto che il padrone della festa ordina ai servitori di raccogliere proprio coloro che erano socialmente esclusi dalla religione antica, perché considerati impuri: i pagani. Aperti all’attesa.

Cristo continua a tracciare una linea divisoria tra chi propugna un ordine e ideali intoccabili sopra la realtà umana, e coloro che essendo in periferia sono sempre ben disposti a partecipare alla Festa.

Non sono i “tutti preoccupati del rito”, delle maniere, dell’apparire; ma della vita che spargono.

Questi ultimi non si lasciano condizionare da privilegi, loro cose, e leggi: danno senza tenere conti a partita doppia, accettano con prontezza naturale; si rallegrano della realtà e non della distinzione fra sacro e profano. Non pensano di avere già la risposta, e non finiscono con l’esserne schiavi.

L’insegnamento di Gesù invita a non limitare gli affetti e non lasciarsi ingombrare il cuore dalle consuetudini, dalla mentalità particolare o corrente, da blocchi legalisti - o dalle ‘tante cose’.

Nell’assemblea dei figli non sono i ben provveduti [persone serie, piene d’impegni, che non hanno tempo da perdere, con troppi beni e inviti da gestire] ma la gente dappoco... che passa in primo piano... malgrado le scarse attitudini.

Tutto ciò, perché caratteristica dei Piccoli e pitocchi è la disponibilità a valicare steccati: ciò che rende atti a cogliere la convocazione di Dio.

I lontani - benché alle strette - riempiono la casa del Padre.

In società il povero è uno dei tanti, ma l’invito a Mensa gli trasmette il senso dei valori che non soffocano la vita di meschinità, e legami; anzi, l’indigente ha spesso una migliore comprensione delle cose divino-umane.

Questa sempre più cosciente rassomiglianza al Figlio di Dio si accentua nello stento dei mezzi “adeguati”: penuria che rende veri, che induce altri a riflettere - restando poco eclatanti, incapaci di fare fulmini.

Tale consapevolezza intima, luminosa, trasfigurante, impallidisce e si spegne nel vortice dei legalismi, delle convenzioni culturali.

Sembra attenuarsi nel moltiplicare vertiginoso delle attività - esse che non riformano: ci rendono esterni e condizionati dai vantaggi della sicurezza mondano-sacrale, purtroppo monopolista.

Un banchetto obbligatorio non sarebbe un Banchetto... certamente non è una Festa, un Dono da curare - confuso con vantaggi o perfezioni [pessima interpretazione dei circoli osservanti cocciuti].

Per questo motivo molti preferiscono il loro purgatorio particolare al Cielo sulla terra che il Padre offre.

La nostra solidarietà non è un fatto di simpatia, interessi comuni e spirito di corpo, bensì il risultato di una Chiamata estesa, di un’unica Vita potente che circola in tutti, rispettandone libertà e realtà - nonché le fasi di mutamento.

Parafrasando l'enciclica Fratelli Tutti (nn.13-15, passim) secondo il passo di Lc bisogna rimanere attenti a non impoverire la vita di Fede, trasformandola in un distaccato impegno alla «colonizzazione culturale».

Se così fosse, anche l’orizzonte universale-cattolico d’una convivialità delle differenze si dissolverebbe in un invito troppo normalizzato, assolutamente prevedibile, infine desertico.

Il rifiuto ingessato o interessato al Banchetto recherebbe con sé - come sotto i nostri occhi - l’«ulteriore disgregazione» del «pensiero critico», dell’azione «per la giustizia», dei suoi «percorsi d’integrazione».

Anche la società ecclesiale può infatti correre il rischio di «alterare le grandi parole», «rischiare d’impoverirsi»; quindi «ridursi alla prepotenza del più forte» e alle «ricette solo effimere di marketing, che trovano nella distruzione dell’altro la risorsa più efficace».

Ma il popolo di Dio non può vivere in un mondo parallelo, scollegato e doppio - come se l’unico Eterno adorato fosse un coacervo di astuzie, marketing e convenienza.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Cosa trasmette l’Eucaristia nella tua realtà ecclesiale o di gruppo? Che invito particolare e speciale comunica?

