Apr 5, 2025 Scritto da 

Palme e somarello: instabili euforie

(Mt  21,1-11; Mc 11,1-10; Lc 19,28-40; Gv 12,12-16)

 

A scuola i ragazzi avevano sempre difficoltà a distinguere due artisti senesi, Simone Martini e il suo maestro Duccio - meno cortigiano e più inquietante - sino a quando il catechista non fece notare un particolare dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme sulla Maestà di Siena; primo grande polittico della storia.

Duccio di Buoninsegna aveva arricchito la scena con simboli pasquali come l’albero dietro il capo di Cristo che allude al patibolo vitale, nonché la cupola di colore chiarissimo che svetta ancor sopra [icona del corpo del Risorto come “tempio ricostruito”].

Ma ciò che faceva riflettere era il netto contrasto fra le due porte del lato destro del pannello - anch’esse sul medesimo asse compositivo - a sottolineare la divergenza di situazioni.

Nel dipinto l’accesso grande della città sovrasta nobilmente una folla che acclama, mentre la porticina in primo piano in basso allude all’ingresso nell’orto del Getsemani.

Uscio inferiore e recinto delimitano un terreno desertico. Elementi che s’incuneano in modo spigoloso e quasi maldestro nell’armonia della bella (ma paradossale) composizione.

È vivo il contrasto fra l’ampio varco gremito di moltitudine assiepata in festa, e la soglia con quello spazio rimasti disattesi; icone del senso di abbandono, mestizia e solitudine di chi accede e l’attraversa.

Raffigurazione stridente, se comparata con l’inneggiare delle calche cittadine - malgrado, tutto il settore dei notabili rimanga a osservare perplesso.

Insomma, l’idea comune d’un ingresso messianico nella città santa reso scorrevole e trionfante sull’onda del momento vantaggioso, è incrinata e disturbata da dettagli incongrui.

Ingredienti-spia, che invitano a un genere di riflessioni ancora purtroppo assenti nell’immaginario popolare, inchiodato su luoghi comuni più scenografici e direttamente piacevoli della festa delle Palme.

 

Un approfondimento biblico indusse la comunità parrocchiale a scrutare le tematiche inedite che via via sorgevano da una lettura attenta dei testi.

Anche i ragazzi si accorsero: l’atmosfera naturale, il ripetersi scandito che crea abitudine, e l’allestimento del culto, potevano fare brutti scherzi, veicolando significati persino a vanvera - alcuni addirittura opposti al richiamo dei Vangeli.

Man mano ci si rendeva conto del motivo per cui dopo la proclamazione dell’Ingresso e la festante processione condita di Osanna e graziosi rametti in mano - la Liturgia della Parola imponesse il momento faticoso discorde, della proclamazione del Passio.

Anche il Vangelo d’esordio della Liturgia venne reinterpretato dal parroco in un modo che sbalordì la comunità vivacemente riunita.

Il sacerdote chiese ai giovani increduli quali fossero gli “animali” preferiti dalla sacra Scrittura per descrivere Gesù e la sua proposta.

Iniziò allora una provocazione, che però fece riflettere circa le abitudini pittoresche e alcune frasi fatte; nonché, ponderare gli stereotipi troppo concordisti e armonici.

 

Insomma, ancora oggi, nel “villaggio” delle tradizioni antiche bisogna che i discepoli recuperino e liberino la profezia della sua Persona dimessa. È l’unica cosa di cui il Signore ha bisogno.

Egli viene per proporre un diverso Volto di Dio, non dominatore violento - e una differente relazione del popolo dei figli che vogliono crescere, rispetto a quanto ci si attendeva: potere e tranquillità.

Nessuna regalità mondana, né guerre da fare - questo il senso del gesto di deporre il mantello sulla cavalcatura modesta.

In tal guisa, i discepoli autentici sono d’accordo con il profilo basso del Messia di pace.

