don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Per una leggerezza senza maschere

(Mt 12,14-21)

 

Le autorità condannano Gesù a morte. Le persone minute lo aspettano, lo attendono come unica speranza.

Sentono che c’è ancora molto da trovare, e che solo Lui può ispirare il loro agire, così aprirli alla Rinascita.

Intuiscono sintonia col giovane Maestro che ha scelto il loro ceto sociale, quello dei malfermi, ritenuto sbagliato e sconcertante.

La vita dura e soffocata dei Piccoli ha insegnato loro ad essere sempre pronti alle sorprese, ad azioni nuove; perfino a crisi destabilizzanti.

Modo migliore per rimanere agganciati alla vita e alla possibilità stessa di realizzarla, attivandola dal Nascondimento.

Nel clamore e nell’approvazione sociale, che nega i problemi, la loro Missione resterebbe falsata.

Mentre l’esteriorità dei leaders non cede alla dedizione, allo spezzarsi - anche dal proprio intimo. Così non diventa coscienza nuova.

 

Malati di grandezza e bramosi di tranquillità, i capi politici e religiosi antichi proiettano nell’idea del Messia il loro essere doppio, corrotto e artificioso, solo appariscente.

Incapace di misurarsi con il sommario - e mettersi a disposizione.

Non capiscono la Forza discreta del Signore, la sua energia sapiente [e stile dimesso] dai vantaggi duraturi.

Essi sono disposti a stordire la gente avvilita, e lo fanno volentieri con modelli, paragoni, bilanci, formule vuote, e incitamenti stracolmi di riserve.

Ma restano a distanza di sicurezza per quanto concerne il convivere, condividere, e rallegrarne la vita.

Continuano a sentenziare ma senza dare nulla, tantomeno porgendo se stessi - e convertirsi ai poveri, se non per manipolarli.

 

La loro avversione a Cristo - venuto per il riscatto delle «moltitudini» (vv.15.18.21) - va appunto a cozzare con l’incessante bisogno della gente.

Le persone conoscono il proprio tessuto di fango tutto reale, e desiderano un’emancipazione.

Senza sotterfugi, si presentano privi di maschere.

Oggi come allora il Silenzio dell’Unto del Signore [non manipolato] si ripropone nei suoi testimoni autentici - vincendo la tentazione dello spettacolare.

Superando la mania dello straordinario; di ciò che è propaganda e pubblicità a fini di proselitismo e tornaconto.

 

Dio sa che il lato Ombra è profezia e germe di futuro: la parte migliore del suo popolo, e di noi stessi.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Ci sono persone ambigue inclini a valorizzare interventi normalizzati, che ritengono la tua Missione falsata dal Silenzio?

Ritieni tu stesso che la tua realizzazione sia soffocata dal Nascondimento? O viceversa attivata?

 

 

[Sabato 15.a sett. T.O.  19 Luglio 2025]

Per una leggerezza senza maschere

(Mt 12,14-21)

 

«Non litigherà né sgriderà, né alcuno udrà nelle piazze la sua voce. Una canna incrinata non spezzerà e un lucignolo fumigante non spegnerà, finché non abbia condotto a vittoria il giudizio. E nel suo nome spereranno le nazioni» (Mt 12,19-20).

 

Le autorità condannano Gesù a morte, perché Egli ha osato smascherare la malignità dei loro espedienti mercenari (arte in cui sono maestri).

Invece di farsi educatrici, le guide della religiosità ufficiale restano protagoniste d’una struttura piramidale, opprimente.

Gli estromessi e respinti - invece - alienati e reietti dalla società e dal giro dei “grandi”, si presentano al Signore senza maschere, con tante insicurezze e malanni.

Colgono che l’essere umanizzante e divino permane esattamente contrario a quello di chi li rappresenta. Secondo quel che il popolo sperava in cuore, senza sotterfugi; a disposizione.

Non un padrone onnipotente, che rendesse più comodo e prestigioso il cammino degli eletti.

Viceversa, perché molti sono i problemi quotidiani e interiori che meritano maggiore Presenza.

 

I “migliori” del mondo (anche pio) beffeggiano il Volto del Padre. Le persone minute lo aspettano, lo attendono come unica speranza.

Sentono che c’è ancora molto da trovare, e che solo Lui può ispirare il loro agire, così aprirli alla Rinascita.

Intuiscono sintonia col giovane Maestro che ha scelto il loro ceto sociale, quello dei malfermi, ritenuto sbagliato e sconcertante, ma che ogni giorno si ripropone lo stesso problema di Dio in modo schietto.

Sentirsi persona e lasciarsi liberare è motivo di tutta la storia sacra: frutto di Esodo che spezza legami delimitati.

Li sfalda, perché addirittura predilige l’andirivieni itinerante dell’inesperto che cerca e si lascia mettere in discussione - contrario del falsato “permanere insediati”.

Ciò che non si fa di tonalità affettiva e peso emotivo profondo, eppure chiede in continuazione di essere preso in carico e in coscienza.

 

La vita dura e soffocata dei Piccoli ha insegnato loro ad essere sempre pronti alle sorprese, ad azioni nuove; perfino a crisi destabilizzanti.

Modo migliore per rimanere agganciati alla vita e alla possibilità stessa di realizzarla, attivandola dal Nascondimento.

Nel clamore e nell’approvazione sociale, che nega i problemi, la loro Missione resterebbe falsata.

Mentre l’esteriorità dei leaders non cede alla dedizione, allo spezzarsi - anche dal proprio intimo.

Così non diventa coscienza nuova.

 

Malati di grandezza e bramosi di tranquillità, i capi politici e religiosi antichi proiettano nell’idea del Messia il loro essere doppio, corrotto e artificioso, solo appariscente.

Incapace di misurarsi con il sommario.

Non capiscono la Forza discreta del Signore, la sua energia sapiente (e stile dimesso), dai vantaggi duraturi.

Essi sono disposti a stordire la gente avvilita, e lo fanno volentieri con modelli, paragoni, bilanci, formule vuote, e incitamenti stracolmi di riserve.

Ma restano a distanza di sicurezza per quanto concerne il convivere, condividere, e rallegrarne la vita.

Continuano a sentenziare ma senza dare nulla, tantomeno porgendo se stessi - e convertirsi ai poveri, senza manipolarli.

 

La loro avversione a Cristo - venuto per il riscatto delle «moltitudini» (vv.15.18.21) - va appunto a cozzare con l’incessante bisogno della gente.

Le persone conoscono il proprio tessuto di fango tutto reale, e desiderano un’emancipazione.

Oggi come allora il Silenzio del vero Unto del Signore [che si ripropone nei suoi testimoni autentici] vince la tentazione dello spettacolare.

Supera la mania dello straordinario; di ciò che è propaganda e pubblicità a fini di proselitismo e moneta.

Anche noi conserviamo le caratteristiche dell’Opera del Maestro, di cui proseguiamo l’Azione universalmente benefica.

Desideriamo corrispondere, nella discrezione e piccola semplicità di una vita ignota, ma di prospettiche vedute.

 

Dio sa che il lato Ombra è talora la parte migliore del suo popolo, e di noi.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Ci sono persone ambigue inclini a valorizzare interventi normalizzati - ovvero prodigiosi - che ritengono la tua Missione falsata dal Silenzio?

Ritieni tu stesso che la tua realizzazione sia soffocata dal Nascondimento? O viceversa attivata?

