Scintilla di bellezza e umanesimo, o senza futuro
(Gv 8,12-20)
In tutte le religioni il termine Luce viene usato come metafora delle forze del bene.
Sulla bocca di Gesù [presente nei suoi intimi] il medesimo vocabolo sta a indicare un compimento dell'umanità (persino dell’istituzione religiosa) secondo il progetto divino, riconoscibile nella sua stessa Persona.
La distinzione fra Luce e tenebra in Cristo non è in qualche modo paragonabile al binomio dualista più convenzionale - circa il bene e il male. L'attività del Creatore è poliedrica.
Il termine evangelico dunque non designa alcuna staticità di giudizio fisso.
Non di rado le cose più preziose sorgono proprio da ciò che disturba il pensiero omologato.
La stessa mente che crede di stare solo nella luce è una mente unilaterale, parziale, malata; legata a un’idea, quindi scadente.
Dio sa che sono le incompletezze a lanciare l’Esodo, possono essere le insicurezze a non farci sbattere contro i modelli… i quali ci fanno perdere ciò che siamo.
Le energie che investono la realtà creata hanno infatti una radice potenziale del tutto positiva.
I tramonti preparano altri percorsi, le ambivalenze danno il “la” a recuperi e crescite impossibili.
«Luce» era nel giudaismo il termine che designava il cammino retto dell'umanità secondo Legge, senza eccentricità né declino.
Ma con Gesù non è più la Torah che fa da guida, bensì la vita stessa [Gv 1,4: «La Vita era la Luce degli uomini»] che si caratterizza per la sua difforme complessità.
Così, anche il «mondo» - ossia (in Gv) anzitutto il complesso dell’istituzione - deve tornare a una Guida più sapiente, che rischiari l’esistenza reale.
Durante la festa delle Capanne, nei cortili del Tempio di Gerusalemme si accendevano enormi lampioni.
Uno dei riti principali consisteva nell’allestire una mirabile processione notturna con le faci accese - e nel far rifulgere le grandi lampade.
Esse sopravanzavano le mura e illuminavano tutta Gerusalemme.
Era il contesto adeguato per proclamare la Persona stessa del Cristo quale autentica Parola sacra e umanizzante, luogo dell’incontro con Dio e fiaccola della vita. Nulla di esterno e retorico-tutto-apparenza.
Perciò il Maestro si staglia - con evidenza contraria - proprio nel luogo del Tesoro [baricentro reale del Tempio, v.20] come vero e unico Punto estremo che squarcia le tenebre.
Il Signore invita a fare nostro il suo stesso cammino acutamente missionario: dal sacrario di pietra al cuore di carne, gratuito come quello del Padre.
Appello limpido e Domanda intima che mai si spegne: la sentiamo ardere viva senza consumarsi.
Non c’è da temere: l’Inviato non è solo. Non testimonia se stesso, né le proprie manie o squilibri utopici: la sua Chiamata per Nome si fa Presenza divina - Aurora, Sostegno, Amicizia e balzo inequivocabile, invincibile, che squarcia le caligini.
Sprizza ‘dal nucleo’ assumendo le stesse ombre e rinascendo; portando i nostri lati oscuri accanto alle ‘radici’.
[Lunedì 5.a sett. Quaresima (anno C), 7 aprile 2025]