Mercoledì, 13 Agosto 2025 05:18

La veste nuziale o al primo posto gli interessi

Gesù nel Vangelo ci parla della risposta che viene data all’invito di Dio - rappresentato da un re - a partecipare a questo suo banchetto (cfr Mt 22,1-14). Gli invitati sono molti, ma avviene qualcosa di inaspettato: si rifiutano di partecipare alla festa, hanno altro da fare; anzi alcuni mostrano di disprezzare l’invito. Dio è generoso verso di noi, ci offre la sua amicizia, i suoi doni, la sua gioia, ma spesso noi non accogliamo le sue parole, mostriamo più interesse per altre cose, mettiamo al primo posto le nostre preoccupazioni materiali, i nostri interessi. L’invito del re incontra addirittura reazioni ostili, aggressive. Ma ciò non frena la sua generosità. Egli non si scoraggia, e manda i suoi servi ad invitare molte altre persone. Il rifiuto dei primi invitati ha come effetto l’estensione dell’invito a tutti, anche ai più poveri, abbandonati e diseredati. I servi radunano tutti quelli che trovano, e la sala si riempie: la bontà del re non ha confini e a tutti è data la possibilità di rispondere alla sua chiamata. Ma c’è una condizione per restare a questo banchetto di nozze: indossare l’abito nuziale. Ed entrando nella sala, il re scorge qualcuno che non l’ha voluto indossare e, per questa ragione, viene escluso dalla festa. Vorrei fermarmi un momento su questo punto con una domanda: come mai questo commensale ha accettato l’invito del re, è entrato nella sala del banchetto, gli è stata aperta la porta, ma non ha messo l’abito nuziale? Cos’è quest’abito nuziale? Nella Messa in Coena Domini di quest’anno ho fatto riferimento a un bel commento di san Gregorio Magno a questa parabola. Egli spiega che quel commensale ha risposto all’invito di Dio a partecipare al suo banchetto, ha, in un certo modo, la fede che gli ha aperto la porta della sala, ma gli manca qualcosa di essenziale: la veste nuziale, che è la carità, l’amore. E san Gregorio aggiunge: “Ognuno di voi, dunque, che nella Chiesa ha fede in Dio ha già preso parte al banchetto di nozze, ma non può dire di avere la veste nuziale se non custodisce la grazia della Carità” (Homilia 38,9: PL 76,1287). E questa veste è intessuta simbolicamente di due legni, uno in alto e l’altro in basso: l’amore di Dio e l’amore del prossimo (cfr ibid.,10: PL 76,1288). Tutti noi siamo invitati ad essere commensali del Signore, ad entrare con la fede al suo banchetto, ma dobbiamo indossare e custodire l’abito nuziale, la carità, vivere un profondo amore a Dio e al prossimo.

[Papa Benedetto, omelia a Lamezia Terme 9 ottobre 2011]

Mercoledì, 13 Agosto 2025 05:14

Riferimento all’Eucaristia

2. Dice Gesù: “Il regno dei cieli è simile a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio” (Mt 22, 2). La parabola del banchetto nuziale presenta il Regno di Dio come un’iniziativa regale - e dunque sovrana - di Dio stesso. Essa include anche il tema dell’amore, e precisamente dell’amore sponsale: il figlio per il quale il padre prepara il banchetto di nozze è lo sposo.

Anche se in questa parabola non viene chiamata per nome la sposa, le circostanze indicano la sua presenza, e lasciano capire bene chi è. Ciò apparirà chiaramente in altri testi del Nuovo Testamento, che identificano la Chiesa con la Sposa (Gv 3, 29; Ap 21, 9; 2 Cor 11, 2; Ef 5, 23-27.29).

3. Invece nella parabola è contenuta chiaramente l’indicazione dello Sposo, che è il Cristo, il quale attua l’Alleanza nuova del Padre con l’umanità. Questa è un’alleanza d’amore, e il Regno stesso di Dio appare come una comunione (comunità d’amore), che il Figlio attua per volere del Padre. Il “banchetto” è l’espressione di questa comunione. Nel contesto dell’economia della salvezza descritta dal Vangelo, non è difficile scorgere in questo banchetto nuziale in riferimento all’Eucaristia: il sacramento della nuova ed eterna Alleanza, il sacramento delle nozze sponsali di Cristo con l’umanità nella Chiesa.