Venerdì, 11 Luglio 2025 04:02

Non spezzerà una canna già incrinata

A questo punto vorrei ringraziare di vero cuore anche tutte le numerose persone in tutto il mondo, che nelle ultime settimane mi hanno inviato segni commoventi di attenzione, di amicizia e di preghiera. Sì, il Papa non è mai solo, ora lo sperimento ancora una volta in un modo così grande che tocca il cuore. Il Papa appartiene a tutti e tantissime persone si sentono molto vicine a lui. E’ vero che ricevo lettere dai grandi del mondo – dai Capi di Stato, dai Capi religiosi, dai rappresentanti del mondo della cultura eccetera. Ma ricevo anche moltissime lettere da persone semplici che mi scrivono semplicemente dal loro cuore e mi fanno sentire il loro affetto, che nasce dall’essere insieme con Cristo Gesù, nella Chiesa. Queste persone non mi scrivono come si scrive ad esempio ad un principe o ad un grande che non si conosce. Mi scrivono come fratelli e sorelle o come figli e figlie, con il senso di un legame familiare molto affettuoso. Qui si può toccare con mano che cosa sia Chiesa – non un’organizzazione, un’associazione per fini religiosi o umanitari, ma un corpo vivo, una comunione di fratelli e sorelle nel Corpo di Gesù Cristo, che ci unisce tutti. Sperimentare la Chiesa in questo modo e poter quasi toccare con le mani la forza della sua verità e del suo amore, è motivo di gioia, in un tempo in cui tanti parlano del suo declino. Ma vediamo come la Chiesa è viva oggi! […]

Ringrazio tutti e ciascuno anche per il rispetto e la comprensione con cui avete accolto questa decisione così importante. Io continuerò ad accompagnare il cammino della Chiesa con la preghiera e la riflessione, con quella dedizione al Signore e alla sua Sposa che ho cercato di vivere fino ad ora ogni giorno e che vorrei vivere sempre.

[Papa Benedetto, Udienza Generale 27 febbraio 2013]

Venerdì, 11 Luglio 2025 03:59

Si è fatto Servitore

Egli è Figlio, e si è fatto “servo”!

Ne parla esplicitamente l’odierna liturgia con le parole del libro di Isaia: “Ecco il mio servo che io sostengo, / il mio eletto in cui mi compiaccio. / Ho posto il mio spirito su di lui; / egli porterà il diritto alle nazioni” (Is 42, 1).

Gesù Cristo: Figlio che si è fatto servo. Il Battesimo nel Giordano lo riconferma pienamente: Gesù si presenta a Giovanni per farsi battezzare; ma questi cerca di impedirglielo dicendo: “Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?” (Mt 3, 14).

Come se volesse dire: “Proprio tu che sei il fautore della Grazia salvifica e signore della nostra salvezza”. Gesù tuttavia risponde: “Lascia fare per ora poiché conviene che così adempiamo ogni giustizia” (Mt 3, 15).

Gesù riceve il Battesimo da Giovanni: il Battesimo di penitenza. In questo modo manifesta se stesso come servo della nostra redenzione. Viene come Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo (cf. Gv 1, 29.36). Porta in sé la volontà dell’obbedienza al Padre fino alla morte.

Viene come colui che “non spezzerà una canna incrinata, / non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta” (Is 42, 3).

[Papa Giovanni Paolo II, Angelus 13 gennaio 1985]

Venerdì, 11 Luglio 2025 03:52

Dio… non dagli effetti speciali

Quando facciamo prevalere la comodità dell’abitudine e la dittatura dei pregiudizi, è difficile aprirsi alla novità e lasciarsi stupire. Noi controlliamo, con l’abitudine, con i pregiudizi. Finisce che spesso dalla vita, dalle esperienze e perfino dalle persone cerchiamo solo conferme alle nostre idee e ai nostri schemi, per non dover mai fare la fatica di cambiare. E questo può succedere anche con Dio, proprio a noi credenti, a noi che pensiamo di conoscere Gesù, di sapere già tanto di Lui e che ci basti ripetere le cose di sempre. E questo non basta, con Dio. Ma senza apertura alla novità e soprattutto – ascoltate bene – apertura alle sorprese di Dio, senza stupore, la fede diventa una litania stanca che lentamente si spegne e diventa un’abitudine, un’abitudine sociale. Ho detto una parola: lo stupore. Cos’è, lo stupore? Lo stupore è proprio quando succede l’incontro con Dio: “Ho incontrato il Signore”. Leggiamo il Vangelo: tante volte, la gente che incontra Gesù e lo riconosce, sente lo stupore. E noi, con l’incontro con Dio, dobbiamo andare su questa via: sentire lo stupore. È come il certificato di garanzia che quell’incontro è vero, non è abitudinario.

Alla fine, perché i compaesani di Gesù non lo riconoscono e non credono in Lui? Perché? Qual è il motivo? Possiamo dire, in poche parole, che non accettano lo scandalo dell’Incarnazione. Non lo conoscono, questo mistero dell’Incarnazione, ma non accettano il mistero. Non lo sanno, ma il motivo è inconsapevole e sentono che è scandaloso che l’immensità di Dio si riveli nella piccolezza della nostra carne, che il Figlio di Dio sia il figlio del falegname, che la divinità si nasconda nell’umanità, che Dio abiti nel volto, nelle parole, nei gesti di un semplice uomo. Ecco lo scandalo: l’incarnazione di Dio, la sua concretezza, la sua “quotidianità”. E Dio si è fatto concreto in un uomo, Gesù di Nazaret, si è fatto compagno di strada, si è fatto uno di noi. “Tu sei uno di noi”: dirlo a Gesù, è una bella preghiera! E perché è uno di noi ci capisce, ci accompagna, ci perdona, ci ama tanto. In realtà, è più comodo un dio astratto, distante, che non si immischia nelle situazioni e che accetta una fede lontana dalla vita, dai problemi, dalla società. Oppure ci piace credere a un dio “dagli effetti speciali”.

[Papa Francesco, Angelus 4 luglio 2021]

Mercoledì, 09 Luglio 2025 20:58

15a Domenica T.O. (anno C) 

15a Domenica Tempo Ordinario (anno C) [13 Luglio 2025]

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga. Viviamo l’estate lasciandoci accompagnare e guidare dalla Parola di Dio.

 

*Prima Lettura dal Libro del Deuteronomio (30,10-14)

 Il libro del Deuteronomio contiene l’ultimo discorso di Mosè, una sorta di suo testamento spirituale anche se di sicuro non è stato scritto da Mosè, visto che si ripete spesso: “Mosè ha detto…Mosè ha fatto”. L’autore poi è molto solenne nel ricordare il contributo maggiore di Mosè: aver fatto uscire Israele dall’Egitto e aver concluso l’Alleanza con Dio sul Sinai. In questa Alleanza, Dio si impegna a a proteggere il suo popolo per sempre e il popolo promette di rispettare la sua Legge, riconoscendo in essa la migliore garanzia della libertà ritrovata. Israele s’impegna, ma non si mostra spesso fedele. Quando il regno del Nord, annientato dagli Assiri, scompare dalla carta geografica, l’autore invita gli abitanti del regno del Sud, imparando da tale disfatta, ad ascoltare la voce del Signore, a osservare i suoi comandi e decreti scritti nella Torah. Non sono infatti né difficili da capire né da mettere in pratica: “Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te né troppo lontano da te” (v.11).