Ma l’adesione non è condivisa. Gran parte degli astanti si umiliano a stendere i mantelli sulla strada [a quel tempo segno di subordinazione]: essi preferiscono la soggezione a un Re glorioso.

E purtroppo, nei secoli non pochi credenti hanno anteposto la sottomissione all’amore, rischiosa gestione della propria libertà di essere e fare.

I rami tagliati? Alludono alla festa delle Capanne, durante la quale avrebbe dovuto apparire il Messia... immaginato Grande, vendicatore, propugnatore d’un facile benessere a spese di altri popoli.

Così Gesù si trova costretto e come preso in ostaggio fra due ali di folla: un gruppo che dirige, per indicargli la strada del potere - e uno che lo pressa, come per non lasciarselo scappare, né fargli fare di testa sua.

Troppo pericoloso.

Purtroppo l’equivoco è durato fino a oggi, ed è ancora assai tenace da estirpare. L’immaginario di tale Domenica particolare confonde il senso della scenografia festosa.

Anche noi rischiamo di scambiare ancora il Figlio dell’uomo immagine del Padre col figlio di Davide - l’abile condottiero che mille anni prima aveva riunito militarmente le tribù e dato lustro imperiale alla nazione.

 

Nei Vangeli il Signore non si lascia identificare con l’aquila di Gv, sebbene sia Lui che viene dall’alto e vede oltre l’immediato.

Non è un essere spirituale alato [simbolo di Mt] bensì pienamente incarnato, malgrado sia l’Angelo autentico, ossia l’Inviato del Padre per eccellenza.

Gesù non viene associato al leone [Mc], re della foresta e delle bestie, benché sia l’unico uomo riuscito e maestosamente regale - Persona vera e totalmente ‘presente’ secondo Dio.

Tanto meno lo accostiamo al bue [Lc] icona dell’antica devozione tradizionalmente sacrificale.

Su base evangelica non è possibile neanche immaginare la figura e la proposta del Maestro con il tipico bestiario d’omaggio e rispettosità con cui nell’Oriente antico venivano idealizzati sovrani e dignitari, tutti i potenti e gli eletti, anche della casta religiosa ufficiale.

 

I Vangeli non riconoscono Gesù quale rapace maestoso: fanno coincidere la stabilità, la qualità e l’azione del suo Spirito nell’icona della ‘colomba’.

Ancora, con una figura che fa proprio ridere i polli: la ‘gallina’, la quale si duole delle scelte rovinose della sua nidiata (Mt 23,37).

In luogo della potenza del leone [di Babilonia o della tribù di Giuda] ecco: mansuetudine d’Agnello che dona tutto di sé, pelle compresa.

Invece delle rinunce ascetiche, o d’animali destinati all’offertorio necessario a placare gli dei: un uomo dal cuore di carne e non di belva, con ideale di Comunione. Vita di coesistenza, strappata al preumano.

Come dire: è una trama d’essere (se stessi, anche piccoli) e di relazioni qualitative, che soppianta e sublima le arcaiche pratiche sacrificali [sacrum-facere] con cui anticamente si cercava il contatto e un rapporto di reciprocità con la vita celeste.

Ora essa s’identifica con la pienezza umana.

 

In alternativa eloquente alla strafottenza focosa d’un destriero che incalza e si rende protagonista di grandi imprese, collaborando appieno a rendere illustre il suo condottiero, ecco il simbolo della laboriosità instancabile, calato nella vita comune e di tutti: il ‘somarello’!

Questa dell’asinello è una fragorosa proposta di vita dimessa, su misura per discepoli ancora distratti, imbambolati nei sogni di solennità, prestigio, gloria mondana, smanie competitive [sembrava un’ovvietà del cuore].

Vuol dire: dentro ciascuno di noi c’è una profezia di servizio incessante che dev’essere “slegata”.