4. Anche se la Chiesa come Sposa non è nominata nella parabola, si trovano nel contesto di questa altri elementi che richiamano ciò che il Vangelo ci dice sulla Chiesa come Regno di Dio. Così l’universalità dell’invito divino: “Il Re dice ai suoi servi: “Tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”” (Mt 22, 9).

Tra gli invitati al banchetto nuziale del Figlio mancano quelli scelti per primi: quelli che dovevano essere ospiti secondo la tradizione dell’antica Alleanza. Questi si rifiutano di andare al banchetto della nuova Alleanza, adducendo diversi pretesti. Allora Gesù fa dire al Re, padrone di casa: “Molti sono chiamati, ma pochi eletti” (Mt 22, 14). Al loro posto l’invito viene rivolto a molti altri, che affollano la sala del banchetto. Il particolare fa pensare a quell’altra parola ammonitrice che aveva pronunciato Gesù: “Ora vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e sederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori” (Mt 8, 11-12). Qui si vede bene come l’invito diventa universale: Dio intende stringere la nuova Alleanza nel suo Figlio non più con il solo popolo eletto, ma con l’intera umanità.

5. Il seguito della parabola indica che la partecipazione definitiva al banchetto nuziale è legata a certe condizioni essenziali. Non basta essere entrati nella Chiesa per essere sicuri della salvezza eterna: “Amico, come hai potuto entrare qui senza abito nuziale?” (Mt 22, 12), domanda il Re ad uno degli invitati. La parabola, che a questo punto sembra passare dal problema del rifiuto storico della elezione da parte del popolo d’Israele al comportamento individuale di chiunque sia chiamato e sul giudizio che su di lui sarà pronunciato, non precisa il significato di quell’“abito”. Ma si può dire che la spiegazione si trova nell’insieme dell’insegnamento di Cristo. Il Vangelo, in particolare il discorso della montagna, parla del comandamento dell’amore, che è il principio della vita divina e della perfezione sul modello del Padre: “Siate . . . perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5, 48). Si tratta di quel “comandamento nuovo”, che, come insegna Gesù, consiste in questo: “Come io vi ho amato così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13, 34). Sembra dunque si possa concludere che l’“abito nuziale”, come condizione per partecipare al banchetto, è proprio quest’amore.

Il che viene confermato da un’altra grande parabola, riguardante il giudizio finale, e quindi di carattere escatologico. Soltanto coloro che attuano il comandamento dell’amore nelle opere di misericordia spirituale e corporale verso il prossimo possono prendere parte al banchetto del Regno di Dio: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo” (Mt 25, 34).

[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 18 settembre 1991]

Mercoledì, 13 Agosto 2025 05:04

Desidera donare i tesori, e rilancia ai precari

Con il racconto della parabola del banchetto nuziale, dell’odierna pagina evangelica (cfr Mt 22,1-14), Gesù delinea il progetto che Dio ha pensato per l’umanità. Il re che «fece una festa di nozze per suo figlio» (v. 2), è immagine del Padre che ha predisposto per tutta la famiglia umana una meravigliosa festa di amore e di comunione intorno al suo Figlio unigenito. Per ben due volte il re manda i suoi servi a chiamare gli invitati ma questi rifiutano, non vogliono andare alla festa perché hanno altro a cui pensare: campi e gli affari. Tante volte anche noi anteponiamo i nostri interessi e le cose materiali al Signore che ci chiama – e ci chiama a una festa. Ma il re della parabola non vuole che la sala resti vuota, perché desidera donare i tesori del suo regno. Allora dice ai servi: «Andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli» (v. 9). Così si comporta Dio: quando è rifiutato, invece di arrendersi, rilancia e invita a chiamare tutti quelli che si trovano ai crocicchi delle strade, senza escludere nessuno. Nessuno è escluso dalla casa di Dio.

