Apr 5, 2025 Scritto da 

Passione d’Amore secondo Lc

(Lc 22,14-23,56)

 

Gesù introduce nel mondo una novità totale, principio di vita: l’amore senza condizioni.

I fatti narrati nei racconti di Passione sono fondamentalmente gli stessi, ma ogni autore sottolinea temi di catechesi ritenuti urgenti per la sua comunità.

Sebbene collocata in una tensione di anticipazione ecclesiale (Regno), dal tono della narrazione di Lc è evidente che la Cena abbia avuto un qualche carattere di continuazione dei pasti che Gesù consumava coi suoi.

Qui Egli già trasmette la totalità di se stesso: «Questo sono io». Unica Via che unisce al Padre è la sua Persona e la sua vicenda storica, che condensano il mistero dell’alleanza.

Altre strade come ad es. quelle tracciate dai Patti d’Israele non riescono più a contenere la sua proposta d’Amore e Vita piena.

 

Mt Mc Lc situano l’istituzione dell’Eucaristia all’interno della cena pasquale giudaica. Una rielaborazione teologica per affermare (nella Fede) il senso dell’autentica Pasqua di Liberazione in Cristo.

Rispetto ai primi tre, il quarto Vangelo è più aderente al senso del Pane Spezzato come fonte di Vita per tutti.

Gv “anticipa” la morte del Signore al momento in cui i sacerdoti sgozzavano gli agnelli destinati alla cena di Pasqua, sulla spianata del Tempio.

Quindi il sacrificio della Croce - contemporaneo a quest’ultimo evento - è giustamente collocato da Gv nelle ore precedenti la cena “pasquale” dei Sinottici.

In effetti, la Cena del Signore che celebriamo non ha avuto origine dalla celebrazione popolare dell’Esodo (del Primo Testamento) nell’aprile dell’anno 30 (Gesù aveva 37 anni).

L’Eucaristia infatti non ha mai avuto a che fare con gl’ingredienti tipici della mensa di Pasqua ebraica, quali spezie o salse, erbe dolci e amare, differenti calici di vino e così via.

Il senso originale del gesto rituale del Maestro coi suoi - che introduce il racconto della Passione - è quella gioiosa dello Zebah-Todah (Lv 7,11ss: unico culto votivo che poteva essere celebrato fuori del Tempio di Gerusalemme, in casa, con amici e famigliari).

Da ciò il doppio termine (comune) con cui si designa ancora il segno efficace che Cristo ci ha lasciato: Comunione (Zebah) ed Eucaristia (Ringraziamento: Todah).

Todah era un sacrificio di grande lode, uno dei vari generi specifici del sacrificio di Comunione. Ne rinveniamo diverse tracce nella Preghiera Eucaristica prima.

L’azione cerimoniale del Ringraziamento era inteso in senso molto forte, perché celebrava la Vita ritrovata, dopo una grave malattia o uno scampato pericolo di morte.

Buona parte dei Salmi - forse più di un terzo - in diversi punti esprimono la medesima gioia finale (scongiurata minaccia mortale, e l’esperienza di ritrovarsi salvati insieme ai propri cari, per Dono divino).

Il senso di quest’inneggiare nel quotidiano era infatti inizialmente anche per la Chiesa Cattolica (per quasi tutto il primo millennio, al pari della Chiesa Ortodossa) celebrato con pane lievitato (Lv 7,13), per indicarne il valore domestico e reale.

Esso ricalca i toni propri di tale antico culto di rendimento di grazie in focolare - purtroppo, difficile da tradurre nel senso delle formule proprie, percepibili solo ad un orecchio specialmente allenato (o nel testo originale in lingua ebraica).

L’atmosfera lieta e famigliare con cui si celebrava il rito di Comunione e Ringraziamento sembra qui intaccata dal dramma dell’infedeltà. È un forte richiamo alla vigilanza per tutti noi.

 

Gesù si porge ai suoi in forma di eredità e di tesoro. «Fate questo in mia memoria»: fra gli evangelisti solo Lc riferisce tali parole.

Il senso non riguarda le ripetizioni liturgiche. Il segno del Pane spezzato è riassuntivo - e un invito a fare nostra la sua proposta di esistenza, segnata dalla fedeltà a se stesso, alla vocazione, ai malfermi.

Il gesto del Signore c’introduce nel senso della libertà personale e nel servizio; in una forma di comunità a criteri rovesciati.

Il trattenere viene soppiantato dal dare, il salire diviene libertà di scendere, il comandare viene sostituito dal dialogo e dall’aiuto reciproco; la smania di apparire svanisce.

Coloro che signoreggiano pretendono persino di essere chiamati «Benefattori»? «Fra voi non così» (vv.25-26).

Chi ha ricevuto in dono la pienezza dimostra attitudine al superamento delle brame di precedenza e riconoscimenti.

Proprio durante la Cena Lc inserisce la discussione su quale discepolo fosse il più grande, perché Cristo la ritiene questione centrale.

L’evangelista la colloca nel momento del testamento di Gesù: è richiesta inviolabile.

