(Lc 6,39-45)
«Quanto ha bisogno la nostra famiglia umana di imparare a vivere insieme in armonia e pace senza che dobbiamo essere tutti uguali!» (Papa Francesco FT n.100).
Nelle assemblee dei primi secoli i battezzati erano detti «illuminati», persone in grado di orientarsi, scegliere e farsi autonomi.
Il Signore non consentiva ai suoi di fregiarsi del ruolo di “guide” della vita altrui (v.39).
Gli apostoli di tutti i tempi devono solo annunciare e restare discepoli, ossia alunni dello Spirito - non fare gli esperti.
La via di Dio è il Cristo stesso. Non può essere comunicata da docenti: non è un’informazione che va a colmare teste vuote e vicende inutili, da riempire di esteriorità.
Il contesto del brano di oggi abolisce il giudizio, nell’ideale d’una esistenza personale trasformata in ricchezza e dono - che ridicolizza ogni tendenza di dominio.
Nessuno è padrone della sorte e della personalità di chi non si orienta, altrimenti tutti vanno fuori strada (v.39) - pur coi migliori propositi.
Gesù stesso non comandava né dirigeva, ma educava e aiutava. I rabbini si facevano pagare: Lui offriva tutto, vivendo coi suoi [per una reciproca identificazione, però a maglie larghe].
Atteggiamento trasparente e creativo: questa la vera e unica norma di condotta per gli apostoli di tutti i tempi, spesso non in grado di cogliere la loro stessa cecità - perché ancora unilaterali.
Poi, d’una pianta non conta la mole e l’apparenza, ma il frutto (vv.43-45). Motivo in più per risottolineare che gli animatori di chiesa non sono superiori agli altri, né i depositari di verità assolute.
Infatti Gesù è imparagonabile: Maestro sui generis (v.40).
Non ha un’aula arredata con cattedra e banchi. E ancora insegna lungo la strada: lì c’introduce a incontrare noi stessi, i fratelli e la realtà circostante; in un processo, in un cammino.
Non tiene tranquille lezioni di chiosa, compilatorie o moralistiche: stupisce.
Non reinterpreta il ginepraio di saperi, costumanze e disposizioni arcaiche - o mode - autentiche «travi» (vv.41-42) ficcate nell’occhio libero dell’anima, che ne deformano lo sguardo.
Propone la sua Persona e la sua Vita. Nonché i suoi rimproveri - ma proprio quelli e non altri (scontati) volatili come «pagliuzze» (vv.41-42).
Ciò mentre i falsi maestri si ritenevano amici di Dio e destinatari di ovvio riconoscimento.
Da come si atteggiavano, sembrava si sentissero nettamente superiori non solo alla gente, ma allo stesso Maestro (v.40).
Ma Egli li bolla per quello che sono: «ipocriti» (v.42). In lingua greca significa teatranti, gente che recita.
Gesù mette in guardia i suoi [che a parole lo chiamano volentieri Signore: v.46] dalla presunzione di fare i capitani della truppa.
C’è un solo Maestro che dirige e sa dove andare; e ‘unica’ ogni persona - forse inesperta e ritenuta cieca, ma che ‘vede’ meglio dei grandi nomi.
Questi, dal loro cattivo tesoro tireranno fuori - appena dietro l’angolo - il brutto e corrotto anche per gli altri (vv.43-45; testo greco).
Invece l’uomo di Fede prova ancora una nuova Beltà dentro, che vuole esprimersi e restare di prima mano - non accontentarsi di strappare un “pareggio mediocre”.
Peggiore dei fossi (v.39) in cui si cade insieme.
«Siamo assolutamente perduti se ci viene a mancare questa particolare Individualità, l’unica cosa che possiamo dire veramente nostra e la cui perdita costituisce anche una perdita per il mondo intero. Essa è preziosissima, appunto perché non è universale» (Tagore).
[8.a Domenica T.O. (anno C), 2 marzo 2025]