Il termine originale che utilizza l’evangelista Matteo fa riferimento ai limiti delle strade, ossia quei punti in cui le strade di città terminano e iniziano i sentieri che conducono alla zona di campagna, fuori dall’abitato, dove la vita è precaria. È a questa umanità dei crocicchi che il re della parabola invia i suoi servi, nella certezza di trovare gente disposta a sedersi a mensa. Così la sala del banchetto si riempie di “esclusi”, quelli che sono “fuori”, di coloro che non erano mai sembrati degni di partecipare a una festa, a un banchetto nuziale. Anzi: il padrone, il re, dice ai messaggeri: “Chiamate tutti, buoni e cattivi. Tutti!”. Dio chiama pure i cattivi. “No, io sono cattivo, ne ho fatte tante …”. Ti chiama: “Vieni, vieni, vieni!”. E Gesù andava a pranzo con i pubblicani, che erano i peccatori pubblici, erano i cattivi. Dio non ha paura della nostra anima ferita da tante cattiverie, perché ci ama, ci invita. E la Chiesa è chiamata a raggiungere i crocicchi odierni, cioè le periferie geografiche ed esistenziali dell’umanità, quei luoghi ai margini, quelle situazioni in cui si trovano accampati e vivono brandelli di umanità senza speranza. Si tratta di non adagiarsi sui comodi e abituali modi di evangelizzazione e di testimonianza della carità, ma di aprire le porte del nostro cuore e delle nostre comunità a tutti, perché il Vangelo non è riservato a pochi eletti. Anche quanti stanno ai margini, perfino coloro che sono respinti e disprezzati dalla società, sono considerati da Dio degni del suo amore. Per tutti Egli apparecchia il suo banchetto: giusti e peccatori, buoni e cattivi, intelligenti e incolti. Ieri sera, sono riuscito a fare una telefonata a un anziano prete italiano, missionario dalla gioventù in Brasile, ma sempre lavorando con gli esclusi, con i poveri. E vive quella vecchiaia in pace: ha bruciato la sua vita con i poveri. Questa è la nostra Madre Chiesa, questo è il messaggero di Dio che va agli incroci dei cammini.

Tuttavia, il Signore pone una condizione: indossare l’abito nuziale. E torniamo alla parabola. Quando la sala è piena, arriva il re e saluta gli invitati dell’ultima ora, ma vede uno di loro senza l’abito nuziale, quella specie di mantellina che all’entrata ciascun invitato riceveva in dono. La gente andava come era vestita, come poteva essere vestita, non indossava abiti di gala. Ma all’entrata veniva loro data una specie di mantellina, un regalo. Quel tale, avendo rifiutato il dono gratuito, si è autoescluso: così il re non può fare altro che gettarlo fuori. Quest’uomo ha accolto l’invito, ma poi ha deciso che esso non significava nulla per lui: era una persona autosufficiente, non aveva alcun desiderio di cambiare o di lasciare che il Signore lo cambiasse. L’abito nuziale – questa mantellina – simboleggia la misericordia che Dio ci dona gratuitamente, cioè la grazia. Senza grazia non si può fare un passo avanti nella vita cristiana. Tutto è grazia. Non basta accettare l’invito a seguire il Signore, occorre essere disponibili a un cammino di conversione, che cambia il cuore. L’abito della misericordia, che Dio ci offre incessantemente, è un dono gratuito del suo amore, è proprio la grazia. E richiede di essere accolto con stupore e con gioia: “Grazie, Signore, per avermi dato questo dono”.

Maria Santissima ci aiuti a imitare i servi della parabola evangelica nell’uscire dai nostri schemi e dalle nostre vedute ristrette, annunciando a tutti che il Signore ci invita al suo banchetto, per offrirci la grazia che salva, per darci il suo dono.

[Papa Francesco, Angelus 11 ottobre 2020]

(Moneta unica e smart working: l’Amore)

(Mt 20,1-16)

 

Nell'atrio del tempio di Gerusalemme, il rampicante del portale era simbolo dei doni che il popolo era chiamato a presentare a Dio: accoglienza reciproca, comprensione, condivisione... per la felicità di tutti.

Ovvio che entrare all'inizio della giornata (ossia, della nostra esistenza) in questa logica dell'amore è meglio che entrare all'ultima ora.

Essere in comunione con Dio, stare nella sua Vigna e aver avuto la grazia di non perdere neppure un istante di vita senza la sua Presenza è un «portare il peso» o viceversa un piacere?

I credenti della prima ora si sentono profondamente offesi, perché sotto sotto identificano il “vantaggio” con ciò che si sono sempre negati.

Pensano il “godersi la vita” allo stesso modo dei pagani! Il lavoro è infatti... «sopportato» [v.12: notare il verbo!].

Ebbene, Dio non ha operai a stipendio: solo figli; nessun subalterno. E nessuno di noi è trascurabile per “inefficienza”.

Quello dei modelli è un effetto bloccante; legato a paragoni insignificanti.