Una domanda: Se osservare la Legge non è difficile perché non si mettono in pratica i comandamenti di Dio? Per Mosè la ragione sta nel fatto che Israele è “un popolo di dura cervice”: ha provocato l’ira del Signore nel deserto e poi è stato ribelle al Signore dal giorno in cui è uscito dall’Egitto fino al suo arrivo della terra promessa (Cf. Dt 9,6-7). L’espressione “dura cervice” evoca un animale che si rifiuta di piegare il collo sotto il giogo e l’Alleanza tra Dio e il suo popolo era paragonata a un giogo di aratura. Per raccomandare l’obbedienza alla Legge, Ben Sira, scrive: “Mettete il vostro collo sotto il giogo e ricevete l’istruzione” (Sir 51,26). Mentre Geremia, rimprovera a Israele le sue infedeltà alla Legge: “Da tempo tu hai spezzato il tuo giogo, hai rotto i tuoi legami” (Ger 2,20; 5,5). E Gesù: “Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me… Sì, il mio giogo è dolce e il mio carico leggero” (Mt 11,29-30). Questa frase trova proprio qui, nel nostro testo del Deuteronomio, le sue radici: “Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te né troppo lontano da te”(v11) . Sia nel Deuteronomio come nel vangelo emerge il messaggio positivo della Bibbia: la Legge divina è alla nostra portata e il male non è irrimediabile per cui se l’umanità cammina verso la salvezza, che consiste nell’amare Dio e il prossimo, sperimenta la felicità. Eppure l’esperienza dimostra che la pratica di una vita conforme al progetto di Dio è impossibile per l’uomo quando si affida solo alle proprie forze. Ma se questo è impossibile agli uomini, tutto è invece possibile a Dio (Cf Mt 19,26) che, come leggiamo in questo testo, trasforma la nostra “dura cervice” e cambia il nostro cuore: egli “circonciderà il tuo cuore e il cuore della tua discendenza, perché tu ami il Signore tuo Dio con tutto il cuore e con tutta l’anima, e viva” (Dt 30,6). Per circoncisione del cuore si intende l’adesione di tutto il nostro essere alla volontà di Dio, possibile, come annotano i profeti specialmente Geremia ed Ezechiele,  solamente grazie a un intervento diretto di Dio: “Metterò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo”(Ger 31,33).

 

*Salmo responsoriale 18/19

L’obbedienza alla Legge è un cammino verso la vera Terra Promessa e questo salmo sembra una litania in onore della Legge: “la Legge del Signore”, ”i precetti del Signore», “il comando del Signore”, “i giudizi del Signore”. Il Signore ha scelto il suo popolo, lo ha liberato e gli ha proposto la sua Alleanza per accompagnarlo lungo tutta la sua esistenza, educandolo con l’osservanza della Torah. Non bisogna dimenticare che, prima di ogni altra cosa, il popolo ebraico ha fatto l’esperienza di essere stato liberato dal suo Dio. La Legge e i comandamenti si collocano dunque nella prospettiva dell’uscita dall’Egitto: sono un’impresa di liberazione da tutte le catene che impediscono all’uomo di essere felice e si tratta di un’Alleanza eterna. Il libro del Deuteronomio insiste su questo punto: “Ascolta dunque, Israele, osserva e metti in pratica ciò che ti renderà felice” (Dt 6,3). E il nostro salmo fa eco: “I precetti del Signore sono retti, fanno gioire il cuore”. La grande certezza acquisita dagli uomini della Bibbia è che Dio vuole la felicità dell’uomo e gli offre un mezzo molto semplice perché basta ascoltare la sua Parola scritta nella Legge: “Il comando del Signore è limpido, illumina gli occhi”. Il cammino è tracciato, i comandamenti sono come segnali stradali che indicano eventuali pericoli e la Legge è il nostro maestro: del resto la radice della parola Torah in ebraico significa prima di tutto insegnare. Non c’è altra esigenza e non c’è nemmeno un’altra via per essere felici: “I giudizi del Signore sono tutti giusti, più preziosi dell’oro, più dolci del miele”. Se per noi, come per il salmista, l’oro è un metallo al tempo stesso incorruttibile e prezioso, quindi desiderabile, il miele invece non evoca per noi ciò che rappresentava per un abitante della Palestina. Quando Dio chiama Mosè e gli affida la missione di liberare il suo popolo, gli promette: “Io vi farò salire dalla miseria d’Egitto… verso un paese dove scorre latte e miele” (Es 3,17). Quest’espressione, molto antica, caratterizza l’abbondanza e la dolcezza. Il miele, ovviamente, si trova anche altrove persino nel deserto dove Giovanni Battista si nutriva di locuste e miele selvatico (Cf Mt 3,4), ma resta comunque una rarità e proprio questo rende meravigliosa la Terra Promessa dove la presenza del miele indica la dolcezza dell’azione di Dio, che ha preso l’iniziativa di salvare il suo popolo, semplicemente per amore. Per questo d’ora in poi non si parlerà più delle cipolle d’Egitto, ma del miele di Canaan e Israele è certo che Dio lo salverà perché, come inizia il salmo,  “la Legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima, la testimonianza del Signore è stabile, rende saggio il semplice”.

 

*Seconda Lettura dalla Lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi (1,15-20)

Comincio parafrasando l’ultima frase, che forse per noi è la più difficile: Dio ha giudicato bene che tutto, per mezzo di Cristo, gli sia finalmente riconciliato, facendo la pace per tutti gli esseri sulla terra e nel cielo mediante il sangue della sua croce (vv19-20). Paolo qui paragona la morte di Cristo a un sacrificio come quelli che si offrivano abitualmente nel tempio di Gerusalemme. In particolare, esistevano dei sacrifici chiamati “sacrifici di comunione” o “sacrifici di pace”. Paolo sa bene che quanti hanno condannato Gesù non avevano di certo l’intenzione di offrire un sacrificio sia perché i sacrifici umani non esistevano più in Israele, sia perché Gesù è stato condannato a morte come un malfattore ed è stato giustiziato fuori dalla città di Gerusalemme. Paolo qui contempla una cosa inaudita: nella sua grazia, Dio ha trasformato l’orribile passione inflitta al suo Figlio dagli uomini in un’opera di pace. In altre parole, l’odio umano che uccide il Cristo, in un misterioso rovesciamento ad opera della grazia divina, diventa strumento di riconciliazione e di pacificazione perché finalmente conosciamo Dio così com’è: Dio è puro amore e perdono.  Questa scoperta può trasformare i nostri cuori di pietra in cuori di carne (cf. Ezechiele), se lasciamo agire in noi il suo Spirito. In questa lettera ai Colossesi troviamo la stessa meditazione che troviamo nel vangelo di Giovanni ispirata dalle parole del profeta Zaccaria: “Riverserò sulla casa di Davide e sugli abitanti di Gerusalemme uno spirito di grazia e di supplica. Guarderanno a me, a colui che hanno trafitto… piangeranno per lui amaramente» (Zc 12,10). Quando contempliamo la croce, da questa contemplazione può nascere la nostra conversione e riconciliazione. Nel Cristo in croce contempliamo l’uomo così come Dio lo ha voluto e scopriamo nel Gesù trafitto l’uomo giusto per eccellenza, l’uomo perfetto immagine di Dio. Per questo Paolo parla di pienezza, nel senso di compimento: “E’ piaciuto a Dio che abiti in lui tutta la pienezza”. Riprendiamo ora l’inizio del testo: “Cristo Gesù è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili… Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui”. In Gesù contempliamo Dio stesso; in Gesù Cristo, Dio si lascia vedere o, per dirlo in un altro modo, Gesù è la visibilità del Padre: “Chi ha visto me ha visto il Padre”, dice lui stesso nel vangelo di Giovanni (Gv 14,9). Contemplando il Cristo, contempliamo l’uomo, contemplando il Cristo, contempliamo Dio. Resta ancora un versetto fondamentale: “Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa. Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose” (v.18). Questo è forse il testo del Nuovo Testamento, dove si dice il più chiaramente possibile, che siamo il Corpo di Cristo, cioè è il capo di un grande corpo di cui noi siamo le membra. Se altrove aveva già detto che siamo tutti membra di un unico corpo (Rm 12,4-5) e (1 Cor 12,12), qui lo precisa chiaramente: “Il Cristo è il capo del corpo, che è Chiesa” (come anche in Ef 1,22; 4,15; 5,23) e tocca a noi fare in modo che questo Corpo cresca in maniera armoniosa. 