Come se nell’intimo dimorasse un essere sorgivo inespresso che può e vuol venire sciolto dai molti legacci delle aspettative di successo facile, di grandezza, di consenso.

Speranze prima indifferenti o sdegnate, per aver dato credito a un Messia dimesso.

Tale il livello della Fede che surclassa il comune senso religioso. 

Facilmente esso volge l’entusiasmo in tristezza e l’adesione in abbandono, coprendo a monte le potenze oscure dei nostri blocchi.

 

Per questo [ed è storia ancora contemporanea, di sequela e tradimento] lo stesso popolo che acclama acclama, attendendosi una celebrazione trionfale, sublimi riconoscimenti e facili scorciatoie - poi si accoda al rifiuto di Cristo. 

 

 

Gocce di commozione, Preghiera ed Energia vitale

 

Il pianto sulla città eterna, con lacrime di padre, di madre, di figlio

(Lc 19,41-44)

 

Ci piace essere sulla scia della moda o dell’opportunismo, ma respingere la Chiamata del Signore è grande responsabilità.

Bisogna riconoscere la Sua Visita, in Presenza, nell’ispirazione che emerge.

E scrutare i segni, cogliere i momenti di grazia invece di chiudersi ostilmente; non voltare le spalle.

Tutto questo cambia la vita in radice - guida al cuore della storia.

Gesù vuole espugnare le porte chiuse di ogni cittadella; anzitutto dell’osso più duro: Gerusalemme, la città santa.

Il territorio “eterno” è meno capace di accogliere le proposte del Signore - anche quelle sbandierate agli altri ma vissute in proprio con comportamenti qua e là aberranti (che costringono a ripetuti appelli).

Lì, gli estremisti del tornaconto antico o supermoderno restano tutti protesi a presidiare e coprire interessi, privilegi, abitudini, comodità.

Situazione che trascina i problemi stessi - i quali via via diventano cronici.

Non di rado i responsabili astuti rimangono seduti e chiusi nella difesa del mondo che vede solo se stesso, nella perfetta cupidità di ogni cosa vana.

Altro che fermento di conversione, motore della società, germe di vita nuova!

Risultato: la Verità tanto sbandierata rimane spesso ostaggio delle ingiustizie più bieche, che nel quotidiano consumano allegramente i peggiori tradimenti.

 

Anche Gesù si accorgeva della medesima situazione, immarcescibile, la quale produceva degrado e disumanizzazione.

Talora infatti ricerca del divino e tensione umana sono rese vane, a causa di un mondo ufficiale esclusivo, snob o settario - quello del sacro - che sembra sotto il segno di tutt’altra divinità.

Da parte dei direttori, la scelta di una ideologia di potere pasce d’illusioni.

Guida al proselitismo duro, ma conduce al disastro l’intero popolo - vessato, disprezzato, emarginato.

Offuscando lo sguardo, ciò non consente di liberarsi degli idoli più insidiosi che deturpano l’esistenza e la mente.

In tal guisa, l’ottica dirigista, superficiale e violente, confonde e travia il cammino verso lo Shalôm.

Impossibile rendersi conto della Visita di Dio, nella città perenne della religiosità antica o dell’ideologia élitaria, disincarnata.

Un tempo, ecco trincee, uccisioni e distruzione delle mura e delle case da parte di Nabucodonosor, poi quella romana del 70 cui allude più direttamente il testo.

Ma la previsione lugubre si estende, e forse l’immagine del mucchio di rovine ci riguarda. Fondo storico, meditazione ecclesiale e pastorale.

 

Non di rado l’autorità competente ha continuato purtroppo a condannare Gesù-Pace come un malfattore da espellere.

Ma in filigrana il Cristo oggi si staglia nella posizione di Re, che a malincuore pronuncia una sentenza definitiva.

Forse lo fa persino sui suoi intimi, quando si lasciano andare al compromesso, al degrado ideale, alla corruzione venale (all’adorazione degli idoli).

