(Gv 15,18-21)
Lui che è maestro dell’amore, al quale piaceva tanto parlare di amore, parla di odio. Ma a lui piaceva chiamare le cose con il nome proprio che hanno [Papa Francesco].
Oggi la cultura riflette una «tensione», che alle volte prende forme di «conflitto», fra il presente e la tradizione. La dinamica della società assolutizza il presente, staccandolo dal patrimonio culturale del passato e senza l’intenzione di delineare un futuro […] Infatti un popolo, che smette di sapere quale sia la propria verità, finisce perduto nei labirinti del tempo e della storia, privo di valori chiaramente definiti e senza grandi scopi chiaramente enunciati [Papa Benedetto].
Nella sezione che precede Gesù denota il carattere dell’amore tra Lui e i discepoli e l’amore vicendevole fra credenti. Ora introduce il contrasto col mondo: il contrario dell’amore.
In Gv il termine «mondo» designa la struttura di peccato frutto del connubio religione potere interesse.
Regno che si organizza a partire da individui ambiziosi e cordate; reti di ammanicati, sintonie di circostanza, cricche.
Sin dai primi tempi, il contromano diventava viceversa costitutivo dei figli! In tal guisa, la configurazione del Regno era cosa alternativa, capovolgimento.
I modelli affermati ed elogiati, ben inseriti, non distraevano i fratelli di Fede. Le nuove assemblee educavano a conquistare sicurezza nella personale Vocazione.
La loro esperienza anche mistica aveva un altro discrimine rispetto agli osanna e al quietismo a guinzaglio dell’impero e delle religioni.
Nel quarto Vangelo la ‘Chiesa’ [in Gv il termine specifico Εκκλησία non è mai usato] è in filigrana il contrario del «mondo».
Lo spirito mondano della religiosità ufficiale già odiava gli amici che Cristo aveva tratto «da» quelle acque inquinate:
«Se foste dal mondo […] Poiché invece non siete dal mondo, ma io vi ho scelto dal mondo, per questo vi odia il mondo» (v.19).
La prima esperienza delle comunità giovannee dell’Asia Minore fu la persecuzione.
Vicenda dopo vicenda, la sopraffazione subita diventava normale per il credente, perché quel mondo lì amava solo i “suoi”: «il mondo vorrebbe bene a proprio» (v.19 testo greco), ossia, ciò e coloro in cui si riconosce.
Per la loro Fede viva gli amici del Cristo restavano invece ‘intimi’; estranei ad ogni apparato.
Nelle scelte e nella condotta riflettevano uno stile di vita conviviale unico - umanizzante ben più di ogni credenza normale e codina.
Con la loro azione che derivava dalla sola forza interiore, prefiguravano un germe di società anticonformista. Ciò a paragone dell’ideologia di potere - e del suo avere-apparire.
Così gli amici del Signore davano testimonianza contro «il peccato del mondo» (cf. Gv 1,29) proprio come aveva fatto l’Agnello di Dio.
Sebbene destinati alla sconfitta, gli autentici fedeli operavano in modo eccentrico; mai servile.
Il distacco era con le strutture devote ufficiali, sempre deferenti, codarde; ben disposte alla sacralizzazione dei ruoli assodati.
Insomma, i discepoli di tutti i tempi «conoscono» il Figlio e il Padre; il mondo li disconosce (v.21).
Quindi «Non c’è servo più grande del suo Signore» (v.20).
Il credente beve al medesimo calice, proclama le medesime verità: non può avere una sorte migliore.
L’intensificarsi del male-contro è inevitabile.
«Tutte queste cose faranno contro di voi a causa del mio Nome» (v.21).
Gesù è vissuto fra denunce, contrasti, animosità, persecuzioni, ed è morto da ribelle punito e svergognato. Questa la realtà del «Nome».
Cosa attendersi di diverso dagli eredi della sua Parola, dai portatori del medesimo Appello che aveva condotto il Maestro a essere distrutto dalle autorità ufficiali?
Tuttavia i semplici della terra non lo hanno mai rigettato.
E ora più che mai si fa necessario che il germe vitale di quella testimonianza pacata e drammatica continui.
Gv aiuta le comunità dell’Asia Minore a comprendere la propria identità e destino di beffa, senza tuttavia fermarsi al tema della persecuzione.
La nostra Via corre parallela a quella del Maestro non solo perché disinteressata ai risultati visibili e punteggiata di ferite.
Nel panorama dei vari credo secondo corrente mondana, è da mettere in conto che la proposta di Gesù crei divisioni, antipatia; perché sembra un’assurdità rispetto al cammino qualunque.
La testimonianza del Crocifisso non solo non è riducibile a banalità di signorsì, tornaconto e teatro sociale.
Gli evangelizzatori fanno differenza a partire dall’abbecedario dell’ovvietà “spirituale” da paradigma.
Appunto, il mondo non conosce il Padre (v.21): ama e capisce solo ciò che è suo (v.19).
Impossibile afferri l’idea che solo chi rischia comprende Dio; che unicamente la profondità, la reciprocità e pari dignità lo rende Presente.
Per quanto concerne lo specifico della proposta umanizzante, nello Spirito:
Assurdo sembra che si possa essere “a cospetto” del Mistero non a partire dalla perfezione, ma dalla Grazia. Non a partire dalla condizione ottimale, ma dalla situazione di limite. Non dall’obbligo che si attiene (e uguale per tutti) ma dalla Chiamata per Nome eccentrica.
Nella vita di Comunione col Cielo e il prossimo non scattiamo da giudizi a monte, procedure, o piattaforme già solide, bensì dalla nostra indigenza accolta.
Proposta che non abolisce né ignora ciò ch’è divinizzante e umano.
È una bomba, certo. Per servitori unici - e senza ricompensa.
Altro che «mondo» [detestabile] col quietismo a guinzaglio: esso ama autodefinire cosa sia ad es. “perbene”, “giustizia”, “spirito”, “relax”… e perfino “bellezza”!
Vuoto - sorta di situazionalismo “woke” - che non rigenera la natura profonda delle anime, né il mondo.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Ti chiudi in teatrini dove la maschera eclissa te stesso?
Opti per la strada larga e già conosciuta?
Preferisci sentieri di facile moralismo o la Via della Fede nel Crocifisso, quella dello smacco e squilibrio d’amore?