 

*Dal Vangelo secondo Luca (10,25-37)

Un dottore della Legge pone a Gesù due domande impegnative: “Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?” e, ancor più impegnativa, “E chi è il mio prossimo? La risposta che riceve è esigente. Partendo infatti dalle sue domande, Gesù lo conduce al cuore stesso di Dio e colloca tale percorso in un contesto concreto e familiare ai suoi ascoltatori: la strada di trenta chilometri che separa Gerusalemme da Gerico, una strada in pieno deserto, che all’epoca era davvero un luogo di agguati per cui il racconto dell’assalto e della cura del ferito suonava estremamente verosimile. Scendeva un uomo da Gerusalemme a Gerico è cadde nelle mani dei briganti, che lo derubano e lo lasciano mezzo morto. Alla sua disgrazia fisica e morale si aggiunge anche un’esclusione di tipo religioso perché toccato da “impuri”, diventa egli stesso impuro. Questa è la ragione dell’apparente indifferenza, anzi della repulsione del sacerdote e del levita, preoccupati di preservare la propria integrità rituale. Un samaritano, invece, non si pone questi scrupoli. Questa scena sul ciglio della strada esprime in immagini ciò che Gesù stesso ha fatto tante volte quando guariva anche di sabato, quando si chinava sui lebbrosi, quando accoglieva i peccatori, citando più volte il profeta Osea: “Voglio l’amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausti” (Os 6,6). Alla prima domanda del dottore della Legge Gesù risponde a sua volta come i rabbini con una domanda: “Nella Legge, cosa vi è scritto? Come leggi?”e l’interlocutore recita con entusiasmo: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso”. “Hai risposto bene”, replica Gesù, perché la sola cosa che conta per Israele, è la fedeltà a questo duplice amore. Il segreto di questa conoscenza, che l’intera Bibbia ci rivela, è che Dio è “misericordioso” (letteralmente in ebraico: “le sue viscere fremono”). Non è un caso se Luca utilizza la stessa espressione per descrivere l’emozione di Gesù alla vista della vedova di Nain che portava il figlio unico al cimitero (Lc 7) o per raccontare la commozione del Padre al ritorno del figlio prodigo (Lc 15). Anche il buon samaritano quando vide l’uomo ferito, “ne ebbe compassione” (si commosse nelle viscere). Anche se è misericordioso per i giudei resta solo un samaritano, cioè uno dei meno raccomandabili dato che giudei e samaritani erano nemici: i giudei disprezzavano i samaritani perché eretici (un disprezzo antico: nel libro del Siracide si cita tra i popoli detestabili «il popolo stolto che abita in Sichem» (Sir 50,26)), mentre i samaritani non perdonavano ai giudei la distruzione del loro santuario sul monte Garizim (nel 129 a.C.). Eppure, quest’uomo disprezzato è dichiarato da Gesù più vicino a Dio dei dignitari e dei servitori del Tempio, che passarono oltre senza fermarsi. La “compassione nelle viscere” del samaritano — miscredente agli occhi dei giudei — diventa “immagine di Dio” e Gesù propone un rovesciamento di prospettiva. Alla domanda “chi è il mio prossimo?”, non risponde con una “definizione” di prossimo (in definizione c’è la anche parola latina “finis” che significa limite), ma ne fa una questione di cuore. Attenzione al vocabolario: la parola “prossimo” fa intendere che ci siano anche dei lontani. E allora, alla domanda: “Chi è dunque il mio prossimo?” il Signore risponde: Spetta a te decidere fino a dove vuoi tu farti prossimo. E propone come esempio proprio il samaritano semplicemente  perché è capace di compassione. E chiude Gesù: “Va’, e anche tu fa’ lo stesso”. Non è un semplice consiglio. Al dottore della Legge aveva già detto prima: “Fa’ questo e vivrai” e ora Luca evidenzia l’esigenza di coerenza tra parole e fatti: è bello parlare come un libro (è il caso del dottore della Legge), ma non basta perché Gesù diceva: “Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica» (Lc 8,21). In definitiva Gesù ci provoca a un amore senza confini!

NOTA La domanda «Qual è il più grande comandamento?» compare anche nei vangeli di Matteo e Marco, mentre la parabola del buon Samaritano è propria di Luca. È interessante anche osservare che la presentazione così positiva di un samaritano (Lc 10) segue immediatamente il rifiuto di un villaggio samaritano di accogliere Gesù e i suoi discepoli in cammino verso Gerusalemme (Lc 9). Gesù rifiuta ogni tipo di generalizzazione e questa parabola evidenzia, in fondo, una questione di scelte prioritarie nella nostra vita.

+Giovanni D’Ercole

Sabato, 05 Luglio 2025 14:49

«E chi è a me Prossimo?»

Lunedì, 30 Giugno 2025 08:45

14a Domenica T.O. (anno C)

XIV Domenica Tempo Ordinario (anno C)  [6 luglio 2025]

Iddio ci benedica e la Vergine ci protegga! Anche se entriamo nel tempo delle vacanze continuerò a farvi avere i commenti ai testi biblici di ogni domenica

 

*Prima Lettura dal Libro del profeta Isaia (66, 10-14)