Dove la salvezza è preparata, offerta e riproposta in modo così intenso ma invano, il rifiuto diventa più doloroso - così per noi e per questo Figlio appassionato, commovente, quasi affranto.

Eppure il ceto degli eletti ed esclusivisti sceglie ugualmente di cadere e rovinare, in tal guisa autodistruggendo la propria gente.

Ricevendo in cambio solo il becchime mondano d’un titolo da appuntarsi.

E nello stesso “spirito di permanenza”, rigettando il Messia servitore.

Misconoscendo anche nel tempo l’opera di Bene dei suoi testimoni autentici.

Pertanto, la Città delle città - il grande centro religioso - continuerà a perdere il suo speciale carattere di segno salvatore.

 

Ci sarà un compimento comunque, ma l’anticipazione si realizza ora.

Dunque: siamo col Redentore [resistenza all’oppressione e attività profetica senza acquiescenze] o con Gerusalemme [deviazioni coperte da docilità, amicizia del sovrano, notorietà, premi in denaro]?

Anche oggi è tempo di Visita del Maestro, che bussa e chiede il permesso di entrare, per aprire i sigilli dei grandi interrogativi della storia e della vita.

Il monito è globale, comunitario e personale; di nuovo con lacrime di padre, di madre e di figlio.

Appello tuttora in fieri - per l’attuale tendenza culturale al nulla, alla resa e all’effimero.

 

L’enciclica Fratelli Tutti denuncia appunto il regresso di un mondo stravagante che - con un senso del qui e ora rattrappito - sembra aver imparato poco dalle tragedie del Novecento, sino a riaccendere conflitti anacronistici (nn.11.13).

 

Il Padre ha riservato alla Chiesa un Regno alternativo, e dove essa cerca di occupare il posto di altri, finisce solo per vivere di elemosine da rotocalco, e far stare i suoi figli più stretti.

Meglio non rovinare l’amore. Il farsi valere è maschera di nanerottoli, non virtù dei forti - né di famigliari.

Ma accorgendoci anche dei luoghi di rottura, e recuperando il passo sociale, è con nuovo acume evangelico che potremo rendere il Dio-per-tutti davvero operante e vivo, invece che affranto su di noi.

Ciò con migliore profitto a partire dal suo Popolo: dall’anima delle sue Fraternità di silenziosi agnelli, impegnati non a gestire posizioni, bensì nell’artigianato sine glossa della vita reale.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Cosa ritieni sia nascosto ai tuoi occhi, ma precedentemente annunziato - e che piange amaro?

Con quale orientamento sei disposto a vivere nell’artigianato della Pace, anche famigliare o sociale, mettendo da parte le inimicizie e l’effimero [cf. Fratelli Tutti nn. 57. 100. 127. 176. 192. 197. 216-217. 225-236. 240-243. 254-262. 271-272. 278-285]?

 

 

Pace, nella Verità

 

11. Dinanzi ai rischi che l'umanità vive in questa nostra epoca, è compito di tutti i cattolici intensificare, in ogni parte del mondo, l'annuncio e la testimonianza del « Vangelo della pace », proclamando che il riconoscimento della piena verità di Dio è condizione previa e indispensabile per il consolidamento della verità della pace. Dio è Amore che salva, Padre amorevole che desidera vedere i suoi figli riconoscersi tra loro come fratelli, responsabilmente protesi a mettere i differenti talenti a servizio del bene comune della famiglia umana. Dio è inesauribile sorgente della speranza che dà senso alla vita personale e collettiva. Dio, solo Dio, rende efficace ogni opera di bene e di pace. La storia ha ampiamente dimostrato che fare guerra a Dio per estirparlo dal cuore degli uomini porta l'umanità, impaurita e impoverita, verso scelte che non hanno futuro. Ciò deve spronare i credenti in Cristo a farsi testimoni convincenti del Dio che è inseparabilmente verità e amore, mettendosi al servizio della pace, in un'ampia collaborazione ecumenica e con le altre religioni, come pure con tutti gli uomini di buona volontà.