Dove - malgrado le grandi apparenze - persiste la voglia di vincere e accapigliarsi non c’è nulla del mistero aperto sognato da Gesù.

La Chiesa caratterizzata da un tessuto di opposizioni, poteri, interessi, predominio di cerchie e lotta costante non manifesta nulla di divino.

 

«Signore, con te sono pronto ad andare anche in prigione, e alla morte» - ovviamente per finta (come mostra la negazione di Pietro stesso) e comunque per vincere.

Nel momento decisivo il “capo” non c’è, e se c’è fa mille piroette.

È vero pure che la vita della Chiesa e il senso della Passione si tengono su un piano misterioso, ma le persone cercano testimoni, non direttori.

Certo, i responsabili di comunità che abbandonano non vengono a loro volta respinti ed emarginati dal Signore, purché prima o poi si mettano in testa di «pascere i Suoi agnelli» (Gv 21,16), ossia nutrirli come si deve, con cibo sano.

Ma il rinnegato può diventare il prototipo di tutti i leaders che conoscono i propri limiti.

Bisogna capire la debolezza. Gesù non sottolinea l’errore del discepolo che tradisce. L’imputazione scosta da ogni cammino. Chi non si sente accolto finisce per ripiegarsi su di sé.

Quindi è opportuno non aggredire, e non solo rimediare ai guai. Prendersi cura (v.51) aiuta a crescere e liberare dalle schiavitù.

Lo sguardo rivolto a Pietro coglie l’intimo (v.61: en-blepein) del discepolo rinnegato: dietro le parole vili e i gesti codardi Gesù vede il bene - malgrado in alcuni momenti possiamo allontanarci.

 

Il Vangelo di Lc dipende molto da Mc, eppure nel racconto della Passione notiamo più punti di contatto con il quarto Vangelo.

Come Gv, infatti, Lc presenta la Passione d’amore di Cristo al pari d’uno scontro - già annunciato a termine delle tentazioni nel deserto (4,13).

Agonia è un termine che compare solo nel terzo Vangelo, a indicare la competizione, il combattimento interiore di colui che dev’essere fedele alla propria Chiamata.

Il sudore di sangue (v.44) esprime il tremito di chi si concentra nella lotta intima.

Quando le cose si prendono sul serio, ecco affacciarsi le notti di vero terrore - che possono essere anche nostre.

«Entrato in agonia, pregava più intensamente» (v.44). Cristo non si prepara recitando formule. Si mette in ascolto del Padre per cogliere e fare propri i suoi progetti.

Se - sopraffatto - Gesù fosse fuggito, le autorità lo avrebbero lasciato andare.

La figura dell’Angelo (Dio che si comunica a noi) è la rivelazione interiore che fa comprendere il valore della scelta di permanere.

 

«Alla destra della potenza di Dio» (v.69): aspetto sorprendente del paradosso cristiano è appunto scoprire nella propria esperienza il potere della vita che si riattualizza.

Ma la vita divina di qualità indistruttibile ha specie contraria... totalmente imprevedibile nelle sue dinamiche di principio... sia a paragone delle condanne sentenziose, che dei giudizi da tribunale religioso.

 

Insuperabile è la narrazione dell’incontro con Erode (23,6-11).

Il tetrarca della Galilea era a Gerusalemme in occasione della Pasqua, e poiché Pilato voleva sbarazzarsi del problema manda Gesù al suo re.

Il figlio di Erode il Grande desiderava incontrare Gesù da tempo. La sua prima reazione - nota Lc - è stata quella di una grande gioia, perché si aspettava d’incontrare un mago, un indovino, un esperto di arti occulte. Magari di fronte a lui il Nazareno si sarebbe finalmente convinto a compiere qualche gesto straordinario (una di quelle guarigioni di cui aveva sentito parlare).

L’evangelista nota che Gesù non lo degnò di risposta.

Di contro il sovrano «lo annientò» (23,11), ossia lo considerò un niente...

Non poteva avere maggiore delusione che quella di non vedere compiere alcun miracolo.

Il Messaggio è chiaro: meglio non cercare Gesù come facitore di prodigi: non riceveremo risposta.

Qua e là forse troveremo ciò che si cerca di norma nella religione, ma il Signore non si presta.

Cristianesimo è il luogo dell’ascolto della Parola della vita: una proposta per costruire secondo Dio; non il mercato dei miracoli portato avanti da opportunisti.

Per questo il Figlio è crocifisso tra criminali. Per il potere politico e religioso, lui era un pericolo assai peggiore.

Secondo Lc solo uno lo oltraggiava; l’altro chiama Gesù per nome e gli si affida (v.42).

 

All’inizio del Vangelo la venuta del Signore è collocata fra gli ultimi della terra.

Egli sin dall’inizio si manifesta al mondo tra gente impura e persone disprezzate [addirittura sicure di dover essere fatte fuori dal Messia giudice, e che quindi ne avevano timore] non fra i giusti e santi del Tempio.

Poi tutta la sua vita si svolge in mezzo a pubblicani e peccatori, perché venuto per loro.