Non in sincronia profonda con se stessi [vv.6-7].

 

Il Vangelo di Mt nasce da comunità siro-palestinesi, le quali iniziavano a fare esperienza di pagani e peccatori che accorrevano numerosi e stavano diventando maggioranza numerica.

L’atteggiamento dei forestieri che si presentavano alle porte delle comunità era molto più libero di quello dei veterani imbarazzati.

La nuova mentalità, sciolta da vincoli, provocava gelosie tra coloro che erano abituati a scrutare la vita altrui - quasi per dovere religioso.

In fondo, quella dei principianti e ‘meticci’ che volevano iniziare un cammino d’amore non era che un riflesso della fluidità sovrabbondante dei Doni divini.

‘Gratis’: comunicato senza diffidenze né esclusioni; non sulla base di meriti precedenti, bensì senza necessario contraccambio - e in forza del solo bisogno.

Pertanto, il brano di oggi resta un Richiamo forte.

L’importanza del lavoro induce il Padrone a non mandare il suo fattore (!) di cui sa purtroppo di non potersi fidare pienamente.

Egli stesso esce ripetutamente e non vuole interferenze dirigiste, nel chiamare personalmente gli operai.

Unico a capire: non è mai troppo tardi!

 

L’insegnamento è appunto per i responsabili di comunità, i quali spesso non si accollano l’onere di scomodarsi da casa alla continua ricerca di tutti, e adattarsi loro a persone e vicende.

Il Padre vuole invece una Famiglia (Vigna) che presenti al mondo il dolce e zuccherino frutto della Festa - unica cosa davvero importante, principio non negoziabile.

Così, ai sempre morbosi primi della classe il Signore continua a fare un “dispetto” assai educativo.

Già in vita devono scoprire che Egli non discrimina sulla base di percentuali redditizie esterne, o altrui stati mentali negativi.

“Paga” tutti senza riserve e con «moneta» unica: la sua Persona. Nessun pilota automatico è abilitato a turbare il nostro respiro.

Conta l’anima, non il curriculum o la prestazione.

 

 

[Mercoledì 20.a sett. T.O.  20 agosto 2025]

Martedì, 12 Agosto 2025 05:03

Portare il peso della giornata?

Non è mai troppo tardi (Moneta unica e smart working: l’Amore)

(Mt 20,1-16)

 

Nell'atrio del tempio di Gerusalemme, il rampicante del portale era simbolo dei doni che il popolo era chiamato a presentare a Dio: accoglienza reciproca, comprensione, condivisione... per la felicità di tutti.

Ovvio che entrare all'inizio della giornata (ossia, della nostra esistenza) in questa logica dell'amore è meglio che entrare all'ultima ora.

Invece: «Il tuo occhio è cattivo perché io sono buono?» [v.19 testo greco].

Ma essere in comunione con Dio, stare nella sua Vigna e aver avuto la grazia di non perdere neppure un istante di vita senza la sua Presenza è un «portare il peso» o viceversa un piacere?

Ma che domanda ingenua... certo, le questioni in ballo sono queste e sono profonde, ma anche altre. Allora chiediamoci: in ciò che facciamo, quanto conta il teatro esteriore? Così tanto?

I credenti della ‘prima ora’ si sentono profondamente offesi, perché sotto sotto identificano il “piacere” o il “vantaggio” con ciò che si sono sempre negati a forza. Forse per una questione di look sociale perbenista, o per malinteso senso di Dio; in ogni caso, artificiosamente.

Essi pensano il “godersi la vita” allo stesso modo dei pagani! Il lavoro è infatti... «sopportato» [v.12: notare il verbo!].

I loro sentimenti inespressi sono ugualmente poco pii... ma i primi della classe restano più abili di altri a sfruttare il paravento dell’appartenenza certificata da tempo, per mascherarsi dietro lo zelo di rinunce, opere, sudori, procedure, prescrizioni, esibizioni, e migliori performances.

Ebbene, Dio non ha operai a stipendio: solo figli; nessun subalterno. 

Nessuno di noi è trascurabile per “inefficienza” - sulla base della vecchia idea di appartenenza comprovata: il ritmo disumano, i volumi produttivi,  lo sforzo, il rendimento... gli straordinari extra...