[Papa Benedetto, Messaggio per la XXXIX Giornata Mondiale per la Pace, 2006]

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don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Jesus shows us how to face moments of difficulty and the most insidious of temptations by preserving in our hearts a peace that is neither detachment nor superhuman impassivity (Pope Francis)
Gesù ci mostra come affrontare i momenti difficili e le tentazioni più insidiose, custodendo nel cuore una pace che non è distacco, non è impassibilità o superomismo (Papa Francesco)
If, in his prophecy about the shepherd, Ezekiel was aiming to restore unity among the dispersed tribes of Israel (cf. Ez 34: 22-24), here it is a question not only of the unification of a dispersed Israel but of the unification of all the children of God, of humanity - of the Church of Jews and of pagans [Pope Benedict]
Se Ezechiele nella sua profezia sul pastore aveva di mira il ripristino dell'unità tra le tribù disperse d'Israele (cfr Ez 34, 22-24), si tratta ora non solo più dell'unificazione dell'Israele disperso, ma dell'unificazione di tutti i figli di Dio, dell'umanità - della Chiesa di giudei e di pagani [Papa Benedetto]
St Teresa of Avila wrote: «the last thing we should do is to withdraw from our greatest good and blessing, which is the most sacred humanity of Our Lord Jesus Christ» (cf. The Interior Castle, 6, ch. 7). Therefore, only by believing in Christ, by remaining united to him, may the disciples, among whom we too are, continue their permanent action in history [Pope Benedict]
Santa Teresa d’Avila scrive che «non dobbiamo allontanarci da ciò che costituisce tutto il nostro bene e il nostro rimedio, cioè dalla santissima umanità di nostro Signore Gesù Cristo» (Castello interiore, 7, 6). Quindi solo credendo in Cristo, rimanendo uniti a Lui, i discepoli, tra i quali siamo anche noi, possono continuare la sua azione permanente nella storia [Papa Benedetto]
Just as he did during his earthly existence, so today the risen Jesus walks along the streets of our life and sees us immersed in our activities, with all our desires and our needs. In the midst of our everyday circumstances he continues to speak to us; he calls us to live our life with him, for only he is capable of satisfying our thirst for hope (Pope Benedict)
Come avvenne nel corso della sua esistenza terrena, anche oggi Gesù, il Risorto, passa lungo le strade della nostra vita, e ci vede immersi nelle nostre attività, con i nostri desideri e i nostri bisogni. Proprio nel quotidiano continua a rivolgerci la sua parola; ci chiama a realizzare la nostra vita con Lui, il solo capace di appagare la nostra sete di speranza (Papa Benedetto)
Truth involves our whole life. In the Bible, it carries with it the sense of support, solidity, and trust, as implied by the root 'aman, the source of our liturgical expression Amen. Truth is something you can lean on, so as not to fall. In this relational sense, the only truly reliable and trustworthy One – the One on whom we can count – is the living God. Hence, Jesus can say: "I am the truth" (Jn 14:6). We discover and rediscover the truth when we experience it within ourselves in the loyalty and trustworthiness of the One who loves us. This alone can liberate us: "The truth will set you free" (Jn 8:32) [Pope Francis]
La verità ha a che fare con la vita intera. Nella Bibbia, porta con sé i significati di sostegno, solidità, fiducia, come dà a intendere la radice ‘aman, dalla quale proviene anche l’Amen liturgico. La verità è ciò su cui ci si può appoggiare per non cadere. In questo senso relazionale, l’unico veramente affidabile e degno di fiducia, sul quale si può contare, ossia “vero”, è il Dio vivente. Ecco l’affermazione di Gesù: «Io sono la verità» (Gv 14,6). L’uomo, allora, scopre e riscopre la verità quando la sperimenta in sé [Papa Francesco]

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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