Infatti: chi riporta in casa del Padre? Uno qualunque, che rappresenta tutti noi - un malfattore che aveva compiuto omicidi - perché tutti i peccati consistono nel togliere vita e gioia di vivere a qualcuno.

Così quell’assassino ci rappresenta. E il Cristo inizia a edificare Famiglia proprio con un criminale accanto, che siamo noi: peccatori recuperati dal suo amore senza condizioni.

 

Le «figlie di Gerusalemme» piangono perché il popolo rimane solo, interdetto fra i sogni violenti di Barabba e il realismo politico di Roma. Accettando la proposta di Cristo, la città santa poteva spezzare le catene dell’azione e reazione, dell’offesa-e-ritorsione, dello spirito di vendetta che pende sul mondo.

Ma sul Golgota si rivela il potere definitivo della Grazia - fondamento della vita - sulle vecchie linee del mondo morto:

«Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno» (23,34): le ultime parole di Gesù, anch’esse riferite solo da Lc.

Il discepolo di Cristo non conosce il linguaggio dell’imprecazione, della maledizione, di chi invoca castighi.

Anche nei momenti più drammatici d’ingiustizia e vessazione siamo chiamati a pronunciare solo amore: cedere, fonte di energie nuove e recuperi inspiegabili.

Piattaforma dell’esistenza nuova della Chiesa.

5 Ultima modifica il Sabato, 05 Aprile 2025 06:53
don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Jesus shows us how to face moments of difficulty and the most insidious of temptations by preserving in our hearts a peace that is neither detachment nor superhuman impassivity (Pope Francis)
Gesù ci mostra come affrontare i momenti difficili e le tentazioni più insidiose, custodendo nel cuore una pace che non è distacco, non è impassibilità o superomismo (Papa Francesco)
If, in his prophecy about the shepherd, Ezekiel was aiming to restore unity among the dispersed tribes of Israel (cf. Ez 34: 22-24), here it is a question not only of the unification of a dispersed Israel but of the unification of all the children of God, of humanity - of the Church of Jews and of pagans [Pope Benedict]
Se Ezechiele nella sua profezia sul pastore aveva di mira il ripristino dell'unità tra le tribù disperse d'Israele (cfr Ez 34, 22-24), si tratta ora non solo più dell'unificazione dell'Israele disperso, ma dell'unificazione di tutti i figli di Dio, dell'umanità - della Chiesa di giudei e di pagani [Papa Benedetto]
St Teresa of Avila wrote: «the last thing we should do is to withdraw from our greatest good and blessing, which is the most sacred humanity of Our Lord Jesus Christ» (cf. The Interior Castle, 6, ch. 7). Therefore, only by believing in Christ, by remaining united to him, may the disciples, among whom we too are, continue their permanent action in history [Pope Benedict]
Santa Teresa d’Avila scrive che «non dobbiamo allontanarci da ciò che costituisce tutto il nostro bene e il nostro rimedio, cioè dalla santissima umanità di nostro Signore Gesù Cristo» (Castello interiore, 7, 6). Quindi solo credendo in Cristo, rimanendo uniti a Lui, i discepoli, tra i quali siamo anche noi, possono continuare la sua azione permanente nella storia [Papa Benedetto]
Just as he did during his earthly existence, so today the risen Jesus walks along the streets of our life and sees us immersed in our activities, with all our desires and our needs. In the midst of our everyday circumstances he continues to speak to us; he calls us to live our life with him, for only he is capable of satisfying our thirst for hope (Pope Benedict)
Come avvenne nel corso della sua esistenza terrena, anche oggi Gesù, il Risorto, passa lungo le strade della nostra vita, e ci vede immersi nelle nostre attività, con i nostri desideri e i nostri bisogni. Proprio nel quotidiano continua a rivolgerci la sua parola; ci chiama a realizzare la nostra vita con Lui, il solo capace di appagare la nostra sete di speranza (Papa Benedetto)
Truth involves our whole life. In the Bible, it carries with it the sense of support, solidity, and trust, as implied by the root 'aman, the source of our liturgical expression Amen. Truth is something you can lean on, so as not to fall. In this relational sense, the only truly reliable and trustworthy One – the One on whom we can count – is the living God. Hence, Jesus can say: "I am the truth" (Jn 14:6). We discover and rediscover the truth when we experience it within ourselves in the loyalty and trustworthiness of the One who loves us. This alone can liberate us: "The truth will set you free" (Jn 8:32) [Pope Francis]
La verità ha a che fare con la vita intera. Nella Bibbia, porta con sé i significati di sostegno, solidità, fiducia, come dà a intendere la radice ‘aman, dalla quale proviene anche l’Amen liturgico. La verità è ciò su cui ci si può appoggiare per non cadere. In questo senso relazionale, l’unico veramente affidabile e degno di fiducia, sul quale si può contare, ossia “vero”, è il Dio vivente. Ecco l’affermazione di Gesù: «Io sono la verità» (Gv 14,6). L’uomo, allora, scopre e riscopre la verità quando la sperimenta in sé [Papa Francesco]

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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