 

Quello dei modelli è un effetto bloccante; legato a paragoni insignificanti, vita stressante, di corsa (e troppo impegnata) - tutto sotto influsso esterno.

Non in sincronia profonda con se stessi [vv.6-7: «”Perché state qui tutto il giorno inoperosi?”. Gli dicono: “Perché nessuno ci ha preso a giornata”. Dice loro: “Andate anche voi nella Vigna”»].

Al Padre interessa solo la Felicità personale e la Gioia dell’Amore: unico Frutto gustoso; non il mucchio di opere esterne, non il gran volume dei tanti e tanti “frutti” - spesso purtroppo immangiabili.

È l’esito del mondo nuovo, rovesciato.

Siamo tutti egualmente protagonisti e leaders, anche se a qualche habitué “interno” il nostro contributo appare frammentario, inefficiente - e ci valuta poco “coinvolti” (magari nei ‘costumi’); affatto “regolari” - con occhio torvo e presuntuoso.

La recente esperienza dello smart working durante la crisi sanitaria ha fatto emergere il peso specifico degli “ultimi arrivati”: persone meno legate alla produzione, meno estroverse e meno capaci di comando, ma forse più riflessive e profonde, più rispettose della preziosità del loro stesso lavoro; meno esteriori o esibizioniste, più collaborative.

Lo svantaggioso è diventato favorevole!

 

Il Vangelo di Mt nasce da comunità siro-palestinesi, le quali iniziavano a fare esperienza di pagani e peccatori che accorrevano numerosi e stavano diventando maggioranza numerica.

Tutto ciò, con grande scandalo sia degli ambienti farisaici che giudeo cristiani - i quali ora si mostravano avversari dei nuovi.

Insomma, i veterani iniziavano a comportarsi come fossero “farisei” di ritorno, legati alle opere di legge e all’antico bagaglio etnico-culturale.

Così il Maestro li tratta - perché si ostinavano a non ascoltare la marea di persone un tempo lontane, le quali ora porgevano novità. E [proprio loro, senza grande pratica di opere devote] aprivano ai reduci un cammino di Esodo, di Liberazione dalle convinzioni dei padri.

L’atteggiamento dei forestieri e “frammisti” che si presentavano alle porte delle fraternità era molto più libero e focoso di quello degli anziani di comunità, giudaizzanti.

La loro mentalità sciolta da vincoli iniziava a provocare gelosie tra coloro che - quasi per dovere religioso - erano abituati a scrutare la vita altrui con sospetto.

In fondo, quella dei principianti e “meticci” che volevano iniziare un cammino d’amore non era che un riflesso della fluidità sovrabbondante dei Doni divini.

‘Gratis’ comunicato senza diffidenze, né esclusioni: non sulla base di meriti precedenti, bensì gratuitamente e in forza del solo bisogno.

 

Possiamo sperimentare oggi dal vivo le identiche dinamiche di contrapposizione, fra nuovi consanguinei su base di Fede e i consuetudinari [più preoccupati dei loro posti fissi e posizioni di primato “faticosamente” conquistate].

Ma grazie alla Parola (v.15b) questi ultimi ormai li riconosciamo: dal giudizio e dalle maniere. Né mai vogliono lasciar andare un passato finito, o il loro “nuovo” mondo sofisticato d’ipotesi cerebrali alla moda.

Quando Dio “buono” li smaschera, mettendone in luce il pregiudizio, essi restano con l’occhio obliquo e cattivo del falso paternalismo.

Ma si tratta di uno sguardo maligno solo a fini intimidatori - per invidia e “lesa maestà”, non per educarci.

Così s’illudono di non farsi capire e continuare a sterilizzare o pilotare, ridicolizzando l’Amore [anche per toglierci dai piedi - onde evitare il pericolo di esser messi in ombra] per inettitudine, e dallo stesso svolgersi normale della vita.

Pertanto, il brano di oggi resta dopo tanti secoli, un Richiamo forte.

 

L’importanza del lavoro induce il Padrone a non mandare il suo fattore (!) di cui sa purtroppo di non potersi fidare pienamente.

Egli stesso esce ripetutamente e non vuole interferenze dirigiste, nel chiamare personalmente gli operai.

Unico a capire: non è mai troppo tardi!

L’insegnamento è appunto per i responsabili di comunità, i quali spesso non si accollano l’onere di scomodarsi da casa alla continua ricerca di tutti, e adattarsi loro a persone e vicende.

