(Lc 9,22-25)
Ieri abbiamo sottolineato come il tarlo della vanità nella ricerca della stima altrui spinga all’ipocrisia e all’ostentazione.
Ci chiediamo: Cosa rende intimi al Padre? Portare la Croce - nel senso di essere figlio devoto e obbediente? Bisogna rinunciare a vivere, accettando i vari mali?
No, la comunione con Dio consegue a un impegno liberamente assunto. Quel patibolo non è esigenza del Padre che vorrebbe essere ‘risarcito’ almeno da qualcuno.
Le vie tra cui scegliere non sono tante, ma solo due: vittoria o dono, e ogni istante è tempo di decisione.
I modelli non servono più.
Un confronto fra i testi paralleli in lingua greca (ad es.) di Mc 8,34; Mt 10,38; Lc 9,23 e 14,27 [Gv 12,26] fa comprendere il significato di «prendere» o «sollevare la croce» per un discepolo che rivive Cristo e lo dilata nella storia degli uomini.
Dio non dà croce alcuna, né i figli sono chiamati a “sopportarla” o addirittura “offrirla”! La Croce va ‘presa’ attivamente, perché l’amico di Gesù si gioca l’onore.
La sua onda vitale raggiunge il dono completo anche sotto il profilo della pubblica considerazione.
Dopo la sentenza di tribunale, il condannato al supplizio doveva caricarsi sulle spalle il braccio orizzontale del patibolo.
Era il momento più straziante, perché di massima solitudine e percezione di fallimento.
Lo sventurato e già svergognato doveva così procedere al luogo della crocifissione passando fra due ali di folla che per dovere religioso deridevano e malmenavano il disgraziato, ritenuto maledetto da Dio.
Gesù non ci propone la Croce nel senso corrivo d’una necessaria sopportazione delle inevitabili contrarietà della vita che attraverso l’ascesi cesella animi più capaci di abbozzare [oggi si dice: ‘resilienti’].
Rispetto alle solite proposte di sana disciplina - esteriore e interiore - uguali per tutti e utili solo per tenere buona la situazione (di privilegio altrui), il giovane Rabbi sta viceversa suggerendo un comportamento assai più radicale.
Il Signore propone un’ascetica totalmente differente da quella delle religioni - addirittura capovolta.
Il credente deve rinunciare alla ‘reputazione’. È lo spunto essenziale e dirimente della persona di Fede.
Chi è legato alla sua buona fama, ai ruoli, al personaggio da recitare, alla mansione, al livello acquisito, non somiglierà mai al Figlio.
Neppure chi non dilata la dimensione tribale dell’interesse di “famiglia”.
Sin dai primi tempi, l’annuncio dell’autentico Messia creava divisioni: la ‘spada della sua Persona’ separava la vicenda di ciascuno dal mondo di valori del clan di appartenenza o dall’idea stessa di rispettabilità, anche nazionale.
Oggi capita la stessa cosa dove qualcuno annuncia il Vangelo com’è, e tenta di rinnovare i meccanismi inceppati della configurazione istituzionale abitudinaria.
In tal guisa, caricandosi della Croce di beffe conseguenti.
Una separazione e taglio nettissimo con i criteri di grandezza e successo, per l'Unità nuova; perseguitata: quella che fa da crocevia della Verità senza doppiezze.
Provare per credere.
Sembra un sogno privo di senso, ma questo è ciò che unisce la Chiesa al suo Signore.
Un cammino crocifiggente, dove si guadagna quello che si perde - anzitutto in considerazione.
[Giovedì dopo le Ceneri, 6 marzo 2025]