Quando un profeta parla tanto di consolazione, significa che le cose vanno molto male per cui avverte il bisogno di consolare e tener viva la speranza: questo testo è dunque stato scritto in un momento difficile. L’autore, il Terzo Isaia, è uno dei lontani discepoli del grande Isaia e sta predicando agli esuli tornati dall’esilio babilonese verso il 535 a.C. Il loro ritorno, tanto sognato, si è rivelato deludente sotto ogni aspetto perché dopo 50 anni tutto era cambiato. Gerusalemme portava le cicatrici della catastrofe del 587 quando fu distrutta da Nabucodonosor; il Tempio era in rovina come buona parte della città e gli esuli non avevano ricevuto l’accoglienza trionfale come speravano.  Il profeta parla di lutto e di consolazione, ma a fronte dello scoraggiamento dominante, non si accontenta di parole di conforto, ma osa persino un discorso quasi trionfale: “Rallegratevi con Gerusalemme, esultate per essa tutti voi che l’amate. Sfavillate con essa di gioia tutti voi che per essa eravate in lutto” (v10). Da dove trarre quest’ottimismo? La risposta è semplice: dalla fede, o meglio dall’esperienza d’Israele che continua a sperare in ogni epoca perché ha certezza che Dio è sempre presente e, anche quando tutto sembra perduto, sa che nulla è impossibile a Dio. Già nei tempi di forte scoraggiamento durante l’Esodo si proclamava: “il braccio del Signore si è forse raccorciato?  (Nm 11,23), immagine  che ricorre più volte  nel libro di Isaia. Durante l’esilio, quando vacillava la speranza, il Secondo Isaia comunicava a nome di Dio: “È forse troppo corta la mia mano per liberare?» (Is 50,2) e dopo il ritorno, in un periodo di forte preoccupazione, il Terzo Isaia, che leggiamo oggi, riprende due volte la stessa immagine sia nel capitolo 59,1 sia nell’ultimo versetto dell’odierna lettura: “La mano del Signore si farà conoscere ai suoi servi” (v.14). Dio che ha liberato il suo popolo tante volte in passato, mai l’abbandonerà. Anche da solo il termine “mano” è un’allusione all’uscita dall’Egitto, quando Dio intervenne con mano potente e braccio teso. Il versetto 11 dell’odierno testo: “Sarete allattati e vi sazierete al seno delle sue consolazioni” richiama la terribile prova di fede che il popolo visse nel deserto quando ebbe fame e sete, e anche allora Dio gli assicurò ciò che era necessario.  Questo richiamo al libro dell’Esodo offre due lezioni: da una parte, Dio ci vuole liberi e sostiene tutti i nostri sforzi per instaurare la giustizia e la libertà; ma d’altra parte è importante e necessaria la nostra collaborazione. Il popolo è uscito dall’Egitto grazie all’intervento di Dio e questo Israele non lo dimentica mai, ma ha dovuto camminare verso la terra promessa a volte con grande fatica. Quando poi al versetto 13 Isaia promette da parte di Dio: “Io farò scorrere verso di essa come un fiume la pace” non significa che la pace si instaurerà magicamente. Il Signore è sempre fedele alle sue promesse: occorre continuare a credere che egli resta ed opera al nostro fianco in ogni situazione. Al tempo stesso è indispensabile che noi agiamo perché la pace, la giustizia, la felicità hanno bisogno del nostro apporto convinto e generoso. 

 

*Salmo responsoriale (65/66, 1-3a, 4-5, 6-7a, 16.20)

 Come spesso accade, l’ultimo versetto dà il senso di tutto il salmo: “Sia benedetto Dio che non ha respinto la mia preghiera, non mi ha negato la sua misericordia” (v.20). Il vocabolario impiegato mostra che questo salmo è un canto di ringraziamento: “Acclamate, cantate, dategli gloria… a te si prostri tutta la terra… narrerò quanto per me ha fatto” composto probabilmente per accompagnare i sacrifici nel Tempio di Gerusalemme e a parlare non è un individuo, bensì l’intero popolo che rende grazie a Dio. Israele ringrazia come sempre per la liberazione dall’Egitto con cenni molto chiari: “Egli cambiò il mare in terraferma… passarono a piedi il fiume”; oppure: “Venite e vedete le opere di Dio, terribile nel suo agire sugli uomini”. Anche l’espressione “le opere di Dio” nella Bibbia, indica sempre la liberazione dall’Egitto. Colpisce, del resto, la somiglianza tra questo salmo e il cantico di Mosè dopo il passaggio del Mar Rosso (Es 15), evento che illumina l’intera storia di Israele: l’opera di Dio per il suo popolo non ha altro scopo che liberarlo da ogni forma di schiavitù. Questo è il senso del capitolo 66 di  Isaia che leggiamo questa domenica nella prima lettura: in un’epoca molto buia della storia di Gerusalemme, dopo l’esilio babilonese, il messaggio è chiaro: Dio vi consolerà. Non si sa se questo salmo sia stato composto nella stessa epoca, in ogni caso il contesto è lo stesso perché è scritto per essere cantato nel Tempio di Gerusalemme e i fedeli che vi affluiscono per il pellegrinaggio prefigurano l’umanità intera che salirà a Gerusalemme alla fine dei tempi. E se il testo di Isaia annuncia la nuova Gerusalemme dove affluiranno tutte le nazioni, il salmo risponde: “Acclamate Dio, voi tutti tutta della terra… a te si prostri tutta la terra…a te canti inni al tuo nome”. La gioia promessa è il tema centrale di questi due testi: quando i tempi sono duri, occorre ricordarsi che Dio non vuole altro che la nostra felicità e un giorno la sua gioia riempirà tutta la terra, come scrive Isaia a cui il salmo risponde in eco: “Venite, ascoltate, voi tutti che temete Dio e narrerò quanto per me ha fatto” (vv16.20). I testi del profeta Isaia e del salmista sono immersi nella stessa atmosfera, ma non si trovano sullo stesso registro: il profeta esprime la rivelazione di Dio, mentre il salmo è la preghiera dell’uomo. Quando Dio parla si preoccupa della gloria e della felicità di Gerusalemme. Quando il popolo, attraverso la voce del salmista, parla rende a Dio la gloria che a lui solo spetta: “Acclamate Dio, voi tutti della terra, cantate la gloria del suo nome, dategli gloria con la lode” (vv1-3). Infine il salmo diventa voce di tutto Israele: “Sia benedetto Dio che non ha respinto la mia preghiera, non mi ha negato la sua misericordia” (v.20). Un modo meraviglioso per dire che sarà l’amore ad avere l’ultima parola

 

*Seconda Lettura dalla lettera di san Paolo ai Galati (6, 14-18)

“Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce “. Il fatto che Paolo insiste sulla croce come unico vanto, lascia intuire che c’è un problema. In effetti la lettera ai Galati inizia con un forte rimprovero perché molto in fretta i credenti erano passati da Cristo a un altro vangelo e alcuni seminavano confusione volendo capovolgere il vangelo di Cristo. A seminare zizzania erano ebrei convertiti al cristianesimo (giudeo-cristiani) che volevano obbligare tutti a praticare tutte le prescrizioni della religione ebraica, compresa la circoncisione. Paolo allora li mette in guardia perché teme che dietro la discussione sul sì o no alla circoncisione  si nasconda una vera eresia dato che ci salva solo la fede in Cristo concretizzata dal Battesimo e  imporre la circoncisione equivarrebbe a negarlo, ritenendo la croce di Cristo non  sufficiente. Per questo ricorda ai Galati che il loro unico vanto è la croce di Cristo. Ma, per comprendere Paolo, bisogna precisare che per lui la croce è un evento e non si concentra solo sulle sofferenze di Gesù: per lui è l’evento centrale della storia del mondo. La croce –cioè  Cristo crocifisso e risorto - ha riconciliato Dio e l’umanità, e ha riconciliato gli uomini tra loro. Scrivendo che per mezzo della croce di Cristo, “il mondo per me è stato crocifisso” intende dire che a a partire dall’evento della croce il mondo è definitivamente trasformato e nulla sarà più come prima, come scrive anche nella lettera ai Colossesi (Col 1, 19-20). La prova che la croce è l’evento decisivo della storia è che la morte è stata vinta: Cristo è risorto. Per Paolo, croce e risurrezione sono inseparabili trattandosi di un solo medesimo evento. Dalla croce è nata la creazione nuova, contrapposta al mondo antico.  In tutta questa lettera, Paolo ha contrapposto il regime della Legge mosaica con il regime della fede; la vita secondo la carne e la vita secondo lo Spirito; l’antica schiavitù e la libertà che riceviamo da Gesù Cristo. Aderendo per fede a Cristo, diventiamo liberi di vivere secondo lo Spirito. Il mondo antico è in guerra e l’umanità non crede che Dio sia amore misericordioso e di conseguenza, disobbedendo ai suoi comandamenti, crea rivalità e guerre per il potere e per il denaro. La creazione nuova, al contrario, è l’obbedienza del Figlio, la sua fiducia totale, il perdono ai suoi carnefici, la sua guancia tesa a chi gli strappa la barba, come scrive Isaia. La Passione di Cristo è stata un culmine di odio e di ingiustizia perpetrati in nome di Dio; Cristo però ne ha fatto un culmine di non-violenza, di dolcezza, di perdono. E noi, a nostra volta, innestati nel Figlio, siamo resi capaci della stessa obbedienza e dello stesso amore. Questa conversione straordinaria, che è opera dello Spirito di Dio, ispira a Paolo una formula particolarmente incisiva: Per mezzo della croce, il mondo è crocifisso per me e io per il mondo che vuol dire: Il modo di vivere secondo il mondo è abolito, ormai viviamo secondo lo Spirito e questo diventa  motivo di vanto per i cristiani. Proclamare la croce di Cristo non è facile e quando dice: “io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo” allude alle persecuzioni che egli stesso ha subito per aver annunciato il vangelo. Un’annotazione finale: questo è l’unico scritto paolino che termina con la parola “fratelli”. Dopo aver dibattuto polemicamente con i Galati alla fine Paolo ritrova nella sua comunità la fraternità che lega evangelizzatori a evangelizzati e l’unica sorgente dell’amore ritrovato è “nella grazia del Signore nostro Gesù Cristo” (v.18). 