Il Padre vuole invece una Famiglia (Vigna) che presenti al mondo il dolce e zuccherino frutto della Festa - unica cosa davvero importante, principio non negoziabile.

Così, ai sempre morbosi primi della classe il Signore continua a fare un “dispetto” assai educativo.

Già in vita devono scoprire che Egli non discrimina sulla base di percentuali redditizie esterne, o altrui stati mentali negativi.

“Paga” tutti senza riserve e con «moneta» unica: la sua Persona. Nessun pilota automatico è abilitato a turbare il nostro respiro.

Conta l’anima, non il curriculum o la prestazione.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

In cosa ritieni incomprensibile la Volontà di Dio, o piuttosto la mentalità commerciale, cupa e squadrata (ricoperta di doveri, tristezza, fatica e dolore) dei suoi investigatori?

Cari fratelli e sorelle,

forse ricorderete che quando, nel giorno della mia elezione, mi rivolsi alla folla in Piazza San Pietro, mi venne spontaneo presentarmi come un operaio della vigna del Signore. Ebbene, nel Vangelo di oggi (cfr Mt 20,1-16a), Gesù racconta proprio la parabola del padrone della vigna che a diverse ore del giorno chiama operai a lavorare nella sua vigna. E alla sera dà a tutti la stessa paga, un denaro, suscitando la protesta di quelli della prima ora. E’ chiaro che quel denaro rappresenta la vita eterna, dono che Dio riserva a tutti. Anzi, proprio quelli che sono considerati "ultimi", se lo accettano, diventano "primi", mentre i "primi" possono rischiare di finire "ultimi". Un primo messaggio di questa parabola sta nel fatto stesso che il padrone non tollera, per così dire, la disoccupazione: vuole che tutti siano impegnati nella sua vigna. E in realtà l’essere chiamati è già la prima ricompensa: poter lavorare nella vigna del Signore, mettersi al suo servizio, collaborare alla sua opera, costituisce di per sé un premio inestimabile, che ripaga di ogni fatica. Ma lo capisce solo chi ama il Signore e il suo Regno; chi invece lavora unicamente per la paga non si accorgerà mai del valore di questo inestimabile tesoro.

A narrare la parabola è san Matteo, apostolo ed evangelista, di cui tra l’altro ricorre proprio oggi la festa liturgica. Mi piace sottolineare che Matteo, in prima persona, ha vissuto questa esperienza (cfr Mt 9,9). Egli infatti, prima che Gesù lo chiamasse, faceva di mestiere il pubblicano e perciò era considerato pubblico peccatore, escluso dalla "vigna del Signore". Ma tutto cambia quando Gesù, passando accanto al suo banco delle imposte, lo guarda e gli dice: "Seguimi". Matteo si alzò e lo seguì. Da pubblicano diventò immediatamente discepolo di Cristo. Da "ultimo" si trovò "primo", grazie alla logica di Dio, che – per nostra fortuna! – è diversa da quella del mondo. "I miei pensieri non sono i vostri pensieri – dice il Signore per bocca del profeta Isaia –, / le vostre vie non sono le mie vie" (Is 55,8). Anche san Paolo, del quale stiamo celebrando un particolare Anno giubilare, ha sperimentato la gioia di sentirsi chiamato dal Signore a lavorare nella sua vigna. E quanto lavoro ha compiuto! Ma, come egli stesso confessa, è stata la grazia di Dio a operare in lui, quella grazia che da persecutore della Chiesa lo trasformò in apostolo delle genti. Tanto da fargli dire: "Per me vivere è Cristo e il morire un guadagno". Subito però aggiunge: "Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa debba scegliere" (Fil 1,21-22). Paolo ha compreso bene che operare per il Signore è già su questa terra una ricompensa.

La Vergine Maria, che una settimana fa ho avuto la gioia di venerare a Lourdes, è tralcio perfetto della vigna del Signore. Da lei è germogliato il frutto benedetto dell’amore divino: Gesù, nostro Salvatore. Ci aiuti Lei a rispondere sempre e con gioia alla chiamata del Signore, e a trovare la nostra felicità nel poter faticare per il Regno dei cieli.

[Papa Benedetto, Angelus 21 settembre 2008]

6. Un’altra parabola ci fa capire che non è mai troppo tardi per entrare nella Chiesa. L’invito di Dio può essere rivolto all’uomo sino all’ultimo momento della vita. È la nota parabola degli operai della vigna: “Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna” (Mt 20, 1). Uscì poi ancora alcune volte in diverse ore del giorno, fino all’ultima ora. E a tutti fu dato un salario nel quale, oltre il limite del rapporto di stretta giustizia, il padrone volle manifestare tutto il suo generoso amore.

Viene in mente, a questo riguardo, il commovente episodio, narrato dall’evangelista Luca, sul “buon ladrone” crocifisso accanto a Gesù sul Golgota. A lui l’invito si è manifestato come iniziativa misericordiosa di Dio, mentre diceva ormai quasi spirando: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. Egli udì dalla bocca del Redentore-Sposo, condannato alla morte in croce: “In verità ti dico, oggi sarai con me in paradiso” (Lc 23, 42-43).

[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 18 settembre 1991]

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These words are full of the disarming power of truth that pulls down the wall of hypocrisy and opens consciences [Pope Benedict]
Queste parole sono piene della forza disarmante della verità, che abbatte il muro dell’ipocrisia e apre le coscienze [Papa Benedetto]
While the various currents of human thought both in the past and at the present have tended and still tend to separate theocentrism and anthropocentrism, and even to set them in opposition to each other, the Church, following Christ, seeks to link them up in human history, in a deep and organic way [Dives in Misericordia n.1]
Mentre le varie correnti del pensiero umano nel passato e nel presente sono state e continuano ad essere propense a dividere e perfino a contrapporre il teocentrismo e l'antropocentrismo, la Chiesa invece, seguendo il Cristo, cerca di congiungerli nella storia dell'uomo in maniera organica e profonda [Dives in Misericordia n.1]
Jesus, however, reverses the question — which stresses quantity, that is: “are they few?...” — and instead places the question in the context of responsibility, inviting us to make good use of the present (Pope Francis)
Gesù però capovolge la domanda – che punta più sulla quantità, cioè “sono pochi?...” – e invece colloca la risposta sul piano della responsabilità, invitandoci a usare bene il tempo presente (Papa Francesco)
The Lord Jesus presented himself to the world as a servant, completely stripping himself and lowering himself to give on the Cross the most eloquent lesson of humility and love (Pope Benedict)
Il Signore Gesù si è presentato al mondo come servo, spogliando totalmente se stesso e abbassandosi fino a dare sulla croce la più eloquente lezione di umiltà e di amore (Papa Benedetto)
More than 600 precepts are mentioned in the Law of Moses. How should the great commandment be distinguished among these? (Pope Francis)
Nella Legge di Mosè sono menzionati oltre seicento precetti. Come distinguere, tra tutti questi, il grande comandamento? (Papa Francesco)
The invitation has three characteristics: freely offered, breadth and universality. Many people were invited, but something surprising happened: none of the intended guests came to take part in the feast, saying they had other things to do; indeed, some were even indifferent, impertinent, even annoyed (Pope Francis)
L’invito ha tre caratteristiche: la gratuità, la larghezza, l’universalità. Gli invitati sono tanti, ma avviene qualcosa di sorprendente: nessuno dei prescelti accetta di prendere parte alla festa, dicono che hanno altro da fare; anzi alcuni mostrano indifferenza, estraneità, perfino fastidio (Papa Francesco)
Those who are considered the "last", if they accept, become the "first", whereas the "first" can risk becoming the "last" (Pope Benedict)
Proprio quelli che sono considerati "ultimi", se lo accettano, diventano "primi", mentre i "primi" possono rischiare di finire "ultimi" (Papa Benedetto)
St Clement of Alexandria commented: “Let [the parable] teach the prosperous that they are not to neglect their own salvation, as if they had been already foredoomed, nor, on the other hand, to cast wealth into the sea, or condemn it as a traitor and an enemy to life, but learn in what way and how to use wealth and obtain life” (Who is the Rich Man That Shall Be Saved, 27, 1-2) [Pope Benedict]
«La parabola insegni ai ricchi che non devono trascurare la loro salvezza come se fossero già condannati, né devono buttare a mare la ricchezza né condannarla come insidiosa e ostile alla vita, ma devono imparare in quale modo usare la ricchezza e procurarsi la vita»

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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