 

*Dal vangelo secondo Luca (10, 1- 20)

 Questa pagina del vangelo presenta Gesù mentre si dirige verso Gerusalemme. Dopo aver superato tutte le tentazioni e aver vinto il principe di questo mondo, gli resta da trasmettere il testimone ai suoi discepoli che a loro volta dovranno consegnarlo ai loro successori. La missione è troppo importante e preziosa e va condivisa. In primo luogo c’è l’invito a pregare “il signore della messe perché mandi operai nella sua messe” (v.2).  Dio conosce tutto ma c’invita a pregare perché ci lasciamo illuminare da Lui. La preghiera non mira mai a informare Dio: sarebbe ben presuntuoso da parte nostra, ma ci prepara a lasciarci trasformare da lui. Invia così il folto gruppo dei discepoli in missione fornendo loro tutti i consigli necessari per affrontare prove e ostacoli a lui ben noti. Quando saranno rifiutati, come Gesù ha sperimentato in Samaria, non dovranno scoraggiarsi ma partendo annunceranno a tutti: “E’ vicino a voi il Regno di Dio” (v.9).  E aggiungeranno: «Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi” (v.11).  Ecco inoltre alcune specifiche consegne per i discepoli. “Vi mando come agnelli in mezzo ai lupi” (v.3) e questo indica che occorre restare sempre miti come agnelli essendo la missione del discepolo recare la pace: “in qualsiasi casa entriate, dite prima: Pace a questa casa. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui” (vv.5-6). Bisogna cioè credere a tutti i costi nel potere contagioso della pace perché quando auguriamo sinceramente la pace, realmente la pace cresce. E se qualcuno non vi accetta non lasciatevi appesantire dagli insuccessi e dai rifiuti. Ogni discepolo avrà vita difficile perché, se Gesù stesso non aveva dove posare il capo, questo toccherà pure ai suoi discepoli. E per questo dovranno imparare a vivere giorno per giorno senza preoccuparsi del domani, accontentandosi di mangiare e bere quello che sarà servito, come nel deserto il popolo di Dio poteva raccogliere la manna solo per il giorno stesso. Per evangelizzare porteranno con sé solo l’essenziale: “senza borsa, né sacca, né sandali” (v.4) e non passate di casa in casa.” (v.7). Ci saranno spesso scelte dolorose da compiere a causa dell’urgenza della missione e sarà importante resistere alla tentazione della vanità del successo:  ”Non rallegratevi perché i demoni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli” (v.20). Da sempre il desiderio di notorietà insidia i discepoli, ma i veri apostoli non sono necessariamente i più famosi. Si può pensare che i settantadue discepoli abbiano superato bene la prova  perché al ritorno, Gesù potrà dire: “Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore” (v.18).  Intraprendendo la sua ultima marcia verso Gerusalemme, Gesù sente per questo un grande conforto; tanto che subito dopo Luca ci dice: “In quello stesso istante, esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli.”

+Giovanni D’Ercole

Mercoledì, 25 Giugno 2025 09:16

Santi Pietro e Paolo apostoli

Festa dei Santi Pietro e Paolo apostoli [29 giugno 2025]

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga. Un ricordo particolare in questa domenica per Papa Leone XIV e per il suo ministero non facile in questo tempo di gravi crisi umane e spirituali nel mondo

 

*Prima lettura dagli Atti degli Apostoli (12, 1–11)

Gesù fu probabilmente giustiziato nell’aprile del 30. All’inizio, i suoi discepoli erano pochissimi e non davano fastidio, ma la situazione si complica quando iniziano a operare guarigioni e miracoli. Pietro fu imprigionato due volte dalle autorità religiose: la prima con Giovanni e si concluse con una comparizione davanti al tribunale e con minacce; la seconda con altri apostoli che Luca non nomina, liberati in modo miracoloso da un angelo (At 5, 17-20). In seguito le autorità religiose fanno uccidere Stefano e scatenano una vera persecuzione che spinge i più minacciati tra i cristiani chiamati “ellenisti” a lasciare Gerusalemme per la Samaria e la costa mediterranea. Giacomo, Pietro e Giovanni e l’insieme dei Dodici rimasero a Gerusalemme. Nell’episodio odierno il potere politico fa imprigionare Pietro sotto Erode Agrippa che regnò dal 41 al 44 d.C. Nipote di Erode il Grande, che regnava al momento della nascita di Gesù, Erode Agrippa era attento a non scontentare né il potere romano, né gli ebrei, tanto che si diceva che era romano a Cesarea e giudeo a Gerusalemme. Cercando però di piacere agli uni o agli altri, non poteva che essere nemico dei cristiani ed è in tale contesto che per farsi benvolere dagli ebrei, fece giustiziare Giacomo (figlio di Zebedeo) e imprigionò Pietro. Pietro scampa ancora miracolosamente, ma ciò che interessa a Luca, molto più del destino personale di Pietro, è la missione di evangelizzazione: se gli angeli vengono a liberare gli apostoli è perché il mondo ha bisogno di loro e Dio non permetterà che un potere ostacoli l’annuncio del vangelo. Una nota storica: Gli ebrei, ridotti in schiavitù e minacciati da un vero e proprio genocidio, vennero più volte liberati miracolosamente e nel corso dei secoli hanno annunciato al mondo che questa liberazione è sempre opera di Dio. Purtroppo, in un misterioso rovesciamento, può capitare che coloro che sono incaricati di annunciare e compiere essi stessi l’opera liberatrice di Dio, finiscano per farsi complici di una nuova forma di dominio, come avvenne per Gesù, vittima della perversione del potere religioso del suo tempo.  Luca, nel racconto della sua morte e resurrezione, mise bene in luce questo paradosso: fu nel contesto della Pasqua ebraica, memoriale del Dio liberatore, che il Figlio di Dio venne soppresso dai difensori di Dio. Tuttavia l’amore e il perdono del Dio “mite e umile di cuore” ebbero l’ultima parola: Gesù è risorto. Ed ecco che, a sua volta, la giovane Chiesa si trova ad affrontare la persecuzione dei poteri religiosi e politici, proprio come Gesù e anche questa volta, avviene nel contesto della Pasqua ebraica, a Gerusalemme. Pietro fu arrestato durante la settimana di Pasqua che inizia con il pasto pasquale e continua con la settimana degli Azzimi. Le parole che l’angelo dice a Pietro somigliano agli ordini dati al popolo la notte dell’uscita dall’Egitto (Es 12, 11): “Alzati in fretta! Mettiti la cintura, e legati i sandali” . Luca fa capire che Dio prosegue la sua opera di liberazione e l’intero racconto di questo miracolo è scritto sul modello e con il vocabolario della passione e resurrezione di Cristo. Simili gli scenari: è notte, c’è la prigione, ci sono i soldati, Pietro dorme a differenza di Gesù, ma per entrambi si leva nella notte la luce di Dio che agisce. Nell’oscurità della prova non viene meno la promessa di Cristo a Pietro perché le forze della morte e del male non prevarranno. La Chiesa nel travaglio della storia ripete spesso con Pietro la sua professione di fede: “Ora so veramente che il Signore ha mandato un angelo e mi ha strappato dalla mano di Erode” (v.11)

 

*Salmo responsoriale (33/34, 2-9)

“L’angelo del Signore si accampa attorno a quelli che lo temono, e li libera”. Cantiamo questo salmo dopo aver ascoltato il racconto della liberazione di Pietro e sappiamo che tutta la giovane Chiesa era in preghiera per lui. “Questo povero grida; il Signore lo ascolta”: la fede è gridare a Dio e sapere che ci ascolta, come ascoltò il grido della comunità, e Pietro fu liberato. Gesù però sulla croce non è sfuggito alla morte e anche Pietro di nuovo prigioniero a Roma sarà ucciso. Si dice spesso che con la preghiera tutto si risolverà e invece non è così perché anche chi prega e fa novene e pellegrinaggi non sempre ottiene la grazia domandata. Dunque Dio a volte non ascolta oppure, quando non veniamo esauditi come vorremmo è perché abbiamo pregato male o non abbastanza? La risposta sta in tre punti: 1. Sì,Dio ascolta sempre il nostro grido; 2. risponde donandoci il suo Spirito; 3. suscita accanto a noi dei fratelli. 1.Dio sempre ascolta il nostro grido. Nell’episodio del roveto ardente (Es 3) leggiamo: “Dio disse a Mosè: Sì, davvero, ho visto la miseria del mio popolo in Egitto, e ho udito il suo grido sotto i colpi dei suoi sorveglianti. Sì, conosco le sue sofferenze”. Il vero credente sa che il Signore ci è vicino nella sofferenza perché è “dalla nostra parte”, come leggiamo  qui nel salmo 33/34: Ho cercato il Signore: mi ha risposto…mi ha liberato…ascolta…salva… il suo angelo si accampa attorno e libera quelli che lo temono, è un rifugio. 2. Dio ci risponde donandoci il suo Spirito come si capisce quando si ascolta ciò che Gesù dice nel vangelo di Luca: “Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto. Chiunque infatti chiede, riceve; chi cerca, trova; e a chi bussa, sarà aperto. Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà invece un serpente? O se chiede un uovo, gli darà forse uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono. » (Lc 11, 9-13). Dio non fa sparire ogni preoccupazione per magia, ma ci riempie del suo Spirito e la preghiera ci apre all’azione dello Spirito  che suscita in noi la forza per modificare la situazione e superare la prova. Non siamo più soli: leggiamo nel salmo responsoriale che “Questo povero grida e il Signore lo ascolta, lo salva da tutte le sue angosce… Ho cercato il Signore, mi ha risposto e da ogni paura mi ha liberato” (vv. 6-7). Credere che il Signore ci ascolta fa spegnere la paura e svanire l’angoscia. 3.Dio suscita accanto a noi dei fratelli. Quando nell’episodio del roveto ardente Dio dice che ha visto la miseria del popolo in Egitto e udito il suo grido, suscita in Mosè l’impulso a liberare il popolo: “E ora, poiché il grido degli Israeliti è giunto fino a me… va’ dunque; io ti mando dal faraone. Fa’ uscire dall’Egitto il mio popolo” (Es 3, 9-10). Quante volte nell’esperienza dalla sofferenza, Dio ha suscitato i profeti e i capi di cui il popolo aveva bisogno per prendere in mano il proprio destino. Infondo il salmo responsoriale esprime l’esperienza storica di Israele dove la fede appare come un duplice grido: l’uomo grida la sua angoscia come Giobbe e sempre Dio ascolta e lo libera. L’uomo poi prega rendendo grazie come Israele che, pur fra mille vicissitudini, mai ha perso la speranza cantando: “Benedirò il Signore in ogni tempo, sulla mia bocca sempre la sua lode. Io mi glorio nel Signore: i poveri ascoltino e si rallegrino!”(vv. 2-3)

 

*Seconda lettura dalla seconda Lettera di san Paolo a Timoteo (4, 6 -8.17-18)

Si pensa che le due lettere a Timoteo furono forse scritte qualche anno dopo da un discepolo di Paolo, invece tutti concordano nel riconoscere che è suo il testo che oggi leggiamo; anzi rappresenta il suo testamento e l’ultimo saluto a Timoteo. Prigioniero a Roma, Paolo è consapevole che sarà giustiziato ed è arrivato il momento della grande partenza, certo di dover comparire davanti a Dio. Guarda quindi retrospettivamente al passato da quando sulla via di Damasco Cristo l’ha impugnato come una spada e traccia un bilancio utilizzando in flashback quattro immagini che ben disegnano l’itinerario della sua missione. 1. La prima immagine è legata al culto: “Io sto già per essere versato in offerta” (v.6), allude a un’antica usanza cultuale chiamata libazione che consisteva nel versare un liquido (vino, olio, acqua latte o miele) come offerta sacra, simbolo del dono totale della vita alla divinità. Paolo usa quest’immagine per dire che la sua esistenza è un totale sacrificio a Cristo. 2. La seconda immagine é legata alla navigazione: “è giunto il momento che io lasci questa vita” (v.6). Paolo sa che il suo viaggio è quasi giunto al porto dopo tempeste e problemi d’ogni genere. Ha scelto la parola greca “analusis” (scioglimento, liberazione) usata in ambito nautico e militare sia per indicare lo scioglimento delle corde che tengono la nave ancorata per salpare verso mare aperto; sia in ambito militare per indicare lo smontaggio delle tende di un accampamento quando i soldati partono per una nuova missione. Paolo vuol dire che la sua vita sta per essere liberata dai legami terreni per salpare verso la patria, la casa del Padre. 3. La terza immagine è legata alla lotta, non violenta ma interiore e spirituale, per evangelizzare: “Ho combattuto la buona battaglia” (v.7). La sua vita è segnata da combattimenti, persecuzioni, aspri confronti e tradimenti, eppure, come scrive più avanti, è sempre stata liberato “dalla bocca del leone” (v.17).  4.La quarta immagine è connessa allo sport: “Ho terminato la corsa” (v.7). La corsa praticata negli stadi nell’antichità è simbolo del cristiano che mai abbandona il percorso missionario e al termine, se conserva la fede, riceve la “corona” che il Signore riserva ai veri discepoli di Cristo. Questa corsa non è competizione fra atleti perché ognuno al suo ritmo avanza verso Cristo e “la sua manifestazione”. Ed allora, come Gesù e Stefano, al momento dell’esecuzione, Paolo perdona coloro che lo hanno abbandonato certo della forza del Signore liberatrice da ogni male. E il pericolo vero da cui Dio lo ha preservato è quello di rinunciare alla sua missione fino alla morte. Non è però questo un motivo di vanto perché sa che Dio l’ha salvato e per questo  intona il canto di gloria mentre nasce alla vera vita: “A lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.”

 

*Dal Vangelo secondo Matteo (16, 13 –19)

Questo episodio segna una svolta nella vita di Gesù e di Pietro perché appena Simone proclama chi è Gesù, riceve da lui la missione per la Chiesa. Cristo costruisce la sua Chiesa su un uomo la cui unica virtù è quella di aver proclamato ciò che il Padre gli ha rivelato: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”(v16) . Questo significa che l’unico vero pilastro della Chiesa è sua la fede in Cristo, il quale subito risponde: “Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa” (v.18). Questo celebre testo “petrino” è costruito su tre simboli: Il primo è la “pietra” che si lega al nome aramaico Kefa: “Tu sei Pietro”. In greco: “Σ ε Πέτρος (Petros)” significa “tu sei Pietra” o “Roccia”. Gesù cambia il nome di Simone in Pietro, dandogli una missione e un’identità nuova. In ambito semitico cambiare il nome indica cambiamento del destino e della realtà della persona. Simone diventa così la roccia sulla quale Cristo pone la base della Chiesa che resta sua e di cui è per sempre la “pietra angolare” insostituibile. Nell’antichità, la pietra era simbolo di stabilità e sicurezza per cui edificare sulla pietra significa costruire su un fondamento saldo e inamovibile e su Pietro il Signore inizia a dare una forma visibile alla sua comunità. Promette che la sua Chiesa, fondata su questa pietra-  la fede e la sua missione di Pietro(v. 6),- resisterà alle forze del male e Pietro diventa così il primo pastore visibile della comunità, anche se il vero fondamento ed eterno Pastore è Cristo (cfr. 1 Cor 3,11). Secondo simbolo, le chiavi: “A te darò le chiavi del regno dei cieli”. Le chiavi, segno di autorità e responsabilità su una casa, rendono un’immagine efficace della potestà che Cristo trasmette a Pietro. Affidare le chiavi equivale a conferire il potere di aprire e chiudere, di permettere o vietare l’accesso. Pietro non è il fondatore e il sovrano di un regno, ma il responsabile immediato che esercita il potere in modo delegato guidando la comunità dei credenti, insegnando e prendendo decisioni vincolanti in materia di fede e di morale. Il terzo simbolo s’esprime nel binomio legare e sciogliere: “Tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto in cielo” (v19). Le espressioni “legare” e “sciogliere” erano comuni nel linguaggio rabbinico e indicavano il potere di dichiarare qualcosa lecito o illecito, di permettere o proibire determinate azioni. Applicate a Pietro, sottolineano la sua autorità nel prendere decisioni dottrinali e disciplinari in piena fedeltà alla parola di Dio (Gv 20,23), autorità che condivide nella Chiesa con gli altri apostoli (Mt. 18,18), anche se Pietro conserva un ruolo di unico e preminente rilievo. Infine Gesù dice: “Io edificherò la mia Chiesa”: è dunque lui che costruisce e guida la Chiesa che resta per sempre sua, per cui possiamo camminare sicuri perché “le potenze degli inferi non prevarranno su di essa.” (v.18)

+ Giovanni D’Ercole

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Simon, a Pharisee and rich 'notable' of the city, holds a banquet in his house in honour of Jesus. Unexpectedly from the back of the room enters a guest who was neither invited nor expected […] (Pope Benedict)
Simone, fariseo e ricco “notabile” della città, tiene in casa sua un banchetto in onore di Gesù. Inaspettatamente dal fondo della sala entra un’ospite non invitata né prevista […] (Papa Benedetto)
«The Russian mystics of the first centuries of the Church gave advice to their disciples, the young monks: in the moment of spiritual turmoil take refuge under the mantle of the holy Mother of God». Then «the West took this advice and made the first Marian antiphon “Sub tuum Praesidium”: under your cloak, in your custody, O Mother, we are sure there» (Pope Francis)
«I mistici russi dei primi secoli della Chiesa davano un consiglio ai loro discepoli, i giovani monaci: nel momento delle turbolenze spirituali rifugiatevi sotto il manto della santa Madre di Dio». Poi «l’occidente ha preso questo consiglio e ha fatto la prima antifona mariana “Sub tuum praesidium”: sotto il tuo mantello, sotto la tua custodia, o Madre, lì siamo sicuri» (Papa Francesco)
The Cross of Jesus is our one true hope! That is why the Church “exalts” the Holy Cross, and why we Christians bless ourselves with the sign of the cross. That is, we don’t exalt crosses, but the glorious Cross of Christ, the sign of God’s immense love, the sign of our salvation and path toward the Resurrection. This is our hope (Pope Francis)
La Croce di Gesù è la nostra unica vera speranza! Ecco perché la Chiesa “esalta” la santa Croce, ed ecco perché noi cristiani benediciamo con il segno della croce. Cioè, noi non esaltiamo le croci, ma la Croce gloriosa di Gesù, segno dell’amore immenso di Dio, segno della nostra salvezza e cammino verso la Risurrezione. E questa è la nostra speranza (Papa Francesco)
The basis of Christian construction is listening to and the fulfilment of the word of Christ (Pope John Paul II)
Alla base della costruzione cristiana c’è l’ascolto e il compimento della parola di Cristo (Papa Giovanni Paolo II)
«Rebuke the wise and he will love you for it. Be open with the wise, he grows wiser still; teach the upright, he will gain yet more» (Prov 9:8ff)
«Rimprovera il saggio ed egli ti sarà grato. Dà consigli al saggio e diventerà ancora più saggio; istruisci il giusto ed egli aumenterà il sapere» (Pr 9,8s)
These divisions are seen in the relationships between individuals and groups, and also at the level of larger groups: nations against nations and blocs of opposing countries in a headlong quest for domination [Reconciliatio et Paenitentia n.2]
Queste divisioni si manifestano nei rapporti fra le persone e fra i gruppi, ma anche a livello delle più vaste collettività: nazioni contro nazioni, e blocchi di paesi contrapposti, in un'affannosa ricerca di egemonia [Reconciliatio et Paenitentia n.2]
But the words of Jesus may seem strange. It is strange that Jesus exalts those whom the world generally regards as weak. He says to them, “Blessed are you who seem to be losers, because you are the true winners: the kingdom of heaven is yours!” Spoken by him who is “gentle and humble in heart”, these words present a challenge (Pope John Paul II)
È strano che Gesù esalti coloro che il mondo considera in generale dei deboli. Dice loro: “Beati voi che sembrate perdenti, perché siete i veri vincitori: vostro è il Regno dei Cieli!”. Dette da lui che è “mite e umile di cuore”, queste parole  lanciano una sfida (Papa Giovanni Paolo II)

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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